Capitolo 10: La foresta
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L'atmosfera a Rogaland era irreale, sospesa in un silenzio inquietante. Ingrid sentiva l'aria fredda e pesante entrare dalla finestra della sua cella, mentre il ricordo delle parole di Hakon le risuonava ancora nella mente. Sapeva che aveva piantato un seme di dubbio, ma non immaginava quanto il tempo fosse stretto.
Era l'alba quando i primi segni di pericolo apparvero all'orizzonte. Ingrid stava osservando il porto quasi deserto, il mare increspato sotto il cielo grigio. All'inizio, sembravano solo ombre che si muovevano tra le colline vicine, ma in pochi minuti quelle ombre si materializzarono in figure. Uomini a cavallo, armati e pronti alla battaglia. Non portavano lo stendardo del Conte Ulf, il che rendeva la situazione ancora più strana. Si muovevano in silenzio, senza il clangore delle armi, come se fossero spettri venuti a reclamare la città addormentata.
Un grido ruppe il silenzio. Le guardie iniziarono a correre freneticamente, le porte del villaggio vennero chiuse in fretta, ma era evidente che l'attacco era ormai imminente. Ingrid osservava tutto dalla sua finestra, impotente, mentre il caos dilagava attorno a lei. I pochi guerrieri rimasti cercavano di organizzarsi, ma erano troppo pochi e troppo sparsi per respingere un assalto di quella portata.
Le porte furono abbattute con un colpo secco, e gli invasori irruppero nella città con ferocia. Il clangore delle armi riempì l'aria, accompagnato dalle urla di panico e dal rumore delle case in fiamme. Ingrid sapeva che il momento per rimanere ferma era finito. Con un colpo secco sul pavimento della sua cella, attirò l'attenzione della guardia più vicina.
«Hakon! Devo parlare con Hakon!»
Il soldato esitò per un attimo, ma il terrore nei suoi occhi gli impedì di discutere. «È giù, nelle sale del consiglio!» gridò prima di scappare per unirsi alla difesa. Ingrid non perse tempo. La porta della cella, forse a causa della fretta e del panico, era rimasta solo accostata. Con uno spintone, riuscì ad aprirla e uscì di corsa dalla prigione.
Mentre attraversava il cortile, cercando riparo dagli assalti, vide Astrid e Leif già impegnati a difendere un gruppo di civili, principalmente donne e bambini. La città era in fiamme, il cielo annerito dal fumo, e ovunque si girasse, vedeva devastazione.
Finalmente trovò Hakon, intento a dare ordini agli ultimi difensori rimasti. Il suo volto era teso, ma quando vide Ingrid, il suo sguardo si fece incredulo.
«Come sei uscita dalla tua cella?» chiese, ma non c'era tempo per spiegazioni.
«Dobbiamo evacuare i civili,» disse Ingrid, ansimando. «Non c'è modo di difendere la città con così pochi uomini. Dobbiamo andarcene ora, prima che sia troppo tardi.»
Hakon esitò per un istante, ma alla fine annuì. «Raduna chi puoi. Troveremo riparo nelle foreste a ovest.»
Con il caos che imperversava attorno a loro, Ingrid, Hakon, Astrid, Leif e un gruppo di fuggitivi si diressero verso le porte posteriori della città, cercando una via di fuga prima che gli invasori li circondassero del tutto. Il suono degli zoccoli dei cavalli e delle urla dei combattenti li seguiva come un'ombra, ma riuscirono a lasciare la città prima che fosse completamente presa.
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Ingrid correva nella foresta, i suoi piedi affondavano nel terreno morbido e umido, i rami le graffiavano la pelle, ma non osava rallentare. Il cuore le martellava nel petto, e il respiro era un peso che si faceva sempre più affannoso. Aveva appena lasciato la sua prigione, aveva la libertà a portata di mano. Bastava continuare a correre, allontanarsi da quel luogo che l'aveva tenuta rinchiusa, fuggire lontano da Halfdan, da Rogaland, da tutto. Poteva abbandonare ogni cosa, ricostruirsi una vita, dimenticare quel posto, il tradimento, la lotta per il potere. Con un po' di fortuna l'avrebbero creduta morta e lei sarebbe potuta ritornare da suo padre con calma. Ma mentre correva, un suono attirò la sua attenzione: il pianto di un bambino.
Il conflitto dentro di lei si fece feroce. Desiderava la libertà, ma il suo senso di giustizia le impediva di voltare le spalle a quelle persone che avevano un disperato bisogno di aiuto. Anche da prigioniera, Ingrid aveva sempre saputo chi era: non una vittima, non una codarda, ma una guerriera. Una donna che avrebbe fatto di tutto per proteggere chi non poteva difendersi. E ora, con la libertà a portata di mano, si rendeva conto che non poteva abbandonare quelle persone.
Prese in braccio un bambino troppo piccolo per stare da solo e riprese la sua fuga. Mentre correva continuava a guardarsi alle spalle, aspettandosi di vedere gli invasori alle loro calcagna. Ma la foresta offriva una copertura sufficiente, e finalmente, quando furono abbastanza lontani, il gruppo si fermò per riprendere fiato.
Hakon si voltò verso Ingrid, lo sguardo ancora incredulo. «Hai salvato molte vite oggi,» disse, il suo tono carico di rispetto. «Ma il traditore è ancora là fuori, e ora abbiamo perso Rogaland.»
Ingrid annuì. «Il nemico non si fermerà qui. Dobbiamo avvertire Halfdan e Harald, e soprattutto dobbiamo scoprire chi ha tradito la nostra posizione.»
