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Seconda Traccia

Deglutii. Non ce l'avrei mai fatta. Guardai il mio compagno di classe, terrorizzato, per poi guardare un'altra volta di sotto e serrare immediatamente gli occhi. Non ce l'avrei mai fatta. Era impossibile che io, uno che apparteneva alla famiglia degli Guardabuoi, potessi anche solo pensare di competere in una prova simile con un componente della famiglia dei Burrunan.


- Allora, uccellino, ti decidi a saltare? - Un ghigno malvagio era comparso sul suo volto, copiato dagli altri nostri coetanei.


- Joe, è impossibile che abbia il coraggio di farlo. E' solo un uccellino! Non troverà mai il coraggio di gareggiare in una gara di tuffi. - Mark, della famiglia della Sanzinia, si prese gioco di me, ridendo senza ritegno. Quella non era una "gara". Volevano solo buttarmi di sotto, senza rendersi conto che avrebbero potuto uccidermi. Ma da come mi guardavano, sembravo un piccolo oggetto di tortura, un animaletto indifeso da ferire.


- Beh, magari gli serve solo una piccola spintarella.


Quando mi resi conto di quello che aveva detto, fu troppo tardi. Joe si avvicinò a me, mentre io cercavo disperatamente di scappare. Come facevo sempre, del resto, ma senza mai riuscirci.


- Il povero uccellino non riesce a scappare. Aspetta che ti aiuto a prendere il volo. - Il ghigno di Joe crebbe, quando io caddi a terra, vicino allo strapiombo. Mi sollevò, tirandomi per il braccio, e mi fece voltare verso quel burrone. Mise le mani sulle mie spalle, mentre mi sussurrava con una voce maligna: - Apri le tue ali, uccellino, e vola, altrimenti ti schianterai.


E mi spinse.


Fui preso dal panico. Sarei morto. Non volevo morire.


Cercai disperatamente di pensare alle nuvole, al cielo, al paesaggio visto dall'alto. Desiderai disperatamente di trasformarmi in un uccello, di avere quelle ali che tanto desideravo e di volare libero e scappare, lasciandomi tutto alle spalle e dimenticare quel mondo così strano e delle persone ad esso legato. Sperai ardentemente di sollevarmi in aria, di planare e di essere trasportato dal vento di quella giornata di primavera, di sentire l'adrenalina nelle vene e di toccare le nuvole. E questo sembrò succedere. Per un momento, delle ali bianche, come l'animale consacrato alla mia famiglia, comparvero sulla mia schiena. Per qualche secondo, venni trasportato dal vento e sentii quell'adrenalina scorrere nel mio corpo.


Ma poi sentii il vuoto. Le ali scomparvero, come se fossero state solo un'illusione, e io caddi giù, liberando quel grido che avevo bloccato in gola sin dall'inizio di quel giorno.


"Voglio vivere." pensai, prima di cadere nell'oscurità.


"Uccello senza ali."


"Ma appartiene davvero alla famiglia dei Guardabuoi?"


"Perché non mostra le sue ali?"


"Povero piccolo. La benedizione su di lui è veramente debole, forse è proprio inesistente."


Zitti. State zitti. Non dite così. Ho delle ali. So di averle. Per favore, basta. Vi prego. Voglio stare da solo... Qualcuno mi salvi...


Mi alzai di colpo, respirando affannosamente. Chiusi gli occhi, prendendo dei respiri profondi e cercando di calmarmi. Era solo un sogno, solo un sogno.


- Finalmente sei sveglio. - Una voce familiare risuonò per la stanza, facendomi sobbalzare e aprire gli occhi. - Hai dormito tutto il pomeriggio. Ora come stai?


Nascosto dalle tenebre della stanza, un ragazzo con capelli simili alle fiamme era seduto alla scrivania, fissandomi in modo abbastanza preoccupato. - Will... - Mi strofinai gli occhi, non riuscendo a distinguere bene la sua figura nell'ombra. - Ora sto bene, grazie. Cosa è successo?


