Capitolo 22.~
Dedico questo capitolo a mia sorella Francisca, ti voglio bene.
Premessa: Sconsigliato a chi soffre di gravi problemi di cuore.
Abigail Williams: Ciao Joe, come stai? Come va il lavoro?
So che essere arbitro é difficile, ma pensa, hai anche una pagina su Wikipedia!
Bando alle ciance, credo di amare e odiare James allo stesso tempo.
È tornato, ha fatto la sua scena da innamorato perso, e poi se ne è andato per colpa di una chiamata.
Continuo a chiedermi chi fosse di così importante, sai? Forse un'altra, bah.
Ma nonostante tutto non riesco a smettere di pensare a lui.
Vorrei tanto che esistesse un test affidabile che calcoli la compatibilità fra di noi.
Sono stufa di subirmi le sue scuse.
Sono stufa di questa situazione.
Scrissi velocemente il messaggio su facebook, diretto a Joe.
Lo ammetto, ad un certo punto avevo anche sospettato che fosse James. Aveva usato la sua frase, era ovvio il mio timore!
Naturalmente, mi ero sbagliata.
Joe Clark era un arbitro e non aveva mai avuto direttamente a che fare con James.
Ma allora, perché non ne ero ancora del tutto convinta?
Era una stupida speranza o una vera possibilità?
Comunque, scrivere a Joe mi piaceva.
Mi faceva piacere anche scoprire di non essere l'unica ad avere una situazione sentimentale complicata.
La nostra, era anche parecchio simile. Troppo simile.
La sua risposta non si fece attendere, e infatti, mentre ero intenta a leggere un libro, arrivò.
Joe Clark: Ma ciao, A!
Mi manca sempre di più Amanda, e il lavoro va benone.
Hai provato a parlargli? A chiedergli come mai se ne è andato in quel modo? James ti ha più scritto?
Quello che posso dirti, é che forse è successo qualcosa d'importante e non ha avuto tempo per dirtelo.
Non pensare subito che abbia un'altra, ne dubito fortemente.
Secondo me, ribadisco, ne dovete parlare.
Sbuffai, e lasciai cadere il telefono sul letto.
Certo che avevo provato a scrivergli o a chiamarlo, ma lui non aveva mai risposto.
Partiva la suoneria telefonica e il mio cuore sprofondava sempre di più nel petto.
Avevo praticamente passato tutta la giornata a fissare il telefono, in attesa di un suo segno di vita. Ma nulla.
James Rodriguez non voleva degnarmi della sua persona.
-Abby?- Domandó mia madre, bussando alla porta di camera mia.
-Si?- Le chiesi, appoggiando il libro accanto al telefono.
-Posso entrare? Ti ho portato la cena.- Disse dolcemente mia madre.
Io risposi in maniera affermativa, e lei entrò, sedendosi accanto a me.
-Ti ho portato un piatto di ravioli.- Mia madre mi porse il piatto, e io le sorrisi.
Probabilmente si era preoccupata di non avermi vista per tutta la giornata.
Non ero uscita dalla camera neppure per i pasti.
Mi era del tutto passata la fame, ma mi spiaceva far rimanere male mia madre, perciò presi il piatto di ravioli e la forchetta.
-Grazie mamma!- Mormorai, addentando un raviolo al pesce.
-Cosa succede, Abby?- Domandó lei, osservandomi di sottecchi.
Camera mia era invasa di fazzoletti di carta.
-Mamma, hai presente James?- Le chiesi, giocherellando con la forchetta.
Lei annuì e io sospirai.
-Non so cosa fare, cioè a me piace! Solo che continua a farmi impazzire. Prima Jacob e poi lui. Ah, quanto odio gli uomini!- Sbottai, facendo cadere a terra la forchetta.
Mia mamma spostò il piatto di ravioli e mi abbracció fortissimo.
Aveva solo trentaquattro anni, e ne aveva passate tante.
Amavo mia madre, anche quando era umiliante al massimo.
-Tesoro bello, vedrai che lo troverai l'uomo giusto.- Mi consoló lei, dandomi un bacio sulla fronte.
Ma non era questione di trovare l'uomo giusto.
Era questione di trovare un uomo capace di restare.
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Quello fu il peggior risveglio che io abbia mai avuto in vita mia.
Sentire le sirene della polizia di fronte a casa mia di prima mattina fu orribile.
Che era successo ai vicini Johnson?
La signora Johnson aveva qualche rotella fuori posto, lo ammetto, passava ogni minuto della sua vita a spiare tutti quelli che passavano in strada. Era inquietante, ma non faceva male ad una mosca. Forse fatta eccezione a chi indossava qualcosa di leopardato o zebrato. Un pugno alla moda.
Mi alzai dal letto e stiracchiai le braccia.
Era domenica, perciò niente scuola.
Annabeth e Arya erano state a dormire da amici, ma io avevo preferito restare a casa a piangere tutte le mie lacrime.
Avevo gli occhi gonfi e rossi e i capelli fuori posto, ma poco importava.
Scesi le scale di corsa e chiamai a gran voce mia madre.
Non mi rispose, ma udii un brusio di voci provenire dalla cucina.
Con il cuore che mi batteva forte in petto, varcai la porta della cucina, trovandomi di fronte degli agenti di polizia.
-Mamma, che succede?- Chiesi preoccupata, osservando il viso sconvolto di mia madre.
Non l'avevo mai vista così distrutta.
