2- Visioni I
Questo capitolo sarà piuttosto breve, ma mi piace molto e voglio che abbia il suo giusto spazio.
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Harry stava passeggiando nella foresta; andava piano, scrutando il paesaggio, sebbene la fitta nebbia ottenebrasse il paesaggio e ogni cosa intorno a lui sembrasse sbiadita. Percorrendo il sentiero, poteva sentire le foglie scricchiolare sotto agli scarponi, ma anche il verso misterioso di alcuni animali, che giungeva dal fitto degli alberi come un'eco lontana. Credeva di conoscere quel posto, o almeno le sensazioni che esso gli trasmetteva. Angoscia, impotenza, rabbia. La Foresta di Dean.
Una parte di lui si domandava perché diavolo fosse tornato laggiù. La sua coscienza, però, era consapevole di non essersene mai andato. Naturalmente, c'era stato un periodo in cui Harry aveva ritrovato la strada di casa; proprio quando aveva creduto di averla raggiunta, però, il percorso aveva deviato e lui era tornato indietro. Ora era costretto a vagare nella nebbia, e malgrado ciò non si arrendeva.
Cercava non soltanto il sentiero per la libertà, ma anche il motivo stesso per cui si era perso. Questo aveva un nome, Cassandra, ma non un volto a cui Harry potesse associarlo. Lui sapeva soltanto che sua nipote avesse undici anni, e che le pericolose creature della foresta l'avevano portata via. Il suo compito era salvarla, ma ogni volta che provava ad addentrarsi dove neanche la nebbia riusciva a penetrare, i rovi lo fermavano e le fitte fronde degli alberi si ergevano a formare un muro. Il peggio era che nessuna magia sembrava fare effetto.
Harry continuò a camminare, finchè non udì ancora una volta il suono di quei versi indistinti; a quel punto, perse la pazienza e urlò: "Vigliacchi! Vi credete tanto forti, eppure continuate a nascondervi!" Anche se la sua voce echeggiò tra gli alberi, nulla si mosse: "Mi sentite? Venite qui, affrontatemi, se ne avete il coraggio!"
Arrabbiato, afferrò una pietra e la scagliò lontano. I contorni del proiettile scomparvero tra la nebbia, e Harry la udì soltanto sbattere contro un tronco e ricadere tra i mucchi di foglie croccanti.
"Aiutami."
Il mago sobbalzò. "Qualcuno ha parlato?" Domandò, guardando alla sua sinistra, là dove aveva lanciato il sasso. La voce che aveva udito somigliava a un suono lieve, delicato, come il vento che infrangendosi tra i rami generava una melodia.
"Aiutami... sono io..."
"Chi sei?" Urlò Harry, i peli delle sue braccia si erano drizzati e la sua voce si era fatta disperata. "Cassandra, sei tu?" Scrutò il paesaggio sperando di vederla, ma intorno a lui non c'era altro che nebbia. Ogni cosa si era tinta di un bianco accecante.
"Hogwarts..." Ripeté la voce. "Hogwarts..."
Poi tutto divenne nero.
*
Harry si svegliò di soprassalto. Tastò il comodino - sapendo esattamente dove trovare gli occhiali - li inforcò e si mise seduto. Durante il sonno aveva preso a calci le lenzuola, che erano finite da un lato lasciandolo scoperto e infreddolito. Tutto, però, era tranquillo: fuori dalla finestra era ancora buio e all'Auror - abituato com'era a lavorare a qualsiasi ora del giorno e della notte - parve di avere dormito fin troppo; al suo fianco, Ginny era ancora pacificamente addormentata.
Il sogno era stato talmente vivido che Harry aveva ancora bisogno di riprendere fiato. La sua coscienza oscillava tra il sonno e la veglia, e il suo istinto continuava a ripetergli di cercare Cassandra fino in fondo alla nebbia. Ma era stata veramente lei a chiedergli aiuto, o se l'era soltanto immaginato?
