Capitolo 5
«È così bello poterti rivedere, Feli.» disse Antonio sorridendo calorosamente; si accomodò di fronte al moro accanto al fidanzato, dopo che si furono tutti e tre abbracciati in lacrime per qualche buon minuto.
Feliciano fece un piccolo sorriso mentre sedeva sulla scomoda sedia di plastica. «Anche tu.» mormorò piano.
«Ti trovo bene.» lo spagnolo mantenne la sua rassicurante compostezza mentre parlava, ma nei suoi occhi c'era una chiara nota di preoccupazione.
«Cazzate.» sputò Lovino osservando il fratello. Il piccolo italiano sembrava più magro di come se lo ricordassero i due, la tuta arancione pareva due taglie più grande; c'erano solchi scuri sotto i suoi occhi ambrati, spenti come se la vita gli fosse stata risucchiata via. «Sembra che non abbia mangiato da giorni.»
«Lovi...» disse gentilmente Antonio mettendogli una mano sul ginocchio.
«Sii sincero Feliciano, ti fanno morire di fame qui?» chiese il fratello maggiore sporgendosi sul tavolo; il giovane notò alcune rughe di preoccupazione che non c'erano mai state prima sul suo viso. «Perché li porterò in tribunale se così fosse!»
Feliciano scosse la testa, poggiano le mani sulle ginocchia. «No fratello, non mi stanno facendo morire di fame...sto bene.» lo rassicurò, nonostante solo metà di quella affermazione fosse vera.
Nell'ultima settimana l'unica cosa che aveva fatto andare avanti Feliciano era la visita di Lovino e Antonio. I detenuti sembravano essere tenuti all'oscuro dei giorni di visita; la prima volta che Feliciano ne aveva sentito parlare era stato quando ascoltò per caso una conversazione di due mafiosi, entrambi si vantavano di poter ricevere la visita delle loro bellissime mogli. Arthur lo aveva svegliato alla solita ora e dopo colazione, insieme ad altri carcerati del suo blocco, era stato portato nella sala delle visite.
Ogni blocco aveva dei giorni prestabiliti in cui amici e parenti dei carcerati potevano venire a farli visita. La sala era una stanza piuttosto grande e illuminata al piano superiore della prigione. Ai detenuti, prima di entrare, veniva assegnato un numero che corrispondeva a quello del tavolo su cui erano i parenti o gli amici che gli erano venuti a far visita. Il vasto spazio conteneva un centinaio di tavoli con quattro sedie ciascuno.
Nonostante il tempo trascorso lì fosse stato miserabile; Feliciano fu quasi in estasi quando vide il volto del fratello mentre le guardie lo perquisivano. E ora eccoli lì, seduti attorno al tavolo circolare al centro della stanza, circondati da altri detenuti provenienti dallo stesso blocco di Feliciano, tuttavia il volto familiare di Ludwig non si vedeva da nessuna parte.
«Allora, com'è qui Feli?» chiese Antonio, cercando di alleggerire l'umore. «È vero il sapone nelle docce?»
«Antonio!» ringhiò duramente Lovino.
Feliciano sorrise debolmente. «Non ci sono le saponette, usiamo del gel, probabilmente per evitare che succedano incidenti...» mormorò stropicciando stancamente gli occhi.
La fronte di Lovino si piegò per la preoccupazione. «Non è successo niente, vero?» chiese serio, allungando le mani per prendere quelle del fratello e stringerle nelle sue. «Nessuno ti ha dato problemi?»
Feliciano si morse il labbro, evitando gli occhi del moro. «Sto bene...» mormorò guardando entrambi con un sospiro. «Però mi mancate tanto.»
Antonio lo guardò tristemente. «Anche tu ci manchi pequeño, Vargas' Place non è lo stesso senza te.»
«Stiamo ancora lavorando sul tuo caso.» parlò Lovino con fermezza. «Siamo andati a discutere con l'ufficiale della libertà vigilata e ho persino inviato una lettera alla famiglia del giapponese chiedendo loro di fare appello per la tua innocenza.»
