Capitolo 4
La guardia carceraria, di origini americane, Alfred Jones si aggirava nella stanza del personale della prigione, in mano una tazza di caffè fumante. Era mattina presto e i prigionieri dovevano ancora essere svegliati per essere portati a fare colazione. Mattiniero come sempre, Arthur Kirkland era già lì, seduto al tavolo della cucina a godersi un tè caldo; era leggermente ingobbito mentre leggeva dei fogli poggiati al tavolo. Alfred bevve un sorso di caffè, poggiò la tazza sul tavolo e si insinuò dietro al britannico. «Cosa stai facendo?»
Arthur sbadigliò leggermente mentre girava pagina. «Sto solo controllando alcune cose...» mormorò piano.
Alfred sorrise poggiando le mani sulle spalle del biondo, massaggiandole. «Ehi, dai, tecnicamente siamo in pausa»
Il britannico se lo scrollò di dosso. «Alfred, non al lavoro» grugnì.
L'americano non demorse e si appoggiò maggiormente all'uomo. «Rilassati piccolo...» mormorò al suo orecchio per poi mordicchiarne il lobo.
Arthur avvertì un brivido percorrergli tutta la schiena. «Get out of my way, sto lavorando- ehi!» urlò quando i fogli scomparvero sotto ai suoi occhi; Alfred li aveva presi e si era allontanato velocemente dal collega.
Avvicinò il primo foglio al viso mentre vagava per la piccola cucina. «Feliciano Vargas...» lesse. «Perché leggi ancora il suo file?» chiese guardando il britannico.
Arthur sospirò, sfregandosi gli occhi. «Stavo solo rivedendo il suo caso...sembra ridicolo» mormorò.
Alfred annuì poggiando i fogli sul tavolo. «Si, il ragazzo è troppo morbido. Non riesco nemmeno ad immaginarmelo schiacciare un insetto, figuriamoci picchiare un ragazzo quasi a morte!»
«Esatto, sono più che sicuro che sia stato condannato ingiustamente» disse Arthur severamente, senza accorgersi che l'americano gli aveva nuovamente poggiato le mani sulle spalle. «È così fragile...» mormorò, trasalendo leggermente. «Oh dear, penso che dovrei stare di guardia mentre è alle docce...»
Alfred sembrò inorridire. «The fuck dude? Cosa c'è, il mio corpo non ti soddisfa più? Adesso vai a sbavare per quello dell'italiano?! Perché giusto qualche sera fa mi sembrava che sbavassi per il MIO di corpo» disse arrabbiato.
Arthur sospirò irritato, colpendo il collega allo stomaco. «Oh shut up Alfred! Ho solo paura che il poverino venga violentato. Tutto qui»
Alfred si accigliò e fece un passo indietro mentre si massaggiava la pancia. «Non ho dubbi che ciò accadrà»
«Rassicurante come sempre» mormorò l'inglese alzando gli occhi al cielo mentre avvicinava la tazza alle labbra.
Alfred si accigliò. «Beh, perché diavolo ti importa?»
Arthur bevve un sorso di tè. «Perché parte del nostro lavoro è prevenire questo genere di cose!» scattò quasi sbattendo la tazzina sul tavolo. «Mi hanno anche riferito che alcuni detenuti organizzano aste del sesso!»
L'americano fece una smorfia. «Inquietante...ma come on, Arthur, abbiamo tante cose da fare, non possiamo controllarli per tutto il tempo» fece notare.
Arthur sospirò. «Vorrei che potessimo, o almeno la prigione potrebbe assumere più uomini...però ci sarebbero sanguinolenti tagli al bilancio» brontolò amaramente.
«Non sapevo che ti importasse così tanto lo stupro» mormorò Alfred. «Voglio dire, so che è terribile quando una donna viene violentata» aggiunse frettolosamente quando notò lo sguardo basito del collega. «...ma se succede che un carcerato venga violentato a chi gliene frega?»
«Alfred!» abbaiò il biondo. «È una cosa terribile, indipendentemente dalle circostanze!» sibilò fissandolo. «Oh God, immagina se il piccolo Feliciano venisse coinvolto in situazioni del genere»
Alfred sospirò esasperato. «Beh, Ludwig non l'ha ancora violentato, quindi va bene» disse bevendo un sorso di te del britannico, arricciando in seguito il naso disgustato da sapore della bevanda.
«Ludwig non fa certe cose, lo sai» mormorò Arthur per poi riprendere la propria tazza.
«Suppongo...però sono sorpreso che non l'abbia ancora picchiato» disse l'americano meravigliato.