Il volto di William perse ogni tipo di emozione, facendomi rabbrividire. Erano poche le volte in cui era così arrabbiato per qualcosa. - Ti hanno spinto dal burrone. - La sua voce era gelida. - Avrebbero potuto ucciderti, te ne rendi conto? Se la sono cavata fino ad ora solo perché tu sei troppo buono, ma adesso la devono smettere. Con la bravata di oggi hanno raggiunto il limite, Park. Ora è il momento di dire basta, di ribellarsi. Perché non lo fai? Perché non ti difendi?


William mi guardava con occhi ardenti, pieni di rabbia e preoccupazione. - Will... - La mia voce uscì incerta, tremante. - È inutile sforzarsi tanto, prima o poi la smetteranno. Sono troppo debole per reagire. - Chiusi gli occhi, ricordando ogni particolare di quella mattina. - Sono solo un debole uccellino che non sa volare. Forse... Forse non ne sarò mai in grado.


Sembrava sul punto di replicare qualcosa, ma venne fermato dalle mie parole. - Comunque, come sono arrivato in camera tua? E perché non sono ingessato dalla testa ai piedi? Perché sai, ero abbastanza in alto.


William mi guardò torvo, come ponderando se rimproverarmi o spiegarmi cosa era successo. Con un sospiro rassegnato, decise per la seconda. - Mi stavo allenando per caso da quelle parti con l'evocazione del drago, quando ho visto un gruppo di ragazzi vicino al precipizio. Non volevo averci niente a che fare, notando che era il gruppo di Joe, e stavo per andarmene quando ho visto qualcosa - o meglio, qualcuno - cadere. E in quel momento... - Si fermò, fissandomi per un momento. - Mi sembra di aver visto delle grandi ali bianche. Sembravano fatte di luce e venivano da te. Però un momento dopo sono scomparse, e a quel punto sono sceso a gran velocità, prendendoti al volo, ma eri svenuto.


Lo guardai avvilito: aveva assistito al mio fallimento. - Erano le ali dell'animale consacrato alla mia famiglia, ma... - La mia voce si ruppe, iniziando a riempirsi di disperazione. - sono scomparse subito, Will. Succede sempre la stessa cosa. Riesco a volare solo per pochi secondi. Io... Io... E se davvero non avessi la sua benedizione? Will, mi esilieranno. E io non voglio, ho paura.


Non mi ero nemmeno reso conto di aver preso la testa tra le mani, del tremore del mio corpo e dei miei occhi pieni di lacrime, fino a quando William non si alzò di colpo e venne verso di me. Mise le sue mani sulle mie spalle, dandomi un energica stretta come a farmi ricordare la sua presenza. - Parker, guardami negli occhi. - Alzai il viso, incontrando quei suoi occhi limpidi come il cielo di mezzogiorno, così determinati e pieni di fiducia. - Non ti succederà nulla. Tu sei mio amico - il mio migliore amico - e gli altri lo devono capire. Sono il discendente di una grande stirpe di guerrieri e di utilizzatori del fuoco, tra l'altro uno dei migliori. Se vogliono avere me, ci devi essere anche tu. Quindi tranquillo, okay? Io ci sarò sempre per te, te lo giuro.


Annuii debolmente. Mi sentivo troppo stanco anche solo per contraddirlo. Era inutile ricordargli come erano davvero le cose. Solo i più forti, solo le persone che potevano evocare i propri animali potevano continuare a vivere normalmente, almeno fino ai diciotto anni per poi andare in guerra. Mentre quei pochi che non riuscivano nemmeno a compiere la più basilare magia legata alla loro famiglia erano inutili, solo un peso per la società e destinati ad essere esiliati. Ma essere esiliati significava essere abbandonati in un luogo selvaggio e ancora inesplorato, pieno di nemici e di morte. E nessuno tornava mai indietro. Nessuno.