Antonio annuì, sembrando leggermente imbarazzato. «Si...e ho dovuto riscriverla per togliere le imprecazioni e le minacce.»
Lovino lo fissò. «Beh, non dovrebbero essere così stupidi da credere che mio fratello possa aver fatto una cosa del genere!» scattò. «L'hanno visto al processo, hanno visto quanto fosse tremante e terrorizzato, come diavolo hanno potuto pensare che un ragazzo del genere potesse picchiare qualcuno fino a farlo mandare in coma?!»
Lo spagnolo sospirò piano, accarezzando poi il ginocchio del compagno. «Lovi, il sistema giudiziario non può essere distorto in base all'apparenza di qualcuno.»
«Cazzate, lo hanno appena fatto con lui.»
Antonio sorrise tristemente guardando l'italiano di fronte a loro, se ne stava zitto in modo insolito e ogni tanto faceva girare lo sguardo ansiosamente attraverso la stanza, tra i detenuti. Lo spagnolo si piegò di lato e prese una sacchetto di carta marrone per poi passarlo a Feliciano. «Ti ho preso questi al caffè questa mattina.» il piccolo italiano tirò fuori dal sacchettino dei piccoli panini dalla forma irregolare. «...mi dispiace, si sono schiacciati» aggiunse Antonio per scusarsi.
«Quelle guardie del cazzo ci hanno permesso di portarli da te solo dopo averli fatti passare sotto i raggi x.» sputò Lovino disgustato scuotendo la testa. «Sono solo fottutissimi pasticcini per l'amor di Dio!»
«Volevano accertarsi che non avessimo messo dentro qualcosa di strano.» disse Antonio rimuovendo la carta dai pasticcini per poi darli al giovane moro.
Lo stomaco di Feliciano ringhiò alla vista di quelle leccornie zuccherate. «Grazie.» disse per poi divorate tutto in pochi istanti.
Lovino guardò il fratello minore distruggere i paninetti. «Per tutti i fornai, allora è vero che ti stanno facendo morire di fame.» disse non avendo mai visto il giovane mangiare con così tanto entusiasmo.
«No!» insistette Feliciano pulendosi le labbra. «È solo che...qui non ci danno cibo del genere...» mormorò piano.
«Il cibo com'è?» chiese Lovino preoccupandosi. «Non è che ti danno topi morti o altro? Perché se così fosse andrò dritto nell'ufficio del direttore e...»
«Tomatito...» lo zittì Antonio chiamandolo col soprannome che gli aveva affibbiato data la sua passione per i pomodori; l'italiano aveva cominciato ad aumentare il tono della voce e più di qualcuno si era voltato verso di loro.
Feliciano si morse il labbro. «Il cibo non è un gran problema...» sospirò «...devo solo trovare un modo per far passare il tempo.»
Questo era diventato un problema solo nell'ultima settimana. L'ultimo incontro col proprio compagno di cella tedesco gli aveva lasciato un'impressione piuttosto duratura. Semplicemente non capiva Ludwig! L'italiano era così confuso...un attimo prima il biondo lo stava difendendo e proteggendo dai pericoli, e subito dopo lo stava picchiando solo perché lo aveva ringraziato. Feliciano non sapeva cosa fare, ma inutile dire che non aveva rinunciato all'idea di stare col tedesco sin dall'incidente della palestra.
Sfortunatamente per Feliciano negli ultimi giorni c'erano stati altri incidenti simili a quelli della palestra, e perché il piccolo italiano ogni volta non riusciva a frenare l'impulso di ringraziare il tedesco. Non poteva proprio evitarlo, ogni volta che Ludwig lo aiutava lui lo ringraziava. Quello che non riusciva a capire era perché il biondo un attimo prima era carino e subito dopo alzava le mani.
