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18. Ti piaccio.

Non riesco a dormire.
Sono nel mio letto, tra Martina e Michela, intenta a fissare le mura della stanza.
Il mio cuore batte velocemente e non riesco a spegnere il cervello.
Sto pensando a Mattia e al fatto che quei post-it sono apparsi quando lui è entrato nella mia vita.
E se fosse uno psicopatico?
Se davvero avesse disturbi della personalità?
Ci sono migliaia e migliaia di casi come questo, nel mondo.

Mordo l'interno della mia guancia e mi concedo un respiro profondo, poi un altro.
Nella mia mente rivedo la sua faccia seria, i modi sgarbati che mi ha dedicato e le sue parole cattive.
Chiudo gli occhi e mi odio quando prende possesso della mia testa il ricordo di noi due sulla terrazza del nostro condominio.
Come si fa a passare dall'essere estremamente dolce all'essere particolarmente stronzo?
Cosa gli ho fatto?

Mordicchio le mie unghie e scalcio via le lenzuola, quindi scavalco il corpo di Michela ed esco dalla stanza.
Ho bisogno di un bel bicchiere di acqua fresca.
Anche due.
Attraverso in punta di piedi il corridoio e sto per raggiungere la cucina quando mi blocco davanti alla camera di Luca e Mattia.
Muovo un passo avanti e poi torno indietro.
Poggio la mano sulla maniglia e l'abbasso piano, quindi mi sporgo un po' per riuscire a vedere l'interno della stanza.
E tremo quando noto che il letto di Mattia è vuoto.

«Bu», un sussurro alle mie spalle mi fa sobbalzare e strozzo un urlo quando vado a sbattere contro il muro.
Davanti a me c'è Mattia, un sorriso diabolico sulle labbra ed un sopracciglio inarcato.
«Ma-ma cosa fai sveglio, a quest'ora?», bisbiglio per non svegliare Luca; il cuore sta per uscire dalla gabbia toracica.
«Potrei farti la stessa domanda», risponde, incrociando le braccia al petto, «Volevi spiarmi mentre dormivo, Adè?»
«Ti piacerebbe», sibilo, «Sono venuta a controllare la situazione», invento sul momento.

«Controllare la situazione», mi prende in giro lui, «E com'è? Tutto regolare?»
«Perché non sei nel tuo letto?»
«Perché avevo bisogno di svuotare la vescica», ribatte, «Dovevo venire a chiederti il permesso?», appoggia la mano accanto alla mia testa, bloccandomi contro la parete.
«N-no, certo che no»
«Okay», sussurra e spero mi lasci andare, ma non si muove di un millimetro.
I nostri nasi quasi si sfiorano e chiudo gli occhi nel momento in cui accarezza la mia guancia con due dita.
Sto tremando.
Il buio, la casa silenziosa ed i suoi occhi su di me non mi fanno stare tranquilla.
Per niente.

«Perché tremi, Adè? Ti è passato il coraggio, ora che sei sola?», una mano si poggia sul mio fianco e deglutisco rumorosamente.
«Non sono sola», ringhio, «Luca è ad un metro da noi»
«Ha il sonno pesante», m'informa.
Lo so, vorrei dirgli.
Mi chiedo come faccia lui a saperlo, invece.
«Lasciami andare», sbotto e scuote la testa prima di fare un passo indietro per rendermi libera di fuggire.
Wow.
È stato semplice.

«Buonanotte», lo saluto e cammino in direzione delle scale.
«Adè», mi chiama e rimango paralizzata nel mezzo del corridoio.
«Che c'è?»
«Posso andare a fumare una sigaretta, da qualche parte? In camera non c'è il balcone».
Alzo gli occhi al cielo e sospiro: «Puoi fumare in giardino, se vuoi»
«Okay»
«Buonano-»
«Non mi accompagni?».

Boccheggio per qualche istante e mi giro a guardarlo: «Soffri di memoria a breve termine? Ricordi come mi hai trattata, prima? Sei passato dall'essere gentile a-»
«Sei tu la padrona di casa. Non è buona educazione lasciar vagare da solo un ospite».
Vede che non rispondo, quindi continua: «Vado a prendere le sigarette», si avvicina alla porta e poi si gira a guardarmi: «E chiudi la bocca, Adè. Entrano le mosche».
Credo di avere un tic all'occhio destro.

