Capitolo 7
Feliciano trattenne il respiro. Ludwig aveva smesso di parlare e sembrava improbabile che continuasse; fissava il pavimento con occhi vuoti, lo sguardo illeggibile. L'italiano era sempre stato un grande ascoltatore, gli era stato detto innumerevoli volte che il suo conforto e i suoi consigli avevano aiutato le persone a superare momenti difficili. Normalmente non si sarebbe mai trovato in una situazione in cui non sapeva cosa dire, ma non sapeva come rispondere a un'affermazione simile. L'uomo seduto accanto a lui gli aveva appena rivelato il motivo per cui era stato rinchiuso in quella prigione e successivamente la morte del fratello.
Il silenzio crescente stava diventando insopportabile; Feliciano doveva dire qualcosa, qualsiasi cosa che avrebbe fatto parlare Ludwig. Gli vennero in mente le parole che gli disse Arthur, "non ha una famiglia, aveva un fratello". Si schiarì la voce. «...ed era...la tua unica famiglia?»
Ludwig lasciò la presa sulla nuca e un lieve sospiro lasciò le sue labbra. «Era molto più di quello.» mormorò, lo sguardo fisso sul pavimento. «Era il mio migliore amico, la mia unica ragione di vita...l'unica persona che avevo in questo mondo.»
Il moro lo osservò attentamente. «...come mai non avevi nessun altro?» chiese piano.
Il tedesco rimase in silenzio; Feliciano credette di essersi spinto troppo in là, stava per scusarsi quando l'altro riprese a parlare. «Perché non avevo una famiglia.» disse brusco, sospirando per l'espressione confusa del minore. «Gilbert non era il mio vero fratello, okay? Non ho genitori e nemmeno lui, siamo cresciuti nello stesso orfanotrofio.»
«Ho passato tutta la mia vita lì.» mormorò passandosi una mano tra i capelli. «Sono stato abbandonato poco dopo la nascita, gli assistenti sociali hanno cercato di rintracciare i miei genitori, ma di loro non c'era traccia. Sono stato portato in ospedale ma non risultavo mai nato. Il nome mi fu dato da un'infermiera che lavorava lì.»
Feliciano ricordò quando Ludwig aveva firmato il modulo da Elizabeta con solo il nome. «Non ti hanno dato un cognome?»
Ludwig lo guardò inarcando un sopracciglio. «Cognome? Quale mi avrebbero dato? Non sapevano chi fossi...probabilmente non era importante per loro.» Feliciano non fiatò e il biondo proseguì, però distolse lo sguardo; si scoprì incapace di guardare il moro negli occhi. «Successivamente sono stato portato nell'orfanotrofio. Dopo cinque anni mi hanno spostato nell'edificio principale coi bambini più grandi...è lì che ho incontrato Gilbert per la prima volta.» un dolce sorriso gli colorò le labbra al ricordo.
«All'inizio non avevo fatto molto caso a lui, ero molto timido e impaurito perché ero il più piccolo. Gli altri bambini mi prendevano in giro e mi escludevano...anche gli assistenti sociali stavano alla larga da me.» sputò. «Il bullismo è continuato anche alle elementari e nessuno mi voleva con sé.»
Feliciano lo ascoltò attentamente, osservando il suo volto in quel momento molto espressivo. «Un giorno sono riuscito a partecipare a una partita di calcio con gli altri bambini, uno di loro mi spinse a terra ridendo. Mi sono messo seduto e tutto quello che volevo fare era andarmene piangendo, ma un ragazzino molto chiassoso venne da noi e spinse nel fango l'altro.» un ghigno si formò sulle sue labbra. «Lo mandò fuori dal campo piangendo, poi si mise a correre gridando quanto fosse magnifico.» Adesso Ludwig stava decisamente sorridendo, e Feliciano decretò che quello fosse il più bel sorriso che avesse mai visto. «Mio fratello.» chiarì guardando l'italiano.
«Ricordo che mentre ero a terra mi aveva guardato senza sorridere...anche se era più grande di me non avevo paura di lui.» mormorò. «Da quel giorno in poi Gilbert e io eravamo inseparabili. Trascorravamo tutto il tempo insieme; mi mostrò tutto quello che sapeva e...» scosse la testa sorridendo. «...la vigilia di Natale mi mise sotto al cuscino una cartolina scritta da lui da parte di Babbo Natale, così che credessi che fosse stato proprio quest'ultimo a mandarmela.»