L'incidente più recente si era verificato mentre il moro si stava facendo la doccia con alcuni detenuti del suo blocco. Arthur era stato chiamato per occuparsi di qualcosa e aveva lasciato Feliciano molto esposto. Aveva sentito gli occhi di qualcuno su di lui e sul suo sedere nel momento in cui aveva messo piede sotto il flusso d'acqua tiepida e si era sentito parecchio a disagio. I suoi sospetti furono confermati quando sentì Ludwig ringhiare dalla doccia accanto alla sua «smettila di fottere con gli occhi il culo dell'italiano altrimenti ti spacco il cranio» a un uomo che si era posizionato alle spalle del moro. L'uomo indietreggiò spaventato e Feliciano fu così grato che si lanciò contro il biondo, abbracciandolo con gratitudine. Ludwig chiaramente non aveva apprezzato sentire il corpo nudo dell'italiano sul suo altrettanto nudo, infatti gli assestò un pugno alla mascella come aveva fatto in altre occasioni. L'italiano era quasi svenuto, sdraiato praticamente incosciente sul pavimento della doccia mentre l'acqua gli inondava il viso, lottando evitare l'annegamento. Per fortuna Arthur tornò proprio in quel momento e il povero ragazzo dovette farsi strada, completamente vestito, per sollevare Feliciano e trascinarlo fuori, con l'uniforme bagnata fradicia.
Feliciano desiderava più di ogni altra cosa potersi controllare. Non capiva, perché Ludwig non voleva mai essere ringraziato? Il moro stava solo cercando di dimostrare la sua gratitudine...forse l'abbraccio da nudi era stato un po' troppo, ma in altre occasioni si era limitato a dire «grazie» e gli era comunque toccato un pugno.
Per questi motivi Feliciano aveva cercato di tenersi occupato in altri modi ed evitando il tedesco. Seguendo il consiglio di Arthur si era unito ad alcuni dei programmi di lavoro della prigione, in modo da avere qualcosa da fare. Tuttavia questi lavori si erano rivelati ancor meno divertenti che stendersi goffamente nella branda cercando di non svegliare Ludwig. Prima provò le cucine, poiché amava cucinare, ma le donne virili della mensa non volevano alcun aiuto, e non sembravano interessate nemmeno alle idee dell'italiano per migliorare i pasti. Feliciano provò col lavoro d'ufficio, ma le scartoffie non erano certo fatte per lui.
Il peggio, tuttavia, fu la lavanderia. Al moro non dava fastidio dover lavare le tute dei detenuti, anzi, credeva che fosse un buon modo per passare il tempo senza finire nei guai. Sfortunatamente non aveva considerato il fatto di dover passare la prigione da cima a fondo con un carrello per prendere le uniformi dei carcerati. Le porte delle celle erano chiuse a chiave, ma Feliciano temeva che qualcuno potesse fargli del male. Dovette reprimere un conato di vomito quando dovette prendere i vestiti di Eric, l'uomo che lo stava comprando all'asta del sesso.
Così l'italiano e il tedesco si videro solo nella loro cella e durante i pasti, in due settimane avevano parlato a malapena. Feliciano notò che quella mattina, quando Arthur aveva annunciato che era il giorno delle visite per il loro blocco, Ludwig era particolarmente silenzioso.
Lovino lo guardò incuriosito. «Come passi le giornate?»
«Hai fatto amicizia?» domandò Antonio.
«Non fare amicizia Feliciano!» lo avvertì il fratello maggiore. «Non dovresti fidarti di nessuno qui...» ringhiò, gli occhi guizzavano per la stanza, fissando sospettosamente tutte le tute arancioni.
«Condividi la cella con qualcuno?»
Feliciano annuì lentamente. «Sì, è...un po' violento-»
«CHE COSA?!» ruggì Lovino balzando in piedi e facendo cadere la sedia dietro di sé. «Che cosa CAZZO vuol dire che è VIOLENTO?! Perché CAZZO ti hanno messo con un tizio violento?! Questo NON è accettabile!» il giovane imperversava, diventando rosso vivo. «Li denuncerò!» sputò, avviandosi verso la prima guardia che vide; un ragazzo dalle folte sopracciglia e amante del tè.
«Lovino no!» lo pregò Feliciano, ma ormai era troppo tardi per fermarlo.
«Hey!» l'italiano ringhiò quando fu di fronte alla guardia britannica. «Perché il mio fratellino è costretto a condividere la cella con un violento bastardo?! Vuoi che muoia o qualcosa del genere?!»
