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36. Sempre in guerra.

Sono passati cinque giorni dal mio incidente ed il dolore non sembra proprio volermi abbandonare.
Ogni movimento mi provoca sofferenza e faccio fatica anche a passare da una stanza all'altra dell'appartamento.
Oggi, però, ho deciso di uscire.
Ho bisogno di cambiare aria, vedere gente e riprendere la mia vita in mano.
Mi preparo lentamente, faccio colazione con altrettanta calma e poi, finalmente, raggiungo le scale.
Ohw.
Fine dell'avventura.

Mi aggrappo alla ringhiera e scendo un gradino, poi un altro.
Soffio dell'aria fuori dalle labbra e cerco di non far uscire alcuna lacrima dai miei occhi.
Non devo rovinarmi il mascara.
Forza.
Ancora un gradino.
Procedo con questa lentezza fino al quinto piano, dove mi fermo con gli occhi appannati.
Ho fatto una cazzata.
Dove voglio arrivare in queste condizioni?

Sto praticamente abbracciando la ringhiera, in preda al panico, quando sento la voce di Mattia alle mie spalle: «Adè, ma che stai facendo?».
Mi mancava solo lui.
Alzo lo sguardo e tiro su col naso: «Volevo andare a lezione!», sbraito, questa situazione mi rende piuttosto nervosa, «Ma la mia gamba non collabora, la mia costola mi tortura e tutti questi lividi mi stanno facendo diventare pazza! Adesso me ne torno a casa, comunque. Ignorami pure».

Il moro sospira rumorosamente e serra le labbra: «Dai, ti porto io», tira su il mio corpo e allaccio le braccia attorno al suo collo: sto cercando di non fargli notare l'agitazione che mi provoca questo contatto.
Lui comincia a scendere con calma le scale: «A che ora finisci con le lezioni?»
«Alle sei», mormoro.
«Okay. Aula?»
«Aula due, perché me lo chiedi?»
«Così vengo a recuperare il tuo cadavere», sorride ed io scaccio via le farfalle nello stomaco.
Ti ha scaricata, Adele.
Ricordalo sempre.
Lo odi profondamente. Ricordalo.

«Non c'è bisogno», sbotto, «Mi accompagnerà qualcun altro»
«Ci penso io, Adè»
«Avrai sicuramente altri impegni»
«Alle sei sarò in aula due, okay? Ci penso io», ripete ancora.
«Guarda che non sei obbligato a-»
«Adele, per favore, non discutiamo anche per queste sciocchezze. Chiudiamo l'argomento. Voglio un po' di pace»
«Va bene, va bene. Non ti scaldare»
«Non mi scaldo»
«Non si direbbe», osservo la sua faccia rossa a causa dello sforzo che sta compiendo in questo momento e decido di spostare con un dito il ciuffo di capelli che copre i suoi occhi scuri.

«Grazie», sussurra.
«Grazie a te», gli dico, «Stai salvando la mia giornata»
«Sembravi disperata, sai, abbracciata alla ringhiera con le lacrime agli occhi. Perché non mi hai detto prima che volevi uscire? Ti avrei evitato la fatica»
«Perché non parliamo da giorni. Perché sei sempre arrogante, aggressivo, presuntuoso e bipolare»
«Giusto», commenta, «Mi dispiace. Mi dispiace per questa situazione. Non mi fa stare bene, Adè. Non volevo essere sgarbato, quella sera. Ero nervoso e me la sono presa con te. Non volevo arrivare a questo».

Deglutisco e impongo a me stessa di assumere un'espressione indifferente: «Nemmeno io», dico, «Ma ci siamo arrivati»
«Possiamo rimediare, Adele. In fondo, viviamo nella stessa casa. Non ha senso non parlarsi a causa di due bacetti finiti male».
No, vabbè.
Ogni volta che apre bocca mi fa venire voglia di prenderlo a testate.
Due bacetti.
D U E.
BACETTI.
Scoppio a ridere nervosamente ed il mio torace s'infiamma di dolore, quindi smetto immediatamente.

