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Ancora

Vento. Che spazza l'oceano all'infinito. Compagno fedele, tranne quando, soffiando fortissimo e senza tregua, scatena sotto di me onde troppo rabbiose.

Come sempre seguo la traccia e sento un insolito languore. Dovrei scendere e pescare, ma l'oceano mi ha respinto furioso. Neppure mi ha consentito il sonno, così ho continuato, continuato e continuato. Non è bello, né felice, il mio volo: dovrebbe essere ala contro ala. La mancanza di contatto è un vuoto che paradossalmente mi riempie la gola.

Ala contro ala. La sentivo abbassarsi, la seguivo e sfioravo e quella riprendeva quota. In volo potevamo anche riposare fino a perdere coscienza: si vegliava a turno.

Ora c'è solo lo stomaco vuoto, gli occhi appesantiti dall'insonnia. Nelle ali, intorpidite, serpeggia il dolore. Le ritraggo, non tengo più il vento. Scivolo verso il basso e l'urlo del mare mi schiaffeggia, iroso, inospitale, pericoloso. Distendo le ali e riprendo il vento. Ma il dolore cresce fino a essere grido.

Le socchiudo e si attenua, ma sto precipitando e grida, spalancandosi come una bocca, il mare.

Apro le ali. Urla il dolore. Le chiudo. Urla il mare. Le apro, dolore. Le chiudo, mare.

Chiudo. Apro. Chiudo.

Lungo la traccia si incontra la terra. Quando la stanchezza era così grande, si alzava sempre la terra, dal mare. Ma non questa volta. Il mare è diventato più grande, più faticoso e sono solo. Chiudo le ali e gli occhi.

Uno stridio improvviso. Ala contro ala. D'istinto riallargo le mie e fisso la piccola creatura accanto a me: una, molte, mi circondano. Sono piccole e come me seguono la traccia. Le onde, ora altissime e assordanti, sputano schiuma. Sono rabbiose, perché la terra che si solleva osa ostacolarle. Davanti a me la traccia è diventata finalmente casa, un'alta scogliera di cui riconosco l'odore. Atterro rovinosamente, peggio della prima volta che, sollevatomi in volo, ho dovuto tornare sugli scogli. Sono arrivato, ma sempre solo, sono. A che è servita, tanta pena?

Tra gli innumerevoli nidi dei candidi uccelli minori, raccolgo le enormi ali e aspiro l'aria, cercando un odore che non c'è. Chiudo gli occhi spossato. Rabbrividisco nel buio che sopraggiunge, mi sollevo e vado a pescare nella nuova luce. Si susseguono buio e luce, buio.

 Basta! Desidero solo dormire, anche se c'è la luce dell'ennesimo giorno.

Lontano, a palpebre chiuse, colgo un richiamo. Incerto, mi guardo intorno. Ho sentito bene? Di nuovo, ed è più vicino. Voglio capire: mi ergo sulle zampe, apro le ali e poi mi butto giù dalla rupe. Il vento, che viaggia sul mare e risale potente contro la scogliera, mi solleva. Sfreccio tra le piccole sagome bianche. Volo in alto, lanciando un grido che le disorienta, un grido che erompe dalla gola, liberatorio. Ala contro ala, amica, sorella! Ti accolgo, mi accogli, non sei sola, non solo solo!

Un uomo accucciato, stupito, si è passato la mano sugli occhi. Sono considerati estinti da venti anni ed ecco, invece, una coppia di quei magnifici trasvolatori oceanici, imponenti, l'apertura alare d'un piccolo deltaplano.

Il maschio l'aveva già avvistato a terra, tra le sule. Sembrava stremato, forse troppo vecchio, morente, invece ora si libra immoto nel cielo e chiama la femmina che, nell'immensità oceanica, ha misteriosamente raggiunto proprio quel minuscolo scoglio perso nell'azzurro.

L'uomo ingoia l'emozione, col binocolo li guarda sfiorarsi e calarsi verso la scogliera.

 Ancora. 

Voleranno ancora sulle ali delle tempeste. Ci saranno ancora i pulcini dell'Albatro reale.

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