Arthur sussultò leggermente e lanciò un'occhiata a Feliciano che, con espressione mortificata, stava seduto al tavolo. «Ehm, signore, le assicuro che non era mia intenzione, non ho voce in capitolo sulla disposizione delle celle...»
Lovino lo fulminò con lo sguardo. «Non mi interessa! Perché non fai qualcosa al riguardo?!» con i pugni tremanti ai lati del corpo, l'italiano sembrava molto vicino a uno scoppio violento.
A questo punto dovette intervenire Antonio, prima che l'inglese fosse costretto a prendere il suo taser, allontanando delicatamente il fidanzato. «Lovi calmati, siamo venuti qui per stare con Feliciano, ricordi?»
Lovino stava ancora infuriando sottovoce, ma riuscì a trovare la calma per trascorrere il tempo rimanente con suo fratello. Dieci minuti dopo si udì un forte annuncio, che spiegava che il tempo delle visite era scaduto. Feliciano salutò tristemente la sua famiglia prima che fossero praticamente trascinati a forza fuori dalla stanza. Fu l'ultimo dei detenuti ad alzarsi dal tavolo prima di seguirli e uscire dalla sala. Arthur gli fece un sorriso imbarazzato quando lo affiancò. «Beh...tuo fratello si preoccupa molto per te.» mormorò.
«Sì...mi dispiace per poco fa.» si scusò il moro.
Il britannico scrollò le spalle. «Non preoccuparti, ma se volevi davvero cambiare cella potrei chiedere di farti trasferire in un altro blocco, per allontanarti da Ludwig.» suggerì.
«No!» disse frettolosamente Feliciano facendo sussultare il biondo. «Voglio dire...lo conosco già...e poi non è così male...» disse piano, arrossendo. «A proposito, dov'è? Non era qui...» si guardò attorno, nella sala ormai vuota.
Arthur annuì. «Non mi sorprende, nei cinque anni in cui Ludwig è stato qui non ha mai ricevuto alcuna visita.»
Feliciano lo fissò. «Davvero? Ma...nemmeno la sua famiglia?» chiese scioccato; era difficile credere che nemmeno una persona avrebbe voluto rivedere il tedesco, sicuramente doveva avere qualcuno nel mondo esterno.
Il biondo sembrava rattristato. «Non ha una famiglia.» disse piano. Rimase in silenzio per qualche istante prima di proseguire. «Una volta aveva un fratello ma...» si interruppe con un'espressione leggermente distorta in volto e scosse rapidamente la testa. «Comunque non importa, non è qui. Credo che sia ancora con Elizabeta.»
«Perché, non sta bene?» l'italiano non riuscì a sopprimere una nota di preoccupazione nella sua voce.
«Starà bene, è stato appena pugnalato di nuovo» disse per poi dare un'occhiata veloce al suo orologio. «Well, è meglio se ti riporto dentro...»
«PUGNALATO?!» Feliciano strillò per lo shock, impallidendo. «M-ma come? Quando?»
Arthur sospirò leggermente. «Una rivolta in cortile, succede di tanto in tanto, soprattutto nel giorno delle visite...comunque dai, devo richiudere»
«Posso vederlo?» chiese piano l'italiano. «Voglio dire...posso vedere se sta bene?»
La guardia lo guardò imbarazzato. «In realtà solo un detenuto per volta può andare dal medico della prigione...» spiegò.
«Per favore, sono sicuro che a Elizabeta non dispiacerà...» mormorò piano Feliciano.
Arthur si guardò attorno, non c'erano né guardie né detenuti nelle vicinanze. «Oh...va bene, ma non una parola con nessuno.» lo avvertì mentre svoltava a sinistra nell'ampio corridoio per portare il detenuto fuori dal blocco D.
~O~
Feliciano si sentì stranamente preoccupato quando vide l'ingresso senza porte dell'ufficio di Elizabeta. Di guardia stava Alfred Jones, Arthur lo salutò con un timido cenno del capo. «Signorina Héderuvári?» disse l'inglese entrando.