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Mentre il gruppo proseguiva tra gli alberi, il suono delle battaglie a Rogaland si affievoliva sempre più, lasciando spazio solo al fruscio delle foglie sotto i loro piedi. Ingrid guidava il gruppo, con il bambino tra le braccia e le menti cariche di dubbi e paure. Ogni passo sembrava trascinarla sempre più lontano dal conflitto, ma la tensione non l'abbandonava.
«Non possiamo fermarci,» disse Hakon, guardando Ingrid con uno sguardo preoccupato. «Non sappiamo se ci stanno inseguendo. E se ci trovano, non avremo scampo.»
Ingrid annuì, ma nel suo cuore c'era un altro tipo di battaglia. Aveva scelto di restare, di aiutare quelle persone, ma il pensiero della libertà, quella che aveva sfiorato con mano, continuava a tormentarla. Non riusciva a smettere di pensare a come sarebbe stato se avesse continuato a correre da sola. Senza più catene, senza più ordini.
Il bambino tra le sue braccia tremava, non solo per il freddo, ma anche per la paura. Ingrid lo strinse a sé, cercando di trasmettergli un calore che lei stessa non sentiva. «Non ti lascerò,» gli sussurrò. «Nessuno qui verrà lasciato indietro.»
La foresta si faceva sempre più fitta, e ogni passo sembrava una lotta contro il terreno insidioso e la stanchezza. Le foglie umide scricchiolavano sotto i piedi, e il vento gelido fischiava tra i rami, ma c'era un silenzio strano, quasi irreale, che sembrava avvolgere il gruppo come una cappa.
Astrid e Leif camminavano poco più avanti, cercando di guidare il gruppo verso un rifugio sicuro. La loro presenza era un conforto per Ingrid, ma la preoccupazione era evidente nei loro volti.
«Non possiamo continuare così,» disse Astrid a un certo punto, fermandosi per riprendere fiato. «Le donne e i bambini non ce la faranno. Dobbiamo fermarci almeno un attimo.»
Hakon, che si era allontanato per controllare il percorso, tornò di corsa verso il gruppo. «C'è una radura poco più avanti,» disse con voce affannata. «Possiamo fermarci lì, ma solo per poco. Il pericolo è ancora vicino.»
Mentre il gruppo si dirigeva verso la radura, Ingrid non poteva fare a meno di pensare a ciò che avevano lasciato alle spalle. Rogaland era caduta, e Harald e Halfdan erano lontani, ignari del disastro che li attendeva. Qualcuno doveva avvertirli.
Il gruppo raggiunse la radura con fatica, ognuno dei presenti lottava contro la stanchezza e il terrore. Le madri cercavano di tranquillizzare i bambini, mentre i pochi uomini rimasti si guardavano intorno con nervosismo. Ingrid osservava tutto in silenzio, con il cuore pesante. Ogni passo verso la radura sembrava avvicinarla sempre di più a una decisione che non voleva prendere.
Si accovacciò a terra, il respiro affannato per la corsa e la tensione. Hakon la guardava con una strana espressione, quasi come se stesse riflettendo su qualcosa di importante.
«Non possiamo restare qui troppo a lungo,» disse lui, rivolgendosi al gruppo. «Se ci trovano, sarà la fine.»
Astrid si avvicinò, guardando Ingrid con occhi colmi di comprensione. «Hai fatto bene a restare. Non è una scelta facile.»
Ingrid scosse la testa, il senso di colpa la soffocava. «Ogni parte di me voleva scappare. Lasciare tutto alle spalle e sparire. Ma non potevo. Non potevo abbandonarli.»
Astrid le strinse il braccio. «È questo che ci rende diversi dai mostri che ci inseguono. Abbiamo ancora un cuore. Non siamo soli in questo.»
Leif si fece avanti, con uno sguardo preoccupato. «C'è una sola cosa che possiamo fare per adesso: inviare un messaggero. Dobbiamo avvertire Harald e Halfdan di ciò che è successo a Rogaland. Se non sanno della situazione, non potranno aiutarci.»
Hakon annuì, osservando il gruppo. «Ma chi manderemo? Il viaggio è lungo e pericoloso. Serve qualcuno che conosca bene queste terre.»
Ingrid stava per rispondere, ma Leif la fermò con un gesto. «Non tu, Ingrid. Sei troppo importante, devi rimanere qui con noi. Dobbiamo proteggere questi civili, e nessuno può difenderci meglio di te.»
Un giovane uomo, un cacciatore del villaggio, si fece avanti. «Andrò io,» disse con voce ferma. «Conosco bene queste terre. So come muovermi senza essere visto.»
Hakon lo guardò attentamente, valutando la sua offerta. Dopo un istante, annuì. «Bene. Non perdere tempo. Parti subito e non fermarti fino a quando non avrai raggiunto Harald e Halfdan.»
Il giovane si allontanò rapidamente, pronto a partire, mentre il resto del gruppo si preparava per il lungo e difficile viaggio attraverso la foresta.
«Dobbiamo continuare a muoverci,» disse Hakon con urgenza. «Non possiamo permetterci di farci trovare qui.»
Ingrid si alzò, il suo corpo era esausto, ma il suo spirito era ancora determinato. Guardò i bambini terrorizzati e le donne che cercavano di dare loro conforto. Era quella la sua battaglia, ora. Non fuggire, non cercare la libertà, ma proteggere i più deboli.
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Spazio autrice
Hey gente! Come va?
Spero che la storia vi stia piacendo. Ditemi cosa ne pensate e lasciate una stellina, se vi va. A presto!
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