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Capitolo 12

Antonio sospirò, passando le dita tra le ciocche castane arruffate e ricciute, da tempo perse del loro solito splendore. Fissò scoraggiato i fogli e le lettere che sporcavano il tavolo nella piccola cucina dell'appartamento, molte delle quali avevano parole minacciose stampate sul carattere con inchiostro rosso sangue. Lo spagnolo impiegò alcuni istanti a strofinarsi duramente gli occhi stanchi prima di afferrare quello successivo, aprendolo lentamente e sfogliando il messaggio eccessivamente formale, quasi rabbioso, il quarto che avevano ricevuto questo mese dalla banca. Antonio afferrò la sua penna rosicchiata e mezza rotta e trascinò il suo taccuino verso di sé, scarabocchiando alcuni appunti dalla lettera insieme ad alcuni numeri; ormai il taccuino era quasi pieno di pagine, la maggior parte erano sparse sul pavimento della cucina in palline accartocciate.

L'improvviso, forte, orribile odore di tabacco fluttuò fin troppo sgradevole nelle narici dello spagnolo mentre si metteva al lavoro, arricciando il naso con disgusto; Antonio si alzò e girò la testa, fu sorpreso di vedere il suo compagno italiano, inquieto accanto alla porta della camera da letto dietro di lui, inalando furiosamente una sigaretta.

Antonio aveva un punto di tosse odioso. "Lovino metteresti fuori quella cosa?" chiese tra un colpo di tosse e l'altro, respingendo la nuvola grigia che iniziava ad accumularsi intorno alla sua testa. "Non fumi."

L'italiano gli lanciò un'occhiataccia, gli occhi pesanti di occhiaie. "Lo faccio quando sono stressato!" sibilò irritato facendo diversi tiri irregolari, la cenere che cadeva dalla sigaretta come neve sul pavimento.

Antonio sospirò, girandosi sullo sgabello per affrontarlo. "Smettila." affermò severamente. "Seriamente spegnilo Lovi che puzza." lo spagnolo scosse la testa, tornando alle scartoffie sparse. "... e non sul tuo braccio!" aggiunse, individuando il riflesso dell'italiano nel microonde di fronte a lui sul bancone, che stava iniziando ad arrotolarsi la manica del maglione.

Lovino digrignò i denti, gettando la sigaretta smussata nel lavandino; Antonio continuò a scarabocchiare i suoi appunti, tamburellando lentamente su una calcolatrice seduta sul tavolo di fronte a lui. L'italiano iniziò a camminare avanti e indietro per la minuscola cucina, aggirandosi intorno al tavolo come un animale in gabbia. "Non posso credere che non abbiano risposto alla nostra lettera!" ringhiò all'improvviso, facendo sobbalzare Antonio. "Maledetti stronzi..."

"... Lovi uno dei loro familiari è in ospedale in coma e il ragazzo che pensano sia responsabile è dietro le sbarre ..." spiegò lentamente Antonio per quella che doveva essere almeno la centesima volta, aggrottando leggermente la fronte quando ha perso la sua posto nel suo calcolo corrente. Sospirò, posando la penna si strofinò una mano sul viso. "... non gli importerà se suo fratello gli manda o meno una lettera dicendo loro che è innocente." mormorò, guardando tristemente il suo partner.

"Allora andremo in ospedale!" Romano scattò, interrompendo il movimento. "Andremo lì e aspetteremo che la famiglia si presenti."

Antonio scosse la testa. "... e poi cosa Lovi?" chiese incredulo.

"Parlerò con loro!" l'italiano ha sparato con decisione. "Dì loro cosa c'è e fagli capire che è stato un errore!"

"Cosa ti fa pensare di poterli convincere che Feli è innocente?" Chiese piano Antonio, alzandosi lentamente per allungare la schiena. "Non ha funzionato al processo."

Lovino sbatté le mani davanti allo spagnolo, mandando via dal tavolo i fogli e la lettera. "Quindi vuoi solo che ci arrendiamo, è così !?" chiese, oltraggiato.

Antonio inciampò un po 'sullo sgabello sorpreso. "No-"

"Pensavo che ti importasse di più di questa famiglia di quell'Antonio!" ringhiò l'italiano, lanciandosi praticamente sul tavolo verso lo spagnolo.