Confuso, l'Auror scese al pian terreno, si lavò la faccia sul lavello della cucina e, ancora turbato, si sedette al tavolo per massaggiarsi le tempie. Poco dopo, qualcuno aprì la porta di casa e la richiuse in silenzio. Con dei passi stanchi, Trevor si trascinò in cucina, dove la luce era accesa.
"Che succede, Harry?" Domandò. Accelerò il passo e andò a sedersi accanto al mago più grande. Era preoccupato. Trovare il Capo degli Auror sveglio a quell'ora, in uno dei suoi rari giorni liberi, poteva essere un brutto segno.
Harry, dal canto suo, si rese conto di quanto il ragazzo fosse stanco. Sotto ai suoi occhi neri sporgenti si erano formate due mezzelune scure, e il suo viso già scarno si era assottigliato. Sospirò. Forse lo faceva lavorare troppo. Troppe missioni per un uomo ancora giovane, che non aveva mai abbastanza tempo da dedicare a una compagna.
"Sei uscito con qualcuno? Forse, con la Babbana che abita in fondo alla strada?" Chiese Harry.
La domanda inaspettata sorprese Trevor, che titubò, imbarazzato: "No. Ho chiuso con lei giorni fa."
"Che peccato, era carina." Affermò Harry, sinceramente stupito. "Credevo ti piacesse."
"Sì, infatti." Ammise Trevor, abbassando lo sguardo. "Mi piaceva, così come mi piacevano le poche streghe che ho avuto prima di lei. È solo che non potevo dirle nulla delle missioni. Non c'ero mai, così lei mi ha lasciato."
"Se me ne avessi parlato prima, ti avrei dato meno lavoro. Nessuno dei ragazzi si sarebbe opposto, lo sanno tutti che l'Auror Nott non si ferma mai."
Trevor si grattò la testa. L'argomento donne lo rendeva sempre molto nervoso. "Non fa niente, Harry. Se davvero ne fosse valsa la pena, te l'avrei chiesto io stesso." Seguì un momento di silenzio, che il ragazzo si affrettò a riempire. "Sono tornato da Little Hangleton a mezzanotte, ma era ancora presto per andare a dormire, troppe energie da scaricare. Ho preferito fare due passi per Godric's Hollow."
Il mago più grande annuì. La conversazione era rientrata su un binario confortevole per tutti. "Hai trovato qualcosa, a Little Hangleton?"
"Temo di no. Se le segnalazioni di vampiri sono attendibili, non è con una sola ispezione che li troveremo." Parlando di lavoro, Trevor era tornato a sfoggiare sicurezza. "I locali mi hanno raccontato ciò che già sapevamo - delle persone scomparse e delle altre che sono state trovate morte -, ma con una novità: sembra che le vittime siano state scarnificate attorno al collo."
"Scarnificare è qualcosa di insolito, per un vampiro." Commentò Harry, riflettendo.
"Pensi che i Figli di Salazar potrebbero..." Trevor non andò avanti. Le tante ipotesi che avevano elaborato insieme, circa i progetti dei Maghi Oscuri, non potevano essere contenute in una sola frase.
L'opinione più diffusa voleva che i Figli di Salazar fossero fuggiti all'estero, ma Harry non ne era convinto, e per questo seguiva i notiziari babbani e si interessava ai crimini di matrice sospetta. I macabri casi di Little Hangleton avevano attirato la sua attenzione, poi alcuni maghi della zona avevano segnalato al Ministero la presenza dei vampiri nei boschi, raffreddando di poco il suo istinto di cacciatore.
"Può darsi. Ci sono già arrivate diverse segnalazioni di vampiri, i questi ultimi anni, ma è la prima volta che si verifica qualcosa di così efferato. Non c'è più tempo da perdere. Domani organizzerò una squadra." Harry titubò di fronte al pensiero che lo tormentava da giorni. Aveva l'impressione che pronunciarlo lo avrebbe fatto avverare. Tuttavia, nemmeno da giovane si era concesso di temere le parole, così si decise a dirlo: "E se ci fosse un legame, tra queste morti, i vampiri e il luogo d'origine della famiglia di Tom Riddle?"