Era passata quasi una settimana e la tensione nell'istituto era cresciuta in modo incredibile. La guerra. Ecco l'argomento principale. Le nostre frontiere stavano retrocedendo, schiacciate dalle terribili truppe nemiche, che stavano continuando a marciare incontrastate verso un unico obbiettivo. Il nostro istituto. Sapevano che qui erano riuniti tutti i figli sopra i sei anni di tutte le casate e che in questo modo avrebbero vinto per resa. Ma tutti avevano intuito la verità: non si sarebbero fermati a prenderci in ostaggio, ci avrebbero ucciso, senza nessuna pietà.


- A tutti gli studenti, vi parla la direttrice. - La voce della direttrice Miller proveniva dall'altoparlante, gracchiante e ruvida, fermando così il brusio degli studenti. - Avete l'ordine immediato di raccogliervi nella palestra numero tre entro un'ora. Le lezioni sono sospese. Tornate nelle vostre camere e prendete il dispensabile. Non accetto ritardatari.


E in questo modo concluse, lasciando un tremendo silenzio carico di tensione in tutta la scuola. Tutti stavano pensando a un'unica cosa: "Cosa sta succedendo?"

Dopo aver raccolto le poche cose che possedevo da dieci anni, mi incamminai verso la palestra insieme al fiume degli altri studenti. Tutti camminavano a testa bassa, con le spalle rigide, cariche di tensione e paura, e con uno zaino, una borsa o una valigia dietro. Si sentivano solo i passi pesanti degli alunni, ritmici, come la marcia militare che ci avevano insegnato all'istituto.


Quando entrai nella palestra numero tre, rimasi sorpreso. Era la prima volta che la vedevo, poiché era riservato solo agli alunni più grandi. Era immensa, probabilmente poteva contenere tutti gli studenti dell'istituto.


Ci disponemmo in file ordinate, come ci avevano insegnato, e cercai con lo sguardo il ragazzo di cui più mi fidavo. Lo trovai solo grazie ai suoi capelli, rossi come il fuoco, che risaltavano tra la folla, ma c'era qualcosa di strano. Guardava verso un palco improvvisato per l'occasione, e proprio in quel momento entrò la direttrice. Era una donna dell'atteggiamento severo e rigido, sui sessant'anni con i capelli quasi completamente bianchi e con occhi di ghiaccio.


Prima di parlare, sembrò guardare ognuna delle persona là presenti, come ad accertarsi della presenta di tutto il corpo docente. - Bene, dato che ci siamo tutti, andrò dritta al sodo. - La sua voce tagliò l'aria, come un coltello ben affilato. - Ci aspettiamo un attacco molto presto. Non sappiamo se tra una settimana, un mese o oggi stesso, ma avverrà. Io non intendo lasciare i miei studenti nelle loro mani, quindi abbiamo preso una decisione. Ognuno di voi verrà mandato nel Mondo Intermedio, Intermedio in umo dei tsnti Regni, dove si specializzerà nel proprio elemento predominante. Non avrete problemi, i sovrani hanno accettato di buon grado di avervi come propri ospiti. Tra poco si apriranno dei portali, ma scegliete bene. Non farete esercizi a metà, non avrete professori pronti in qualsiasi momento a salvarsi da qualche situazione. Rischierete sul serio di morire. E ricordate: avete solo una vita, ed essa è la cosa più preziosa di questo mondo. Non sprecatela, vivetela. - E guardò ognuno di noi con i suoi occhi così chiari da sembrare bianchi. Per un attimo sembrarono fermarsi anche su di me, ma subito dopo dava l'impressione di guardare un'altra persona. - Non limitatevi a subire, reagite. Non dovete permettere ad altri di controllarvi, voi soltanto siete i padroni di voi stessi. Ricordatevelo e sopravvivete a questa tremenda guerra. - Sollevò la mano destra davanti a sé, per poi postarla sul cuore. - Che voi possiate vivere ancora a lungo, figli miei.


