Servire la luce
Agiamo nell'ombra per servire la luce.
[Dal serial Assassin's Creed]
La maturità tenne impegnato Mattia per due settimane. Gli Esami di Stato, in tutta la loro storia, non erano mai cambiati molto: come di regola la prima e la seconda prova si svolsero in due giorni consecutivi, per la terza si aspettò il lunedì successivo e si fece in modo di riuscire a finire gli orali entro giugno.
Mattia, che già non capiva più niente tra branco, crediti, tesina, formulari e vocabolari vari, dovette fare i conti anche con il plenilunio, che capitò a sproposito mercoledì 23, proprio nel mezzo di quel periodo caldo. Stando alle carte lunari in possesso dei mannari, inoltre, quel mese la luna sarebbe stata piuttosto forte; ergo, era possibilissimo che il Cambiamento avvenisse pure il 22 e il 24.
Di nascosto da Mattia, andai preventivamente a parlare con Sabrina per capire come era d'uso coordinare la situazione da quelle parti. — Molti sono licantropi da parecchio — mi disse lei, — e non è raro che non si trasformino. I più anziani si occupano dei novellini, che di solito vengono tenuti nella cella nel seminterrato o raccolti al piano terra dentro la piscina svuotata. Il resto di noi si gestisce da solo; ci sono zone di Gaeta in cui è possibile errare indisturbati, e facciamo in modo di uscire sempre a gruppetti di tre o quattro così da poter scongiurare qualsiasi scenario tragico. — Sospirò. — Almeno su questo, Carmine è stato un buon Alpha.
— Concordo — commentai. — Perciò, quali sarebbero queste zone sicure?
Prima di rispondere, Sabrina mi portò davanti a una parete nascosta da un tendaggio scuro e pesante. Aprì la tenda nel mezzo con uno scatto delle braccia, rivelando una composizione in maiolica decorata a mano rappresentante un paesaggio che avevo ben scolpito nella mente: Gaeta vista da Formia. Un'anfora spaccata in verticale immersa nel mare, il campanile come una grossa matita quasi all'estrema sinistra, la gobba verde del promontorio sulla destra, la sagoma rettangolare del Castello in alto. La firma dell'artista era sapientemente contenuta nella forma della cresta di un'onda.
— Se ti stai chiedendo il motivo per cui teniamo questa meraviglia celata agli occhi di tutti — mi anticipò Sabrina, — innanzitutto è perché alcuni dei dettagli sono in foglia d'argento.
Mi indicò le luci del Castello e il riverbero della luna sul mare, stando attenta a non toccare le piastrelle. — Inoltre, questo è stato il regalo di uno dei clan nostri affiliati, i Di Lella, che controllano buona parte della Campania. Abbiamo avuto... delle dispute con loro, e per sfregio Carmine ha voluto coprire quello che vedeva come il segno di un'amicizia incrinata. Aveva deciso di distruggerlo, ma l'ho convinto a non farlo.
— Sarebbe stato un peccato distruggerlo — sussurrai, ammaliata dalla perfezione delle pennellate sulla ceramica sottile ma resistente, lucida e uniforme. Mi voltai verso di lei. — Mattia sa di queste dispute?
Sabrina annuì. — Gliel'ho accennato io, poi suppongo abbia approfondito il discorso con Adriano. Lui conosce i Di Lella meglio di tutti noi. — Inarcò le sopracciglia, come se tra Adriano e i Di Lella ci fosse stato qualcosa che lei non approvava. — Comunque, indubbiamente i luoghi più adatti per vagare senza meta durante il plenilunio sono Monte Orlando e Calegna.
Seguii il suo sguardo sul dipinto per poter comprendere dove fosse questa Calegna. Stava fissando un punto vuoto, quindi intuii che dovesse essere dall'altro lato della città, all'interno. — È necessario rimanere entro i confini?