Conficco le unghie nei palmi delle mie mani e mi concedo diversi respiri profondi mentre aspetto Mattia. Il moro torna da me dopo pochi istanti e mi segue silenziosamente, rimanendo alle mie spalle.
Il suo sguardo, dietro di me, mi fa sentire tremendamente a disagio.
Sto cercando di non pensarci, comunque.
Apro la porta e faccio un cenno col capo in direzione delle poltroncine, «Accomodati».

Schiocca la lingua sotto il palato e fa come gli dico, poi sistema una sigaretta tra le labbra e mi incanto un attimo ad osservare il suo volto illuminato dalla luce dei lampioni.
Gli occhi scuri si assottigliano, i capelli si muovono un po' a causa del leggero vento, così come la sua t-shirt.
È lui, quello bello da fare male.
Peccato che si sia rivelato anche un pazzo dalla personalità confusa.

Mi siedo accanto a lui e picchetto le dita contro le mie gambe lasciate scoperte dai pantaloncini del pigiama.
Non dice una parola.
Nemmeno io, ovviamente.
Non voglio più parlargli.
«Hai una bella casa», esordisce dopo un po'.
«Grazie», almeno si degna di non sputare veleno.
Mi schiarisco la voce e lancio una veloce occhiata alle mie unghie smaltate di rosso, poi rabbrividisco a causa del vento che accarezza la mia pelle.

«Hai freddo?», soffia il fumo fuori dalle labbra e mi concede uno sguardo veloce.
«No», mento, «Ma fuma in fretta. Voglio andare a dormire»
«Okay», e per l'ennesima volta cala un imbarazzante silenzio.
Io mi limito a fissare il cielo per scappare dai suoi occhi.
«Posso chiederti una cosa, Adè?»
«No»
«Per quale motivo vivi in una casa al settimo piano e priva di ascensore quando è evidente che potresti permetterti una casa tutta tua nel centro di Palermo?».

La sua domanda mi irrita e non poco, ma cerco comunque di non farglielo notare: «Voglio condividere l'appartamento con i miei amici», dico semplicemente.
«Mh», inspira il fumo e poi lo soffia via, la fronte corrucciata e l'espressione confusa.
«Mh?»
«Niente», mormora.
«Posso chiederti una cosa io, adesso?»
«No»
«In quanti siete?», assottiglio gli occhi e mi avvicino più a lui.

Mattia non nasconde la sua confusione e inarca un sopracciglio: «Come, scusa?»
«Tu e quante altre personalità siete incastrate in questo bel corpo?».
Un secondo dopo, un sorriso malizioso si stampa sulle sue labbra rosse: «Bel corpo, eh?».
Vorrei schiaffeggiarmi da sola.
«Ho fatto una domanda», fingo di non essere imbarazzata a causa del suo sguardo furbo e indagatore.

«Era più un complimento», ribatte lui, soffiando il fumo fuori dalla bocca.
«Non lo era»
«Lo era, Adè», strizza l'occhio e allunga il braccio in direzione del piccolo tavolino davanti a noi, quindi afferra il posacenere e spegne la sigaretta, sfregandola tra le sue dita affusolate, «Ti piace ciò che vedi. Non devi nasconderlo».
Le sue parole fanno colorare le mie guance di rosso e ringrazio il buio della notte che camuffa il mio imbarazzo: «Sei troppo sicuro di te stesso, non credi?».

Passa la lingua sulle labbra e scuote la testa: «No. Non credo», avvicina di più la sua poltroncina alla mia e mi ritrovo a deglutire rumorosamente, «E sai perché?»
«P-perché?»
«Perché ti piaccio. Ce l'hai scritto in faccia».
Per qualche istante cala il silenzio ed il mio cuore si ferma, ma subito dopo una grandissima risata isterica sfugge dalle mie labbra con talmente tanta intensità che credo di essere riuscita a svegliare l'intero vicinato.

«Ecco», continua lui, «Adesso stai ridendo per camuffare il profondo imbarazzo che ti logora dentro, ma sta tranquilla, Adè, fingeró di percepire solo il tuo sarcasmo»
«Tu hai problemi nella testa», continuo tra una risata e l'altra.
«Mh-mh»
«Davvero, non sei normale»
«Continua pure»
«Non sei proprio il mio tipo», mi difendo, «Anzi, ad essere sincera, evito come la peste quelli come te».