Il moro sorrise intenerito e osò avvicinarsi maggiormente a lui, per la prima volta si sentiva incredibilmente a proprio agio col tedesco. Ludwig non ci aveva fatto caso e continuò a parlare. «Non abbiamo mai trascorso un istante l'uno lontano dall'altro, ha persino trasportato il proprio letto dall'altra parte del dormitorio per dormire insieme. Tutti ci odiavano, ci insultavano ma a noi non importava. Gilbert mi insegnò a non farmi sottomettere da nessuno e a non avere paura...» si interruppe.
Feliciano vide qualcosa attraversare lo sguardo di Ludwig. Tornò alla solita smorfia e la luce nei suoi occhi azzurri scomparve. «Ma poi tutto è finito.» borbottò cupamente. «Quando Gilbert aveva dodici anni una coppia di mezza età erano venuti a cercare un figlio grandicello...scelsero lui.» sospirò. «Se avesse saputo che essendo adottato non sarebbe potuto stare più accanto a me sono sicuro che avrebbe fatto il possibile per non andare. Ma non posso davvero biasimarlo, nonostante stessi bene con lui l'orfanotrofio rimaneva un luogo orribile.»
«Gilbert fu molto fortunato, solitamente le coppie vogliono solo bambini piccoli. Quando raggiunsi i cinque anni me ne resi conto, mi resi conto che ogni speranza di essere adottato era vana...dopotutto chi mai mi avrebbe preso?» borbottò. «Nein...da quando mi trasferirono capii che avrei dovuto aspettare di raggiungere la maggiore età per uscire da lì.»
Feliciano si sentì triste per Ludwig, per tutto quello che aveva passato. «Ma fino a quel giorno ho passato tutti quegli anni solo.» il biondo sospirò nuovamente. «La coppia che lo ha adottato erano la signora e il signor Beischmidt. Non lo hanno adottato subito, hanno preferito conoscerlo meglio organizzando delle piccole gite con lui. Un paio di volte mi hanno portato con loro perché Gilbert mi voleva con sé.» un breve sorriso tirò le labbra del biondo. «Ma dopo pochi mesi gli assistenti sociali gli chiesero se voleva essere adottato da quella famiglia e lui, Gott lo benedica, accettò perché era convinto che avrebbero adottato anche me.»
Ludwig scosse la testa. «Naturalmente no, e dovette lasciarmi...» scosse la testa e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra. «Però quasi tutti i giorni dopo scuola veniva a farmi visita. Stavamo nel giardino poche ore prima che lui dovesse tornare a casa...aveva mentito ai suoi genitori sul posto in cui andava dopo le lezioni.»
Feliciano lo guardò incuriosito. «Perché?»
Il biondo emise un grugnito seccato. «I Beischmidt mi odiavano.» sputò cupamente. «Cercavano di nasconderlo, ma quando siamo cresciuti diventò chiaro. Odiavano la nostra relazione, speravano che Gilbert si dimenticasse di me, ma così non fu.» si fermò momentaneamente per poi riprendere. «Ricordo la prima notte che passai senza di lui...avevo otto anni e il letto era così vuoto...per fortuna Gilbert mi insegnò a cavarmela da solo...ma senza di lui nulla era lo stesso.»
Il tedesco strinse i denti. «L'unica cosa bella della mia vita deprimente erano le sue visite...e poi, dopo dieci anni chiuso in quel buco infernale, ero libero. Gilbert aveva ventidue anni quando venne a prendermi, a quel punto avrebbe potuto avere una casa o un lavoro...ma lui preferì aspettarmi per iniziare insieme una nuova vita.»
«Inutile dire che i suoi genitori erano sconvolti dalla rabbia, in tutti quegli anni erano convinti che Gilbert mi avesse dimenticato. Si rifiutarono di lasciarmi con loro quando Gilbert mi portò nella loro casa...e sai cosa fece?» chiese sorridendo mentre guardava il volto confuso di Feliciano. «Fece le valigie, uscì dalla casa e partimmo.»
L'italiano sorrise ma il volto di Ludwig si deformò. «Mi sentivo così in colpa.» mormorò. «Mi sentivo il motivo per cui Gilbert non avrebbe mai avuto una vera famiglia, aveva dei genitori che lo amavano ma preferì me.» Feliciano fece per ribattere ma il biondo continuò. «Ma Gil mi disse che gli importava solo di me, di suo fratello, che tutto quello che tutto quello di cui avevamo bisogno era l'un l'altro.» la luce era tornata nei suoi occhi. «Sarebbe andato tutto secondo i piani che avevamo organizzato nell'orfanotrofio da piccoli.»