Antonio si sporse in fretta all'indietro, alzando una mano calmante. "Lovino sto solo dicendo che non c'è niente che possiamo davvero fare per cambiare quello che è successo." disse implorante.

"Questo non significa che non possiamo provarci!" Disse Lovino, rialzandosi di scatto e ricominciando a camminare avanti e indietro davanti al tavolo.

Antonio sospirò piano. "Più tempo passiamo a provare, più tempo Vargas 'Place rimarrà chiuso."

"Fanculo a Vargas' Place!" Sbottò Lovino incredulo, fermandosi slittando sulle assi lisce del pavimento; rivolse il suo sguardo arrabbiato al suo partner. "Non me ne frega un cazzo del maledetto caffè quando il mio fratellino è rinchiuso in prigione!"

Lo spagnolo scosse la testa, aggrappandosi alla parte anteriore dei suoi capelli mentre fissava disperatamente le lettere aperte sparse sul pavimento. "Lovino dobbiamo ricominciare a portare soldi, siamo chiusi da così tanto tempo che ho dovuto iniziare a spendere i nostri risparmi-"

"Non mi interessa!" Urlò, la pelle olivastra abbronzata delle sue guance divenne di una profonda sfumatura di rosso. "Non faremo NIENTE finché Feliciano non sarà tornato qui con noi!"

"Ci vorranno due anni Lovi!" Gridò in modo allarmante Antonio.

"Non se lavoriamo sul suo caso!"

"Sono settimane che lavoriamo al suo caso tutto il giorno e tutta la notte, Lovi!" lo spagnolo gemette disperatamente. "È ora di accettare che non c'è niente che nessuno di noi possa fare per farlo uscire di lì!" la sua voce si alzava insieme alla sua insolita rabbia.

L'italiano ringhiò. "Beh, non tornerò a lavorare finché mio fratello non sarà liberato!" sputò furiosamente, le braccia che gli tremavano lungo i fianchi.

"Adesso ascoltami Lovino Vargas!" Antonio si era alzato di scatto in piedi, precipitandosi dall'altra parte del tavolo per affrontare il suo partner italiano, torreggiando a pochi centimetri sopra l'uomo più basso. "Non ho rinunciato al lavoro dei miei sogni per stare qui con te perciò non puoi smettere quando le cose si fanno difficili!" gli urlò in faccia, le ciocche ricci praticamente rizzate. Rimase in piedi con le mani piegate a pugno per prendere il colpo pieno della risposta di Lovino; l'italiano aprì la bocca con l'intento di ribattere ma la sua voce si spezzò improvvisamente e trasse un grande respiro tremante, scoppiando in singhiozzi di lacrime. La rabbia di Antonio si disperde e il suo cuore si addolcì alla vista del suo compagno che piangeva, lo avvolse in fretta in una stretta forte, cullandolo teneramente.

"Lovi ..." mormorò lo spagnolo, con la voce ancora leggermente tremante, i resti del suo sfogo. Lo baciò dolcemente sulla fronte, tenendolo stretto in un abbraccio finché le spalle tremanti dell'italiano cessarono di tremare ei suoi singhiozzi si placarono in morbidi mormorii. Antonio si tirò indietro delicatamente, mettendo le mani confortanti sulle spalle del suo compagno e guardando la testa abbassata dell'italiano. "Lovi, quando sono venuto a vivere da te abbiamo sempre parlato di come niente ci avrebbe mai impedito di vivere le nostre vite ..." disse dolcemente lo spagnolo, sollevando il mento dell'altro per guardarlo, lo rattristò vedere le grandi lacrime che si rovescia sul viso dell'italiano. "... non è più vero?"

Lovino tirò su col naso, strofinandosi il dorso della mano sugli occhi. "Io ..." la voce dell'italiano tremò visibilmente, le lacrime ancora scendevano sul suo viso arrossato. "Non avrei mai immaginato che avrebbe incluso vivere senza mio fratello ..."

La sua voce si spezzò sull'ultima parola mentre minacciava di scoppiare di nuovo in singhiozzi e Antonio lo tirò di nuovo vicino, passandogli una mano tra i capelli scuri dietro il collo. "Lo so, lo so ... lo so che è difficile ..." gli mormorò dolcemente all'orecchio.

