Capitolo 3
Nel giro di un'ora a Feliciano Vargas era stata mostrata tutta la prigione, dalle cucine alle docce e ai bagni, dal centro per le visite alle celle di isolamento. L'italiano aveva avuto enormi problemi a prestare attenzione a quello che gli diceva Arthur, e aveva rischiato di perdersi più di una volta. Era ancora scosso dalla sua caduta in mensa, non tanto per il dolore, anche se le ginocchia gli pulsavano ancora, ma per l'umiliazione generale e lo sguardo di tutti i carcerati puntato su di lui. E il ricordo degli occhi azzurri e penetranti di Ludwig, mentre lo guardavano con un misto di fastidio e disgusto, era tale da fargli sentire una morsa all'altezza dello stomaco.
L'ultimo posto che l'inglese e l'americano fecero vedere a Feliciano fu il cortile, l'unico luogo della prigione in cui i detenuti potevano assaporare un piccolo assaggio della libertà. Dovevano solo ignorare le dozzine di guardie armate, le imponenti mura di cemento, e il filo spinato affiliato come un rasoio che luccicava minaccioso alla luce del sole sopra a quest'ultime. Era un ampio spazio posto sul retro del carcere, completamente asfaltato ad eccezione di qualche macchia di vegetazione.
Ridosso a una parete c'era un campo da basket i cui canestri avevano assunto un colorito arancio a causa della ruggine, mentre una pila di pesi era posta vicino all'ingresso del cortile e costituiva una palestra. C'era solo un albero, una quercia piuttosto alta ma senza foglie che si trovava perfettamente al centro. Alcune panchine e tavoli era sparse attorno all'aia, ma erano attaccati al terreno per evitare che i detenuti li usassero come arma.
Quando l'italiano raggiunse il cortile i carcerati aveva già finito di fare colazione da quasi un'ora e, in quel momento, si trovavano fuori. Una violenta partita di basket si stava disputando tra due bande rivali, anche se sembrava di guardare un incontro di wrestling, ma con più pugni e qualche pallacanestro occasionale. Diverse guardie si trovavano ai margini del cortile, accanto alle pareti di cemento, per mantenere l'ordine. I detenuti più corpulenti erano nella palestra a sollevare pesi o facevano addominali e flessioni. Altri si limitavano a stare con le proprie bande, lanciando sguardi sporchi alle altre.
Ludwig, ancora una volta, fu il più facile da individuare. Era in piedi poggiato al tronco della quercia e le braccia incrociate all'ampio petto. I suoi occhi erano chiusi, eppure sul suo viso era sempre presente la solita brutta smorfia. Non un solo detenuto si trovava a meno di una decina di metri dal tedesco. Tutti si tenevano a debita distanza da lui e da quell'albero, e l'italiano aveva intuito che fosse a causa del biondo stesso.
«Okay man, questo è il cortile.» disse Alfred mostrandogli l'area con scarso entusiasmo.
«Tuttavia, i detenuti non possono uscire quando vogliono.» disse Arthur vicino al castano «Rimangono qui fino all'ora di pranzo, poi questo posto resterà chiuso fino al giorno seguente e possono tornare alle loro celle o dedicarsi ad altre attività.»
«Tipo cosa?» chiese piano Feliciano, sperando di far perdere tempo alle due guardie in modo da non essere lasciato solo.
«Well, qualche lavoro » spiegò il britannico «Nelle cucine o in ufficio a fare piccoli compiti.»
«Abbiamo anche organizzato alcune sessioni per tossicodipendenti.» lo informò l'americano «...non è che fai uso di droga, vero?»
Prima che Feliciano potesse rispondere Arthur lo batté sul tempo «Certo che no, Alfred. Non ti sei preso nemmeno la briga di leggere il suo file, eh?» disse alzando gli occhi al cielo.
«Non prendertela con me, dude. Poteva anche non esserci stato scritto.»
«Scritto o no, dovresti sempre preoccuparti di leggere tutto in modo approfondito.»
Feliciano rimase in silenzio ad ascoltare le due guardie; nel lasso di tempo in cui era già stato lì aveva notato che quei due litigavano come una vecchia coppia sposata anche per le questioni più banali.
«Comunque» parlò Alfred quando fu riuscito a zittire l'altro biondo «abbiamo organizzato queste sessioni nella speranza che i detenuti fuori da qui smettano di fare uso di droghe.»
