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7- Il dono I

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*

Il piccolo Lucius si era adattato con straordinaria facilità ai nuovi ritmi scolastici di Hogwarts. Ogni mattina, ancor prima che l'alba tingesse il cielo di tonalità pastello, i suoi occhi si aprivano con un entusiasmo contagioso.

Era il primo a emergere dal caldo abbraccio delle lenzuola; quando i suoi piccoli piedi scalzi sfioravano il pavimento di legno con leggerezza, lui andava ad aprire il suo baule, che scricchiolava nel silenzio sonnacchioso del dormitorio, e lì spostava magliette e calzini per cercare una boccetta di pozione viola, che puntualmente era caduta sul fondo. La prendeva e ne beveva il contenuto, che aveva il gusto del lampone, poi l'osservava mentre, dal nulla, tornava a riempirsi dello stesso liquido.

A quel punto la gettava nuovamente tra i vestiti, richiudeva il baule, e provava a dimenticare di essere un ragazzo speciale. Un istante dopo era vestito, pronto per la colazione.

Il tepore della Sala Comune di Hufflepuff agiva come un diffusore di vibrazioni positive per Lucius, e dissipava le sue paure come neve al sole. Era come se le pareti emanassero un'aura di affettuosa accoglienza, e l'aria fosse impregnata di una senso costante di benvenuto e affabilità. Il ragazzo non vedeva l'ora di tornare a sedere sui morbidi divani gialli insieme ai suoi amici, nel pomeriggio, per rilassarsi in loro compagnia prima di fare i compiti.

Fin dal primo giorno di lezione, Rémus aveva dimostrato di essere il più pigro del gruppo, e la sua personale battaglia contro la sonnolenza mattutina era stata causa di qualche risata tra amici; Artemisia, d'altra parte, non usciva dal suo dormitorio senza prima essere perfettamente in ordine, già vestita della divisa scolastica.

Ogni giorno, Lucius doveva pazientemente aspettare che i suoi amici fossero pronti, tuttavia l'attesa era ricompensata dal piacere di scendere insieme in Sala Grande. Essendo ancora nuovi a Hogwarts, ogni mattone, ogni scala semovente, suscitava in loro un sincero stupore, un'ammirazione per la millenaria maestosità del castello che li aveva accolti, che rallentava il ritmo dei loro passi.

"Hai mai considerato l'idea di cambiare colore ai capelli, Rém?" Chiese Artemisia, quel giorno. Come al solito nel loro piccolo gruppo, la ragazza camminava al centro tra i due amici, lanciando sguardi di disapprovazione verso i ciuffi verde smeraldo che le passeggiavano accanto. "Ti fanno sembrare uno Slytherin. Secondo me, creano un sacco di confusione."

"Anche quell'altro ragazzo accanto a te sembra uno Slytherin." Scherzò Rémus, indicando Lucius, solo per cambiare argomento.

La ragazza parve a disagio. La presunta appartenenza di Lucius alla Casa di Slytherin era ormai un problema superato, ma era stata la causa del primo imbarazzo tra di loro.

"Parlare con te è come parlare alla mia Puffola Pigmea."

"Sono sicuro che Pippi è anche molto più sveglia di me." Concordò Rém, molto seriamente.

Attraversarono i battenti della Sala Grande. Come ogni mattina, i tre Hufflepuff erano in ritardo, quindi i tavoli erano già pieni di studenti che facevano colazione. Il tetto festeggiava il clima ancora mite riproducendo un cielo di un azzurro brillante.

Istintivamente, Lucius guardò il tavolo degli Slytherin. Non solo perché Artemisia li aveva nominati o perché si sentiva in qualche modo legato a loro. Il ragazzo continuava a disprezzarli profondamente, ma provava interesse per quella ragazza dai capelli neri che durante le lezioni non parlava mai con nessuno.