Feliciano sbirciò con cautela l'interno, emettendo un piccolo sussulto. Ludwig era davvero lì, seduto sullo stretto letto attaccato al muro. Guardandolo in faccia non si sarebbe notato nulla di diverso in lui, ma abbassando lo sguardo sul braccio sinistro si poteva facilmente notare un coltello conficcatosi. Un filo di sangue scendeva lentamente dalla ferita, gocciolando fino al gomito, da dove cadeva sulle lenzuola bianche macchiandole.
L'ungherese, sorprendentemente allegra, sorrise alla guardia. «Oh, ciao Arthur. Hai bisogno di qualcosa?»
«No. Ho solo...ho portato Feliciano.» indicò l'italiano accanto a lui; Alfred roteò gli occhi.
Elizabeta lo guardò sorpreso. «Ciao tesoro, stai bene? Al momento mi sto occupando di Ludwig, pensi di poter aspettare qualche minuto?» chiese lei mentre cercava qualcosa tra le carte sulla scrivania.
Feliciano si morse il labbro, sentiva lo sguardo del teutonico su di lui. «No, sto bene, volevo...volevo vedere se...se...» si interruppe goffamente, spostando a disagio lo sguardo sul tedesco. «...Ludwig stesse bene...» finì con un lieve mormorio arrossendo.
Ludwig inarcò le sopracciglia sorpreso; Elizabeta sorrise dolcemente voltandosi verso di lui. «Oh, che dolcezza...beh, immagino che vada bene se a Ludwig non dispiace, no?» disse mentre lanciava un'occhiata al biondo.
Feliciano intrecciò ansiosamente le dita tra loro; il tedesco alzò gli occhi al cielo. «Va bene, fallo entrare.» mormorò.
Feliciano sorrise vittorioso, spostandosi lentamente nell'ufficio; rimase goffamente in piedi prima che la castana gli suggerisse di andare a sedersi accanto al paziente. Il moro si avvicinò, incapace di trattenere un sussulto quando vide da vicino l'oggetto che sporgeva dal braccio del tedesco. Andò dalla parte opposta dal coltello, in modo da non vederlo. Poggiò le mani sul materassino per farsi forza e salire ma non ci riusciva. Si sorprese quando Ludwig lo sollevò col braccio libero e lo fece sedere accanto a sé.
«G-grazie.» disse Feliciano per poi tapparsi la bocca con entrambe le mani per aver parlato; il tedesco gli lanciò uno sguardo cupo ma per fortuna non fece nulla.
La ragazza indossò un paio di guanti in lattice e si avvicinò al biondo. «Va bene tesoro, fa vedere...» disse mentre guardava il coltello. «Non male...non è un gran pugnale...la ferita non sembra molto profonda...» mormorò.
«Ja, è stato patetico.» disse Ludwig. Feliciano non riusciva a guardare, teneva lo sguardo sulla parete davanti a loro, su cui erano appesi alcuni certificati.
Elizabeta si alzò in piedi. «Adesso lo tolgo, però se fossi in te stringerei qualcosa, sarà un po' doloroso.»
Feliciano sussultò quando sentì qualcosa schiacciare la sua mano. La mano sinistra dell'italiano, che si trovava tra lui e il tedesco, era bloccata dalla stessa di Ludwig, le sue grandi dita stringevano quelle affusolate del moro. L'italiano osò dare uno sguardo al viso del biondo: stava stringendo la mascella, gli occhi socchiusi, tanto stretti da sembrare chiusi.
Elizabeta strinse il manico del pugnale, l'altra mano poggiata alla spalla del tedesco. «Pronto? Okay, uno, due, tre!» con uno strattone il coltello uscì dal braccio di Ludwig, così come altro sangue che scese caldo lungo il suo braccio. Feliciano ebbe la sensazione che la sua manina si sarebbe spezzata in quell'istante.
Ludwig riaprì gli occhi, le sue dita lasciarono la povera mano dell'italiano. Feliciano fletté le dita, cercando di rifar rifluire il sangue in esse. L'ungherese brandì l'arma per farla vedere ai due. «Non male, una lama piuttosto piccola...»