Passa una mano tra i capelli e scuote la testa: «E come sarebbero, quelli come me?».
Occhi dentro occhi, per un istante mi scordo pure come si fa a parlare.
Mi riprendo subito, comunque.
«Presuntuosi, arroganti, bugiardi e donnaioli»
«Pensi questo di me?»
«Esattamente», stringo i pugni, sfidandolo con lo sguardo.
«Okay», dice solamente.
Non prova nemmeno a smentire.
«Okay?», credo di essere scioccata.
«Okay», conferma, poi si alza e mi scompiglia i capelli: «Buonanotte, Adè. Fa bei sogni».

🌺🌺🌺

«Hai preso il regalo?»
«Sì»
«E hai detto a tutti di essere qui entro le otto di stasera, giusto?»
«Giusto»
«E riuscirai a toglierti quell'espressione da zombie dalla faccia, vero?», Salvo lascia un buffetto sulla mia guancia e mi ritrovo a sobbalzare.
Stiamo rivedendo tutti i dettagli per la festa di compleanno di mio padre mentre facciamo colazione e continua a parlare ininterrottamente da più di trenta minuti.
Io non ho chiuso occhio per tutta la notte, motivo per cui mi limito ad acconsentire ad ogni sua frase.

«Non ho dormito», bofonchio.
«Si vede», ribatte lui, trangugiando a grandi sorsi il suo caffè, «Cerca di riprender-», la sua frase viene interrotta dall'ingresso di un'imbarazzatissima Giordana.
La mia amica cammina in punta di piedi, le scarpe in mando ed il vestitino della scorsa sera ancora addosso.
Non appena ci vede, spalanca gli occhi e ride nervosamente: «Bu-buongiorno! Già svegli, eh? I-io vado a casa. Ci vediamo stasera!».
Salvo corruga la fronte e la segue con lo sguardo: «Non resti a fare colazione?»
«No, grazie. Ciao!», ci manda un bacio e sparisce in fretta, facendo calare il silenzio.
Strano.

Mio fratello serra le labbra e deglutisce più volte, lo sguardo perso nel vuoto.
Assottiglia gli occhi e picchietta nervosamente le dita sul tavolo della cucina, poi fa una smorfia: «Sta scappando», sentenzia.
«Nah», mento.
«Sta scappando», ripete, «Come sempre»
«Perché dovrebbe?»
«Perché lei è così», ringhia e si alza, «Ma la tua amica non ha capito con chi sta giocando, Adè», si avvicina a grandi passi alla porta e va a sbattere contro un Mattia ancora assonnato che entra in cucina.

Il mio coinquilino barcolla e strabuzza gli occhi, quindi Salvo si scusa e gli lascia una pacca sulla spalla: «Buongiorno», gli dice prima di sparire dalla nostra vista.
Mattia sbadiglia e mi guarda perplesso: «Giorno», sussurra, la voce rauca.
Mi guarda ed io guardo lui.
I capelli scompigliati, i pantaloncini di una tuta grigia ed il torso nudo e scolpito.
Se non avessi dei dubbi sulla sua sanità mentale, molto probabilmente, ci avrei fatto un pensierino.
Più di uno, in realtà.

«Finito con la radiografia?», parla e rovina tutto quanto.
Mi limito a sbuffare sonoramente per poi addentare un biscotto: «Vuoi fare colazione, Mattì? Così tappi quella bocca con del cibo, magari»
«Adele, tesoro, è così che ti ho insegnato a trattare gli ospiti?», la voce di mio padre mi fa sussultare e sia io che Mattia ci giriamo in fretta a guardare il nuovo arrivato.

«Papà! Buongiorno e buon compleanno!», mi stampo un sorriso sulle labbra e corro a schioccare un bacio sulla sua guancia.
Lui mi abbraccia e poi porge la mano al mio adorabile coinquilino: «Tu devi essere Mattia. Ho sentito parlare di te»
«È un piacere incontrarla, signor Costa. E tanti auguri!»
«Grazie mille», risponde mentre afferra un biscotto, «Beh, ci vediamo dopo. Devo proprio scappare. Il dovere chiama», lascia un bacio sulla mia fronte e fa un cenno col capo in direzione di Mattia per poi uscire in fretta.

