Capitolo 12: Il tempo della verità
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Il crepitio del fuoco rischiarava appena l'oscurità della notte, gettando ombre tremolanti sui volti dei fuggitivi. Attorno al piccolo campo, regnava un silenzio carico di tensione. Gli occhi di Ingrid erano fissi su Gorm, l'uomo che fino a poco prima era riuscito a nascondersi tra loro, ma che ora tremava sotto lo sguardo vigile di Hakon. La spia era stata smascherata.
Gorm, con le mani legate dietro la schiena, respirava a fatica. Il suo viso era pallido, le gocce di sudore brillavano sotto la luce delle fiamme, ma il suo sguardo era quello di un animale braccato, che sapeva che non c'era più scampo. Ingrid gli si avvicinò lentamente, il cuore che le martellava nel petto, sentendo una rabbia crescente mista a confusione. Chi aveva tradito Rogaland? E perché?
«Parla!» tuonò Hakon, sporgendosi su di lui. «Chi ti ha mandato? Chi ci sta inseguendo?»
Gorm deglutì, il nodo alla gola che lo rendeva incapace di rispondere. Ingrid lo fissava, il suo sguardo come una lama affilata. Era abituata a vedere il tradimento, ma sapere che qualcuno tra loro li aveva messi in pericolo rendeva il tutto insopportabile.
Hakon afferrò Gorm per il colletto, scuotendolo. «Non abbiamo tempo per la tua codardia! Quante altre vite intendi mettere a rischio?»
La spia tremava, le sue labbra si mossero debolmente prima che un filo di voce uscisse. «Sigvard... è Sigvard...»
Ingrid sentì il sangue gelarsi nelle vene. Sigvard. Quello stesso nome che fino a poco tempo prima non rappresentava nulla di più di un conte lontano e senza influenza, ma ora quel nome suonava come una condanna a morte. Gli occhi di Ingrid si allargarono mentre il mondo sembrava improvvisamente inclinarsi. Sigvard. Era lui il vero nemico? Aveva sfidato Harald per il controllo di Rogaland?
Hakon si irrigidì, la mano ancora stretta sul colletto di Gorm. «Sigvard? Quello stesso conte che ha giurato fedeltà a Re Harald?»
Gorm annuì debolmente, evitando lo sguardo degli altri. «Sì, è lui. Ha radunato un esercito... Ha promesso di sfidare Harald... di prendersi Rogaland e tutto ciò che gli spetta.»
«E noi?» Ingrid chiese, la sua voce fredda e tagliente. «Perché ci sta inseguendo? Perché vi ha mandato qui?»
Il volto di Gorm si contorse in una smorfia di disperazione. «Non è solo Rogaland che vuole. Sta anche cercando te, Ingrid. Sigvard vuole te.»
Ingrid fece un passo indietro, come se le parole l'avessero colpita fisicamente. «Me?»
Gorm annuì, il respiro affannoso. «Tuo padre... il conte Ulf... ha mandato un messaggero a Sigvard, chiedendo aiuto. Ma Sigvard ha deciso di approfittare della situazione. Invece di aiutarlo, vuole prenderti e governare anche su Vestfold. Ha ucciso tutti gli uomini che Ulf gli aveva inviato. Ti userà per controllare tuo padre e ottenere tutto ciò che desidera.»
Il mondo di Ingrid sembrò vacillare. Sentì un'ondata di nausea salire dentro di sé. Suo padre aveva chiesto aiuto a Sigvard... e quel mostro aveva tradito anche lui, usando la loro disperazione come strumento per i suoi piani di conquista. Sigvard non voleva solo Rogaland, voleva anche Vestfold. Voleva lei.
E ciò spiegava perché suo padre non si fosse fatto più vedere: adesso era circondato da nemici. Si era scavato la fossa da solo.
«Dannato bastardo...» sibilò Ingrid, sentendo la furia divampare dentro di sé. Tutto quel caos, quella fuga disperata... non era solo per il potere su Rogaland. Lei era il premio, l'oggetto della sua bramosia.
Hakon si alzò, lasciando andare Gorm. «Sigvard ha tradito Re Harald. È un traditore, e non si fermerà finché non avrà ottenuto ciò che vuole. Ma non può essere lasciato libero di agire.»
Ingrid era paralizzata, i suoi pensieri come una tempesta. Sigvard voleva usurpare Harald, e allo stesso tempo distruggere la sua famiglia, annientare ogni cosa che amava. Il tradimento era un veleno che si diffondeva rapidamente, e ora si trovavano di fronte a un nemico che non avrebbe avuto pietà.
Dopo l'interrogatorio, il campo rimase in uno stato di angoscia silenziosa. La verità era emersa, ma non c'era alcun conforto nel sapere che un nemico potente li inseguiva da vicino, e che Ingrid era il suo obiettivo principale.
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Le giornate successive furono un'agonia. Le scorte di cibo diminuivano rapidamente, e le poche che riuscivano a raccogliere non erano sufficienti a sfamare tutti. Gli occhi dei bambini si facevano sempre più spenti, i corpi delle donne sempre più deboli. Ingrid si sentiva impotente. Aveva dato speranza al gruppo con il suo piano, ma ora la realtà di ciò che stavano affrontando la stava schiacciando.
Ogni notte Ingrid vegliava, il sonno ormai un lusso che non poteva permettersi. Pensava a suo padre, a come Sigvard lo stesse usando come pedina. Ma la sua mente tornava sempre a loro due: Halfdan e Harald. Stavano combattendo contro un nemico invisibile, ignari di ciò che stava accadendo a Rogaland, ignari che anche la sua vita era in pericolo. La loro missione li stava portando lontano, mentre lei affrontava un incubo.
