Capitolo 11: I più deboli
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Il sole filtrava debolmente attraverso le nuvole grigie, mentre il gruppo di fuggitivi avanzava in fretta nella foresta. I rami degli alberi si intrecciavano sopra di loro come una cupola naturale, ma ogni rumore, ogni fruscio delle foglie sembrava amplificato, carico di minaccia. Ingrid camminava con il cuore in gola, ogni fibra del suo essere in allerta. Dietro di loro c'era solo il caos e la distruzione, ma davanti non vi era certezza di salvezza.
Hakon marciava in testa al gruppo, la sua figura decisa che sembrava trasmettere una parvenza di calma agli altri. Tuttavia, Ingrid poteva percepire la tensione nel suo corpo, la consapevolezza che stavano giocando contro il tempo. Astrid e Leif erano sempre vicini a Ingrid, il loro silenzio non era solo dovuto alla stanchezza, ma alla paura.
Mentre avanzavano tra gli alberi, uno dei cacciatori che fungeva da esploratore tornò verso il gruppo. Il suo volto era pallido, e i suoi occhi spalancati per il terrore.
«Qualcuno ci sta seguendo,» disse con voce tesa. «Non so quanti siano, ma ho visto delle ombre muoversi tra gli alberi. Ci tengono d'occhio.»
Il gruppo si fermò, il panico si diffuse come un'onda. Le madri strinsero a sé i bambini, e gli uomini rimasti si guardarono intorno, cercando di individuare il nemico invisibile.
Ingrid avvertì una stretta al petto. Non potevano essere sicuri di chi li stesse seguendo, ma le probabilità che fossero alleati erano pressoché nulle. Erano stati individuati. Era solo questione di tempo prima che l'inseguimento diventasse un assalto.
Hakon si voltò verso il gruppo, il volto duro. «Dobbiamo trovare un posto dove possiamo difenderci. Non possiamo continuare a correre senza una strategia. Abbiamo donne e bambini da proteggere.»
Ingrid osservò la radura davanti a loro, il terreno aperto che sembrava invitare il pericolo. Sarebbe stato un suicidio fermarsi lì. «No,» disse con fermezza. «La radura è una trappola. Saremmo esposti su tutti i lati. Dobbiamo cercare un altro posto. Qualcosa che ci dia un vantaggio tattico.»
Astrid si avvicinò, il volto teso, ma determinato. «E cosa proponi?»
Ingrid si prese un momento per riflettere, osservando attentamente l'ambiente circostante. Poi, i suoi occhi si posarono su una formazione rocciosa, semi nascosta dalla vegetazione. «Lì,» disse indicando. «Ci sono delle rocce, possiamo usarle per creare una barriera naturale. Ci darà una posizione più alta e potremo respingere un eventuale attacco.»
Hakon annuì, approvando il piano. «È una buona idea. Le rocce ci proteggeranno almeno su un lato. E se riusciamo a bloccare il passaggio da un altro lato, potremmo avere una possibilità di difenderci.»
Il gruppo si mosse rapidamente verso le rocce. Era un luogo accidentato, ma offriva protezione naturale e nascondiglio tra le fronde degli alberi che crescevano attorno. Ingrid prese subito il controllo della situazione, cercando di organizzare quel gruppo spaventato e vulnerabile in una qualche forma di difesa.
«Astrid, prendi quelle donne e portale verso le rocce più alte. Potranno lanciare pietre se il nemico si avvicina. Non importa quanto sembri primitivo, ogni cosa può fare la differenza.»
Astrid annuì, prendendo alcune delle donne più forti con sé, mentre i bambini venivano messi al riparo in una piccola cavità naturale tra le rocce. Ingrid sapeva che non potevano contare solo sulla fortuna. Dovevano sfruttare ogni vantaggio, per quanto piccolo.
«Leif,» continuò Ingrid, «prendi i pochi uomini che abbiamo e posizionati vicino all'ingresso. Se riescono a passare, li affronterete lì. Non lasciateli arrivare troppo vicino ai bambini.»
Leif annuì, lo sguardo risoluto. «Non passeranno. Te lo prometto.»
Ingrid sentiva la responsabilità pesare sulle sue spalle. Non erano soldati, non erano abituati a combattere. Ma dovevano farlo, per sopravvivere. Il pensiero di abbandonare tutto, di fuggire da quel caos, le attraversò di nuovo la mente. Se avesse voluto, avrebbe potuto lasciarli indietro, approfittare del panico per scappare da sola e sparire.
Guardò i piccoli volti dei bambini terrorizzati, le madri che cercavano di trattenere le lacrime, e sentì una stretta nel cuore. Non poteva farlo. Non poteva lasciarli indietro. Non poteva voltare le spalle alla sua coscienza. Se avesse rinunciato a loro, avrebbe rinunciato a una parte di se stessa.
«Ci sono ancora rami caduti da utilizzare per rinforzare la difesa,» disse, tornando a concentrarsi sul piano. «Tutti devono partecipare, anche i bambini. Dobbiamo renderci utili in ogni modo.»
Si morse un labbro. "Tutti devono partecipare". Erano più o meno le stesse parole che le aveva urlato addosso Halfdan il giorno in cui aveva deciso di aiutare un bambino durante le costruzioni delle difese di Rogaland. Alla fine, sembrava che il guerriero avesse ragione. Anche i più piccoli dovevano contribuire. Perché erano Vichinghi. Perché dovevano crescere forti.