Sabrina fece spallucce. — Non abbiamo una legge scritta né ci siamo mai dati delle regole in questo senso, ma in pochi si avventurano verso Formia, sebbene anche lì ci siano lande sperdute in cui potersi rilassare – tra le tante, i Venticinque Ponti o la Tomba di Cicerone. In realtà si potrebbe salire su una montagna qualunque e stare in pace, e per noi Itri e Fondi sarebbero l'ideale; in ogni caso però conviene non allontanarsi troppo dal quartier generale, per questioni di sicurezza.
— Capisco — asserii. — Dunque Mattia...
— Sostanzialmente può fare quel che gli pare — chiarì Sabrina. — Il mio consiglio sarebbe quello di farsi un giro per Via Indipendenza, così ne approfitta per controllare il Mercato delle Ombre.
D'istinto sollevai una mano per fermarla, incredula. — Gaeta ha un Mercato delle Ombre?
Lei mi riservò un'occhiata di scherzoso rimprovero. — Continui a sottovalutarla, Lorianne.
— Non è questo, è che... — Mi morsi la lingua. — Non ci sono più Mercati delle Ombre da quando è stata abolita la Pace Fredda. Dopotutto, erano nati per contrastarla e sono morti nel momento esatto in cui non aveva più senso protestare.
Sabrina mi rivolse un sorriso enigmatico. — Ti sbagli.
Mi diede le spalle, cominciando a camminare nella direzione opposta rispetto a quella da cui eravamo arrivate. — Vieni, ti mostro una cosa.
Curiosa, la seguii fino allo studio nascosto nel muro. Ormai avevo imparato come sbloccare l'entrata: bastava premere sul tramezzo sia col ginocchio che con la spalla in due punti particolari, e i cardini automatici avrebbero ruotato di conseguenza. Stavolta, però, Sabrina non aspettò che l'ingresso fosse completamente libero e sbatté la porta con una violenza tale che i quadri alle pareti tremarono.
Si udì un clic e l'enorme libreria sulla sinistra, con molto meno rumore di quanto mi sarei aspettata, si spostò di mezzo metro più avanti. Sabrina sgusciò nell'intercapedine che si era creata e mi fece cenno di raggiungerla.
Dietro quell'imponente scaffale si celava un secondo stanzino segreto illuminato da una fredda luce a led, in totale contrasto con gli sfarzosi lampadari in cristallo degli ambienti esterni. Anche la mobilia era diversa: non più costoso legno di manifattura ma leggero, gelido metallo, modellato in mensole, sostegni, tavoli e ripiani. Era chiaramente un magazzino, non tanto grande ma comunque ben fornito. Mi sembrò ancora più piccolo quando la libreria tornò al suo posto, scivolando su una serie di guide incassate nel pavimento.
Mi accorsi di un minuscolo foro scavato nel legno: avvicinandomi, scoprii che da lì era possibile avere una visuale dello studio piuttosto chiara. Dal davanti quel subdolo spioncino non era visibile; pensai che dovesse essere occultato da un qualche libro messo in diagonale, per non oscurare la vista ma allo stesso tempo permettere di sbirciare.
Sentivo che Sabrina stava sorridendo. — Ero qui, quella sera. Come vi ho già detto, potevo solo guardare. Sono stata in grado di uscire soltanto dopo che Carmine e gli altri due lupi erano morti.
— E hai lottato contro mia cugina — mormorai, girando sui tacchi per avanzare verso il centro.
— Dovevo salvare le apparenze — ribatté lei senza espressione. — Fosse stato per me, vi avrei portato torta e caffè. E se Patricia me ne avesse dato l'occasione avrei dovuto ucciderla. — Deglutì. — Ho ordinato la ritirata per il vostro bene.
Mi appollaiai sull'unico tavolo che aveva un angolino libero. Non riuscivo a capire cosa diavolo contenessero tutti quei pacchi, pacchetti e pacchettini di cui la stanza era piena. — I lupi avrebbero davvero combattuto fino in fondo per vendicare Carmine?
Sabrina sospirò. — Se c'è una cosa che apprezzo in un lupo, quella è l'imprevedibilità. E i lupi che ci sono qui sono tra i più imprevedibili al mondo, per una lunga lista di ragioni che ritengo inutile elencare. — Tirò di nuovo un respiro profondo. — Eppure il più imprevedibile di tutti resta sempre mio figlio.