Constance era di nuovo lì, seduta al centro del tavolo della sua Casa. Anche da lontano, poteva vedere che portava lo smalto nero alle unghie. La frangetta le copriva metà del viso, ma casualmente sollevò la testa nel momento esatto in cui Lucius posò lo sguardo su di lei. Quando si rese conto di essere stato beccato, il ragazzo arrossì improvvisamente e cercò di nascondersi dietro ai suoi amici, anche se sapeva che il danno era ormai fatto.

Lucius non poteva lamentarsi delle pietanze che offriva il Manor, ma quelle di Hogwarts avevano qualcosa di speciale. Durante la colazione, i suoi compagni di classe parlarono del compito di Erbologia che dovevano consegnare quel giorno. Bisognava scrivere un tema a proposito delle differenze tra Erbologia e Botanica, ed era il primo compito della loro carriera scolastica, per questo erano tutti nervosi e incerti del risultato.

Dato che Artemisia discendeva da una famosa famiglia di Erbologi, i compagni del suo anno speravano che almeno lei potesse controllasse i loro compiti prima dell'inizio della lezione.

"Lo faccio volentieri!" Esclamò lei gentilmente. "Ma potete chiedere anche a Lucius. Ho letto il suo lavoro, ed è perfetto."

Lucius confermò la sua disponibilità. Da quando frequentava Hogwarts, aveva scoperto che lo studio gli veniva naturale come respirare; sebbene amasse farlo da solo, era sempre felice di aiutare.

Poco dopo, qualcuno interruppe la sua colazione in uno dei modi più fastidiosi possibili. Per richiamare la sua attenzione, gli conficcò due dita tra le ossa della spalla. Lucius si voltò a vedere chi fosse e, con grande stupore, vide Constance in piedi dietro di lui.

L'intera tavolata degli Hufflepuff la guardava con un misto tra fastidio e pietà, come fosse un feroce cane a tre teste bisognoso di essere salvato.

"Malfoy e la Vipe si frequentano?" Sussurrò qualcuno.

"Scommetto che la Vipe gli parla solo perché è un Malfoy. È così altezzosa."

Lucius decise di ignorare i commenti. Anche Constance si comportava come se non potesse sentirli. Aveva lo sguardo fisso su di lui, e i suoi occhi sembravano pieni di rancore, eppure concentrati.

"C'è qualcuno là fuori che ti cerca." Gli disse, secca.

"Chi è?" Domandò Lucius, perplesso. Zio Harry era già passato a salutarlo quando era stato a Hogwarts per un controllo di routine, pochi giorni prima, quindi non poteva essere lui.

"Non sono il tuo gufo. E questa è l'ultima volta che lo imito." Sbottò Constance.

"Che ragazza dolce e affabile." Scherzò Rém, con la bocca ancora piena di cibo, quando lei si era già allontanata in direzione della porta. "Mi ricorda Artemisia quando è di buon umore."

"Pensa a masticare quella torta di mele!" Lo rimproverò la ragazza. "Che schifo, sembri..."

"... la tua Puffola Pigmea, lo so."

Lucius si alzò e raggiunse la Sala d'Ingresso. Controllò in lungo e in largo, ma non vide nessuno di sua conoscenza.

"Pss! Pss!" Qualcuno lo chiamò sibilando. Fuori dall'enorme portone di legno già spalancato, era di nuovo Constance. Solo metà del suo corpo era visibile, il resto era nascosto dietro al muro.

Lucius camminò incredulo verso di lei, domandandosi se laggiù avrebbe trovato anche il suo visitatore. Quando la raggiunse, però, scoprì che era da sola.

"Che significa?" Le domandò. "La persona che mi cercava eri tu?"

Constance si avvicinò a un cespuglio. C'era un pezzo di pergamena incastrato tra le foglie. Lei lo prese - il ragazzo notò che lo smalto nero sulle sue unghie era tutto rovinato - e lo aprì dicendo in tono sarcastico:

"Risposta esatta! Tieni, correggilo."

Lucius afferrò la pergamena, che gli era stata consegnata con la stessa delicatezza di un pugno nel petto. Le parole riempivano ogni angolo, ed era una calligrafia piccola e dritta, tipica di una persona che non perde tempo a sognare.