Ludwig sorrise. «Tutto ciò che avevamo era un piccolo appartamento e ciò che potevamo portare sulle spalle. Abbiamo viaggiato per il mondo, facendo ogni tipo di lavoro. Non era una vita facile, ma non ci importava.»
Feliciano ricambiò quel sorriso anche se il biondo non lo stava guardando. Era raro vederlo sorridere, sembrava più giovane, il viso luminoso e gli occhi brillanti; il moro pensò che fosse piuttosto attraente mentre lo faceva. Non voleva che la conversione finisse, perciò disse la prima cosa che gli venne in mente. «Cosa gli è successo?» se ne pentì immediatamente. Era come se la corda di un'arpa si fosse spezzata interrompendo una dolce melodia. Ludwig si fece serio. Feliciano deglutì ansioso. «...Ludwig?» sussurrò, mordendosi il labbro.
«È stata colpa mia.» disse il biondo rompendo il silenzio. «Avrei dovuto combattere le mie battaglie.»
Feliciano iniziò a sentirsi male per il senso di colpa. «...non devi dirmi nient'altro se non vuoi.» disse piano, stringendosi le mani per frenare l'impulso di accarezzare il tedesco.
Ludwig sospirò. «Beh, ormai ti ho detto tanto...potrei anche continuare.» mormorò. «...è stato ucciso in un bar...un uomo ha minacciato di uccidermi e Gilbert mi ha difeso morendo al mio posto.»
Feliciano lo guardò tristemente. «Perché quell'uomo voleva ucciderti?»
«Perché nel paesino in cui eravamo essere gay era sbagliato...e quell'uomo aveva scoperto che suo figlio era andato a letto con me...» borbottò freddamente. «Così, ovviamente, piuttosto che accettare la sessualità del figlio mi ha incolpato. Si è presentato al bar in cui eravamo io e Gilbert e, ubriaco fradicio, ha iniziato a minacciarmi.» il volto di Ludwig si contrasse leggermente. «Cercai di ignorarlo...ma Gilbert...» rise duramente. «Non sopportò vedermi maltrattato da quel tale e si oppose. Pugnalato a morte con una bottiglia di vetro rotta.
Feliciano lo osservò attentamente. «...allora cosa hai fatto?» Ludwig lo guardò dritto negli occhi.
«Sono impazzito.»
~O~
Ludwig poggiò il gomito al bancone del bar mentre finiva di bere la sua sesta o settima birra. Sullo sgabello accanto a lui, gli occhi rossi coperti da alcune ciocche argentate, sedeva suo fratello sorridente. «Un'altra birra?»
Il tedesco scosse la testa. «Penso di averne bevute abbastanza.»
«Bugie!» ridacchiò Gilbert. «Altre due birre!» urlò al barista, il quale li stava guardando piuttosto irritato.
Quando le due nuove birre arrivarono i due fratelli furono costretti a spostare tutte le bottiglie vuote attorno a loro per avere un po' di spazio. «Se spendiamo troppi soldi in birra non ne avremo abbastanza per pagare l'affitto di questo mese, e la signorina Arlovskaya ci prenderà a calci in culo.» mormorò.
«Allora lascia che la vecchia Nat ci butti fuori!» ridacchiò l'albino. «A chi importa?»
«E dove vorresti andare?» chiese Ludwig alzando un sopracciglio.
«Fuori nel grande mondo, fratellino.» rispose Gilbert.
Il biondo alzò gli occhi al cielo, bevendo un altro sorso della bevanda. «Il mondo sembra sopravvalutato.»
«Ah, come puoi dirlo. Ricordi Parigi?» chiese il maggiore con sguardo malizioso.
Il tedesco non poté fare a meno di sorridere mentre scuoteva la testa. «Gott, sei stato fortunato a non essere arrestato.» borbottò con una risata.
Gilbert rise. «Il magnifico me non ha fatto nulla di male! Quei francesi maleducati non riuscivano a gestire la mia bellezza.»
Ludwig scosse la testa. «Sono sicuro che sia illegale salire nudi sulla Torre Eiffel, indipendentemente da quanto magnifico sia l'individuo.»
L'albino sbuffò. «E si definiscono la città dell'amore.»
«Non c'è amore in tutto quello che fai, Gil.» disse poggiandosi nuovamente sul bancone.
