Alice
I capelli tinti di nero e le frequenti ciocche azzurre erano forzati a volare, attorcigliarsi e muoversi come serpenti mentre Alice pedalava con tutta la sua forza, cercando inutilmente di arrivare alla macchina bianca con gli interni rossi del padre.
Non era la prima volta che saliva nell'auto e spariva per giorni, tornando troppo tardi per ricevere un suo abbraccio e troppo presto per farla essere felice. Lacrime calde le scorrevano sulle guance, giunte alle labbra si insinuavano tra di esse e forzavano la lingua ad assaporare quel sale avvelenato, che la faceva sentire sempre più piccola. Ad ogni lacrima, si sentiva restringere, fino a diventar un unico ed insignificante puntino tra grandi e perfidi fiori.
Si fermò stremata, grondande di sudore e lacrime. Un cocktail amaro che le scalfiva la pelle.
I pantaloncini toccarono l'asfalto, così come la bici e quando la prima macchina si fermò, fu seguita da quelle dietro. E così un infinito e stordente suono le riempì il cervello, sbattendo da una parte all'altra della sua testa al momento vuota di ogni cosa. Guardava ossessivamente l'asfalto ruvido, la bicicletta a terra e il sole che colpiva tutto, che le faceva aumentare il respiro ed il battito cardiaco. Arrivarono insulti e blasfemie prima che lei trovasse il coraggio di alzarsi. Riprese la bicicletta e ricominciò a pedalare, nonostante le gambe le facessero male, le mani fossero rosse e dolenti, la gola secca e gli occhi socchiusi e appannati per il pianto che non voleva smettere.
Pensò che l'unico modo di mettere fine alla sua tristezza, quel giorno come tanti, fosse uscire. Si preparò e prese dei soldi tra quelli che il padre le dava ogni volta che lei voleva parlargli.
"Tieni, và a comprarti un gelato." le diceva non appena la ragazza, dopo un litigio con la madre, voleva parlare. E lei con quei soldi ci faceva altro. Comunque nulla che a lui importasse.
Uscì di casa venendo improvvisamente scossa dal freddo pungente di Dicembre in Abruzzo. Che regione insignificante, che è. Che ragazze insignificanti, che ospita, si ritrovò a pensare mentre s'incamminava verso la discoteca più vicina. Gatti e cani randagi le facevano da compagnia durante la sua discesa all'estasi. Più si avvicinava e più si sentiva accettata, in un mondo fatto per lei, che si meritava.
Alice entrò, e subito i suoi occhi vennero accecati dal buio e dalle luci offuscanti. Voci e musica riempivano i buchi neri della sua testa. Non le permettevano di pensare, quasi la comprimevano in un misero spazio senza che potesse muoversi. Inspirò ed espirò più volte fino a che un ragazzo per l'euforia non la spintonò. Ballarono, parecchio e troppo. Fino a che i piedi non reggevano più, poi decisero che sarebbe stata ora di un pasticcino. Alice sapeva cosa intendeva. I pasticcini erano soliti contenere un ingrediente intenso quanto proibito. Ne mangiarono quattro, cinque. Poi si sentí grande. Non grande di età, di pensiero, di grandezza esteriore. Tutti sembravano essere minuscole formiche mentre lei, regina rossa dei loro incubi, decideva a chi tagliare la testa. Si sentì potente, feroce, in vita. Libera da ogni pensiero e leggera. Grondante di importanza. Ridere non era mai stato così semplice, così... Estenuante.
Dopo tempo che non si era permessa di calcolare finì tutto. Si afflosciò come un fiore calpestato. Privo di acqua e di sole, di ogni nutrimento. Quando tornò a casa sorrise, come sempre. Sembrava che quel sorriso fosse l'unica cosa che la madre vedesse. Come se il suo abbigliamento, il trucco sbavato e il corpo tremante, non fossero captati dai suoi occhi. Sapeva che fingeva solo di non vederlo, non poteva essere davvero così stupida. A volte Alice lo sperava. Sperava che la madre smettesse immediatamente di avere un cervello e fosse stupida, che si preoccupasse solo del cibo e del lavoro. Ma loro due non erano stupide, solo era meglio non vedere.
Alice si buttò sul letto, posando con poca delicatezza il proprio braccio sul viso, a coprirle gli occhi già chiusi. Come se fosse un'ulteriore protezione.
La porta d'entrata si aprì di scatto, e così si richiuse. Il padre era tornato, ovviamente. Non si alzò, non voleva essere nuovamente delusa. Non potè però evitare di sorridere. Anche la porta di camera sua si aprì e il padre vide il disordine che rispecchiava la mente della ragazza.
Cartacce a terra e vestiti sparsi perfino sugli scaffali con i libri posizionati in modo così impossibile, che pensò la fisica non esistesse. Quando notò la figlia ridere distesa sul letto, vestita come una dai facili costumi, semplicemente fece una faccia schifata. Non si preoccupò del fatto che fosse lui la causa dei suoi problemi, che non avesse mai fatto nulla per aiutarla, che semplicemente sarebbe bastato un abraccio per risollevarla da un mondo parallelo, dove tutto era triste e sottosopra. Ma non era un uomo, suo padre. Era un guscio d'uovo che all'interno conteneva solo del marcio. E presto o tardi sarebbe caduto, e si sarebbe rotto, e a quel punto nulla avrebbe potuto aggiustarlo. E dato che quel marcio non si sarebbe addolcito, le uniche parole che riuscì a dire furono come una pugnalata per Alice, che comunque confidava in quello che era il padre, che sarebbe sempre stato suo padre.
-Sei pazza, Alice. Siete entrambe pazze. Io me ne vado!- e sbattè la porta, e Alice sentì una certa donna piangere, sentì anche una certa ragazza piangere, ma lei non voleva vederle. Vederle avrebbe reso tutto più reale. Troppo reale. Voleva solo qualcuno che la prendesse e la salvasse. Ma magari avrebbe dovuto farlo da sola.
Si chiese perché fosse pazza, perché lo fosse il padre, perché la madre. Ma si rispose da sola.
Tutti i migliori sono pazzi.
AIHE BABE
È il primo note d'autore che faccio. E sono le due e mezza del mattino.
Mi dispiace, per le poche persone che leggono questa... Cosa, che io non aggiorni spesso. Sono davvero, davvero, davvero molto dispiaciuta.
Tantissimi grazie di leggere quello che scrivo, e vi prego di commentare e farmi sapere cosa ne pensate. Di solito non lo chiedo, perché non mi piace farlo. Ma ve ne sarei molto grata, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Baci, Bebs.🐧
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