"Non voglio rinunciare, Antonio." Disse Lovino con tutta la fermezza che la sua voce sconvolta dall'emozione gli permetteva, stringendo il retro della maglia dello spagnolo.

"Non te lo sto chiedendo." Insistette Antonio, leggermente scioccato da una simile idea. Mise le mani sulla vita dell'italiano, facendo un passo indietro per guardarlo in faccia in lacrime. "Visiteremo ancora ogni volta che possiamo e aiuteremo Feli a superare questo ... ma nel frattempo dobbiamo fare del nostro meglio per vivere le nostre vite normalmente; dobbiamo riaprire il caffè e tornare indietro per lavorare di nuovo. " Romano aprì la bocca per discutere ma lo spagnolo gli mise un dito contro le labbra. "Feliciano lo avrebbe voluto Lovi, adora Vargas 'Place." Lo rassicurò Antonio con un tenero sorriso.

Lovino tirò su col naso miseramente, prendendo le mani di Antonio tra le sue. "... Non so se posso ... Mi sentirò come se lo deludessi ..." mormorò con voce cupa, fissando i piedi del suo partner.

"Lo deluderai se finiamo per perdere il caffè, andiamo Lovi ..." Antonio si chinò leggermente per incontrare di nuovo i suoi occhi. "Feliciano vorrebbe che andassimo avanti, uscirà non appena lo sapremo, diamine è un ragazzo dolce, con un buon comportamento non mi sorprenderei se uscisse in un solo anno". disse certamente, piantando un bacio dolce ma profondo sulle labbra del suo partner, rabbrividendo leggermente mentre assaggiava la cenere sulla sua bocca. "Dai, che ne dici?" chiese piano quando si staccarono.

L'italiano sospirò asciugandosi gli occhi. "... bene, apriremo domani." disse piano, facendo un passo indietro rispetto allo spagnolo. Antonio gli sorrise e Lovino riuscì a restituire un debole sorriso prima che la sua solita espressione severa lo sostituisse. "... quando è il giorno dopo possiamo visitare Feliciano?"

Antonio guardò alle sue spalle il frigorifero dove avevano appuntato un calendario, un segno di penna rosso era cerchiato intorno a una delle caselle del mese in corso. "Solo tre giorni." leggeva, contando il calendario. "Il tempo passerà, vedrai."

~O~

"Ehi Feliciano." l'italiano si voltò, sorridendo diffidente al suo nuovo amico sorprendentemente gentile mentre appariva dietro di lui nel cortile quella mattina. Lo conosceva solo da due giorni ma Feliciano era stato incredibilmente grato per la compagnia, cominciava a sentirsi sempre più a suo agio nel parlare con l'uomo col passare del tempo, non si faceva intimidire per niente. "Come sei stato?"

"Sto bene grazie." Disse Feliciano con un'alzata di spalle. "E tu? Perché non eri a colazione?" chiese incuriosito, dopo aver passato gli ultimi venti minuti seduto goffamente da solo nell'angolo del tavolo di Ludwig.

"Oh, ero ... impegnato, sai, a parlare con le persone ..." balbettò Johan vagamente, agitando una mano sprezzante. "Comunque, come stai?" intervenne con un sorriso luminoso.

"Ehm, me l'hai appena chiesto." mormorò l'italiano, ridendo incerto. "Stai bene?"

Gli occhi scuri di Johan si spalancarono un po 'prima che scuotesse la testa. "Sì, sto bene, immagino solo stanco." alzò di nuovo le spalle, le sue pupille svolazzavano di lato in quel serpente come facevano spesso. "Vuoi andare a fare una passeggiata o qualcosa del genere?"

Feliciano annuì sorridendo leggermente. "Sì, sarebbe un bene, ci terrà al caldo." accennò mentre si spostava al fianco di Johan, i due iniziarono lentamente a vagare senza meta nel mare di reclusi.

Johan si tenne abbastanza vicino al fianco di Feliciano, guardandosi alle spalle per controllare che non fossero seguiti. "Sta diventando un po 'freddo, non è vero? Smetterò di farci uscire qui così-" l'uomo esitò leggermente, le parole gli rimasero in gola.