La guardai di sbieco. — Sotto quali aspetti?
— Sotto la maggioranza di essi — replicò, e non aggiunse altro su quella linea; preferì spostare la conversazione sul motivo per il quale eravamo lì. — Prendi una di quelle scatole, su.
Afferrai alla cieca il parallelepipedo di cartone più vicino a me. Percepivo i puntini in rilievo dell'alfabeto Braille su una delle facce. Qualcosa in quell'involucro – il peso, forse, o i colori della scritta, lievemente sbiadita – mi era familiare. Vi infilai le dita e ne trassi fuori due blister di ben note compresse per metà bianche e per metà rosa.
Alzai la testa di scatto. — Questi sono...
— Analgesici specifici per i dolori mestruali. Lo so, li uso anch'io. — Sabrina ostentò ancora quel sorriso ambiguo. — Chi pensi rifornisca il Ministero della Sanità?
Mi rigirai le pillole in mano. Non potevo credere ai miei occhi. — Non è possibile — sibilai tra i denti. — Non è possibile che il Ministero si regga sul contrabbando.
Sabrina agganciò i pollici ai passanti della cintura. Non l'avevo mai vista con vestiti diversi da camicia e pantaloni stretti, tacchi alti ai piedi, rigorosamente di colori scuri nonostante fosse estate. — Non mi sembra di aver menzionato il contrabbando — precisò, — ma in un certo senso hai ragione: noi acquistiamo di contrabbando e contrabbandiamo a chi poi vende legalmente i farmaci al Ministero. Semplice ed efficace. Questo sistema non ha mai dato problemi.
— È una delle poche cose che funzionano bene, già — bisbigliai mentre scendevo dal tavolo con un salto.
Mi guardai intorno, facendo una stima mentale di quanta merce dovesse esserci lì dentro. Anche un calcolo approssimato era impossibile. — Caricate di molto il prezzo iniziale?
Sabrina mi porse un fascicolo dalla copertina verde. — Ci guadagniamo il minimo indispensabile, soltanto le spese di spedizione e una scarsa sovrattassa; non è da lì che proviene il grosso dei nostri soldi. Dà questo registro a Mattia — aggiunse. — Questo non è un traffico che può finire, ne andrebbe della stabilità del Ministero. Anzi, della sua stessa esistenza, considerato che già ora sta crollando sulle sue precarie fondamenta. Con tali circostanze, spero che Mattia non protesterà.
Sfogliai brevemente il registro: erano annotate le date di partenza e arrivo dei prodotti, i costi, le informazioni sui vari farmaci. — Mattia non protesterà mai più — le annunciai. — Ha accettato tutte le implicazioni del suo ruolo, anche se a fatica. Sarà un buon Alpha.
Le iridi gialle di Sabrina brillarono sotto i led. — La domanda non è se sarà un buon Alpha, Lorianne. La domanda è se diventerà come Carmine.
~ • ~
Il Mercato delle Ombre era stato la destinazione notturna di Chrysta fin dal giorno in cui avevamo portato un Mattia quasi morto a Villa Orlando dopo i funesti avvenimenti al Palazzo. Camminando tra gli stand e le bancarelle, con Mattia al mio fianco, mi chiedevo come non fossi riuscita a capire che Chris si stava dirigendo proprio lì, nel miglior posto dove poter trovare in terra straniera tutto ciò di cui uno Stregone ha bisogno.
Sapevo che in valigia aveva messo l'essenziale per casi di emergenza, ma pensavo che tra quelle scorte rientrassero anche gli ingredienti – piuttosto comuni – per una pozione contro i peggiori effetti della luna piena; non avevo certo idea che se li fosse procurati all'occorrenza sul momento.
Comunque, in qualsiasi modo li avesse ottenuti, la pozione era stata la mano di Dio per Mattia: non solo non aveva affatto sofferto la trasformazione, ma aveva persino mantenuto la lucidità, tanto da poter passeggiare tranquillamente in Via Indipendenza e rimanere indifferente agli sguardi dei Nascosti che lo avvertivano come una presenza oscura e ignota. Se percepivo che si stava scaldando, lo accarezzavo dietro le orecchie per calmarlo.