Mi schiarisco la voce e mi stringo nelle spalle, quindi guardo fuori dalla finestra per osservare mio padre che si allontana.
Spero riesca a tornare a casa per la sua festa di compleanno, almeno.
«È un lavoro impegnativo, il suo», Mattia sembra leggermi nel pensiero.
Mi schiarisco la voce e mi ritrovo ad annuire: «Già»
«Non è mai in casa, mh?», si avvicina al mio corpo e mi sembra di percepire il calore che emana la sua pelle.
Sento il bisogno di allontanarmi.

«Quasi mai», mi ritrovo ad ammettere, «Ma non ci ha mai fatto sentire la sua assenza»
«Il tuo tono di voce lascia intendere il contrario»
«Non è così. Adesso vado a... Vado a fare una doccia. Ci vediamo dopo. Chiama Salvo se hai bisogno di qualcosa», mi allontano con calma, ma sono costretta a fermarmi quando Mattia mi chiama.

«Adè»
«Sì?»
«Torno a Palermo», annuncia, «Prendo il primo autobus».
Inarco un sopracciglio e cerco di nascondere la mia delusione.
Perché sono delusa, poi?
«Non rimani per la festa?»
«No», mormora, «Ho delle cose da fare»
«Delle cose da fare», ripeto.
«Già»
«Tipo?», incrocio le braccia al petto, spinta da una strana curiosità mista a rabbia.
«Perché dovrei darti delle spiegazioni?», muove un passo verso di me, l'espressione seria.

«Non voglio nessuna spiegazione», ringhio, «Ma gli altri ci rimarranno male»
«E tu?»
«Io no. Non mi cambia niente».
Lui annuisce senza proferire parola, picchietta con le dita sul bancone della cucina e mi rivolge uno strano sorriso.
Ti sei offeso, Mattì?
Per un istante penso di avere esagerato ed il mio cervello mi suggerisce di aggiungere qualcosa, ma l'ingresso di mia madre interrompe il momento.

«Oh, Adele! Eccoti! Ti stavo cercando», parla velocemente e posa i suoi occhi sul corpo di Mattia, «Buongiorno! Hai dormito bene?»
«Benissimo, signora Costa», bofonchia in risposta.
Non mi sembra molto convinto, comunque.
«Mi fa piacere!», sorride in modo radioso e poi mi mette un cellulare tra le mani, «Tuo padre ha dimenticato questo. Potresti portarglielo? Abbiamo bisogno di sentirlo durante tutto il giorno per capire come muoverci. Deve essere una sorpresa. Non può arrivare qui durante i preparativi. Te ne occupi tu, okay? Vai a vestirti e corri in ospedale. Mattia può farti compagnia. Al resto pensiamo noi. Ho già avvisato i tuoi amici», parla così velocemente che per un istante mi scordo pure il mio nome.

«È tutto chiaro, Adele?»
«Ehm, sì. Devo portare questo a papà. Okay», sollevo lo smartphone mentre lei annuisce.
«Mattia verrà con te», continua lei, «Così potrà aiutarti a portare qui le lanterne e le candeline che abbiamo ordinato»
«Mattia prenderà il primo autobus», la informo.
Mia madre apre la bocca e la richiude più volte, quindi si gira a guardare il mio coinquilino: «Vai via?»
«Uhm, sì. Ho... Ho delle cose da fare»
«Ha delle cose da fare», ripeto io.
«Oh. Mi dispiace», lei si stringe nelle spalle, «Allora porta questo cellulare a tuo padre e accompagna Mattia alla stazione. Non essere scortese, figlia mia», detto questo, saluta Mattia e sparisce dalla nostra vista.

Mi schiarisco la voce e mi concedo un respiro profondo, «Beh. Vado a prepararmi, allora»
«Vado anch'io»
«Fai in fretta», gli dico, «O perderai l'autobus»
«Non sia mai», sorride diabolico e stringo i pugni.
Che odio.