«Mattì, non tocchiamo più l'argomento, cortesemente. Ogni volta fai sempre peggio»
«Lo so», ammette, «Scusa. Non riesco ad esprimermi come vorrei»
«Ho comunque afferrato il concetto, non preoccuparti. In fin dei conti, c'è stato solo qualche bacetto», lo imito, mostrando una strafottenza che non mi appartiene.
La verità è che io a quei bacetti ci penso spesso e mi pare di sentirli ancora sulle labbra.

«Bene», mi dice.
«Ottimo»
«L'importante è essersi chiariti»
«Certamente», esce fuori quasi come un ringhio.
Rimaniamo in silenzio finché non raggiungiamo il pianerottolo, dove Mattia mi poggia sul suolo con tanta delicatezza.
Camminiamo fianco a fianco fino alla sua moto e trattengo il fiato quando mi aiuta a mettere il casco e mi sistema sul sedile.
E per la prima volta, Mattia decide di guidare con calma e senza tentare di ucciderci.

Si ferma davanti alla facoltà di Ingegneria e, proprio come prima, mi aiuta a poggiare i piedi sulla terra ferma.
Un raggio di sole colpisce i suoi occhi scuri ed il mio cuore fa una capriola davanti a tanta bellezza.
Si toglie il casco, passa una mano tra i capelli e poi mi fa l'occhiolino.
«Arrivati», annuncia.
«Arrivati», ripeto io, osservando l'ingresso dell'edificio.
Ci sono otto gradini.
Otto.
Li ho contati.
Perché ci sono scale ovunque?

«Ce la fai?», Mattia mi aiuta a salire il primo gradino ed io mi aggrappo alla ringhiera, sorridendo nervosamente.
«Certo che ce la faccio. Sono solo sette gradini, adesso»
«Okay», chiudo gli occhi e ne salgo un altro, cercando di ignorare il dolore.
Sono ridotta proprio male.
Mattia sbuffa e alza gli occhi al cielo: «Non posso guardarti in questo stato», borbotta prima di prendermi in braccio e salire le scale.
Questo gesto scatena un applauso da parte dei diversi studenti che si trovano all'ingresso e le mie guance si colorano di rosso.
Oddio, che imbarazzo.

«Il romanticismo ai tempi dell'università», commenta qualcuno.
«Ma quale romanticismo!? Ho avuto un incidente e non riesco a muovermi!».
Tra i ragazzi che battono le mani, poi, noto pure Davide.
Boh.
È scemo.
«Ma che fai? Smetti di applaudire», sbraito mentre Mattia si ferma accanto a lui e smette di stringermi tra le sue braccia muscolose.
Davide scrolla le spalle: «Che c'è? È stato emozionante. Lui che ti porta in braccio, gli applausi e tutto il resto».

Mattia arriccia le labbra e cerca di trattenere una risata. Nasconde il suo divertimento, guardando altrove.
«Tu sei completamente fulminato», commento, «Adesso andiamo o faremo tardi a lezione», mi giro a guardare il mio coinquilino e mi viene spontaneo fargli un sorriso, «Grazie per il passaggio»
«Di niente», ricambia immediatamente il sorriso, «Ci vediamo dopo, mh?», mi scompiglia i capelli, lascia un bacio sulla mia guancia e fa un cenno col capo per salutare Davide.
Rimango immobile ad osservare le sue spalle larghe che si allontanano.
Il mio cuore non ha intenzione di calmarsi.
È bello da far male.
«Avete fatto pace?», Davide interrompe i miei pensieri e mi schiarisco la voce.
«Più o meno», dico, «Ma durerà poco. Io e lui siamo sempre in guerra».