La pelliccia del lupo conservava i colori caldi della sua forma umana, da un profondo nocciola a un marrone più chiaro; gli occhi splendevano come fuochi fatui nel buio. Il suo passo era silenzioso, misurato, l'andatura involontariamente fiera e maestosa. Incuteva timore reverenziale e rispetto nei licantropi che ci guidavano tra i vicoli di Via Indipendenza, gli stessi mannari – pezzi grossi del branco – ai quali era affidato il controllo del Mercato.
Dal più loquace di questi, tale Pietro, avevo appreso nel pomeriggio che la funzione dei Mercati delle Ombre non era poi molto cambiata dai tempi in cui questi rappresentavano un modesto fronte di ribellione alla Pace Fredda: esisteva da sempre un mercato nero del Sottomondo, solo che prima della Guerra Oscura il contrabbando avveniva in zone sperdute e separate le une dalle altre; dopo, invece, si era formata una piazza comune dove quei brutti poliziotti Shadowhunters non avevano giurisdizione. Non aveva senso smantellare un'organizzazione del genere una volta destituita la Pace Fredda, soprattutto dal momento che con la nascita del Ministero della Sanità c'era stata una crescente necessità di pozioni e altre sostanze curative. Inoltre, giacché l'Influenza B e la conseguente creazione del Ministero avevano messo in discussione la legge che proibiva ai Nephilim di usare medicinali e metodi di cura mondani, il Mercato poteva offrire una degna soluzione al dilemma: farmaci, anche ancora in via di sperimentazione, opportunamente modificati da fate e Stregoni.
Dopotutto, la storia che ci raccontavamo noi Shadowhunters non era molto differente, salvo il fatto che in quella versione non si faceva mai direttamente riferimento ai Mercati delle Ombre, preferendo indicare i luoghi di compravendita delle forniture per il Ministero come semplici industrie mondane con qualche eventuale infiltrato all'interno.
Mi domandai quanti e quali dipendenti del Ministero sapessero come stavano realmente le cose; se queste fossero informazioni riservate al Ministro e ai suoi più stretti collaboratori, oppure se ne fossero a conoscenza anche i tizi che facevano le pulizie. Chiunque fosse custode di quel segreto, comunque, doveva essere assai bravo a nasconderlo.
Il Mercato delle Ombre di Gaeta si sviluppava dove durante il giorno aveva luogo la sua controparte mondana, sostituendo banchi di frutta e verdura a chilometro zero con rivenditori di polveri e misture fluorescenti, tappezzando le innumerevoli piazzette di Via Indipendenza di coperte variopinte sulle quali sedevano rigattieri di ogni forma e specie, stendendo sottili teli di cotone su leggere impalcature in metallo per improvvisare un tendone. Sotto la lieve luce della luna che filtrava tra gli stretti palazzi, anche in un buio perlopiù completo, tutto il Mercato esplodeva in un caleidoscopio di tinte sgargianti e chiassose, che quasi ferivano gli occhi quando lo sguardo vi si posava troppo a lungo.
Mi accorsi che c'era uno schema preciso nella disposizione dei colori, una perfetta tecnica di merchandising studiata per attirare e mantenere l'attenzione. Al suono di una melodia inumana che sembrava provenire dal nulla, passammo dal rosa gentile dei filtri d'amore al caldo rosso degli incantesimi erotici, dall'energetico arancio al giallo pulito, poi al clinico bianco – i farmaci erano quasi tutti smerciati in quell'area – per arrivare al nero, che portava con sé il sentore della magia proibita. Il nero si schiarì nel blu dei sortilegi meno pericolosi, nel marrone-viola del malocchio, nel profondo smeraldo della natura e nel verde chiaro della speranza, fino a tornare di nuovo al bianco dei medicinali.