Subito dopo aver detto quelle parole, comparvero vari portali, disseminati per la stanza, che brillavano di luce propria. Dalla porta da dove eravamo entrati, era comparsa una piccola cascata, probabilmente il portale per il Regno dell'Acqua. Al centro della stanza, attaccato con delle radici possenti, era comparso un buco profondo: quello forse era il portale per il Regno della Terra. Molti altri portali erano comparsi, quello per il Regno dell'Aria - sospeso e traballante sopra le nostre teste -, quello per il Regno del Ghiaccio - una vera opera d'arte, di puro ghiaccio, quasi fosse cristallo -, quello per il Regno delle Parole - una porta formata da lettere in continuo movimento, in continua evoluzione, nero su bianco, bianco su nero -, quello per il Regno dell'Amore, il Regno della Storia, il Regno degli Artigiani, il Regno del Tempo. Ma tra tutti questi, ce ne era uno che sembrava attirarmi a sé. Un piccolo portale in un angolo della stanza, che sembrava emanare una luce più calda e magnetica di tutti gli altri, da cui uscivano anche delle piccole piume. "Il Regno della Luce" pensai. Era un piccolo regno, tranquillo e pacifico in un angolo del Mondo Intermedio. Nessuno credeva nel bene e nel male, nella luce e nell'oscurità, negli angeli e nei demoni, ma io ne ero sempre rimasto affascinato, anche se quelle erano solo leggende. Quando leggevo, desideravo quelle ali bianche o nere che avevano, ricoperte di piume o di spine. Non mi interessava come erano, io volevo solo volare libero.


Feci un passo avanti, avvicinandomi di più a quel portale, quando notai con la coda dell'occhio una chioma rossa. Era William, che si stava dirigendo verso un muro ricoperto di fiamme e lava. Rabbrividii. Non poteva davvero aver scelto quel Regno. Corsi verso di lui, prendendolo per un braccio. - Will, non dirmi che...


- Cosa, Parker? - Il tono della sua voce era rabbiosa, carica di un inspiegabile odio. Gli lasciai il braccio, facendo un passo indietro, come se mi avesse appena tirato uno schiaffo. Cosa gli era successo? - Smettila di fare il pappamolle, Parker. Non potrai seguirmi per sempre, quindi vai a sceglierti un Regno e cerca di sopravvivere. - La sua voce si abbassò e un po' di quella rabbia scomparve, sostituita dal suo solito tono. - Parker, senti, cercati un Regno tranquillo e vivi. Forse riuscirai anche ad adattarti e a crearti una famiglia lì.


Lo guardai allibito. - Cosa stai dicendo?


Un sospiro scappò dalle sue labbra. - Ti sto dicendo che non potrò proteggerti per sempre e che devi sapere la cavare da te, ora che dobbiamo separarci.


- Separarci...?


Annuì, grave. - Io appartengo alla famiglia dei Draghi, Parker. Una settimana fa ti dissi che ero uno dei migliori, e esserlo porta gravi responsabilità e doveri. Io devo andare, devi capire.


- Ma finirai ammazzato! Will, apri gli occhi! Stai per andare in uno dei Regni più pericolosi del Mondo Intermedio!


Alle mie parole, le sue spalle si irrigidirono mentre i suoi occhi divennero di ghiaccio. - Non mi aspetto che tu capisca. Ma io devo andare, per la mia famiglia, per la mia gente, per me e per te. Io devo proteggervi. Devo portare la pace e sconfiggere i nostri nemici.


- Will... Non spetta a te questo compito. Possiamo semplicemente andarcene, vivere in tranquillità. Lasciamo agli altri questo compito.


I suoi occhi presero come fuoco, rispondendo grazie alle fiamme del portale. - E fare finta che i nostri cari, le persone che conosciamo non muoiano? Fare finta e aspettare che vengano ad ucciderci fino in capo al mondo? No, Park. No. Io non sono come te. Io voglio vivere, non sopravvivere. Voglio godermi la vita, senza dover avere sempre addosso la costante paura di un nemico nascosto nell'ombra pronto a colpirmi alle spalle.


Lo guardai addolorato, mentre si allontanava sempre di più, fino ad arrivare davanti al muro di lava e fuoco e attraversarlo senza mai guardarsi indietro, senza una parola di addio.


Aveva scelto, ma non me.


E aveva rotto la promessa che mi aveva fatto quel giorno.


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