🌻🌻🌻

Sono le cinque e mezza del pomeriggio ed il mio cervello si è spento.
Davvero, non riesco a raccogliere nuove informazioni.
La professoressa continua a parlare di solo Dio sa cosa mentre io, dal mio ultimo banco, disegno cuoricini sul quaderno.
Davide è andato via dieci minuti fa a causa di un impegno ed io, adesso che sono sola, non riesco più a rimanere concentrata.
Dovrebbero abolire le lezioni pomeridiane.
Insomma, lo sanno tutti che ad una certa ora il cervello smette di collaborare.

Basta, Adele.
Concentrati.
Attiva i neuroni e presta attenzione.
Picchietto la penna contro il quaderno e decido di cercare almeno di prendere appunti.
La mia motivazione sparisce nel momento in cui, proprio accanto a me, viene a sedersi Mattia Caruso.
Il suo profumo mi investe come un'onda e schiudo le labbra quando incrocia le braccia al petto e punta lo sguardo sulla professoressa.

«Che materia è?», sussurra al mio orecchio e la mia pelle si riempie di brividi.
«Scienza delle costruzioni», bisbiglio.
«E prendi appunti disegnando cuoricini?», lancia un'occhiata al foglio e mi affretto a coprirlo con la mano.
«Fatti gli affari tuoi»
«Ssh. Segui la lezione, Adele».
Boccheggio per qualche istante, poi deglutisco e punto gli occhi sulla docente.
Non sento nemmeno una parola.

«Perché sei qui?», torno a parlare e Mattia scrolla le spalle.
«Sono venuto a prenderti»
«Avevamo appuntamento alle sei»
«Mi sono liberato prima ed eccomi qui», ruba la mia penna e scrive sul mio foglio "Capitolo 3- Volume 1".
Corrugo la fronte e sbatto le palpebre: «Ma che stai facendo?»
«È importante quel capitolo. Lo ha ripetuto cinque volte da quando sono arrivato».
Ah.

«Grazie»
«Di niente», picchietta le dita contro la superficie del banco e, lo giuro, sto cercando con tutta me stessa di non far caso alle nostre braccia che si sfiorano.
Io torno ad ascoltare la lezione e lui armeggia con il suo cellulare.
Sta scrivendo un messaggio ad una certa Morena.
Lo so perché accidentalmente mi è caduto lo sguardo sul display, eh.
Lei gli ha chiesto di vedersi questa sera per studiare, lui le ha detto di essere impegnato.

Lei adesso sta scrivendo.
Mi sporgo un po' per riuscire a vedere meglio e Mattia, inaspettatamente, mi mette lo smartphone tra le mani:
«Che dici, vuoi rispondere direttamente tu?».
Oddio.
Sotterratemi.
Le mie guance vanno a fuoco e rido nervosamente: «Non mi interessano i tuoi messaggi»
«Lo vedo», commenta, un sorriso diabolico stampato sulle labbra.
«Davvero. Mi distraeva la luce del display»
«Certo, ti distraeva la luce», mi sta palesemente prendendo in giro.
«Lo giu-»
«Voi due in fondo! Se non siete interessati alla lezione, potete pure andarvene!», la voce della professoressa mi fa gelare il sangue nelle vene.
Dice a noi.

Recupero in fretta la penna e fingo di prendere appunti, ma Mattia si alza e lo fisso, sconvolta.
La professoressa sembra più scioccata di me.
«Andiamo, dai», afferra la mia mano e mi tira su.
Voglio morire.
«No», ringhio, «Voglio restare. Che stai facendo? Questa non mi fa laureare, Mattia. Non scherziamo»
«Muoviti», recupera le mie cose e poi saluta la professoressa.
Io rimango come paralizzata.
Gli occhi di tutti sono puntati su di noi.

«Mi scusi», dico, «Le sue lezioni sono sempre interessanti e costruttive. Vado via, adesso, solo perché ho un importantissimo impegno. Non volevamo disturbare, davvero. Buon proseguimento!»
«Sí, vabbè. Dille altre due minchiate. Baci, abbracci, viva la chimica e tanti saluti. Andiamo», Mattia comincia a camminare in direzione della porta ed io lo seguo con la mia lentezza.
Non posso nemmeno scappare velocemente.
Dannazione.