Feliciano smise di camminare quando lo fece Johan, voltandosi ansiosamente indietro. "Cosa c'è? Oh ..." l'italiano si morse il labbro, avvicinandosi leggermente al fianco di Johan. Una faccia familiare e incredibilmente malconcia era appena uscita dalla prigione nel cortile, i suoi due occhi feriti e fissavano minacciosamente nella loro direzione. Feliciano rabbrividì leggermente quando Blake li fissò da dove si trovava; Gli occhi di Feliciano si allontanarono in fretta da quelli di Blake e fu sorpreso di incontrare un'altra coppia oscura che lo fissava, quelli di Eric che sembrava stessero aspettando che Blake lo incontrasse. L'italiano non sapeva che questi due uomini orribili erano amici; Blake scese dalla porta e lui e il grande skinhead Eric scomparvero insieme nella folla fitta, senza distogliere mai una volta i loro oscuri sguardi da Feliciano e Johan.

Feliciano era ansioso di allontanarsi e prese la mano di Johan, conducendoli rapidamente nella direzione opposta verso la torreggiante recinzione che li ospitava nel cortile della prigione. "Scusa, non mi piacciono molto quei due ..." mormorò a bassa voce a Johan una volta che furono abbastanza fuori portata.

"Va tutto bene, capisco ... Blake ha tenuto Ludwig in isolamento ed Eric vuole scoparti, giusto? Capisco." Disse casualmente Johan, lasciando andare delicatamente la mano di Feliciano.

Feliciano annuì debolmente prima che le sue sopracciglia si aggrottassero confuse. "... come lo sapevi di Eric?" chiese piano, fissando l'uomo accanto a lui che vagava lentamente lungo il bordo del cortile; superarono Arthur e Alfred e l'italiano fece un breve cenno di saluto.

Gli occhi di Johan si contrassero leggermente ma li costrinse a rimanere neutrali. "Ho ... visto l'asta." ha affermato semplicemente. "Quando Eric ha provato a comprarti ... malato, non è vero? Quel modo disgustoso in cui cercano di mettere all'asta i ragazzi, come se fossero oggetti o qualcosa del genere." Mormorò Johan, scuotendo la testa.

"Sì ... mi ha terrorizzato." Mormorò Feliciano, incrociando le braccia sul petto mentre tremava per il freddo. "Se Ludwig non fosse intervenuto ... non so cosa sarebbe successo."

Johan gli sorrise, portando i denti in un modo che esaltava i suoi lineamenti taglienti. "Ludwig è un bravo ragazzo." disse dolcemente, i suoi occhi grigi scintillanti. "Davvero bravo ... sei fortunato ad avere un ragazzo come lui."

"... lo dici come se fosse il mio ... ragazzo, o qualcosa del genere." Borbottò Feliciano, cercando di fermare il sorriso che desiderava allungarsi sul viso.

"Non è quello che è?" Chiese Johan, alzando un sopracciglio. "Voglio dire ... passate così tanto tempo insieme ..."

L'italiano alzò leggermente le spalle, mordendosi il labbro inferiore mentre un rosa chiaro gli sfiorava le guance. "Sì, ma questo non significa ... voglio dire che siamo solo compagni di cella ..." mormorò.

Il sorriso di Johan si allargò. "... quindi niente sentimenti romantici di sorta?" chiese innocentemente.

Feliciano distolse la testa da Johan mentre camminavano, cercando di nascondere il profondo rossore che gli bruciava le guance. "... è personale." squittì timidamente.

Johan ridacchiò profondamente, stringendo una mano dalle dita sottili sulla spalla dell'italiano. "Come pensavo, è abbastanza ovvio sai ... e capisco perché." aggiunse, sorridendo un po '.

Feliciano continuava a nascondere la sua faccia arrossata, ma non poteva fare a meno di lanciare occhiate furbe all'uomo accanto a lui. "...tu fai?"

Johan annuì, dandosi una pacca sulla spalla sotto le sue dita ossute. "Certo, Ludwig è un uomo molto attraente ... forte, bello, seducente ..." si interruppe la bruna, un sorriso leggero adornò il suo viso tagliente. "... perché nessuno vorrebbe dormire con lui?" aggiunse astutamente.

Gli occhi di Feliciano si spalancarono e si voltò per fissarlo. "Come sapevi che sono andato a letto con Ludwig?" ansimò, fissandolo a bocca aperta.