L'altro gli sorrise. «Altre bugie fratellino. Non smetterai mai di stupire il magnifico me. Devo darti un esempio del mio amore?» chiese arcando le sopracciglia.
«Continui ancora su questo? Sono passati già due anni.»
«Beh, forse dovrei prendere le mie cose e tornare dai miei genitori! Dal momento che chiaramente non hai bisogno di me.» disse con un broncio, incrociando le braccia al petto.
«Sentiti libero.» disse scherzosamente il tedesco.
Gilbert scoppiò a ridere. «Come se potessi! Aprirebbero il fuoco se mi ripresentassi a casa loro! Mi odiano!» gridò continuando a ridere.
Ludwig sentì quel familiare senso di colpa e si limitò ad annuire piano.
«Ludwig.» disse con fermezza. Si girò sullo sgabello «Sai che non me ne frega più niente di loro, non ne ho avuto bisogno.»
«Potresti averne se non fossi in giro.» mormorò il tedesco.
«È una bugia.» insistette. «Anche se li avessi incontrati avrei sicuramente preferito stare con te.» Disse mettendo una mano sulla spalla del fratello.
Ludwig sospirò leggermente. «Non puoi saperlo.» mormorò.
«Sì invece.» sorrise Gilbert. «I nostri veri genitori ci hanno abbandonato e fin'ora abbiamo contato l'uno sull'altro. Non abbiamo bisogno di nessuno all'infuori di noi due.»
Ludwig sorrise incredulo. «Sei così banale.» disse piano.
«Stai mentendo?»
«Nein.» disse per poi abbracciare il fratello.
Il momento fraterno fu interrotto troppo velocemente da una forte intrusione. «OI!» qualcuno urlò ai due.
Gilbert si voltò sullo sgabello alzando un sopracciglio. Un uomo grosso e calvo, che sembrava troppo vecchio per quel bar, si stava facendo largo tra le persone e si dirigeva verso di loro. Diede una gomitata al fratello minore. «È qui per noi?»
Ludwig lo guardò e il suo stomaco si contorse. «Oh Gott...»
«Chi è?» chiese colpendo nuovamente il fratello.
Il tedesco deglutì leggermente. «...quello è Gerald, il padre di Johann.»
Gli occhi rossi di Gilbert si spalancarono. «Merda.»
«Ja...»
Gerald arrivò davanti ai due fratelli e si parò davanti a Ludwig. «Pensavi di poterti nascondere, vero?» ringhiò.
Il biondo cercò di rimanere impassibile, cercando di nascondere ogni paura. «Io...sinceramente non credevo che mi stessi cercando.» disse con calma.
«Credi che sia divertente?!» ringhiò. «Tu e il tuo amico vagabondo che ve la spassate alle mie spese?!» Il suo corpo tremava dalla rabbia. «Pensavi che sarei rimasto da parte mentre rovinavi la mia famiglia?!» urlò in faccia al giovane spaventato.
Gilbert lanciò un'occhiataccia a Gerald, scese dallo sgabello e lo colpì alla spalla per allontanarlo dal fratello. «Senti, perché non ti calmi un po'?»
«Gilbert, non intrometterti.» mormorò Ludwig.
«No, lascialo parlare.» disse l'uomo con un pizzico di divertimento. Fissò l'albino negli occhi e gli si avvicinò lentamente. «Che cosa mi hai appena detto, frocio?»
Gilbert vide il fratello sussultare con la coda dell'occhio. «Smettila di usare quella fottuta parola.» sputò.
«Dico tutto quel cazzo che voglio, disgustoso piccolo omosessuale.» disse per poi colpire il ragazzo al petto.
Gilbert lo fulminò con lo sguardo. «Okay, prima di tutto sono suo fratello e non il suo ragazzo.» Gerald sembrava sorpreso. «Secondo, non sono gay. Mi piacciono le donne e sono sicuro di aver scopato più io negli ultimi anni che tu in tutta la tua miserabile esistenza.» disse con un sorrisetto.
«Gil...» sospirò Ludwig nascondendo il volto tra le mani.
Gilbert lo guardò brevemente ma continuò, ogni traccia di divertimento svanì e il suo viso si oscurò. «Ma non sopporterò che tu dica qualcosa contro mio fratello.» disse serio.