«Si, però non sembrano funzionare comunque...» mormorò Arthur. «Ci sono anche sessioni di studio, puoi frequentarle se vuoi...anche se le seguono i detenuti con poca o nessuna istruzione.»
«...cosa fa Ludwig?» chiese piano Feliciano.
Le due guardie si scambiarono un'occhiata. «Non fa niente.» disse l'americano con un'alzata di spalle «Sta da solo per tutto il tempo.»
«Senti, Feliciano...» disse Arthur con un sospiro mettendogli una mano sulla spalla; aveva notato il certo interesse che aveva l'italiano per il tedesco. «Se fossi in te non mi avvicinerei troppo a Ludwig. So che l'idea di poter avere protezione da parte sua sembra allettante ma, fidati, non accadrà.»
Feliciano si morse il labbro. «Perché no?»
«Perché non vuole persone accanto a sé.» spiegò Alfred con quasi una risata.
«Preferisce l'isolamento, ecco perché è sempre così incazzato quando gli assegnamo un nuovo compagno di cella.» disse Arthur «...eppure penso, anche se non lo ammetterebbe mai, che ti compatisca un po'. Forse è per questo che non ti ha picchiato.»
«Non confondere la pietà per l'amicizia.» lo avvertì Alfred dandogli una pacca sulla schiena. «Basta stargli alla larga e sarà meglio per entrambi.»
L'italiano annuì lentamente, sentì le due guardie arretrare di qualche passo e il suo cuore mancò un battito quando si rese conto che lo stavano lasciando.
«Ci vediamo in giro Feliciano, sta lontano dai guai, okay?» disse Arthur facendogli un sorriso rassicurante prima che entrambi andassero a fermare la rissa scoppiata sul campo da basket, abbandonando definitivamente il castano.
Feliciano rimase immobile, congelato sul posto, davanti all'entrata del cortile. Per suo fortuna nessun detenuto stava prestando attenzione a lui, e ciò lo rassicurò un poco. Però un dubbio lo assalì. Cosa avrebbe dovuto fare? Rimase lì per un altro quarto d'ora e ovunque guardasse vedeva solo volti ringhianti e intimidatori.
Pensava che il miglior modo di agire fosse quello di imitare Ludwig, trovare un posto dove stare solo e sperare che nessuno si accorgesse di lui o, quanto meno, non gli si avvicinasse.
Sarebbe stato comunque molto difficile, dal momento che il cortile era molto affollato e alcune guardie lo stavano fissando insistentemente, chiedendosi, probabilmente, perché non si fosse ancora mosso dalla porta.
Tutte le panchine erano state occupate dai carcerati e Feliciano notò che alcuni si erano riuniti attorno ad un tavolo dove un uomo, in piedi, parlava loro come se fosse una sorta di palcoscenico. Vide anche che quell'uomo teneva sottobraccio un uomo più mingherlino e giovane di lui e pareva che lo stesse esibendo agli altri per motivi che l'italiano preferì non sapere, infatti voltò la testa di lato per non vedere oltre.
Feliciano sospirò profondamente, si morse leggermente il labbro inferiore e cominciò a fare qualche passo verso il cortile. Al di là delle mura in cemento c'era solo una deserta strada sterrata, nessuno segno di civiltà per miglia.
Feliciano proseguì facendo passi sempre più piccoli man mano che si avvicinava agli altri detenuti, e in poco tempo si ritrovò circondato da tute arancioni. Alzò lo sguardo su Ludwig, aveva ancora quella smorfia stampata sul volto.
«Ciao.»
L'italiano sobbalzò quando sentì una voce sconosciuta e molto vicina a lui. Si girò e si ritrovò davanti a un detenuto. L'uomo sembrava avere all'incirca una quarantina d'anni, grandi braccia muscolose con alcuni tatuaggi scarabocchiati sopra e troneggiava su di lui di almeno mezzo metro. Il carcerato aveva corti capelli neri e piccoli occhi infuocati; stava dando all'italiano un aspetto molto minaccioso.
«C-ciao.» balbettò di rimando l'italiano arretrando di un passo.
«Come ti chiamano?» borbottò senza che i suoi occhi lasciassero il viso del giovane.
L'italiano deglutì leggermente, era una domanda semplice, ma le dimensioni e l'aspetto di quel carcerato erano spaventosi.
«Ehm...sono Feliciano.»
L'uomo riconobbe immediatamente il suo accento. «Sei italiano?»