"È il tuo compito di Erbologia." Disse Lucius. "Perché vuoi che te lo corregga?"

"Perché i miei compagni sono stupidi, e tu sei l'unico delle altre Case che riesco a sopportare." Spiegò Constance, con una sincerità rabbiosa che fece rabbrividire Lucius.

Si disse che la vera causa dei suoi brividi fosse stato il vento freddo, che li aveva attraversati proprio in quell'istante. A quell'ora del mattino, il parco di Hogwarts era ancora un posto sereno e silenzioso, e Lucius si sentì come se appartenesse a loro due soltanto.

Per un attimo, era stato come trovarsi a casa, da qualche parte nel parco del Manor; il ricordo andava alle passeggiate che facevano i suoi genitori, alle tenerezze che si scambiavano. Nella mente di Lucius, era come se lo stesso capitasse anche a lui e, per la prima volta, non ebbe bisogno di distogliere lo sguardo dal suo interlocutore.

Tuttavia, era strano che capitasse proprio con lei. Constance era un vero mistero. Non gli rivolgeva la parola da quando avevano attraversato il Lago Nero in barca, e ora improvvisamente gli confessava che era lui l'unico di cui si fidava. Certo, non erano queste le parole che lei aveva usato, ma Lucius poteva giurare che il significato fosse esattamente lo stesso.

"Se non ti sto antipatico, perché non parli mai con me? Insomma, non mi aspetto che tu mi confidi il tuo peggior segreto, ma se il professore di Pozioni ci fa sedere assieme e io ti chiedo di passarmi i vermi essiccati, penso che tu debba almeno rispondermi."

Il muso ingrugnito di Constance si rilassò in un sorriso appena accennato. La frangetta troppo lunga continuava a coprire metà del suo sguardo, ma sembrò che per una volta non fosse più impegnato a esprimere il proprio disprezzo.

"Tu non capisci niente di ragazze."

Non sapendo bene cosa rispondere, Lucius si concentrò sul tema di Erbologia. Le parole, per quanto piccole, erano scritte in modo talmente chiaro che non fece alcuna fatica a completare la lettura.

"Mi sembra tutto a posto." Commentò il ragazzo. "Solo, la prossima volta non scrivere che..." Cercò il rigo per leggere l'intera frase. "La botanica è tutto ciò che i Babbani possono permettersi, anche se è noiosa, esattamente come loro. So che è vero, ma al Professor Longbottom non piacerà leggerlo."

Constance si riprese la pergamena quasi strappandogliela dalle mani, la piegò e la forzò nella tasca dei jeans. Sorrideva ancora, ma stavolta in modo arrogante.

"Io amo quella frase. Bene, ci vediamo."

Non ringraziò nemmeno e rientrò al castello, dove poco dopo sparì in direzione dei Sotterranei. Lucius era sbigottito. Quella ragazza suscitava in lui delle emozioni che non aveva mai provato prima. C'era curiosità, irritazione; gli sembrava di non sopportarla, e in qualche modo gli piaceva. Nel tentativo di comprendere cosa gli stesse accadendo, fu colpito da un tremendo capogiro.

Si aggrappò all'antica pietra del castello con entrambe le mani, e cercò di seguire il protocollo: gli era stato insegnato a concentrarsi sul respiro - inspira, espira - e a tenere gli occhi aperti per ridurre le possibilità di svenire.

Ci volle un po' perché la crisi passasse. Quando sembrò che il suo corpo e il suo cervello si fossero ripresi, una voce sconosciuta esplose nella sua testa:

Lucius!

Il ragazzo trattenne un urlo. Si allontanò dal muro e sperò che qualcuno lo avesse chiamato per davvero; sperò che non fosse soltanto la sua malattia. Ma, ancora una volta, non c'era nessuno.

Tuttavia, ormai stava meglio. Decise di dimenticare l'accaduto e corse indietro per tornare dai suoi amici.