Harry si perse nei suoi pensieri. Era troppo stanco per formulare un'ipotesi - dopo undici anni di speranze mal riposte sapeva come tenere a freno l'entusiasmo -, ma stavolta gli era fin troppo facile intuire la presenza di un oscuro disegno.
"Tu stai bene?" Domandò Trevor, distraendolo dal circolo vorticoso dei suoi ragionamenti; il ragazzo era bravo nel suo lavoro. Capiva le persone, e cosa stessero nascondendo. Harry lo rassicurò:
"Ho fatto un sogno molto lucido che mi ha turbato, ma non è niente di grave."
Trevor ascoltava con attenzione. "Vuoi parlarmene?"
Harry non voleva angosciarlo, ma le parole gli sfuggirono di bocca: "Ho sentito la voce di Cassandra." Affermò, e guardando lo stupore sul suo volto aggiunse: "O così mi è parso. Mi chiedeva aiuto. Io non riuscivo a raggiungerla, e lei mi chiedeva aiuto." Si toccò le palpebre sotto gli occhiali per nascondere l'involontaria umidità che li bagnò.
"Mi dispiace, Harry."
"È stato imbarazzante." Commentò Harry con un sorriso forzato, mentre si rimetteva in sesto. "Beh, non c'è bisogno di dirti che non dovrai mai parlarne a lavoro. E nemmeno con Ginny. La conosco, si impressionerebbe."
Trevor riflettè. "Tu pensi che sia accaduto veramente?"
"Non lo so, ma razionalmente direi che è impossibile." Ammise Harry. "L'ultima volta che ho sognato qualcosa di vero, un pezzo dell'anima di Voldemort albergava in me. Soltanto la conoscenza delle Arti Oscure permette l'ingresso nella testa e nei sogni di qualcuno, e se Cassandra può farlo, perchè chiedermi aiuto?"
"Ma se non era lei, chi altri poteva essere?"
Harry si accorse che il ragazzo si era fatto catturare dal discorso, e per questo si sentì in colpa. Quando lo aveva accolto in casa - allora era uno studente di diciassette anni, triste e insicuro - aveva promesso a se stesso che avrebbe riempito quel suo animo grigio di gioia e calore. A distanza di anni, il giovane Nott aveva ritrovato se stesso, tuttavia non sembrava felice, e Harry sapeva di averlo già sottoposto a sufficienti dosi di responsabilità.
"Non pensiamoci più. A conti fatti era soltanto un sogno, non voglio che te ne preoccupi. Sono i genitori a prendersi cura dei figli, non il contrario. Anche se non sono tuo padre, dopo tutti questi anni è come se lo fossi."
"Tu sei mio padre più di quanto non lo sia stato qualcun altro." Ribatté prontamente Trevor, guardandolo negli occhi. "E arriva sempre il giorno in cui anche i figli sono tenuti a ricambiare. Non importa se era solo un sogno oppure no; io ci sono sempre, se hai bisogno di supporto."
Harry gli sorrise teneramente. Non era stato abbastanza onesto con lui, poco prima: per lui, non c'era alcuna differenza tra Trevor e i suoi veri figli. "Sono felice di averti salvato."
Sapendo che il ragazzo non avrebbe mollato la presa, decise di porre fine alla conversazione alzandosi. La voce indefinita riecheggiava ancora nella sua mente. "Aiutami.... Hogwarts."
Hogwarts.
Harry se n'era quasi dimenticato, ma ormai non poteva più parlarne nè con Trevor, nè con altri. Qualunque cosa ci fosse di vero in quell'avvertimento, l'avrebbe scoperto da solo.
"Ho saputo che Hugo tornerà domani, dal suo viaggio in Madagascar." Gli disse. "Prenditi un giorno libero ed esci con lui. Svagati, divertiti. Non è un consiglio da amico, te lo sto ordinando come capo." Ribadì duramente. "Sento che sta per succedere qualcosa. Quando lo scontro arriverà, ti voglio nel pieno delle tue forze."
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