Feliciano annuì lentamente. «...sì» disse piano cominciando ad arretrare.
Annuì guardandolo l'italiano. Al moro non piacque il modo in cui veniva osservato, gli ricordava molto un animale assetato di sangue quando vedeva una gustosa vittima. «Va bene, vieni con me.»
Prima che Feliciano avesse il tempo di assimilare cosa stesse succedendo, l'uomo fece un piccolo scatto in avanti e lo afferrò per l'avambraccio. Iniziò a trascinarlo via e il giovane non poté opporre resistenza, non poteva liberarsi dalla presa possente e dolorosa del detenuto, probabilmente sarebbe rimasto il segno delle dita. Dove diavolo lo stava portando quell'uomo? Si guardò attorno alla ricerca di Arthur e Alfred ma non riuscì a vederli tra tutti i carcerati.
La sua paura crebbe soltanto quando vide verso ciò a cui si stavano avvicinando; il tavolo che aveva individuato in precedenza dove si stava svolgendo quella che sembrava essere una specie di asta. Una folla di carcerati agitava pacchetti di sigarette e spuntini commestibili all'uomo sul tavolo che teneva sottobraccio un ragazzo dai capelli rossi, il quale sembrava spaventato nel trovarsi nella stessa situazione di Feliciano. Mentre l'italiano veniva fatto avvicinare a forza, il magro detenuto (anche se non era magro quanto Feliciano) venne consegnato a un uomo corpulento in mezzo alla folla, in cambio di tre pacchetti di sigarette e una barretta di cioccolato.
Qualunque cosa si fosse aspettato Feliciano, non era certo questo. «Ne ho un altro.» grugnì l'uomo che lo aveva condotto fin lì mentre lo sollevava e lo meritava sul tavolo. L'altro detenuto, grande quanto il precedente, lo tenne per le braccia e lo spinse in avanti presentandolo alla folla come se fosse un pezzo di carne. Un mare di occhi affamati e minacciosi lo fissò. Lo stesso italiano li guardava spaventato mentre cercava, invano, di allentare la presa sulle braccia.
«Bene bene, quali sono le offerte per questo?» disse l'uomo in tono burbero rivolto verso la folla di detenuti.
«Due pacchi.» disse un detenuto dai capelli neri prendendo due pacchetti di sigarette dalla tasca dei pantaloni.
«Mi stai prendendo per il culo?» ringhiò l'uomo tenendo fermo il giovane italiano. «Questo è meraviglioso.» disse con un ghigno contorto e gli occhi brillanti mentre tirava le guance del moro.
«Non ne accetto meno di tre.»
Feliciano si sentì male fisicamente; mai in vita sua la parola "meraviglioso" era stata così lontana da un complimento. Quando il suo viso fu liberato iniziò ad allungare il collo nel disperato tentativo di individuare Arthur e Alfred o qualsiasi altra guardia.
L'uomo mantenne salda la presa sui polsi del giovane. «Chi altro?»
«Tre pacchi e un candy bar.»
«Tre pacchi e due barrette di cioccolato.»
«Qual è lo stato del ragazzo?» urlò un detenuto ai margini della folla fermando l'asta.
«Sei vergine?» abbaiò l'uomo aumentando la presa sui polsi del moro, limitandone ulteriormente il movimento.
L'italiano cominciò a tremare sotto a quello sguardo minaccioso, sudava freddo e il suo cuore batteva furiosamente. «E-ehm...i-io...» balbettò piano.
«Questo è un sì allora.» l'uomo sogghignò per poi rivolgersi nuovamente alla folla. «Un vero culo vergine in palio qui.» annunciò facendo impallidire Feliciano.
«Richard, è anche italiano.» gli disse l'uomo che aveva prelevato il giovane.
«Un vero verginello italiano.» chiarì Richard, così si chiamava l'uomo, sottolineando la parola "italiano" come se aumentasse il valore del giovane.
«Quattro pacchi.»
«Quattro e mezzo.»
La guerra delle offerte continuò mentre Feliciano, sempre più spaventato, cercava disperatamente delle guardie, ma nessuna era in vista.
«Tranquillo piccoletto, ti divertirai molto.» sogghignò l'uomo all'orecchio del moro.
«Sei pacchi.» disse un grande detenuto al centro della folla, facendo sì che le voci degli altri carcerati si riducessero a mormorii. Nessuno sembrava intenzionato a fare una controfferta.