Feliciano la guardò e sentì il proprio stomaco storcersi. In mano alla giovane donna non c'era un coltello, ma piuttosto una piccola lama triangolare insanguinata. Elizabeta prese un panno e cominciò a tamponare la ferita dell'uomo. «Eccoci, non ha fatto tanto male, vero?» chiese. «Ora ti fascio così tornerai sano come un pesce.»
L'italiano fissò Ludwig, il viso era contratto nella solita smorfia, ma era chiaramente solo per il dolore al braccio, non per quello che stava dicendo il medico. Feliciano era stupito dal fatto che fosse così condiscendente, ma al tedesco non sembrava importare.
L'emorragia si fermò e l'ungherese fu in grado di fasciare il possente braccio del biondo. «Il taglio non era molto profondo, perciò non ha causato alcun danno alle articolazioni. Però, se fossi in te, cercherei di usare il meno possibile quel braccio, tesoro.» disse lei con dolcezza mentre finiva di stringere la benda e si alzava in piedi.
Ludwig annuì, spostando la manica della divisa arancione per coprire la ferita. «Tutto apposto.»
Elizabeta sorrise e si diresse verso la propria scrivania, dove cominciò a cercare tra alcuni fogli. Sospirò leggermente facendo schioccare la lingua. «Credo di aver finito i moduli...» mormorò mentre rovistava tra i cassetti con espressione corrucciata. «Scusate ragazzi, ho finito i moduli e non posso far uscire Ludwig finché non ne avrà firmato uno. Vado a fare qualche fotocopia, torno subito.» fece loro un sorriso allegro mentre usciva dall'ufficio.
Feliciano si morse il labbro, nella stanza era calato un silenzio imbarazzante. Ludwig era tornato alla solita espressione facciale, illeggibile e vuota, eppure l'italiano pensava che lo stesse guardando mentre percepiva la familiare sensazione di essere osservato. Il moro si sistemò goffamente sul letto stretto, fissando le mani che teneva in grembo, quella sinistra pulsava ancora. La tensione sembrava aumentare ogni istante e Feliciano implorava che Elizabeta tornasse presto.
L'italiano poté giurare di aver sentito un grugnito da parte dell'uomo seduto accanto a lui, come se si stesse schiarendo la voce. Feliciano gli lanciò un'occhiata e notò che stava stringendo i denti e tamburellando il lettino con le dita, sembrava indeciso se parlare o meno. Ludwig emise un sospiro frustrato, facendo sussultare il giovane moro. «Vargas.» borbottò, molto più duramente di quanto si sarebbe immaginato. Feliciano deglutì, il tedesco guardava davanti a sé. «Senti, penso di...» fece una smorfia. «...doveri delle scuse.»
Gli occhi ambrati dell'italiano si spalancarono, quella era l'ultima cosa che si aspettava di sentire da parte del tedesco. «...veramente?» riuscì a sussurrare piano.
Ludwig annuì a malincuore. «Ja, tutte quelle volte che ho alzato le mani...oh, e la tua mano.» aggiunse dando un'occhiata alle nocche arrossate del moro; Feliciano le fletté delicatamente. «Mi dispiace per quello.» borbottò con voce impassibile.
L'italiano scrollò le spalle. «Va bene.» non era sicuro che Ludwig fosse sincero o meno, ma era grato per il gesto. Il silenzio riprese, più intenso dopo quelle brevi parole. Feliciano si morse il labbro e diede un'occhiata al braccio fasciato del tedesco. «...come è successo?» chiese così piano che si domandò se il biondo lo avesse sentito.
Ludwig guardò il proprio arto, facendogli eseguire un'attenta flessione. «Nel cortile è scoppiata una rivolta e qualcuno mi ha pugnalato alle spalle.» spiegò freddamente.
«Non sai chi è stato?» chiese il moro.
L'uomo scosse la testa. «Nein, il piccolo stronzo è scappato prima che potessi vedere chi fosse...lo fanno sempre, fottuti codardi» sputò amaramente; strinse i pugni ma dovette ridistendere quasi subito i muscoli, il movimento gli doleva la ferita non ancora rimarginata.