Arthur annuì. «Anche io, ma se ci proverà lo manderò in isolamento» disse con fermezza per poi finire il tè.
Alfred lo guardò confuso e incrociò le braccia al petto. «Arthur, perché diavolo sei così gentile con Feliciano? Ti sei preso una cotta per lui o qualcosa del genere?» chiese cercando di rimanere impassibile.
«No!» scattò il britannico. «Mi dispiace solo per lui, è stato condannato ingiustamente e ora dovrà rimanere in questo buco infernale per due anni della sua vita»
«Come fai a essere sicuro che sia innocente? Eri lì?» chiese l'americano alzando un sopracciglio scettico.
Arthur alzò gli occhi al cielo e si avvicinò al lavello per pulire la tazza. «Sei tu quello che ha detto che non avrebbe fatto del male ad un insetto»
L'uomo si strinse nelle spalle mentre si sistemava gli occhiali. «Forse ha un lato oscuro» suggerì ignorando lo guardo incredulo del compagno. Sospirò leggermente. «Arthie, ancora non capisco, non sei mai stato così gentile con i detenuti prima d'ora»
«Non ho mai incontrato un detenuto così patetico» disse piano mentre lavava l'interno della tazza. «Se non lo controlliamo verrà violentato o ucciso» si voltò per guardare il collega «...o violentato e poi ucciso»
«Non ti ho mai visto difendere gli altri detenuti patetici qui dentro» disse Alfred appoggiandosi al tavolo.
Arthur sospirò asciugandosi le mani sullo strofinaccio. «Alfred, avrai sicuramente notato il modo in cui gli altri detenuti lo guardano...sembrano pronti a saltargli al collo»
«Si, lo so» mormorò l'americano grattandosi la nuca. «Ma non è nostro compito decidere se un tizio è innocente o meno, non siamo avvocati. Il nostro compito è quello di tenere in riga i detenuti» disse con una scrollata di spalle.
Sussultò quando il britannico sbatté violentemente lo strofinaccio -con cui stava asciugando la tazza- sul tavolo. Arthur si girò per fissarlo, lo sguardo oscuro. «Per l'amor di Dio» ringhiò.
Alfred sembrò confuso, gli occhi girarono per la stanza a disagio. «Cosa?»
Il biondo sospirò frustrato scuotendo la testa. «Non hai mai capito, vero?» borbottò freddamente.
Alfred lo fissò. «Cosa c'è da capire?» chiese stupito. «Feliciano è stato condannato e portato qui. Non dovremmo dargli alcun trattamento speciale»
Arthur scosse la testa disgustato. «Dimenticalo» brontolò per poi dargli le spalle.
Alfred sospirò, fece qualche passo in avanti e posò dolcemente la mano su una spalla del collega. «Arthie-»
«Sai che è proprio come è successo a Ludwig cinque anni fa!» disse il biondo per poi schiaffeggiare la mano dell'americano.
«Per l'amor del cazzo Arthur, non di nuovo...» mormorò Alfred.
Arthur si accigliò. «Che cosa?»
Alfred lo fulminò con lo sguardo. «Ludwig appartiene a questo posto! È stato condannato per una dannata buona ragione, non è innocente!»
«Non è così semplice!» scattò il britannico irato.
«Non lo è mai con te, vero?» sputò cupamente. «Devi sempre vedere tutto dall'altra parte, anche se è la nostra quella giusta!»
«Sono solo di mentalità molto aperta» disse Arthur. «Capisco Ludwig!»
«Oh my God, Arthur» mormorò Alfred incredulo. «Non puoi difenderlo!» gridò allarmato. L'americano non poteva credere a ciò che stava ascoltando, lanciò un'occhiata al collega e gli puntò un dito al petto. «Non tentare mai di difenderlo, quello che ha fatto non può essere giustificato in alcun modo»
Arthur fece un respiro profondo, allontanando con calma la mano dell'americano. «Conosci il motivo...» disse lentamente. «E no, non sto difendendo quello che ha fatto, ma posso capire perché lo abbia fatto»
Alfred sospirò, lo sguardo sconfitto. «The law is the law dude, lui ha infranto la legge e giustizia è stata servita» disse semplicemente scollando le spalle.
Arthur scosse violentemente la testa. «Vedi sempre il mondo in bianco e nero» mormorò con voce sommessa, sentì gli occhi bruciare. Si strinse nelle spalle e si precipitò fuori dalla porta.