Tra questi ultimi, quando cominciai a interessarmi maggiormente alla merce in bella mostra tutto intorno a me, notai una confezione che pareva avere la mia età. In effetti, come mi assicurò il pixie proprietario del bancone, la mia età ce l'aveva davvero: in essa era contenuta una goccia del mio sangue. Anch'io, inconsapevolmente, avevo dato il mio contributo per debellare l'Influenza B.
Mattia mi diede un colpetto col muso per comunicarmi che si sarebbe avviato verso la parte più remota del mercato, che terminava in Villa delle Sirene. Decisi di lasciarlo andare con la sola compagnia degli altri lupi; non volevo impicciarmi più di tanto negli affari del branco, e in fondo anche lui riconosceva che avrebbe fatto meglio a imparare a cavarsela senza il mio costante aiuto.
Rimasi a guardare la mercanzia del pixie per un po'. Aveva aggiustato tutti gli oggetti sull'espositore con una precisione millimetrica e li aveva sistemati, da sinistra a destra, in una scala di gradazione crescente, dal bianco sporco delle ossa e degli artigli al riverbero lattiginoso di quello che avrei detto essere l'estratto di un qualche fiore fatato. L'unica nota stonata su quella superficie altrimenti asettica era un vecchio mazzo di tarocchi impolverati, girati a faccia in su a mostrare le figure policrome disegnate su di essi e tenuti insieme da un nastrino di raso rosso.
I tarocchi mi avevano da sempre appassionata. Non che mi servisse un altro modo per predire il futuro, ma c'era un qualcosa di misterioso in quelle carte che mi attirava come una falena è attratta dalla luce. L'impossibilità di avere una risposta esatta, forse, o magari i diversi metodi di lettura che variavano da secolo a secolo, da paese a paese, da cartomante a cartomante.
Non ebbi bisogno di chiamare il pixie: era già direttamente di fronte a me, e mi stava scrutando con morbosa curiosità fin dal primo passo che avevo mosso in sua direzione. — Quanto, per questi?
La piccola fata mi mostrò i denti appuntiti. — Se mi provi che quel licantropo è Mattia Nardone, gratis.
— Cosa ci guadagneresti sapendo la sua identità? — domandai, sospettosa, mentre esaminavo la carta del Matto. — Oltretutto, come dovrei provartela?
Il pixie si strinse nelle esili spalle blu. — Mi basta la tua parola. È Mattia Nardone?
— Io posso mentire — obiettai. — Perché vuoi che te lo dica?
— Affari — mi rispose, vago. — Ora che è lui il nuovo Alpha, il clima all'interno del Mercato è notevolmente cambiato.
— E potrete imboscarvi in faccende ancora più losche, non è vero?
— È una parte della verità. — Gli occhi ferini del venditore brillarono nella semioscurità. — È Mattia Nardone?
— Sì — capitolai. -— È lui.
La fata sorrise di nuovo. — Coraggioso, a presentarsi così al Mercato. In molti qui amavano Carmine.
Lentamente, realizzai qual era il quadro della situazione.
I lupi avevano allontanato Mattia di proposito. La musica ammaliante che ci aveva accompagnati per tutto il tempo suonava anche a frequenze più basse, udibili a fatica, fastidiose e quasi ipnotiche per chi non vi era abituato. Il pixie, approfittando del fatto che non avevo seguito i mannari, mi aveva trattenuta volutamente in chiacchiere inutili.
Mi ritrovai uno spadino puntato al collo. — En garde, Lorianne Herondale.
~ • ~
A posteriori, mi resi conto che il mio metodo di fuga non era stato dei migliori.
Papà mi aveva insegnato l'arte della ritirata, ripetendomi fino allo sfinimento di prestare attenzione all'ambiente circostante, di guardarmi dietro le spalle, di mantenere una stretta né troppo forte né troppo lenta sulla spada, di respirare con regolarità per evitare i crampi, ma non avevo la lucidità necessaria per ricordarmi tutte queste direttive, al momento.
Mattia era in trappola e io avevo l'obbligo morale di strapparlo al pericolo, e in fretta.