Viva la chimica e tanti saluti.
Lo ha detto davvero?
Una volta raggiunto il corridoio, riesco a pensare solo a questa sua teatrale uscita e alla faccia sconvolta della professoressa.
Comincio a ridere senza riuscire a trattenermi. Le mie costole fanno malissimo, ma non riesco a fermare la mia risata.
Rido con le lacrime agli occhi sotto lo sguardo attento di Mattia che arriccia le labbra in un sorriso adorabile.

«Mi boccerà almeno sette volte di fila», riesco a dire, «Oddio, la sua faccia. Ma sei scemo? Viva la chimica?».
Sto ancora ridendo.
«Non ricorderà la tua faccia, sta tranquilla. Ricorderà la mia»
«Lo spero proprio. Sei un totale idiota, comunque. Sto morendo», continuo a ridere, piegata in due.
Che dolore.

«Almeno ti sento ridere», mi dice ed il mio cuore perde un battito, «Non lo facevi da un po', sai. Cominciava a mancarmi».
I suoi occhi scuri si addolciscono e mi sembra di avvertire le mie gambe tremare un po'.
«Andiamo, dai. Ti porto a casa e poi vado a lavoro», circonda le mie spalle con un braccio ed io deglutisco.

Non dico una parola.
Non ci riuscirei nemmeno.
Mi ucciderà con i suoi sbalzi d'umore, l'aggressività e la sua spietata dolcezza.
Vorrei tanto evitarlo, trattarlo male e fingere di odiarlo.
Però proprio non ci riesco.
Sono sotto mille treni.
Dannazione.

🌻🌻🌻

Ivan è venuto a trovarmi.
Mi ha portato una torta al cioccolato, l'abbiamo mangiata insieme e si è anche fermato a cena.
I miei coinquilini lo trovano davvero simpatico e la serata è passata in fretta, tra battute e risate.
Mi sono divertita anch'io, sinceramente.
L'atmosfera è rimasta allegra per tutto il tempo. Molto probabilmente perché non c'era Mattia nei dintorni.

Ripenso alla serata appena trascorsa per diversi istanti, ai modi gentili che il veterinario mi regala senza pretendere niente in cambio.
Poi, però, la mia testa archivia il volto di Ivan per dedicarsi ai film mentali basati su Mattia.
Cerco di non pensarci, ma è più forte di me.
È passata mezzanotte e non è ancora tornato da lavoro.
Lo immagino con i pantaloni neri, la giacca, la camicia bianca e tanta, tanta eleganza.
Sicuramente fa sempre il simpatico ai tavoli con le ragazze.

Proprio mentre sto pensando a lui, il mio cellulare emette un piccolo bip.
È arrivato un messaggio.
Lancio un'occhiata al display ed il mio cuore comincia a battere più veloce nel leggere proprio il nome di Mattia.
Posso andare in iperventilazione per un semplice messaggio?
Sì.
Posso.

"Sei sveglia?"

Il formicolio che sento allo stomaco adesso aumenta di intensità.
Vuole vedermi?
Cerco di non sorridere come una scema e rispondo: "No".
Il cellulare mi cade dalle mani quando Mattia decide di chiamarmi direttamente.
Cerco l'Iphone tra le lenzuola e tossico più volte prima di rispondere, le guance in fiamme.

«Com'è che non dormi mai, tu?», il suo tono di voce è divertito ed io sorrido istintivamente.
«Sai, quando dormo c'è sempre qualcuno che mi sveglia»
«Mh», lo sento soffiare e presumo stia fumando.
Mi pare di vedere il modo in cui butta il fumo fuori dalla bocca.
«Senti, Adè, puoi controllare se ho lasciato le chiavi di casa sul mobiletto vicino alla porta? Non le trovo», in sottofondo sento il vociare della gente e il traffico.