Alfred fece un passo in avanti per seguirlo, ma si fermò. Sospirò poggiandosi al tavolo. «Fuck sake...»
~O~
Feliciano si svegliò con l'inizio del nuovo giorno. Non che potesse essere certo che fosse mattina o tarda sera, la luce del sole non riusciva ad arrivare fino alla sua cella. Ludwig scese dal proprio letto e aspettò che Alfred e Arthur lo facessero uscire come ogni giorno. Il moro avvertiva molta tensione tra le due guardie mentre lo accompagnavano alla mensa. L'americano non sembrava intenzionato a stargli vicino, piuttosto stava con gli altri detenuti del blocco D, davanti. Mentre il britannico stava accanto a Feliciano in fondo alla fila di carcerati.
Feliciano temeva ancora la colazione. Era sola la sua seconda volta, ma temeva che finisse come la precedente. Esitò all'ingresso, chiedendosi se fosse il caso di chiedere ad Arthur di accompagnarlo e farlo sedere in un luogo isolato. Comunque, con la guardia americana che gli lanciava occhiate poco rassicuranti e gli altri detenuti che sbuffavano per quanto fosse patetico, decise di non farlo.
L'italiano si avviò con cautela alla stazione di servizio, ancora una volta fu l'ultimo ad arrivare. Gli fu consegnata una tazza di plastica con caffè tiepido, due pezzi di toast dall'aspetto fradicio e una banana fin troppo matura. Feliciano rimase fermo dov'era, pensando all'idea di consumare lì la sua colazione. Lo sguardo tagliente che gli riservò una delle donne lo fecero rabbrividire e decise di allontanarsi in fretta.
Feliciano sentì alcuni sbuffi provenienti dai tavoli vicino a cui passava. Faceva attenzione alle gambe dei detenuti e cercava di stare a ridosso del muro mentre faceva attenzione a non far cadere il vassoio. Era consapevole di quanto sembrasse ridicolo.
L'italiano fermò la sua camminata guardandosi attorno per cercare un tavolo libero, e quasi fece cadere il vassoio quando si rese conto di essersi fermato proprio accanto a quello di Ludwig. Il tedesco era seduto al centro della panca di legno, sorseggiando il caffè ed evitando qualsiasi tipo di conversazione con chiunque nella stanza...quasi come se fosse l'unico. Feliciano non voleva ripetere l'esperienza dell'ultima volta, perciò non provò a sedersi al suo tavolo, ma rimase in piedi, sperando che nessun detenuto gli si avvicinasse per paura di far infuriare Ludwig.
Tenne goffamente il suo vassoio provando a far colazione rimanendo in piedi, cercando di ignorare le risate e i commenti aspri degli altri detenuti. Ludwig doveva averli sentiti, perché cominciò a guardarlo con espressione illeggibile. Feliciano provò ad ignorarlo mentre cercava di mangiare, il tentativo fallì quando un pezzo di toast gli cadde a terra.
Il moro sobbalzò quando sentì uno stridio accanto a sé. Diede un'occhiata a Ludwig e vide, con suo stupore, che aveva spinto la panca davanti a lui formando spazio tra essa e il tavolo. «Siediti» non grugnì a nessuno in particolare. Feliciano rimase a bocca aperta per un momento, incerto sul fatto che il tedesco avesse parlato con lui. Ludwig lo guardò seccato. «Sei sordo? Ho detto siediti» disse calciando violentemente la panca che rischiò di cadere.
Feliciano sobbalzò nuovamente e si affrettò ad avvicinarsi al tavolo. Esitò prima di sedersi. Che fosse uno scherzo? Che volessero prenderlo in giro di nuovo? Tuttavia Ludwig stava mangiando tranquillamente, i piedi entrambi ripiegati sotto alla sua panca.
Prima posò il vassoio sul tavolo, così se il tedesco l'avesse fatto cadere spostando la panca il cibo si sarebbe salvato. Feliciano fece un respiro profondo e si infilò tra il tavolo e la panca per poi sedersi lentamente. Il biondo alzò un sopracciglio per il movimento irregolare del moro, ma non disse nulla.
Tuttavia l'invito del tedesco aveva sconvolto i detenuti nelle vicinanze. Qualche carcerato su un tavolo molto affollato affianco al loro pensò che fosse una buona idea; si alzarono dalla propria panca e andarono a sedersi su quella di fronte al tedesco.
Ludwig, d'altra parte, chiaramente non era in vena di condividere il proprio spazio. «HEY!» ringhiò come un cane agli uomini che si erano appena seduti. «Pensate che sia un open bar o qualcosa del genere?! ANDATEVENE!» urlò scagliando selvaggiamente il bicchiere di plastica nella loro direzione.