«Ha trasformato mio figlio in un gay!» Gerald urlò stringendo i pugni, ora avevano l'attenzione di tutti i presenti. «Non sono qui per discutere con te!» urlò ancora e si rivolse a Ludwig che iniziò a indietreggiare. «Ascoltami fottuto frocio.» sbottò. «Se mai dovessi vederti ancora una volta vicino a mio figlio, giuro su Dio che legherò una corda sui tuoi testicoli e ti farò fare tutto il giro della città finché non verranno strappati.» ringhiò.
Gilbert sentì il sangue ribollirgli nelle vene. «Come osi parlare in quel modo a mio fratello?»
«Gilbert...» mormorò piano Ludwig.
«Cosa ti dà il diritto di minacciarlo in quel modo?!» sputò sollevando l'uomo per il colletto della camicia.
Gerald si liberò dalla presa cominciando a urlare. «Ha VIOLENTATO mio figlio!» ruggì.
«Non l'ha violentato. Tuo figlio ha acconsentito e ha goduto come un matto.» lo schernì Gilbert.
«Gilbert!» sbottò Ludwig.
Gerald si irrigidì, gli occhi si spalancarono e le vene pulsarono. «Piccola merda.» prima che l'albino potesse reagire uno dei pugni dell'uomo lo colpì alla mascella facendolo barcollare fino al bancone del bar.
«Hey!» urlò Ludwig andando a trattenere Gerald.
Gilbert si alzò e restituì il favore colpendo l'uomo in pieno volto. Quest'ultimo si liberò dalla presa del biondo per poi toccarsi il naso sentendolo subito gocciolare sangue. Si scagliò contro il maggiore dei due fratelli sbattendolo contro il bancone, facendo rompere qualche bottiglia. Gilbert riuscì a invertire a fatica le posizioni, Gerald continuava a urlare mentre cercava con le mani qualcosa con cui colpire il ragazzo.
Afferrò una bottiglia rotta per il collo e lo colpì allo stomaco. Gilbert indietreggiò di qualche passo prima di cadere a terra. Il bar si fece silenzioso e Ludwig si avvicinò alle spalle del fratello chinandosi su di lui. «Gilbert...stai bene?» chiese fissando il suo volto. Abbassò lo sguardo e impallidì quando vide schegge di vetro uscire dallo stomaco del maggiore.
«Oh Gott...Gil...merda...» mormorò. Si voltò verso le persone attorno a loro che guardavano la scena inorriditi. «Qualcuno chiami un'ambulanza!» urlò e subito alcuni presero i propri cellulari. Riportò l'attenzione sul fratello. «Gil...resisti, non chiudere gli occhi...resta con me, guardami.» disse con fermezza nonostante la sua voce tremasse. «Tieni gli occhi aperti...andrà tutto bene, resisti.»
Il viso di Gilbert continuava a perdere colore, faticava a tenere le palpebre aperte, posò una mano tremante sulla spalla del biondo. «...merda...» mormorò. «Ludwig...credo di essere alla fine...» gracchiò guardando il volto preoccupato dell'altro.
«Cosa?! No!» urlò Ludwig stringendolo a sé. «Non dire così! Andrai in ospedale e starai bene, devi solo stare con me!» gridò sentendo le lacrime salirgli agli occhi.
Il viso dell'albino si contorse per il dolore ma si sforzò di sorridere al fratello. «Ludwig, lo sai che ti voglio bene, vero?» sussurrò tremante.
«Non parlare così! Non è un addio!» disse Ludwig mentre le lacrime gli rigavano le guance.
«Rispondimi.» mormorò l'altro tossendo come se stesse soffocando.
«Ja...lo so. Ma io ti voglio molto più bene.» disse piano mordendosi il labbro.
Gilbert annuì impercettibilmente. «...non lasciare mai che qualche stronzo ti metta i piedi in testa, okay? Combattili e vinci, per me.» la sua voce si affievolì.
«Gil resisti...non puoi...non andare!» urlò Ludwig disperato.
L'albino gli fece un debole sorriso. «...sei un fratellino fantastico.» disse col suo ultimo respiro. I suoi occhi si chiusero e la testa diventò pesante sulla mano di Ludwig. Morì tra le braccia di suo fratello, il sangue ancora usciva dalla ferita.
Intorno ai due le persone erano sbalordite, incerte sul da farsi. Gerald era in piedi, sul volto un'espressione di puro orrore mentre si rendeva conto di quello che aveva appena fatto. «Oh merda, oh madre di Dio...» balbettò, impallidendo. «Merda...non era quello che volevo fare...io...oh Dio...»