Feliciano si morse il labbro. «Succede spesso?»
Ludwig annuì. «All'occasione.»
Il moro sgranò gli occhi. «M-ma...pensavo che qui tutti fossero...» balbettò inquieto, sussultando quando gli occhi color ghiaccio del biondo si posarono improvvisamente su di lui. «...spaventati da te.» finì in un sussurro.
Ludwig inarcò lentamente un sopracciglio; Feliciano deglutì mentre i profondi occhi azzurri del biondo lo guardarono più intensamente. Si strinse nelle spalle. «Ja, immagino sia l'unico modo in cui possano essere "risarciti".» asserì cupamente, flettendo nuovamente il braccio. L'italiano annuì, sentendosi nuovamente a disagio. Il tedesco lo fissò per qualche altro attimo prima di emettere un sospiro esasperato. «Vargas, non so se te ne sei accorto ma, la reputazione è tutto qui.» chiarì. «C'è una ragione per la quale ti ho colpito ogni volta che mi abbracciavi o ringraziavi.» Feliciano non poté fare a meno di arrossire lievemente. «E non è perché sono un coglione, ma così nessuno possa pensare che stia diventando dolce, non posso lasciarmi vedere così.»
Il moro lo fissò a sua volta, un forte senso di colpa iniziò a pesargli sul petto. «...ti hanno fatto questo per colpa mia?» sussurrò mortificato. «Perché...ti ho fatto sembrare debole?»
Ludwig scosse la testa. «Nein, come ho già detto prima qualche bastardo priva sempre a colpirmi alle spalle.» mormorò.
Feliciano sospirò sollevanto nel sentirsi dire che la colpa non era sua. Elizabeta entrò nell'ufficio con un blocco di moduli in mano. «Sono tornata, scusate per l'attesa, zuccherini.» sorrise loro mentre poggiava i fogli sulla scrivania per poi portarne uno al biondo insieme a una penna. «Okay Ludwig, ho bisogno che firmi qui.» disse compilando la descrizione dell'infortunio per lui.
Il tedesco annuì. «Conosco la procedura signora.» mormorò, prendendo la penna quando lei gliela porse. Feliciano lo osservò, sorpreso del fatto che Ludwig scrisse solo il suo nome, lasciando vuota la casella del cognome.
Elizabeta lo riprese sorridendo. «Grazie tesoro, spero sia l'ultima volta che ti vedo per un motivo del genere.»
Ludwig scese dal letto, muovendo con cura il braccio. «Dubito che...» mormorò tendendo l'altra mano all'ungherese. «Grazie signorina Héderuvári.»
La ragazza roteò gli occhi con affetto, tendendo le braccia. «Sei così formale! Vieni qui tesoro...» allacciò le braccia intorno al collo del tedesco, stringendolo in un abbraccio. Ludwig rimase perfettamente immobile, lasciandosi abbracciare, le sue braccia restarono lungo i fianchi. La ragazza si ritrasse lasciandogli un bacio sulla guancia. «Terrai d'occhio tu lo zuccherino italiano, vero?» gli sussurrò all'orecchio in modo che Feliciano non potesse sentire; l'ungherese sorrise raggiante. «Va bene, vai pure.»
Ludwig fece una smorfia somigliante un sorriso e uscì dall'ufficio, dove Alfred lo stava aspettando per riportarlo nella sua cella. Dietro a loro Feliciano scese con difficoltà dal lettino con un'espressione scioccata in volto. «...Ludwig ti ha permesso di abbracciarlo.» mormorò stupefatto a Elizabeta.
La castana emise una leggera risata scuotendo la testa. «È davvero così sorprendente? Non essere sciocco...Ludwig è tenerissimo...» Elizabeta rise ancora quando gli occhi spalancati dell'italiano si spalancarono ulteriormente. «Okay, non è così tenero, però non è cattivo come dice la sua reputazione.» disse seriamente abbracciando il moro. «Finge di essere un cattivo soggetto così nessuno ha il coraggio di fargli del male.»