In un lampo si sparpagliarono in tutte le direzioni il più velocemente possibile, il panico scritto sui loro brutti volti. Lo stesso Feliciano era balzato in piedi, il cuore spaventato batteva furiosamente. Ludwig lo guardò. «Non tu» disse in modo quasi incredulo, come stupito da quanto potesse essere stupido l'italiano.
Il moro emise una risatina nervosa mentre si risedeva goffamente, tuttavia non si sentiva a suo agio, le sue dita tamburellavano sul bordo tavolo. Si morse il labbro, schiarendosi la gola. «Um...Ludwig-»
«Guarda» ringhiò il tedesco gettando il cucchiaino che fece un leggero tintinnio. «Puoi sederti qui in modo che nessuno ti si avvicini, così che tu possa mangiare tranquillamente» l'italiano arrossì per l'imbarazzo. «Solo non parlarmi, capito?» grugnì tornando alla propria colazione.
Feliciano annuì rapidamente, aprendo la bocca per ringraziarlo quando ricordò le parole del biondo, e la richiuse di scatto. Non riusciva a capire se fosse sollevato o irrequieto nell'essere seduto sul tavolo, da quel che aveva capito, più esclusivo della sala.
~O~
Fuori, nel cortile, i detenuti venivano illuminati dal sole rovente. L'italiano vagava da solo; Alfred e Arthur non c'erano, probabilmente erano andati da qualche parte a chiarire la questione in sospeso e Feliciano, almeno per il momento, non sembrava essere la loro massima priorità. Ludwig fu uno degli ultimi a lasciare la mensa, cosa di cui il moro fu estremamente grato, poiché era certo che se avesse lasciato il tavolo da solo gli altri detenuti gli avrebbero teso un'imboscata senza il biondo a proteggerlo.
Non che il tedesco lo stesse effettivamente proteggendo. L'italiano doveva essere incredibilmente patetico se un uomo violento e freddo come Ludwig lo compativa. Non che gli dispiacesse, ovviamente, essere col biondo lo faceva sentire...al sicuro. Anche se sicurezza non era la parola giusta...meno spaventato? No, non era neanche quella. Feliciano non riusciva a trovare il termine giusto, ma sapeva che si sentiva diverso col tedesco attorno.
Comunque Ludwig, ovviamente, non aveva intenzione di fare da babysitter al piccolo e gracile italiano nonostante avessero lasciato la mensa praticamente assieme, il biondo non se ne era reso conto. Come il Mar Rosso i carcerati si separano per farlo passare. Questa volta il biondo non si diresse verso l'albero; Feliciano lo osservò mentre si avvicinava alla palestra in cerca di manubri. Tutti erano già in uso, ma quando i detenuti videro il tedesco avvicinarglisi li mollarono a terra e si allontanano.
Ludwig si chinò e afferrò i due manubri più pesanti. Il moro non poté fare a meno di notare che gli altri detenuti faceva qualsiasi cosa per far felice il tedesco, ciò avveniva in modo così naturale, come se tutti seguissero una rigorosa rutine. Il biondo stava a sollevare i pesi tra i detenuti più muscolosi. La maggior parte degli uomini pompati vicino a Ludwig non sembravano spaventati da lui, probabilmente per la loro stazza; tuttavia nessuno si fece avanti per raccogliere i pesi accanto ai piedi del biondo.
Feliciano rimase dubbioso, a pochi metri dalla palestra all'aperto. Per quanto intimidatorio fosse il tedesco, tra tutti i detenuti, si era dimostrato la persona più buona con lui. Poteva stare silenziosamente accanto a lui a guardarlo sollevare pesi, giusto? No, sarebbe stato troppo patetico. Forse avrebbe dovuto sollevare dei manubri a sua volta.
Entrò titubante nella palestra, alcuni dei muscolosi detenuti alzarono lo sguardo su di lui ma non dissero nulla. Sembravano come Ludwig, stando per i fatti loro, non volendo immischiarsi in faccende che non li riguardavano. Feliciano si chinò leggermente per prendere il manubrio più piccolo che aveva visto, vicino a una delle caviglie del tedesco. Il biondo non sembrava averlo notato, le braccia lavoravano furiosamente sui grandi pesi e lo sguardo fisso davanti a sé. L'italiano provò ad alzarsi ma si scoprì essere incapace di farlo, i due piccoli manubri erano troppo pesanti per le sue magre braccia.