Johan sembrava sorpreso quanto Feliciano, con le sopracciglia che gli salivano alle stelle la fronte. "Davvero sei andato a letto con Ludwig?" chiese incredulo, le sue labbra si allungarono lentamente in un sorriso.

"Io ... io pensavo che tu ... voglio dire ..." balbettò l'italiano deglutendo leggermente. "... hai detto che lo sapevi."

"No, ho solo pensato che qualcuno potrebbe volerlo." Disse in fretta Johan con un leggero sorrisetto nella voce. "Ma immagino di non essere eccessivamente sorpreso che tu abbia ... quindi c'è qualcosa lì, allora sì?"

Feliciano sospirò, mordendosi la parte superiore della nocca. "Immagino non abbia senso mentire ..." mormorò.

Johan fece un ampio sorriso ma non lo spinse oltre, invece si infilò una mano nella tasca della tuta e tirò fuori una piccola tavoletta di cioccolato, porgendola a Feliciano. "Vuoi un po 'di questo?" chiese gentilmente.

L'italiano fu contento del cambio di argomento. "Sì, grazie." tirò un sospiro di sollievo, aprendo la mano.

"Qui." Johan spezzò il cioccolato a metà e aprì l'involucro, ribaltando i pezzi rotti nella mano dell'italiano.

"Grazie." Disse felice Feliciano, ficcandosi un quadrato in bocca; era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva mangiato qualcosa di altrettanto gustoso.

"Nessun problema ... ehi cosa fai dopo?" Chiese all'improvviso Johan mentre tornavano di nuovo sul davanti del grande cortile dopo aver costeggiato tutto lo spazio.

Feliciano sembrava confuso. "Ehm, lo stesso di sempre immagino ... perché?"

"Beh, è ​​proprio questo, sai che possiamo lavorare, giusto? Voglio dire che possiamo lavorare in prigione il pomeriggio per passare il tempo?"

"Sì ... l'ho provato tempo fa."

Johan annuì. "Già, quindi vuoi andare a lavorare in cucina con me per un po 'dopo pranzo?" chiese casualmente: "Ottimo modo per passare il tempo".

"... non è così divertente come pensavo ... le donne lì dentro sono cattive e tutto quello che devi fare è sbucciare patate e roba del genere ..." mormorò Feliciano, mangiando ancora qualche pezzetto di cioccolato.

Johan alzò le spalle ma gli diede di nuovo una pacca sulla spalla. "Ma è stato per conto tuo, no?" l'italiano annuì. "Beh, insieme potrebbe andare bene, piuttosto che stare in cella tutto il pomeriggio a fare fanculo tutti."

Feliciano rimase un po 'sorpreso per le imprecazioni inaspettate ma non ci pensò niente. Sorrise all'uomo, alzando le spalle. "Ok, immagino che potrebbe essere divertente."

~O~

Ludwig si passò le mani tremanti tra i capelli biondi, senza dubbio piuttosto sporchi. Sospirò dentro di sé, non osando effettivamente emettere un suono, peggiorava solo le cose. Sentire la propria voce in isolamento non faceva che aumentare la solitudine, piuttosto che tenersi compagnia, così il tedesco scelse di rimanere in silenzio con i suoi pensieri... e col passare del tempo, lo stava lentamente facendo diventare sempre più pazzo.

Negli ultimi due giorni Ludwig era rimasto praticamente seduto in quell'unico posto, su quella stretta cuccetta in una cella isolata nel buio più completo. Sapeva solo quanto tempo era passato contando i pasti che riceveva, ne aveva mangiati almeno sei, quindi sapeva che erano passati almeno due giorni. Quelli furono gli unici momenti in cui riusciva a intravedere la più piccola luce dal piccolo portello sulla grande porta d'acciaio che lo barricava in quella minuscola stanza mentre una guardia faceva scorrere un vassoio nella cella per nutrirlo. Non era la prima volta che veniva lì, ma era passato molto tempo.

Di solito Ludwig poteva farcela, dopotutto era abituato a stare da solo con nient'altro che i suoi pensieri per la compagnia, e gli piaceva il buio, gli rendeva più facile dormire. Ma ora aveva altre priorità molto più importanti. Con lui rinchiuso in questa cella umida; Feliciano era là fuori nella prigione principale tutto solo, nessuno che lo guardasse o tenesse a bada le persone che avrebbero voluto ferirlo. Aveva fatto impazzire il tedesco, rendendo il suo periodo di isolamento molto più insopportabile. Di solito prendeva la sua punizione con dignità, sdraiato su questa fredda cuccetta al buio in completo silenzio per giorni e giorni, rifiutandosi di lasciare che il tormento dell'oscurità e della solitudine abbattesse la sua sanità mentale, come se sapesse che era successo a così tanti detenuti.