Disarmai il pixie ribelle con una facilità impressionante, tenendomi il fioretto – non avevo nulla a parte il pugnale di nonno Luke e una lama angelica, e una spada un po' più lunga non avrebbe fatto male – per poi scattare verso il cuore del Mercato alla velocità massima che potevo raggiungere a freddo, saltando su tombini aperti, rovesciando bancarelle e tendoni, facendomi largo a spallate tra la gente e menando un pugno qui e una gomitata lì quando uno dei molti fedeli di Mallardo si azzardava a tentare di fermarmi.
Mi ero marchiata con una runa di resistenza allo spuntare delle prime stelle, e la sentivo bruciare sull'avambraccio accanto all'Enkeli. L'effetto delle rune su di me non era mai prevedibile: o duravano per ore o svanivano dopo mezzo minuto, e in entrambi i casi sembravano comportarsi come se avessero un intelletto e decidessero se urgeva il loro ausilio o no. Altro discorso con le rune di mia madre, che invece, forse proprio per la loro provenienza terrena, funzionavano sempre e comunque.
Colta da un'intuizione improvvisa, mi sfilai lo stilo dalla tasca con la mano libera e tracciai una runa nell'aria davanti a me. Trattenni il fiato per un attimo e lo liberai soltanto dopo uno slancio grazie al quale macinai venti metri in pochi istanti, mentre la folla con torce e forconi che mi stava inseguendo veniva bloccata da un muro invisibile. Ovvio che i nemici fossero anche dall'altro lato della barriera, ma almeno erano in numero minore.
Ingaggiai brevi combattimenti con chi tra loro mi preoccupava di più – due ifrit provvisti di grosse scorte di acidi demoniaci e una banshee che cercò di rompermi i timpani con il suo urlo assordante – e corsi ancora, ansimando, un dolore pungente al fianco sinistro e il sangue che mi colava giù da una ferita sulla gamba dove il colpo di una daga era andato a segno.
Raggiunsi uno spiazzo aperto e girai sui tacchi per disegnare un'altra runa Erkos, poi a distanza di dieci passi ne disegnai un'altra, e dieci passi dietro un'altra ancora, per precauzione. Avevo già notato prima che il territorio del Mercato era limitato a Via Indipendenza e a Villa delle Sirene, per cui nessuno sarebbe potuto uscire dai vicoli sulla strada principale.
Mi voltai di nuovo e mi fiondai nel centro di un parcheggio quasi del tutto vuoto, dove i tre lupi nostri accompagnatori avevano circondato Mattia e stavano lentamente compiendo cerchi dal diametro sempre più ristretto per avvicinarsi a lui.
Mattia ringhiava, ma non era un ringhio aggressivo: lo capivo dalla posizione del corpo inarcato all'indietro, dalle orecchie basse, dalle labbra che scoprivano tutti i denti fino ai molari, dagli occhi che non fissavano i suoi Beta. Era terrorizzato, impietrito, confuso. Per un secondo restai immobile anch'io, percependo la sua paura.
Mi chiesi perché i mannari non attaccassero, ma un'occhiata più attenta ai loro movimenti mi diede la risposta: ognuno di loro voleva diventare l'Alpha, e ciò avrebbe significato assicurarsi che Mattia morisse soltanto per mano sua. Avrebbero lottato l'uno contro l'altro, intuii, per poter avere quell'onore.
— Ehi! — urlai, per farli distrarre dalla loro preda. Il pugnale d'argento si conficcò nel collo del licantropo più a destra con un piacevole gorgoglio, mentre i due rimasti volgevano la testa verso di me. — Vigliacchi!
Anche Mattia mi stava guardando, scioccato, ma un lampo passò nelle sue pupille e in un attimo comprese il motivo del mio grido. In un balzo atterrò sulla schiena del lupo più vicino e gli inflisse un grosso graffio sulla guancia, ricevendo in cambio un morso che per poco non gli staccò un orecchio.