Arrossendo leggermente e controllando che nessuno lo stesse fissando, mollò la presa su un manubrio e tentò di sollevare l'altro con entrambe le mani. Con un lieve grugnito per lo sforzo, Feliciano riuscì a rimettersi in piedi, le mani tremanti reggevano il peso. Alzò di poco le braccia in segno di trionfo, sfortunatamente perse l'equilibrio barcollando all'indietro e finì addosso a un detenuto.
Il grande e grosso uomo si girò verso di lui, lo sguardo furioso sul suo volto arrossato. Feliciano non l'aveva neppure fatto vacillare, era come un muro di mattoni. Tuttavia era chiaramente arrabbiato. «OI!»
Il piccolo italiano mollò il manubrio a terra e cominciò a scusarsi mentre indietreggiava. «M-mi dispiace...mi dispiace c-così tanto...io...no, voglio dire, è stato un incidente-»
Rimase senza fiato quando una delle grandi mani dell'uomo lo sollevarono da terra per il colletto della tuta, avvicinandolo al suo brutto muso. «Chi cazzo ti credi di essere?!» ringhiò mostrando i denti, appuntiti come quelli di uno squalo.
Il moro scosse disperatamente la testa, lacrime gli salirono agli occhi, i piedi pendevano da terra. «M-mi dispiace, per favore...mi dispiace!» strillò.
L'uomo ringhiò nuovamente e sul collo taurino cominciavano a formarsi grosse vene.
Un forte rumore fece spaventare gli uomini attorno a loro. Il detenuto alzò lo sguardo su Ludwig che lo guardava a braccia conserte dopo aver lasciato cadere a terra i manubri. «Lascialo andare, Blake» disse lentamente.
Blake inarcò un sopracciglio, ma allentò la presa sull'italiano. «Perché dovrei farlo»
Feliciano temette che quell'uomo non avesse paura di Ludwig. Tuttavia il tedesco mantenne la sua severa compostezza, inarcando un sopracciglio biondo. «Perché accadono brutte cose alle persone che non fanno quel che dico» ringhiò a bassa voce facendo rabbrividire il proprio compagno di cella. «E non so quali potrebbero essere queste cose, perché tutti fanno sempre quel che dico di fare»
Blake gli lanciò una brutta occhiata e mollò il piccolo italiano, facendolo cadere duramente a terra. «Mi sono stufato di te che ti comporti come un fottutissimo re per tutto il tempo» sputò per poi avvicinarsi al biondo. Per la prima volta da quando lo aveva incontrato, Feliciano temeva per il tedesco; quell'uomo troneggiava su Ludwig di almeno quindici centimetri ed era molto più grosso di lui. Gli altri detenuti fissavano i due a bocca aperta, trattenendo il respiro per vedere come avrebbe reagito Ludwig.
Il tedesco ghignò. «Allora perché non fai qualcosa al riguardo?» chiese con tono invitante.
La grande mano messa a pugno di Blake si scagliò verso la faccia del biondo; Ludwig parò il colpo con una mano, e con l'altra colpì l'uomo alla bocca dello stomaco. Blake collassò a terra e Il tedesco gli schiacciò un piede sullo stomaco. L'italiano rimase scioccato quando vide l'uomo piagnucolare e chiedere scusa proprio come aveva fatto lui pochi attimi prima.
Ludwig sbuffò annoiato e lo lasciò andare, guardandolo disgustato. «Vattene» sibilò; Blake si alzò lentamente in piedi, un'intensa nota di rabbia e dolore si diffuse sul suo volto mentre usciva dalla palestra, lasciando la propria dignità dietro a sé.
Il biondo cercò di tornare ai propri manubri, ma a Feliciano era venuta un'idea. Una pessima idea. Prima che potesse fermarsi e riflettere sulle proprie azioni, si lanciò in avanti e afferrò una manica del tedesco, fissandolo meravigliato. «Ludwig...» respirò, quasi raggiante. «Grazie-»
Come d'istinto, Ludwig si girò e colpì il moro alla mascella, facendolo cadere a terra. Feliciano ansimò per il dolore e si rannicchiò in posizione fetale. Il biondo scosse la testa, chinandosi sull'italiano piagnucolante. «Ho dimenticato di dire che la regola, oltre al non parlarmi, includeva anche il non toccarmi?» borbottò bruscamente all'orecchio di Feliciano. «Forse sarei dovuto essere più chiaro» il tedesco si rimise in piedi, calpestò il piccolo moro e tornò ai suoi manubri.
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