Il sogno più ricorrente sulla sua infanzia riguardava il pomeriggio in cui aveva incontrato la lupa.

C'era un bosco, e in lontananza sentiva le voci dei suoi genitori adottivi, nel confuso ricorso di un picnic domenicale.

Le fronde sbattevano umide contro le sue guance mentre si inoltrava nelle fitte ombre della boscaglia. Carezze di foglie dolci come la mano della mamma che non aveva mai conosciuto.

Chi era sua madre?

Si gonfiava l'oscurità intorno a lui.

Forse, avrebbe dovuto sentire paura. Invece, solo un senso di sconosciuta calma, così diversa dalla continua vibrazione di inspiegabile ansia che disturbava le sue quotidianità alla luce del sole.

Si sentiva così a suo agio nell'oscurità.

Mamma.

Il primo ricordo che aveva di lei erano i suoi occhi. Il taglio sottile, quel giallo lunare che splendeva come una lama dorata nel buio della folta foresta.

Non sapeva dove si trovava, ma quegli occhi lo facevano sentire al sicuro.

Il suo pelo era folto e puro come l'argento.

Silenziosa, la lupa si era avvicinata a lui.

"Non avere paura."

Chi aveva parlato? Una voce nel suo cuore. Si era chinato accanto alla lupa. Per una infinitesimale frazione di secondo il suo sguardo aveva incrociato quelle fessure lunari.

"Uccidimi, ti prego. Non voglio più vivere."

"Non è ancora il tuo momento."

"Quando lo sarà?"

"Quando rimpiangerai che stia avvenendo."

Nonostante la sua tenera età, afferrava ogni profondità di quel dialogo telepatico. Il fatto che stesse dialogando mentalmente con un animale nel folto di un bosco non lo metteva minimamente a disagio. 

"Non potrà mai accadere."

"Non fino a che non avrai provato ad amare."

Poi, si risvegliava. Di nuovo, sul divano del suo monolocale, arredato con i primi prezzo dell'Ikea, in un residence che chiedeva un affitto leggermente al di sopra delle sue possibilità finanziarie.

Fuori dalla finestra entravano i rumori della città. Di un sabato sera che non esisteva più.

Era allora che decideva di uscire in caccia.