Il terzo mannaro mi caricò abbaiando, e io riuscii a lacerargli il fianco con lo spadino prima di deviare di lato per recuperare il pugnale d'argento dal corpo del brutto ceffo numero uno. Scorsi Mattia spalancare gli occhi alla vista del cadavere umano, una debolezza che gli risultò quasi fatale: dovette sacrificare la zampa sinistra al fine di scampare a un attacco frontale.
Il pugnale non incontrò resistenza nel trapassare l'addome del penultimo licantropo, che rovinò sul cemento abbandonando le spoglie animali. — Uccidilo, Mattia! — strillai, senza sapere se dovevo interferire nel duello o lasciare che regolassero i conti da soli. — Mattia, è l'unico modo! Uccidilo!
Era impossibile ormai capire chi fosse chi: le due bestie si rotolavano sull'asfalto assestando zampate alla cieca e scrutandosi in cagnesco, incapaci di vibrare il colpo di grazia. Con un'imprecazione sibilata mi portai in mezzo a loro per separarli e dare a Mattia il tempo di respirare, mentre l'altro lupo latrava furioso. Lo tenni lontano per un po', sfruttando il suo tallone d'Achille per l'argento, ma ora che Mattia non rischiava più la pelle l'adrenalina stava scemando, e cominciavo a sentire la stanchezza dovuta alla mancanza di rune e alla perdita di sangue. Non ero al massimo delle forze, non più.
Un'ombra mi passò sopra e nel momento in cui posai lo sguardo su di essa Mattia aveva già toccato terra. Spinse il suo avversario verso un SUV nero lì parcheggiato, lo incastrò contro la portiera e gli squarciò la gola con gli artigli, uggiolando quando il sangue gli zampillò in faccia, finendogli in bocca e negli occhi. Tremava, e tremò ancora di più nel vedere il mannaro che aveva appena ammazzato trasformarsi in Pietro, il volto rotondo pietrificato nell'espressione vacua del suo ultimo istante di vita.
Gettai le armi e mi scagliai su Mattia, afferrandolo per il busto e tirandolo via da quel massacro. Sotto le mani percepivo i peli ritirarsi e le ossa fondersi in un nuovo scheletro, e un Mattia nudo e sporco si aggrappò alle mie spalle per tenersi in piedi. Non ce la fece, e cademmo entrambi in ginocchio, abbracciati, io che quasi piangevo per il sollievo e lui che fremeva come una foglia, ricacciando indietro le lacrime.
Si udì uno schiocco e Mattia urlò, afferrandosi la gamba ferita: Pietro gli aveva fratturato il femore, e ora l'osso si stava riparando con una lentezza esasperante. Lo strinsi forte a me, ricordando di aver letto da qualche parte che gli abbracci rilasciano ormoni inibitori del dolore, ripulendogli nel frattempo il viso dal sangue, scarlatto e ancora caldo.
E mentre una nuvola oscurava la luce limpida della luna, mentre le barriere che avevo creato con le rune si infrangevano e i Nascosti del Mercato si riversavano nella piazza per assistere a quell'orrendo spettacolo, mentre accarezzavo Mattia e fissavo le chiazze vermiglie sull'asfalto, mentre tutto sembrava zittirsi e arrestarsi in contemplazione della morte, mi chiesi se quella battaglia, la battaglia contro Mattia Nardone e l'innocenza di Mattia Nardone, la determinazione e la fermezza di Mattia Nardone, la battaglia contro il coraggio di Mattia Nardone, sarebbe mai finita.
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Per la vostra gioia, finalmente un capitolo con un po' d'azione. Ringraziate Lord of Shadows per questo.
Ci avviciniamo sempre di più alle Houses, alleluia alleluia, e per farvi venire un po' di curiosità – se non ce l'avevate già – vi lascio un'anticipazione dal primissimo capitolo di HoC:
•
Mattia ritirò la mano. Era calato il silenzio. — Nonna — fece, crollando sulla sedia. — Nonna.
Anna combatté per non distogliere lo sguardo. In quello di Mattia leggeva tristezza e tradimento.
Non tu. Non tu, nonna. Non tu.
•
A parte questo, niente da dire, oltre a rinnovare l'invito a votare e commentare.
Bye bye,
Federica
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