Ma questa volta era diverso, non poteva farlo. Tutto ciò a cui Ludwig riusciva a pensare era Feliciano. Stava bene? Qualcuno lo aveva attaccato? Era stato costretto a una relazione violenta con un bastardo malato? Il tedesco si sentì male, si sedette di scatto sul letto e si artigliò duramente i capelli.

Un forte rumore stridente lo spaventò e alzò lo sguardo per vedere il piccolo portello che si apriva e un vassoio che veniva spinto nella cella. Ludwig si alzò di scatto dal letto quando riconobbe l'orologio d'argento al polso della guardia che spingeva il suo cibo attraverso il portello; aveva la bandiera britannica disegnata dietro le lancette.

"Arthur! Aspetta!" Ludwig chiamò, battendo una mano sulla porta di metallo prima che la mano si ritirasse completamente.

Un sospiro gli rispose dall'altra parte della porta. "Ludwig, sai che non mi è permesso comunicare con te-" la mano si staccò dal portello.

"Ascolta per favore!" ha implorato il tedesco, schiacciando il pugno nel piccolo spazio prima che l'inglese potesse chiuderlo di nuovo. "Per favore, dimmi solo se Feli sta bene."

"Ludwig, per favore, devo andare." Disse Arthur con fermezza, ma dal volume della sua voce il tedesco capì che sarebbe rimasto vicino alla porta.

"Rispondimi solo per favore! Ho bisogno di saperlo Arthur." Implorò Ludwig, chinandosi per guardare disperatamente attraverso il portello da cui spuntava una luce fioca, penetrando attraverso l'oscurità della sua cella isolata, poteva appena vedere il fianco della guardia carceraria britannica.

Arthur si guardò intorno ansiosamente prima di chinarsi per incontrare gli occhi di Ludwig attraverso la fessura. "Feliciano sta bene Ludwig, va bene? Lo prometto." disse con calma.

Ludwig inspirò profondamente, annuendo lentamente. "Grazie a Gott... nessuno gli ha dato fastidio allora?"

"No, in effetti si è fatto davvero un amico." Arthur lo informò a bassa voce, continuando a guardarsi intorno, preoccupato di essere scoperto.

Il cuore di Ludwig sprofondò. "Che cosa?"

"Comincia a frequentare un detenuto del blocco C." rispose l'inglese. "Sembrano andare d'accordo."

"Chi è?" Chiese Ludwig, improvvisamente di nuovo in preda al panico. "Chi è? Lo conosco?"

"Non sono sicuro del suo nome, ehm ..." Arthur era ancora distratto dal controllare che la costa fosse libera. "Non lo so, è ... è alto, magro, strani occhi grigi ... mento appuntito ..."

Ludwig fu momentaneamente irritato finché l'aria nei suoi polmoni non fu improvvisamente espulsa da lui. "Scheiße ..." sussurrò, il tedesco bussò alla porta per riportare l'attenzione di Arthur su di lui. "Scheiße Arthur, pensa ... il suo nome non è, Johan ... vero?"

L'inglese si rianimò. "Eh si credo di sì, Feliciano ha detto il suo nome l'altro-"

"NEIN NEIN! OH GOTT!" Ludwig esplose con un panico irregolare, sbattendo i pugni contro la grande porta.

Arthur balzò via scioccato. "Cosa? Cosa c'è che non va?" chiese preoccupato.

"Arthur!" Sbottò Ludwig incredulo, premendo il viso contro il portello. "Pensa! Non ti ricordi chi è quel ragazzo !?" implorava disperatamente.

L'inglese lo fissò, avvicinandosi cautamente. "... ehm, no perché? Dovrei ricordare?"

"SÌ!" Ludwig abbaiò, i suoi occhi azzurri spalancati per l'isteria. "Pensa Arthur! Cinque anni fa! Il tribunale!"

"... il tribunale?" disse lentamente.