Feliciano si appoggiò a lei, sospirando. «Anche io vorrei che nessuno mi facesse del male.» borbottò tristemente.
Elizabeta sorrise, dandogli un bacio sulla fronte. «Oh tesoro, starai bene, fidati di me.» disse rassicurante; alzò lo sguardo e vide che Arthur la guardava toccandosi l'orologio che aveva al polso. «Si sta facendo tardi, meglio se ti lascio andare. Non esitare a venirmi a trovare se hai bisogno, zuccherino.»
~O~
Quella notte Feliciano andò a letto sentendosi molto più a suo agio di quanto non si sentiva da tempo. La spiegazione di Ludwig sul perché lo picchiasse ogni volta che cercava di ringraziarlo in pubblico aveva finalmente eliminato tutta la confusione che aveva in testa. Sì, credeva che il tedesco lo avesse detto solo per essere educato, ma se ciò significava che gli altri detenuti non potessero vedere Ludwig debole, allora poteva sopportarlo. Non che fosse necessario, doveva solo cercare di stare più attento quando era in luoghi affollati.
Più facile a dirsi che a farsi. Comunque Feliciano sentiva di aver fatto dei progressi con Ludwig quel giorno, non gli era dispiaciuto essere andato a fargli visita, in più non lo aveva né picchiato né minacciato. Pensò a quello che gli aveva detto il biondo riguardo all'accoltellamento come un atto casuale di violenza e rabbrividì. C'era qualcuno, o più persone, che pugnalerebbe il tedesco sapendo che poteva cavarsela senza conseguenze, solo per avere un'affermazione di dominio su di lui. Il mondo di quella prigione era decisamente diverso a quello a cui era abituato l'italiano.
Sbadigliò leggermente, girandosi in modo da stare a pancia in su. Il letto scricchiolò per il movimento, ma il moro riusciva comunque a sentire il respiro di Ludwig su quello sopra. Le luci erano state spente più di un'ora prima, c'era calma e silenzio ma non riusciva ad addormentarsi. Si girò di lato e si raggomitolò in modo da stare più comodo. Il suo respiro si fece più calmo e ogni pensiero si smaterializzò, il suo corpo si rilassò mentre le sue palpebre diventarono pesanti-
Feliciano sussultò. Un gemito improvviso, molto angosciato, ruppe il silenzio della cella, facendo tremare il cuore del moro. I suoi occhi si spalancarono e le sue dita affusolate strinsero le lenzuola. Aveva immaginato quel suono? La cella era silenziosa, ma quel verso inquietante sembrava indugiare ancora nell'aria. L'italiano fece un respiro profondo e richiuse gli occhi.
Il rumore si ripresentò, questa volta non si poteva sbagliare, e nemmeno sulla fonte, che proveniva da sopra di lui. Feliciano strinse maggiormente le lenzuola; Ludwig emise un altro gemito, il lettino vibrò mentre il tedesco si contorceva e si agitava.
«G-G...Gil...» Ludwig soffocò parole insensate mentre continuava a muoversi come se sentisse dolore fisico. «...n-no...Gil...aspetta...non...» il tedesco urlò facendo raggelare il sangue del piccolo italiano amante della pasta. Il letto vacillò e il biondo si alzò, ora completamente sveglio.
Feliciano sentì nuovamente il respiro affannato di Ludwig, solo che quella volta sembrava che gli si spezzasse nel petto. Il moro poteva ancora sentire il letto tremare e il biondo sull'orlo dell'iperventilazione. Dopo quella che sembrò un'eternità il tedesco si restese e il suo fiato si placò, tornando normale.
L'italiano abbandonò la presa sulle lenzuola ed emise un sospiro che non si era reso conto di aver trattenuto. Il suo cuore batteva ancora furioso per quello a cui aveva appena assistito, o meglio dire sentito. Doveva essere rimasto immobile per dei buoni minuti prima di rilassare i muscoli. Ludwig era tornato a dormire, respirando in modo quasi del tutto regolare sul letto superiore. Feliciano si morse il labbro, spostandosi irrequieto su un fianco. Sarebbe stata una lunga notte.
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