🌺🌺🌺

«Vai piano, Adè»
«Sto andando piano»
«Rallenta»
«Non voglio farti perdere l'autobus! Dobbiamo ancora passare dall'ospedale», inumidisco le mie labbra e sorpasso un'auto mentre Mattia si tiene stretto al sedile del passeggero.
«Vorrei arrivarci sui miei piedi, all'ospedale», fissa attentamente la strada e deglutisce più volte.

«Stai bene, Mattì? Sei pallido»
«Potrei stare meglio. Rallenta!»
«Okay», freno di botto e trattengo una risata quando il suo corpo viene sbalzato in avanti.
Tra poco vomita.
Sicuro.
Si concede dei respiri profondi e si passa più volte la mano tra i capelli.
«Chi ti ha dato la patente? Cristo, ho perso trent'anni di vita»
«Sai, Mattì? Mi succede la stessa cosa quando guidi la tua moto»
«Non dire sciocchezze», sbraita, «Attenta a quel signore!», si tappa gli occhi con una mano e continuo a ridacchiare mentre osservo un uomo che attraversa la strada.

«Puoi guardare, se vuoi. È vivo. Lo abbiamo mancato», lo prendo in giro e mi becco una brutta occhiataccia.
Lui continua a criticare il mio modo di guidare per il resto del tragitto e scende in fretta dall'auto quando mi fermo nel parcheggio dell'ospedale.
Esagerato.
«Vieni», gli dico, «Consegnamo il cellulare e corriamo alla stazione», cammino in direzione dell'ingresso, affiancata da Mattia.
«Possiamo andare con calma», borbotta, «Non ho intenzione di morire proprio oggi».

Decido di non rispondere e perlustro con lo sguardo i corridoi per riuscire ad intravedere mio padre.
«Guardiamoci intorno», gli dico, «Sarà qui da qualche parte. Vado a vedere se le infermiere lo hanno visto», gli lascio una pacca sulla spalla e mi allontano di qualche passo, quindi vado a recuperare informazioni.
Mattia, intanto, sembra piuttosto scocciato. Cerca mio padre senza troppo entusiasmo e cammina lentamente, osservando distrattamente le stanze in cui si trovano i pazienti.

Decido di non guardarlo più e ringrazio una vecchia signora che mi indica la stanza in cui dovrebbe trovarsi mio padre.
Raggiungo Mattia e faccio un cenno col capo verso la porta della camera: «Una signora lo ha visto entrare qui. Forse si sta riposando prima di un intervento».
Il moro annuisce e apre la porta, ma la richiude subito dopo e tossisce più volte: «Non c'è», annuncia, «Non c'è. Proviamo di là», afferra il mio polso e cerca di allontanarmi, ma il suo viso sconvolto mi impedisce di muovermi.
C'è qualcosa che non va.

«Mattì, stai bene? Mi sembri...»
«Sto bene, Adè. Cerchiamo tuo padre. Devo prendere un autobus», cerca di allontanarmi dalla stanza e corrugo la fronte, quindi strattono il mio braccio per liberarmi dalla sua presa.
Abbasso la maniglia ed il mio stomaco si contorce nel vedere Mattia che passa nervosamente la mano tra i suoi capelli.
«Non c'è, Adè. Ho già controlla-», ma non riesco più a sentirlo quando davanti a me si presenta una scena sconcertante.

Mio padre sta chiudendo in fretta la sua camicia mentre una dottoressa, con il camice aperto, spalanca la bocca più volte, scioccata.
I miei occhi si annebbiano e le mie gambe tremano così forte che quasi non crollo al suolo.
Mattia si affretta a stringere i miei fianchi e mi regge in piedi.
Mio padre, invece, tenta di dire qualcosa.
Non lo sento.
Che cosa ho appena visto?

Buona domenica!
Sono tornata ragaaaaaa.
Scusate se manco da un sacco.
Tra esami, mare e lavoro non ho avuto tempo di vivere.
Inoltre mancava anche l'ispirazione, ammetto.
Cercherò di scrivere il più possibile e di aggiornare molto più spesso.
Davvero, scusatemi.
Voi come state?
Le vacanze come vanno? Aggiornatemi 😍😍
Leggo tutti i vostri commenti e siete fantastiche, davvero.
Grazie di tutto.
Un bacione ❤️❤️
Ps. Fatemi sapere cosa pensate del capitolo!

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