***

Alla fine della lezione di Erbologia, Lucius si unì alla fila coi suoi compagni di classe per la consegna del compito al Professor Longbottom.

Il titolo dell'elaborato era: Differenziazione tra Erbologia Babbana ed Erbologia Magica.

Lucius aveva studiato diligentemente i primi capitoli della sua copia nuova di zecca di Mille Erbe e Funghi Magici, e ne aveva tratto abbastanza informazioni da riempire sessanta centimetri di pergamena, usando una grafia di media grandezza.

Srotolò il foglio solo per leggerne alcune righe e assicurarsi ancora una volta che andasse bene. Aveva trascorso metà della sua mattina a correggere i compiti degli altri, e aveva trascurato il suo:

L'Erbologia Babbana, nota anche come Botanica, si occupa della cura e dell'uso di erbe, piante e funghi, ma è esente dall'applicazione di qualsiasi forma di magia. In questa disciplina, la componente magica è assente.

D'altra parte, l'Erbologia Magica, comunemente chiamata Erbologia, si dedica all'utilizzo e al trattamento di erbe, piante e funghi, integrando la magia nella pratica. Qui, l'uso di bacchette magiche e l'apprendimento di incantesimi sono parte integrante del processo.

Giunto il suo turno, Lucius deglutì e porse il compito all'insegnante. Teneva davvero a fare bella figura col Professor Longbottom, soprattutto da quando si era fatto beccare durante una delle sue crisi. Voleva che imparasse a vedere in lui un bravo studente, anziché un ragazzo malato.

Neville lo accolse con un sorriso benevolente e un vistoso occhiolino, che lo studente ricambiò. Tutto sommato, il Professor Longbottom gli piaceva. Aveva l'età di suo padre, era brizzolato e non propriamente energico, ma il suo animo buono gli conferiva l'aspetto amichevole di un eterno fanciullo.

"Grazie, Lucius." Affermò con gentilezza l'insegnante, prendendo la pergamena e aggiungendola alla pila di compiti sul tavolo. Abbassò il tono di voce e, approfittando del fatto che anche il resto della classe stava chiacchierando, disse ancora: "Va tutto bene? Non te lo chiedo da un po'. Sai che puoi cercarmi per qualunque problema."

Il ragazzo annuì con energia. L'insegnante aveva mantenuto la promessa e - per quanto Lucius ne sapesse - non aveva raccontato a nessuno del suo incubo, neanche allo zio Harry. Tuttavia, temeva che l'avrebbe fatto, non appena avesse saputo che una voce misteriosa era tornata a chiamarlo proprio quella mattina.

"Ma certo, signore, so che posso contare su di lei. Però sto bene, sta andando tutto bene." Mentì Lucius, forzando un sorriso. Il ricordo del suono orrendo di quella voce gli tolse il fiato.

Vicino a lui, circondata dai compagni che parlavano, Constance aveva poggiato la sua borsa sul tavolo e la riempiva della sua roba. Aveva già consegnato il suo compito e si preparava ad andare via. Lucius la vide con la coda dell'occhio, e capì che aveva origliato. Notò in lei un altro dei suoi sorrisi arroganti, che lo fece sentire a disagio.

Cos'aveva sentito, esattamente? Cosa pensava di lui?

Il professor Longbottom sembrò aver notato i loro sguardi, perché disse:

"È un'ottima notizia, davvero ottima. So per esperienza che a volte avere degli amici è l'unica cura di cui abbiamo bisogno. Un giorno ci saranno anche le ragazze. Se sono difficili da conquistare, valgono doppio." Fece un altro occhiolino allo studente prima di concludere. "Bene, buon proseguimento di giornata, signor Malfoy."

Quando la classe uscì dalla Serra numero uno, Lucius stava ancora pensando a Constance. Gli importava di qualunque giudizio avesse di lui, ma soprattutto moriva dalla paura che scoprisse il suo segreto: che lui non era un mago normale, ma uno scherzo della natura. Qualcuno a cui era meglio non chiedere mai più di controllare i compiti.