«Vuoi davvero farmi alzare? Nelle mie condizioni? Sei proprio crudele», scherzo e mi alzo con calma.
«Scusa», mormora, «È che ho finito adesso il turno e ho trovato solo le chiavi della moto. Se sono lì evito di mettere sottosopra il ristorante alla ricerca delle chiavi»
«Sei crudele lo stesso, Mattì»
«Appena torno a casa mi faccio perdonare», la sua frase mi scalda la pelle e mi concedo diversi respiri profondi.
Perché tutto quello che dice sembra una provocazione?
E perché deve essere sempre così sensuale?

Accendo le luci e osservo il mobiletto: «Qui le chiavi non ci sono», annuncio, «Quindi, come intendi farti perdonare?».
Lui accenna una risata, «Ho i miei segreti», mi dice, «Puoi controllare in camera mia? È impossibile che io le abbia perse».
Mi stringo nelle spalle e mi trascino fino alla sua splendida ed ordinatissima stanza.
Cerco l'interruttore della luce e osservo scrupolosamente tutti i mobili.

Ci sono dei quaderni sulla scrivania, penne ed evidenziatori, perfettamente allineati.
Sul comodino c'è un libro di poesie e sorrido, sfiorandone la copertina.
«Non ci sono», gli dico, «Ti piacciono le poesie?»
«Le uso per rimorchiare», scherza e scuoto la testa.
Che idiota.
«Controlla sul pavimento, in cucina, boh. Cercale un po' in giro, Adè».
Sbuffo e faccio una smorfia mentre mi chino per controllare sotto il letto.
«Mi stai provocando tanta, tanta sofferenza», ringhio e mi si stringe il cuore nel trovare tre foto che giacciono sotto il materasso.

Sono foto di Mattia con suo padre.
In una è ancora un neonato, ma lo riconosco dai suoi grandi occhi neri.
Nell'altra è già un bambino imbronciato di circa sette anni.
Nell'altra, invece, è un adolescente.
Suo padre, in tutte e tre le foto, non sembra felice.
Anzi, è decisamente troppo serio.
Nelle ultime due, poi, non ha nemmeno una bella cera.
«Non dirmi così. Mi fai sentire in colpa», la voce del mio coinquilino mi fa tornare alla realtà e abbandono le foto proprio dove le ho trovate.

Mi rialzo ed esco dalla stanza, pronta per perlustrare l'intero appartamento.
«Lo faccio solo perché sei l'unico a portarmi in braccio fino al settimo piano senza lamentarsi. In corridoio non c'è niente, comunque. Provo in cucina»
«Okay», risponde, «Fai con calma. Non ho fretta»
«Molta calma», borbotto mentre controllo tutte le superfici della stanza: «Niente. Delle tue chiavi non c'è nemmeno l'ombra».

Mattia sospira rumorosamente: «Boh. Vabbè, dai. Le cerco ancora qui e poi torno a casa. Mi aspetti?»
«No. Se non trovi le chiavi, dormi sotto il lampione che ho buttato giù e ci vediamo domattina»
«Devi sempre fare la stronza», commenta.
«Ti piaccio per questo»
«Anche. Mi piaci anche per questo», la sua risposta provoca un terremoto nel mio stomaco, «Ci vediamo dopo. Mi devo fare perdonare».
Lui riattacca.
Io, invece, resto immobile per diversi minuti.
Ha detto che gli piaccio.
E che deve farsi perdonare.

Mattia torna a casa mezz'ora dopo.
Non ha trovato le chiavi e sono io ad aprire la porta dell'appartamento per farlo entrare.
Con una mano tiene il casco, mentre con l'altra un sacchetto di plastica.
Osserva attentamente il mio pigiama color pastello e sorride: «Come siamo eleganti»
«Sfotti pure? Non dovevi farti perdonare?»
«Mi hai già perdonato. Ti basta guardarmi», mi sorpassa e schiocca un bacio sulla mia guancia, poi solleva il sacchetto: «Nel dubbio, comunque, ti ho preso dei fiori».