"Ja! Era lì, ricordi !? Ha testimoniato contro di me!" Gridò Ludwig. "Arthur andiamo!"

Arthur aggrottò le folte sopracciglia, tirando fuori il ricordo dal profondo della sua mente ... non riusciva a ricordare molto altro del processo oltre al triste racconto di Ludwig, aspetta ... c'era qualcos'altro, un paio di occhi scuri che fissavano lui dal banco dei testimoni-

"È IL FIGLIO DI GERARD!" Urlò Ludwig, perdendo la pazienza, battendo un pugno contro la porta, ignorando il dolore lancinante alle nocche. "Ricordi !? L'uomo che ha ucciso Gilbert! È suo figlio!"

Gli occhi verdi di Arthur si spalancarono, la sua bocca si spalancò. "Oh ... oh my ..."

"Scheiße ..." Ludwig si strinse una manciata dei suoi capelli arruffati, la testa che tremava rapidamente da un lato all'altro. "... ecco perché l'ha fatto, era tutto pianificato, tutto ..." sussurrò, serrando la mascella.

"Che cosa?"

Ludwig si gettò nella porta all'improvviso, emettendo un forte ruggito, spaventando l'inglese. "GOTTVERDAMMTE!" sbatté furiosamente i pugni nel metallo duro, scuotendo la sua rabbia intensa. "NEIN! Non posso credere di non averlo visto arrivare!"

"Ludwig di cosa stai parlando?" Chiese Arthur in tono supplichevole, tenendosi a una leggera distanza dalla porta.

"Arthur ha progettato questo!" Ludwig ringhiò, trascinando le unghie smussate sul metallo freddo. "Voleva che me ne andassi, sa che ..." Il viso pallido del tedesco si spense, se possibile, di un colore ancora maggiore. "... lui sa, mi voleva qui perché lo sa." sussurrò, il cuore che gli sprofondava nello stomaco.

"Sa cosa?" Chiese Arthur in fretta.

"Sa cosa provo per Feli!" Ludwig urlò così velocemente che Arthur quasi non lo capì. "Arthur devi farmi uscire di qui." disse in un tono basso e serio, fissando attraverso il portello la vita dell'inglese. "Per favore, ho bisogno di salvarlo!"

"Che cosa?" Arthur si chinò per guardarlo attraverso il buco. "Ludwig, Feliciano sta bene-"

"NO, NON LO È!" Ludwig urlò, perdendo completamente ogni filo di pazienza. "Arthur, Johan gli farà del male! Per favore! Dove sono !?"

"Non ne sono sicuro, l'ultima volta che li ho visti erano insieme nelle cucine credo-"

"Arthur per favore!" Ludwig gemette disperato, fissando disperatamente le pozze di verde che lo fissavano attraverso il portello. "Devo andare a trovarlo prima che Johan gli faccia qualcosa! Per favore Arthur ha bisogno di me!"

Arthur si morse il labbro ansiosamente. "Ludwig non ho l'autorità per autorizzare-"

"Arthur Feli è in pericolo e se non mi fai uscire potrebbe ferirsi gravemente!" Ludwig pianse con gli occhi spalancati.

«Davvero... non posso davvero-»

"ARTHUR! Per favore, fallo per me!" Pregò Ludwig, un intenso panico scritto su tutta la sua faccia. L'inglese sembrava ancora insicuro, le sue dita si contraevano come se volessero andare ai tasti alla cintura. Il tedesco lo fissò, abbassando la voce. "Per favore ... Arthur, se hai mai creduto veramente nella mia storia, se hai mai creduto veramente in me ... saprai che quello che sto dicendo è la verità, e se sei davvero mio amico lo farai lasciami andare a salvarlo da quel maniaco. "

Ludwig vide la gola di Arthur muoversi mentre deglutiva, e un leggero tintinnio disse al tedesco che le chiavi della sua cintura erano state appena afferrate. «...non mi perdoneranno mai per questo.» sussurrò mentre si rialzava lentamente, il suo mazzo di chiavi ora tenuto in modo insicuro nelle sue mani. «...e se ti sbagli Ludwig, non te lo perdonerò mai.»

ANGOLO DELLA TRADUTTRICE:

Il capitolo è ancora in fase di revisione, però mi dispiace farvi aspettare così tanto tempo, perciò ho deciso di pubblicarlo comunque.

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