Hakon, che stava osservando in silenzio, si avvicinò. «Hai un buon occhio per la strategia, Ingrid. Sei intelligente. Adesso capisco perché sei un ostaggio così importante.»
Ingrid lo fissò, il suo volto era una maschera di determinazione. «Non sono qui per me stessa. Faccio questo perché è giusto, non per altro.»
Hakon annuì, rispettoso. «Comunque sia, stiamo tutti combattendo per la nostra vita ora. Ed è grazie a te se abbiamo una possibilità.»
Le parole di Hakon sembravano riecheggiare nell'aria fredda e tesa, mentre Ingrid si preparava al peggio. Le rocce offrivano una posizione vantaggiosa, ma sapeva che non sarebbe bastato se il nemico avesse attaccato in massa. Tuttavia, era tutto ciò che avevano.
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Anche se le rocce fornivano un riparo temporaneo, Ingrid sapeva che presto sarebbero stati scoperti. Dovevano guadagnare più tempo, e velocemente.
Poi, all'improvviso, un'idea le balenò in mente. Un colpo di genio che avrebbe potuto ribaltare le sorti di quel momento cruciale.
«Dobbiamo confondere i nostri inseguitori,» disse, lo sguardo concentrato su Hakon. «Se riusciamo a far credere loro che stiamo prendendo un'altra strada, potremmo guadagnare giorni preziosi.»
Hakon la fissò, sollevando un sopracciglio. «E come pensi di farlo? Non abbiamo i numeri per dividere il gruppo, e muoverci troppo rischia di esporci ancora di più.»
Ingrid sorrise, anche se il peso della situazione era evidente nei suoi occhi. «Non dobbiamo davvero dividere il gruppo. Basterà solo far sembrare che l'abbiamo fatto.»
Si avvicinò ai membri del gruppo e iniziò a dare ordini rapidi, ma chiari. «Prendete delle coperte, stracci e qualunque cosa possa sembrare che appartenga a noi. Li lasceremo dietro, come se qualcuno avesse perso gli oggetti nella fuga. Semineremo tracce false lungo un altro percorso. Gli faremo credere che ci stiamo dirigendo a nord, verso la costa, mentre noi continueremo a ovest.»
Astrid si avvicinò, già con una vecchia coperta tra le mani. «Vuoi lasciare indizi che puntino a un'altra direzione?»
Ingrid annuì. «Esattamente. Faremo sembrare che ci siamo separati in due gruppi. Spargeremo oggetti e spezzoni di stoffa lungo il sentiero sbagliato. Quando li troveranno, si divideranno per inseguire entrambe le tracce. Questo rallenterà il loro inseguimento, e ci darà il tempo per prepararci meglio.»
Hakon osservava con crescente rispetto. «È un'idea brillante. Ma dovremo essere rapidi e metodici. Ogni traccia dev'essere credibile.»
Il piano si mise subito in moto. Mentre i membri del gruppo lasciavano dietro di sé i falsi indizi, Ingrid si assicurò che la maggior parte del gruppo proseguisse verso la direzione sicura. Spezzoni di tessuti vennero appesi ai rami, alcune tracce di impronte lasciate deliberatamente nel fango. Il tutto orchestrato con una precisione impressionante.
Quando tutto fu pronto, il gruppo si mosse velocemente verso ovest, seguendo il percorso che Ingrid aveva stabilito. Il vento freddo fischiava tra gli alberi, e per un momento sembrò che la foresta stessa stesse cercando di proteggerli. I loro passi furono silenziosi, ma il tempo guadagnato da quella mossa strategica dava loro una speranza.
Quando il gruppo finalmente si fermò per riprendere fiato, Ingrid si avvicinò a Hakon. Il suo volto era stanco, ma soddisfatto. «Non basterà solo rallentarli,» disse, il tono grave. «C'è qualcuno tra noi che ha tradito. Lo sappiamo, ed è ora di smascherarlo.»
Hakon annuì. «Ma come facciamo a scoprire chi è? Non possiamo accusare a caso.»
Ingrid rifletté per un attimo, poi un lampo di intuizione la colpì. «Dobbiamo tendergli una trappola. Fargli credere di essere al sicuro, e che può continuare a fornire informazioni al nemico senza essere scoperto.»
Hakon la fissò con sguardo interrogativo. «E come pensi di farlo?»
Ingrid incrociò le braccia, la mente lavorava rapidamente. «Racconteremo al gruppo che ci sposteremo nuovamente, verso un rifugio ben protetto. Ma sarà una bugia. Solo chi vorrà tradirci fornirà quelle informazioni al nemico.»
Hakon annuì, apprezzando la logica dietro il piano. «Così capiremo chi è la spia.»
Ingrid sorrise freddamente. «Esattamente. Poi lo affronteremo. E lo faremo parlare.»
La trappola venne tesa quella stessa sera. Ingrid, Hakon e Leif parlarono apertamente davanti al gruppo, raccontando di un rifugio sicuro a un giorno di distanza. Tutti parvero credere alla storia, ma Ingrid teneva d'occhio ogni minimo dettaglio, ogni sguardo sospetto.
Il mattino seguente, si mossero con calma, mantenendo la copertura. Ma Ingrid e Hakon si fermarono a controllare i margini del campo, pronti a intercettare chiunque cercasse di tradirli.
Dopo qualche ora, videro un uomo allontanarsi furtivamente dal gruppo. Era Gorm, un membro del gruppo che era rimasto in disparte per la maggior parte del tempo. I suoi occhi guizzavano nervosamente, e ogni suo movimento era intriso di colpa.
Era lui la spia.
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