Richard aspettò ancora qualche istante prima di parlare. «Congratulazioni Eric, ti sei appena aggiudicato questo splendido verginello.» Feliciano cominciò a tremare mentre l'uomo che lo aveva comprato si stava avvicinando al tavolo per reclamare il suo premio, sul suo brutto viso era stampato un ghigno perverso. Il giovane tentò invano di liberarsi dalla stretta, il suo cuore batteva furiosamente, si sentiva ad un passo dall'iperventilazione mentre i suoi occhi diventavano lucidi. Si sentì spingere in avanti, pronto per essere rivendicato.
«Sei pacchetti di sigarette e due barrette di cioccolato.»
La folla fu bruscamente messa a tacere dal nuovo arrivato e l'italiano sentì Richard irrigidirsi. Il mare di tute arancioni si aprì rivelando il detenuto, tutti lo stavano fissando con un misto di confusione e shock, chi perfino con paura. Lo stesso Feliciano era più sbalordito degli altri. Lì, al centro della folla, avanzando lentamente verso il tavolo, c'era Ludwig.
Richard inarcò un sopracciglio scollando poi le spalle. «Venduto al miglior offerente.» disse con un ghigno tendendogli il giovane fra le sue braccia.
Ludwig diede all'altro detenuto le sigarette e il cioccolato, prima di prendere Feliciano, trascinandolo tra la folla di detenuti ancora scioccati. L'uomo che originariamente aveva comprato il piccolo italiano non osò protestare quando si rese conto che era stato il tedesco a fregargli il premio.
Il moro rischiò di inciampare più volte sotto la stretta ferrea del detenuto, le sue dita gli stringevano il braccio mentre lo trascinava per il cortile.
Feliciano non sapeva se essere più sollevato o preoccupato da quel cambio di eventi. Era così confuso; Ludwig lo aveva salvato dall'essere lo schiavo sessuale di qualcuno, eppure era stato comprato dal tedesco stesso, il detenuto più tenuto di tutto il carcere.
Il moro fu improvvisamente sbattuto con la schiena sul tronco dell'unico albero del cortile. Il tedesco lo teneva bloccato e il suo volto era rosso per la rabbia.«Cosa cazzo pensavi di fare?!» ringhiò a pochi centimetri dal viso dell'italiano.
Feliciano cominciò a tremare. «Cos- non...voglio dire io-»
«Che diavolo stavi facendo per essere coinvolto in tutto ciò?!» urlò spostando lo sguardo sull'asta e subito dopo sul viso del giovane.
L'italiano scosse la testa mentre cercava, inutilmente, di arrampicarsi al contrario sull'albero per scappare. «Io no, voglio dire...»
«Per l'amor del cielo! Anche un sempliciotto come te capirebbe di essere stato coinvolto in cose del genere.» sbottò. «Voglio dire, vuoi davvero diventare il punk di qualcuno?»
«Il che d-di chi?» balbettò piano il minore.
«La cagna di un detenuto. È questo che vuoi?!» Ludwig scattò, lanciandogli un'occhiataccia. «Perché è quello che succede ai deboli come te che si lasciano trascinare in giro! Per l'amor di Dio, Vargas morirai se non ti alzi un po'!» urlò.
Per un momento allentò la presa sul giovane per lasciarlo andare, poi però lo strinse maggiormente facendolo sussultare. «Se qualcuno dovesse chiederti se sei la mia puttana faresti meglio a negare. Hai capito?» ringhiò.
«...p-perché?»
«Perché?» sputò Ludwig disgustato. Si avvicinò al moro. «Perché non sono un cazzo di pervertito malato di culi che ha bisogno della cagna, sono un lupo solitario» si rialzò lasciando cadere Feliciano. «E non ho intenzione di salvarti il culo ogni volta che sei nei guai, perciò, COMPORTATI COME UN CAZZO DI UOMO!» ruggì il tedesco.
Feliciano trasalì, chiuse gli occhi e iniziò a tremare mentre si stringeva al tronco della quercia. Quando li riaprì vide che Ludwig se n'era andato e lui non poté far altro che rimanere congelato sul posto. Le persone intorno a lui non sembravano aver notato cosa fosse successo, o forse avevano deliberatamente deciso di non guardare; facevano le loro attività ignorandolo completamente. Quando il suo cuore tornò a battere a un ritmo regolare, e quando smise di tremare, solo allora, si rese conto di quanto il suo stomaco si stesse contorcendo.