Ludwig non riusciva a ricordare cosa fosse successo dopo, ogni ricordo era sfocato. Ricordò la rabbia che lo assalì. Gerald non poté dire oltre. Il biondo gli si era scagliato contro, colpendolo allo stomaco con la stessa bottiglia rotta, assicurandosi che non sopravvivesse. Nessuno fece niente per fermarlo.
Non gli era piaciuto prendersi una vita. Ma voleva, no, aveva bisogno che fosse fatto. Il corpo senza vita di Gilbert giaceva sul pavimento, la vendetta gli sembrava dolce e meritata. Pochi istanti dopo aver ucciso quell'uomo la polizia lo aveva arrestato. Non riuscì a ricordare le successive ore quando venne interrogato, il suo pensiero fisso era il fratello che aveva perso per sempre.
L'unica persona che aveva al mondo se n'era andata per colpa sua.
~O~
La bocca spalancata di Feliciano si chiuse quando Ludwig finì di raccontare la sua storia straziante, sentì le lacrime agli occhi solo per essersela immaginata. La mascella del tedesco tremò e poi sospirò. «La maggior parte delle persone direbbero che ucciderlo sia stato un errore...che avrei dovuto lasciare che venisse arrestato per aver ucciso Gilbert.» mormorò stringendo i pugni. «Ma a cosa sarebbe servito? Sarebbe nella stessa situazione in cui mi trovo io ora, in prigione a vita per omicidio...ma sarebbe anche troppo poco per quel figlio di puttana.» sputò.
Il moro deglutì leggermente. «Non te ne penti?» chiese.
«Non lo so...però se io fossi lì fuori e lui qui molto probabilmente impazzirei per trovare un modo per finirlo con le mie stesse mani.» Ludwig emise un sospiro esasperato. «È tutto...scommetto che adesso tu creda che io sia un mostro, vero?» chiese rivolgendosi agli occhi ambrati dell'italiano.
Feliciano lo fissò per alcuni istanti, era sicuro di aver visto gli occhi dell'altro diventare lucidi. Il suo cuore si addolcì, davanti a lui c'era un orfano che aveva perso l'unica persona a cui teneva al mondo chi era lui per giudicarlo? Quell'uomo aveva ucciso Gilbert, per sbaglio, ma era stato un assassino prima di morire. L'italiano gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Ti capisco.»
Il tedesco sussultò al contatto. «Cosa? Come diavolo puoi capire?»
«Beh...ho un fratello anch'io.» disse piano ignorando lo sguardo irritato dell'altro. «So che non è la stessa cosa, ma i nostri genitori sono morti molto tempo fa, e quando è successo abbiamo deciso di trasferirci insieme e aprire un café in moda da stare vicini.» sorrise quando l'espressione accigliata del biondo si addolcì. «...quindi in un certo senso contiamo solo l'uno sull'altro, tranne per il fidanzato di Lovino, Antonio...ma non so che farei se...se qualcuno lo uccidesse.»
«...uccideresti quella persona?» chiese Ludwig.
Feliciano si morse il labbro. «Non so se potrei...ma capisco perché l'hai fatto, so quanto siano importanti le persone a cui vogliamo bene, soprattutto se sono tutto quello che abbiamo.»
Il moro sussultò quando Ludwig lo abbracciò stringendolo a sé. Però non fece in tempo a registrare quell'azione che lo aveva già liberato dalla sua presa.
Il biondo gli sorrise. «Mi ricordi come ti chiami?»
Feliciano sbatté le palpebre confuso. «Ehm, non mi chiamavi Vargas?»
«Ja, ma quello è il tuo cognome, vero?» l'italiano annuì. «Qual è il tuo nome?»
«Feliciano.»
«Bene Feliciano.» disse il tedesco con un lieve sorriso. «D'ora in poi voglio che tu stia con me.»
Il moro lo fissò incredulo, poi gli passò alla mente la loro conversazione nell'ufficio di Elizabeta. «Davvero? Ma...così non ti farò sembrare debole?» chiese.
Ludwig sorrise dandogli una pacca sulle spalle. «Non mi interessa.» Feliciano lo fissò incredulo senza sapere cosa dire, riusciva solamente a sorridere emozionato. Il tedesco si alzò dal letto, sistemò il tavolo e raccolse le carte che erano cadute. «Hai voglia di giocare a carte?» chiese.
Il moro annuì intontito. «Sì...sarebbe fantastico.» disse piano sorridendo al proprio compagno di cella.
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