Fëdor*
Quale colui che strappa laido fango
Alle sue stesse scarpe
E poi l'annusa,
Tale son io,
Che se v'appaia astrusa
Taluna cosa io l'amo
E la compiango.
Ho scorto già nei vostri lauti usberghi
La tigna che l'ingrossa
E vi compiace,
Qualunque sia il pensiero che v'alberghi
L'annienterò,
Dacché vieppiù sottace
La mia natura instabile
Agli allocchi
Del vostro rango. Quanta inane scienza
Vi rappresenta
E pare vi rimbocchi
Di notte le coperte, quanta udienza
A tutto ciò che ha minimo rilievo.
Da sottoterra al vostro Gran Cospetto
Per rendervi la morchia che vi devo,
Io:
L'ibrido fra il topo e il vile insetto,
La nullità, il risibile ciarliero.
*Un'umilissima dedica a Fëdor Michajlovič Dostoevskij
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