Piacevolmente Sordo
La serata è finita. Abbiamo rimesso tutto a posto, caricato le nostre auto e ci stiamo salutando. Si torna a casa.
Carol è già seduta nella mia macchina, mentre io fumo una sigaretta prima di riportarla al suo appartamento.
Mi ha detto che vive sola, che sente la mancanza della sua famiglia ogni tanto, ma che in fondo la tranquillità non le dispiace.
La capisco bene.
Quando sono partito per il mio viaggio sentivo anche io la mancanza di Daniel e Aurora.
Ripensandoci, il rapporto tra me e lei era sbagliato.
Eravamo fratelli, anche se non di sangue, ma ci siamo spinti oltre.
"Gabriel, che farai adesso? I tuoi amici volevano andare a bere qualcosa in un pub, e mi hanno chiesto se volevamo unirci"
"Avrebbero dovuto chiederlo a me. Non penso che mi unirò a loro. Voglio riportarti a casa"
"Posso tornare da sola, se vuoi andare con loro. È vicino"
"Non se ne parla"
Metto in moto e guido, assorto nei miei pensieri.
Era l'unica a sapere che me ne sarei andato. Poco prima che quel giorno arrivasse, mi confessò qualcosa che già sapevo, nel profondo. L'avevo anche "sognato" in una delle mie notti tormentate.
Parcheggio poco lontano da casa sua. "Da qua si prosegue a piedi, a quest'ora dubito di trovare anche solo un centimetro libero di marciapiede dove lasciare l'auto"
Scendiamo, e lei cammina al mio fianco. Non ha fretta, e riempie il tempo con i suoi commenti sulla serata. Mi fa piacere ascoltarla, parla davvero per tutti e due, ma per non farla sentire ignorata ogni tanto rispondo e dico la mia su questo e quello. Il discorso scivola placido dalla serata ai progetti per il futuro. Le mie risposte si fanno vaghe, non ho progetti per il futuro. Non penso di volermi fermare da qualche parte. Fermarsi significa mettere radici, ed è una cosa che mi spaventa.
Per mesi si era tenuta dentro ciò che io avevo finto di ignorare. Fin da quando ero entrato nella sua vita, Aurora mi aveva visto come più che un fratello. Aveva fatto di tutto per rendermi qualcosa che poteva amare. E ci era riuscita.
Ho voglia di un gelato, e perciò propongo una breve deviazione, che Carol accetta di buon grado. Non ho vizi alimentari particolari, ma un gelato chi lo rifiuterebbe?
Ci era riuscita. Malgrado tutto, si era innamorata di me. Ed io, forse, lo ero di lei. Non ho mai saputo cosa fosse l'amore. Non è una cosa a cui si può dare una definizione, ma era certo che sentissi il desiderio di non lasciarla, e forse questo lo scambiai per amore. Dovevo tuttavia andarmene. Dovevo scappare. Lei questo lo sapeva (era stata lei a far nascere l'idea in me) ma non lo voleva più.
Ci sediamo su una panchina. Questa zona della città è più antica, l'ambiente è gradevole, le strade ben illuminate.
Carol mi parla dei suoi amici, dell'ex fidanzato con cui ha ancora un bel rapporto, dei suoi traguardi... Mi trattengo dal dirle che, secondo me, non si può avere un bel rapporto con i propri ex. O in generale con le persone che abbiamo amato...
Ci amammo di nascosto. All'inizio erano solo parole, poi vennero i baci. Sapevo che era sbagliato, ma per me era un'ancora di salvezza. Sapere che in fondo c'era qualcosa per cui volevo restare. Venne qualche notte a trovarmi, per parlarmi o per addormentarsi abbracciata alla mia schiena. Mi sentiva lamentarmi nel sonno per i miei incubi, perché anche se non ero io a dare inizio al contatto con il mio demone, la sua presenza influenzava il mio sognare.
"Ti va un thé insieme a me? Giuro che so farlo meglio del bar"
"Non sei stanca Carol? È quasi mezzanotte"
"È anche sabato sera Gabriel. Il sabato sera non è fatto per dormire"
"Mh.. 10 minuti?"
"10 minuti mi bastano"
Le sue visite notturne si fecero sempre più frequenti e il mio desiderio di andare via sempre più debole. Fino a che, una notte, dopo essere venuta nel mio letto, mi chiese di non andare via.
Le dissi che, anche se non volevo, dovevo. Non riuscivo più a stare li, in un ambiente che mi soffocava, dove non riuscivo a trovare me stesso.
Si mise a piangere. La strinsi e la baciai.
Carol non sembra avere intenzione di lasciarmi andare via. Mi mostra tutta la sua casa, orgogliosa dell'ordine, della ricca biblioteca che contiene tomi di ogni genere, dalla medicina alla filosofia, dalle fiabe classiche ai gialli moderni.
"Carol, sono sempre più impressionato. Non ti facevo assolutamente tipa da Heidegger"
"Sono felice di avere ancora la capacità di stupire, Gabriel. E spero di stupirti ancora. Vieni a vedere in camera"
Non so dire bene come sia successo. Mi sentivo come se avessi la febbre, come se stessi sognando, come se fossi rinchiuso in una bolla.
Volevo fare tutto ciò che stavo facendo, ma al tempo stesso ne ero terrorizzato.
Aurora invece sembrava essere molto più a mio agio di me. Mi controllava come una marionetta nelle mani del suo creatore. In tutto e per tutto, avevo annullato la mia volontà ed ero suo.
Scoprire che Carol dipinge e disegna, e lo fa con un talento innegabile, è l'ennesima sorpresa. Ha una certa passione per i corpi unani.
Su una tela, posta in un angolo della sua stanza, un nudo a matita di una giovane donna. Mi è maledettamente familiare.
"Va tutto bene?"
"Mi ricorda una persona"
"Ah si? Beh, l'ho fatto pensando a me, ma non sono così bella"
"Non posso fare commenti a riguardo"
"Ti piacerebbe, eh?" e ride, con la sua voce cristallina.
"Ma... Non intendevo questo"
"Sto scherzando. Allora, chi ti ricorda? Scopriamo il torbido passato del Bassista"
"Solo... mia sorella"
Non so quanto sia andata avanti. Il tempo si era fermato, ero sordo a tutto se non al piacere e alla volontà di Aurora.
Fu la mia prima e unica volta.
Il mattino dopo fuggii. Avevo paura.
"Voglio disegnarti" mi sta guardando seria. Troppo.
"Oh, quale onore" rido "domani prometto di posare per te"
"No. Voglio farlo adesso."
"Ah..."
Sento la sua mano tiepida sulla guancia, e un tocco delicato sul petto...
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