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Il giorno peggiore arrivò quando sentirono il rumore di cavalli in lontananza. Il terreno vibrava sotto di loro, e il suono delle urla e del metallo contro il metallo riempì l'aria. Gli uomini di Sigvard erano arrivati. L'attacco era imminente.
Ingrid si precipitò tra i bambini, prendendo per mano quelli più piccoli e conducendoli verso un nascondiglio tra le rocce. Le donne si radunarono attorno a lei, le facce pallide e terrorizzate.
«Proteggete i bambini,» disse, la voce ferma. «Non permettete che li prendano. Se dobbiamo combattere, lo faremo fino alla fine.»
Leif e Hakon si posizionarono con gli altri uomini all'ingresso della piccola gola rocciosa che avevano scelto come rifugio. Ma sapevano di essere in inferiorità numerica. Non erano guerrieri addestrati, erano sopravvissuti.
Il gruppo nemico si avvicinava, il suono delle urla cresceva. Ingrid afferrò un pugnale, pronta a combattere per la sua vita e per quella degli altri. Ma sapeva, nel profondo, che non potevano vincere quella battaglia.
Il clangore delle armi risuonava sempre più vicino, e l'aria si riempiva del fragore di una battaglia che non prometteva scampo. Ingrid, con il pugnale stretto in mano, osservava gli uomini di Sigvard avvicinarsi come un'onda inarrestabile, un incubo che diventava realtà. Ogni passo dei nemici, ogni urlo, sembrava risuonare come una condanna per tutti loro.
Hakon stava già organizzando gli uomini rimasti, ma i loro volti tradivano la paura. Erano contadini, pescatori, uomini che non avevano mai dovuto impugnare un'arma per difendere la propria vita. Eppure, lì si trovavano, a combattere contro soldati ben addestrati.
«Non lasciate che avanzino!» gridò Hakon, la sua voce forte per farsi sentire sopra il frastuono. «Se riescono a raggiungere le donne e i bambini, è finita!»
Improvvisamente, un cavallo attraversò la linea difensiva, e Ingrid vide Leif lanciarsi contro il cavaliere, cercando disperatamente di fermarlo. Il clangore del metallo contro metallo riempì l'aria mentre i due uomini lottavano, ma Leif venne rapidamente sopraffatto. Il cavaliere lo colpì al petto con una lama, e Leif cadde a terra, il sangue che gli macchiava la tunica.
«Leif!» gridò Ingrid, correndo verso di lui. Ma mentre lo faceva, uno degli uomini di Sigvard la intercettò, la lama che scintillava sotto la luce debole. Ingrid si preparò al peggio, alzando il pugnale, ma la sua arma sembrava insignificante contro la spada del suo avversario.
La lotta fu breve e feroce. Ingrid riuscì a schivare il primo colpo, ma il secondo le sfiorò il braccio, facendole cadere il pugnale. Sentì il freddo della lama contro la pelle, ma con uno scatto improvviso, riuscì a colpire l'uomo con un calcio al petto, facendolo barcollare all'indietro. Prima che potesse rialzarsi, Hakon intervenne, abbattendolo con un colpo letale.
«Non c'è tempo!» urlò Hakon, afferrando Ingrid per un braccio e tirandola via dal campo di battaglia. «Dobbiamo ritirarci. Proteggiamo i bambini!»
Ingrid annuì, il cuore che batteva forte, mentre seguiva Hakon verso le rocce dove le donne e i bambini erano nascosti. Le loro possibilità di vittoria erano sempre più sottili. I nemici avanzavano, e per ogni uomo che cadeva dalla loro parte, altri ne prendevano il posto.
Poi, accadde l'inevitabile. Un gruppo di cavalieri superò le difese e si avvicinò alle rocce. Ingrid si frappose tra loro e i bambini. Le donne, terrorizzate, cercavano di proteggere i piccoli, ma la disperazione era tangibile.
Era finita.
Il suono del metallo che si infrangeva contro il metallo sembrava segnare la fine della loro resistenza. Un cavaliere si avvicinò a Ingrid, la lama pronta a colpire, e per un istante tutto sembrò rallentare. Ingrid chiuse gli occhi, preparandosi al colpo che l'avrebbe uccisa.
Ma il colpo non arrivò.
Un urlo feroce riecheggiò nella foresta, seguito dal galoppo furioso di cavalli. Ingrid aprì gli occhi giusto in tempo per vedere il cavaliere che la minacciava venire abbattuto da una figura familiare.
Halfdan.
Era arrivato, e con lui Harald e il loro esercito.
La battaglia, che sembrava ormai persa, prese improvvisamente una svolta inaspettata. Gli uomini di Sigvard furono presi alla sprovvista dall'attacco improvviso di Halfdan e Harald, e in pochi minuti il campo di battaglia si trasformò in un caos ribollente.
Ingrid sentì il cuore alleggerirsi, mentre guardava Halfdan combattere con una furia che aveva visto poche volte. Ogni colpo della sua spada era preciso, letale, e gli uomini di Sigvard, pur numerosi, non riuscirono a resistere alla potenza dell'attacco.
Harald, cavalcando con la sua armatura scintillante, guidava gli uomini con autorità, abbattendo i nemici senza pietà. Era come se l'ira degli dèi fosse scesa su di loro, travolgendo gli invasori con una furia inarrestabile.
Ingrid rimase immobile per un attimo, osservando la scena. Halfdan, con la spada in mano e il viso annerito dal fumo e dal sangue, la guardò per un istante. I loro sguardi si incrociarono, e in quegli occhi freddi e taglienti, Ingrid vide qualcosa di diverso.
Ma non c'era tempo per riflettere. La battaglia infuriava ancora, e Ingrid sapeva che, anche se la salvezza era arrivata, non era ancora finita.
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