Fisso il sacchetto e inarco un sopracciglio: «Non vedo nessun mazzo di fiori»
«Ti ho preso dei fiori particolari, Adè. Lascia fare. Adesso vai in terrazza e rilassati un po'. C'è il cielo stellato. Metti una giacca, però. Io arrivo subito».
Osserva la mia espressione e poi, con le labbra ancora inarcate, sparisce dalla mia vista.
Ho come la terribile sensazione di essermi fatta fregare dal suo sorriso.
Mi ha fregato di brutto.

🌻🌻🌻

Mattia Caruso mi ha portato delle rose di salmone, dei gamberetti posizionati in modo da ricreare dei fiorellini e del vino bianco.
Ha apparecchiato la tavola sul terrazzo, ha riempito due calici e poi ha tirato fuori anche una candelina.
L'ho perdonato quando ho visto le rose di salmone.
Lo ammetto.
«Avevo già cenato», lo informo, mentre mando giù un gamberetto.
«Ho obbligato lo chef a prepararti delle rose di salmone quando aveva già finito il suo lavoro, mi sono preso le sue maledizioni mentre cercava di formare dei fiori con i gamberetti e adesso devi mangiare».

Scoppio a ridere e scuoto la testa, quindi continuo a mangiare senza protestare.
Sono senza fondo, mamma mia.
Mattia sorride e mi guarda senza dire una parola.
Anche lui mangia insieme a me e di tanto in tanto beve un po' del suo vino: «Sono perdonato, Adè?»
«Non ancora», mento, «Hai molte cose da farti perdonare»
«E sai quante ce ne saranno ancora», continua, consapevole del fatto che mi farà arrabbiare altre mille volte, almeno.

«Spero non troppe, Mattì. La mia pazienza ha un limite».
Il moro non risponde. Si alza e mi lascia un buffetto sulla guancia prima di entrare in casa e lasciarmi da sola nella terrazza, accompagnata da ciò che resta delle rose di salmone.
Torna dopo pochi istanti, comunque.
«Ho portato il pezzo forte della serata», mi dice, «Il dessert», parla con un tono così fiero che non riesco a trattenere una risata quando mi mostra due Kinder Pinguì.

«Adesso sei proprio perdonato», annuncio.
«Ti avevo detto di avere i miei segreti»
«Li usi con tutte?»
«Il Kinder Pinguì è per pochi», borbotta e non riesco proprio a rimanere seria.
«Mi sento onorata, allora».
Avvicina di più la sua sedia alla mia e le mie guance vanno a fuoco nel sentire le nostre ginocchia che si sfiorano.
Mangiamo il nostro dessert senza proferire parola, entrambi con lo sguardo rivolto verso il cielo scuro e stellato.

«Senti, senti», sussurra ed io corrugo la fronte, cercando di sentire chissà quale suono.
«Cosa?», bisbiglio.
«Senti che pace»
«Durerà poco, lo sai?»
«Tu non farmi arrabbiare», recupera una sigaretta e la sistema tra le labbra.
«Sei tu quello che si arrabbia e manda la quiete a puttane»
«Però poi mi pento», lascia scorrere un dito sul mio braccio, provocandomi una marea di brividi.

Ecco.
Quando mi sfiora così, sento il cuore sciogliersi.
Come si fa a resistere alle carezze della persona che più desideri avere?
Come si fa a fingersi forti? A fingere di non avere sentimenti? A far vincere l'orgoglio?
E come si fa a non sentire questo vuoto dentro che solo lui riuscirebbe a colmare?