L'italiano dovette essere visitato da Elizabeta. Arthur lo trovò nella parte anteriore del cortile intento a vomitare quel poco che aveva nello stomaco. Il britannico aveva suggerito di portarlo dal medico del suo blocco viste le condizioni del piccolo, pallido e tremante italiano.
Normalmente Feliciano avrebbe detto che non c'era niente di cui preoccuparsi, era solo sotto shock, non che fosse malato. Tuttavia non disse nulla, non poteva perdere l'occasione di rincontrare l'amichevole ungherese, anche solo per pochi minuti.
La ragazza gli misurò la temperatura e gli diede un bicchiere d'acqua, dicendo che era sano come un pesce e che forse aveva bisogno di un po' di riposo. Il giovane non disse nulla per tutto il tempo, era stato tentato di sfogarsi con la dottoressa ma preferì non farla preoccupare inutilmente.
Quando Alfred e Arthur lo trascinarono via dall'ufficio di Elizabeta lo portarono in mensa per pranzare. Feliciano era ancora piuttosto scosso e non aveva fame, per niente. Perciò non gli dispiacque quando il suo cibo gli venne tolto di mano, non avrebbe mangiato comunque. A cena, invece, Arthur insistette affinché mangiasse, e il moro non poté opporsi.
Quando era tornato nella sua cella tra pranzo e cena Ludwig non c'era. Arthur ne era rimasto piuttosto sorpreso e Feliciano ebbe la sensazione che il detenuto lo stesse evitando di proposito.
Comparve solo alle sette, quando tutte le celle dovevano essere chiuse, mentre alle dieci le luci venivano spente. L'italiano era rimasto raggomitolato nella cuccetta inferiore e quando il tedesco lo vide fece una smorfia per poi stendersi sul proprio letto senza dire una parola.
Feliciano aveva pensato che sarebbe stato meglio non raccontare ad Arthur la sua esperienza in cortile: aveva troppa paura che i detenuti si sarebbero vendicati se avessero saputo chi avesse fatto la spia. Chiese comunque alla guardia di spiegargli esattamente cosa fosse un punk; l'inglese si era subito allarmato e gli disse che non avrebbe mai dovuto avere a che fare con certe cose. Gli spiegò che un detenuto decideva di diventarlo in cambio di protezione, tuttavia questo lo portava a diventare uno schiavo sessuale da abusare nelle maniere più brutali e pietose.
Solo allora il giovane italiano si rese veramente conto di ciò che Ludwig aveva fatto per lui. Lo aveva salvato dal peggior destino possibile, anche se il tedesco chiaramente non lo sopportava, lo aveva comunque aiutato. Feliciano si sedette con molta esitazione e sussultò quando il letto scricchiolò leggermente, per fortuna il biondo non disse nulla. Il moro si morse il labbro mentre stringeva il lenzuolo sottile tra le dita, si sentiva in colpa. Non per il fatto che il tedesco avesse intimidito gli altri detenuti... non sapeva che valore avessero pacchetti di sigarette e barrette di cioccolato in quella prigione, ma di una cosa era certo: Ludwig aveva pagato per la sua libertà.
Feliciano si spostò lentamente verso il bordo del letto, il suo cuore batteva velocemente mentre pensava a quello che stava per fare. Poteva sentire il respiro regolare del tedesco sul letto sopra al suo e si chiese se stesse dormendo, c'era solo un modo per esserne sicuro. Si alzò in piedi molto cautamente, il biondo non diede segno di averlo notato; l'italiano afferrò le rotaie, le gambe tremavano mentre cominciava a salire sulla scaletta.
Il suo stomaco si contorse nuovamente mentre guardava Ludwig disteso di schiena, poteva solo distinguerlo nella penombra. Feliciano dischiuse le labbra per parlare ma non emise un suono. L'unico rumore che fece fu quello di un gemito soffocato quando il tedesco si mise seduto guardandolo con gli occhi socchiusi, brillavano nel buio come quelli di un gatto. «Cosa vuoi?» ringhiò.
Il moro deglutì rumorosamente, il suo cuore aumentò la velocità dei battiti mentre lo sguardo del biondo sembrava perforarlo. «Ehm... io... ecco, ero solo... ehm...» balbettò spaventato.
«Parla!» scattò Ludwig.
L'italiano sussultò. «B-beh...io...tu...ehm...mi hai salvato...» disse guardandolo negli occhi. «...grazie.»