"Indovina? Oggi la Vipe non ti ha tolto gli occhi di dosso." Gli disse Artemisia, parlando con lui in confidenza, mentre camminavano insieme attraverso il parco.

Rémus non faceva parte del trio, in quel momento, dato che si era messo a discutere di Quidditch con un altro compagno.

Il tono della sua voce era strano, più freddo del solito. Artemisia, coi suoi capelli rossi e il suo naso dritto cosparso di lentiggini, era ancora una bella ragazza agli occhi di Lucius, ma da quando erano diventati amici faticava a vederla in modo diverso.

Invece, il riferimento a Constance lo fece tremare ancora una volta. Cercò di non darlo a vedere.

"Davvero? Non me ne sono accorto. Di solito non bado alle persone, se sono impegnato a fare altro." Ammise Lucius.

"Sì, l'ho notato. Sei un tipo strano anche tu, lo sai? Forse è per questo che le piaci."

Lucius si fermò: "Io le piaccio?" Esclamò, ma più che una domanda sembrava un desiderio.

Anche Artemisia si fermò. Lo guardò in volto e si lamentò: "Merlino, piace anche a te!"

Indispettita, accelerò il passo e si allontanò. Confuso, Lucius pensò che non avrebbe mai cercato di capire perché le ragazze fossero così lunatiche.

Era quasi arrivato al portone del castello, quando venne raggiunto da Rém. "Perché Artemisia dice di avercela con te?" Gli domandò l'amico, a bruciapelo.

"Onestamente, non ne ho idea. Chiedilo a lei, voglio saperlo anch'io." Rispose Lucius, scrollando le spalle.

Rémus approfittò dell'occasione per lamentarsi dell'amica e del suo costante bisogno di esprimere giudizi non richiesti, ma presto Lucius andò in sovraccarico. Aveva così tanti nuovi pensieri per la testa che non era in grado di gestire anche quelli di Rémus.

Si fermò e si toccò le tempie, preda di un'emicrania crescente. Ancora una volta cercò aiuto nel respiro, ma fu costretto a chiudere gli occhi, poiché persino la luce del sole gli dava fastidio. Le voci e i rumori esterni erano ovattati, i suoi battiti pulsavano nelle orecchie. Lucius era di nuovo intrappolato nella sua mente, e quando udì il suo nome, non riuscì a distinguere se fosse reale.

"Lucius! Merlino, che ti prende?" Strillava Rém, sempre più agitato. "Stai male? Devo chiamare qualcuno?"

Tutti i loro compagni erano andati avanti, Lucius lo sapeva, ma il professor Longbottom poteva arrivare da un momento all'altro. Quando il respiro tornò regolare, il ragazzo trovò anche la forza per parlare:

"No. No, è passato. È stata solo l'emicrania."

Aprì gli occhi lentamente per riabituarsi alla luce, e fu allora che notò una sagoma. Lottò per mettere a fuoco, voleva capire in fretta chi fosse, perché sapeva già che quella figura sbiadita non era Rém. Era troppo alta e troppo rigida per appartenere al suo amico, che comunque sentiva parlare al suo fianco, usando toni esagerati per descrivere quanto si fosse spaventato.

C'era qualcuno con loro, e Lucius provava una brutta sensazione. Pian piano, l'immagine divenne più nitida. Il ragazzo notò dapprima la divisa di Hogwarts, coi colori e il simbolo degli Slytherin, poi quei capelli biondi, quasi bianchi, che gli erano così familiari.

Guardarlo in faccia fu come guardare in uno specchio che distorceva i tratti. Quella figura immobile gli somigliava molto, ma non era lui.

Lucius non sapeva perché tutto ciò stesse accadendo, o come mai la natura si fosse accanita con lui, tanto da costringerlo a vivere situazioni che gli inacidivano il sangue e gli facevano tremare le gambe di rabbia e paura.

Quel che era certo, era che Scorpius Malfoy - il suo fratellastro defunto - lo stava aspettando lungo il sentiero, invisibile agli occhi di chiunque altro.

TBC

*

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