«Ti sei pentito pure di avermi baciata, vero?».
Occhi dentro occhi, Mattia non riesce a nascondere la sorpresa nel sentire questa domanda.
Soffia il fumo fuori dalla bocca e annuisce: «Sì», ammette, «Non avrei dovuto avvicinarmi a te in quel modo per poi dirti di non volere una relazione. È stato scorretto e mi pento di averti-»
«Illusa», finisco io per lui, «Mi hai un po' illusa. Avevo capito di non dovermi aspettare una storia, ma a volte il cuore è stupido e si mette a sognare delle cose impossibili», le sue iridi brillano e sento il cuore in gola, «Se poi mi guardi così, proprio non riesco a pensare di non essere desiderata da te allo stesso modo in cui ti desidero io. Hai detto di volermi tremendamente, ma fai di tutto per tenermi lontana. Ho sempre pensato che gli occhi non siano in grado di mentire, ma i tuoi proprio non li capisco. Sembrano dire una cosa... E invece no».

Mi rendo conto di quello che ho detto, solo quando smetto di parlare e Mattia non risponde.
Mio Dio, sono completamente scema.
Ma che mi è preso?
Hanno messo la droga nel salmone?
Il moro deglutisce più volte ed evita il mio sguardo, quindi si alza per cominciare a sparecchiare.
«Non volevo illuderti», dice piano, «Non volevo ferirti. Non era mia intenzione, credimi»
«Però lo hai fatto»
«L'ho fatto»
«Perché?»
«Non lo so»
«Non lo sai», ripeto.

Mattia allarga le braccia, nelle mani dei vassoi in alluminio vuoti: «Adè, mi sembra di averti già fatto capire che non mi sei per niente indifferente. Non sono riuscito a trattenermi. Un secondo prima mi imponevo di resistere, quello dopo ti stavo già baciando. Ho il brutto vizio di non pensare prima di agire. Non lo farò più. Ho capito di aver sbagliato. Non avrò più atteggiamenti che potrebbero essere fraintesi».
Incrocio le braccia al petto e mi avvicino più a lui, una strana rabbia comincia a prendere il possesso del mio corpo.
Mi fermo a pochi centimetri dal suo corpo e lo sfido con lo sguardo, quindi mi sollevo in punta di piedi e lascio sfiorare i nostri nasi.

Il moro è piuttosto confuso, ma non si tira indietro.
«Non lo farai più», sussurro, «Perché sarò io a non permetterlo. Non sei tu a decidere se e quando baciarmi. Ho sbagliato anch'io a lasciartelo fare, visto l'esito finale».
Il suo pomo d'Adamo va su e giù e trattengo un sorriso diabolico nel vedere il modo in cui fissa le mie labbra.
Abbandona i vassoi sul tavolo e si inunidisce le labbra: «Non giocare con me, Adele. Non vinceresti la partita»
«Io dico di sì», le nostre labbra quasi si sfiorano e mi viene la pelle d'oca nel sentire il suo fiato caldo.

«Non tentarmi», sussurra, la voce roca.
«Non lo sto facendo»
«Invece sì», dice piano, «Invece stai cercando di rendermi tutto più difficile. Se cerco di tenerti lontana, Adele, è solo per il tuo bene»
«Ti terrò lontano anch'io. Per il mio bene»
«È giusto così», si schiarisce la voce mentre preme le mani sui miei fianchi.
«Niente più bacetti», gli dico, «Il mio cuore è rimasto bloccato lì e adesso ho bisogno di andare avanti», premo le mie dita sulle sue labbra e mi viene la pelle d'oca.
Un bacio.
Voglio solo un ultimo bacio prima di cercare di andare avanti.

«Va bene», parla piano, «Hai ragione».
Sento il suolo mancare sotto i piedi e decido di allontanarmi un po' dal suo corpo per riprendere fiato.
Mi stampo un sorriso finto per nascondere la delusione che sta dominando il mio stato d'animo; gli porgo la mano che lui prontamente stringe: «Ci siamo chiariti», gli dico.
«Ci siamo chiariti», conferma.
«E senza mandarci a quel paese»
«No, infatti», la sua mano continua a stringere la mia.
Bene.
Adesso direi che è arrivato il momento di andare a rifugiarmi in camera mia.
Potrei scoppiare a piangere tra tre, due, uno...