«Di niente» grugnì il tedesco. «Era tutto quello che volevi dirmi?»
Feliciano scosse la testa. «N-no...sigarette e cioccolato...sono come i soldi qui, giusto?»
«Ja.»
Feliciano annuì lentamente, in fondo se lo aspettava, e questo non fece altro che aumentare il senso di colpa. «Quindi...ehm...valgo molto?» chiese sperando in Dio che la risposta non fosse un sì.
Sfortunatamente Ludwig annuì. «Sì, estremamente. Quelli molto belli lo sono sempre.» borbottò. L'italiano annuì mordendosi il labbro. Il biondo sospirò irritato mentre il giovane non si muoveva per scendere dal suo letto, sembrava riflettere. «E adesso?»
Feliciano gli si avvicinò, il cuore batteva furiosamente sotto la sua tuta mentre pensava a quello che stava per fare, quello che stava per offrire. L'italiano non poteva ignorare l'intenso senso di colpa che lo inondava, era una tortura. Mai nella sua vita qualcuno aveva fatto una cosa così carina per lui senza che il moro gli desse qualcosa in cambio...e per quanto il suo corpo tremasse e la sua coscienza gli dicesse di fermarsi, doveva procedere.
«Io...non dovevi farlo...ora mi sento in debito...» mormorò piano mentre poggiava una mano sulla gamba dell'uomo. Le sue dita sottili lo sfiorarono a malapena, ma il suo battito cardiaco quasi triplicò a quel contatto. Feliciano si morse il labbro, la voce tremava mentre parlava. «Quindi...se vuoi...» la sua mano si spostò più in alto, verso il ginocchio del biondo. «Voglio dire, mi hai comprato...»
L'italiano rimase a bocca aperta mentre la mano che percorreva la gamba di Ludwig fu presa da Ludwig stesso. «Nein.» sputò allontanando la mano di Feliciano da lui. «Non pensare nemmeno per un secondo di offrirti a me.» ringhiò, i suoi occhi sembrarono scurirsi.
Il moro fu preso dal panico. «M-mi dispiace...io non...»
«Che diavolo hai che non va?!» disse incrociando le gambe. Guardò il giovane. «Per cominciare stai dando per scontato che mi piaccia avere rapporti sessuali con uomini.»
L'italiano sembrava allarmato, aveva sicuramente insultato il tedesco. «N-no...non intendevo...solo...io» balbettò disperatamente, impallidendo, si sentì nuovamente male.
Ludwig alzò gli occhi al cielo sospirando, decise di tirare fuori il moro dalla sua miseria. «Fortunatamente per te quel'ipotesi è corretta.» mormorò, inarcò un sopracciglio per la sorpresa che aveva notato nello sguardo del minore. Il tedesco gli si avvicinò, la sua voce si fece sinistra. «E non sono affatto d'accordo al modo in cui quei bastardi mettono all'asta i deboli per il loro guadagno personale; è solo un modo malato per giustificare lo stupro e non ci farò nulla.»
Feliciano annuì in fretta, desideroso di scendere nella sua cuccetta il prima possibile, ma Ludwig non aveva ancora finito con lui. Il suo sguardo freddo impediva al giovane di muoversi, i suoi occhi azzurri erano fissi su quelli ambrati dell'italiano e non battevano ciglio. «Ma se mai avessi voluto fotterti, Vargas, l'avrei fatto nel momento stesso in cui saresti entrato in questa cella. Con o senza il tuo permesso, e non avrei dovuto pagare per il privilegio.» disse cupamente. «Perciò non provare a offrirti mai più come un giocattolo sporco. Per l'amor di Dio Vargas, abbi un po' di rispetto per te stesso.» ringhiò con la, ormai familiare, espressione di disgusto. Si ristese sul letto e chiuse gli occhi, come nulla di tutto ciò fosse mai accaduto.
L'italiano sembrò congelato per lo shock, tremando internamente anche quando gli occhi color ghiaccio di Ludwig scomparvero dalla sua vista. Fece appello a tutta la sua forza di volontà per riuscire a scendere dalla scaletta e stendersi nella propria cuccetta. Si rannicchiò sotto le lenzuola, il suo corpo tremava così violentemente che rischiava di far tremare l'intero letto. Feliciano non riusciva a capire se fosse stato più grande lo shock di essere stato così gravemente sbagliato o quello della minaccia di un potenziale stupro.
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