«Buonanotte, Mattì», mi libero della sua presa e mi allontano da lui, «Vado a dormire. Ci vediamo domani»
«Adè», avanza verso di me con decisione, velocemente e senza nessuna esitazione.
Sta agendo d'impulso.
Io indietreggio fino a sbattere le spalle contro la portafinestra; Mattia sistema le braccia ai lati della mia testa e m'incastra con il suo corpo.

«Che-che stai facendo?».
Mi sembra di poter svenire adesso.
Non risponde.
Preme il suo corpo contro il mio e, senza nessuna esitazione, bacia le mie labbra come se gli appartenessero.
No, no, no.
Non posso lasciarglielo fare.
Premo le mani contro il suo petto per allontanarlo, ma in tutta risposta stringe i miei polsi con una mano e li tiene fermi sulla mia testa.
Qui e adesso, mi rendo conto del fatto che aveva ragione: non sono in grado di vincere la partita.
Non ancora, almeno.

Ma questa è l'ultima volta, mi dico.
Non succederà più.
Il mio corpo pulsa a causa del suo bacio rovente, le mie gambe tremano ed un gemito sfugge dalle mie labbra nel sentire il suo desiderio premere forte contro la mia pelle.
Mi sgretolo tra le sue mani e mi odio.
Mi odio perché glielo sto lasciando fare ancora.

Con una mano tira su la mia coscia sinistra, l'unica a non essere martoriata. Le costole fanno male, ma mi scordo del dolore quando i nostri bacini si scontrano e le sue dita premono contro la mia pelle piena di brividi.
Siamo talmente vicini da poter sembrare una cosa sola. Il tempo si ferma. Ci siamo solo io, lui e le sue labbra esperte che stanno torturando le mie con morsi dolci e decisi.

Il cuore mi balza in gola nel momento in cui tira su anche l'altra gamba, tenendomi in braccio senza mai staccarsi dalla mia bocca.
Fermati, ti prego.
Fermati.
Perché io non trovo la forza di farlo.
Affondo le mani tra i suoi capelli, spingo il mio corpo contro il suo e ardo di desiderio nel sentire Mattia sospirare sulla mia bocca.
Probabilmente nemmeno lui ha la forza di allontanarsi.

Però lo fa.
La pelle in fiamme e la voce resa rauca dall'eccitazione.
Mi guarda e deglutisce: «Era... Era l'ultimo. Scusa. Non so cosa mi è preso», mormora, «Non lo farò più. Sentiti libera... Sentiti libera di andare avanti».
Io boccheggio, incapace di proferire parola.
Era un addio, questo?
Era davvero il nostro ultimo bacio?

Vorrei dire qualcosa, ma il suono del citofono mi fa gelare il sangue nelle vene.
Chi viene a bussare alla nostra porta, a quest'ora della notte?
Mattia corruga la fronte e scansa il mio corpo per entrare nell'appartamento immerso nel buio.
E tremo quando passa il tempo e non torna da me.

BUON POMERIGGIO!
Come state?
Capitolo infinito.
Mamma mia, non riuscivo a trovare il punto giusto per tagliare 😂 quindi boh, eccoci qua.
Sono praticamente due capitoli in uno. Spero vi sia piaciuto, almeno.
Da questo capitolo in poi, ci divertiremo un sacco. Sappiatelo.
Abbiamo Adele davvero partita per la tangenziale. Mi chiedo: vi è mai capitato di prendere una sbandata per un ragazzo che non vi dava certezze? Se sì, molto probabilmente, riuscirete a capire il comportamento di Adele che continua a sperare in qualcosa di più. (Per ora).
Adesso vi lascio con l'ansia e aspetto i vostri pareri.
Torno presto.
Un bacio 💖

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