Mi strinse in un forte abbraccio, scoppiando a piangere ininterrottamente.
-Siamo gli agenti Carmichael e Robson, possiamo farti qualche domanda?- Mi chiesero, e io sprofondai ancora più in confusione.
-É proprio necessario?- Domandó mia madre, in singhiozzi.
L'agente donna annuí, guardando mia madre con un'espressione triste e di compassione.
-Allora me le faccia. Ma riguardo a che cosa?- Chiesi, osservando prima mia madre e poi gli agenti della polizia.
C'entrava mia madre oppure io?
Ne stavo capendo davvero poco, fino a quando non mi venne un sospetto.
-C'entra la corsa illegale con le macchine?- L'anticipai, ma l'uomo scosse la testa.
-Non proprio. Quando è stata l'ultima volta che hai visto Lena Hale?-
Quando l'agente Carmichael mi pose quella domanda, mi tremarono le gambe.
Cosa era successo a Lena?
Solitamente quando nei film facevano quella domanda di significava solo guai.
-C-che é s-successo a L-Lena?- Domandai, con un groppo alla gola, mentre mia madre scoppiava a piangere ancora più forte.
I due agenti si scambiarono un'occhiata eloquente, e la donna si avvicinó a me, dandomi una pacca sulla spalla.
-Lena Hale é morta questa notte, si è schiantata contro ad un pino con la sua macchina.
Non hanno rilevato dell'alcool nelle sue vene, si pensa ad un suicidio.-
No. No. No. No. No. NO. NO. NO. NO. NO.
Lena non poteva essere morta era impossibile.
Mi scrollai di dosso quella donna, e corsi in strada, mentre le lacrime offuscavano la mia vista.
Sentivo mia madre dire agli agenti che ero scossa e di non inseguirmi.
Sentivo il mio cuore battere fortissimo e sentivo una voce dirmi che Lena era davvero morta.
Ma io non ci volevo credere.
La mia migliore amica era a casa sua, intenta a montare un video mentre masticava una cicca alla fragola.
Doveva essere per forza così.
Mi asciugai una lacrima, e varcai il vialetto di casa sua.
Appena ci misi piede, la verità mi travolse in pieno.
C'erano agenti della polizia ovunque.
Le gambe mi cedettero e io caddi rovinosamente a terra.
'-É occupato il posto accanto a te?- Domandó una ragazza dai capelli neri, masticando rumorosamente una cicca alla fragola.
Tutti conoscevano Lena Hale per fama.
Era stata sospesa per aver invaso la scuola di immagini che ritraevano la preside con il professor di ginnastica in condizioni tutt'altro che serie.
Oppure era conosciuta per aver messo della crema per i piedi callosi nel pranzo di Jessica Stevens.
O semplicemente, era famosa per il padre, noto regista.
Abigail esitò, ma poi annuì.
Quante volte le avevano detto di evitare quella ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri?
A lei, sembrava solo una ragazza incompresa in un mondo pieno di marionette e stereotipi.
-No, puoi sederti. Io sono Abigail William, e tu?- Chiese la bionda, timidamente.
-Lena Hale.-
Ancora non sapevano cosa il futuro avesse in serbo per loro.'
Braccia possenti mi alzarono con forza.
Appartenevano al padre di Lena.
L'avevo visto un po' di volte, ma meno rispetto alle volte in cui Lena aveva visto mia madre.
-Tu eri la sua migliore amica, vero?- Chiese la donna dai capelli neri, che identificai come la madre.
Io annuì appena, e lei mi strinse in un abbraccio.
Sapeva di Chanel numero cinque, mi dava la nausea.
-Non sono mai stata una brava madre, Lena mi odiava.
Ma mi manca, lei era così...così arrabbiata con noi.-
Si lasciò andare la donna, mentre io socchiudevo gli occhi e mi lasciavo andare a quel vortice di emozioni.
Perché Lena era morta? Dubitavo che fosse andata accidentalmente contro l'albero.
Lena era un mistero unico, ed ultimamente era diventata sempre più strana.
'-Lasciala stare, coglione!- Esclamò Lena Hale, buttando a terra George Miller, il pervertito della scuola.
Era risaputo quanto lui adorasse prendere di mira una ragazza e importunarla con frasi e azioni sconce.
Ma quella volta, aveva sbagliato preda.
George guardò con aria di sfida la ragazza, che stava sopra di lui, arrabbiata nera.
-Suvvia, se volevi montarmi, potevi anche non farlo davanti a tutti, Hale!-
Esclamò il ragazzo, con un sorrisetto di scherno.
Abigail se ne stava in un angolo, incapace di reagire.
George l'aveva importunata per tutto il tempo, fino a quando non era arrivata Lena a salvarla.
Le doveva tutto.
Lena socchiuse gli occhi e sferró un pugno sul naso al ragazzo.
Un crack deciso fu la prova che il naso si era rotto.
Abigail sbarró gli occhi, mentre Lena si alzava soddisfatta e si dirigeva verso di lei.
George, impaurito, scappò verso il bagno, con le mani grondanti di sangue.
-G-grazie.- Disse la bionda, ma Lena scosse la testa.
-Aveva bisogno di una strigliata.- La mora alzò le spalle.
-Ma ora rischierai la presidenza!- Esclamò Abby, scatenando delle risate nell'amica.
-Sai che m'importa, Abby. Ormai ho l'abbonamento.- Ammise, strappando un sorriso alla bionda.
-Ti va di mangiare da me stasera? Se non hai altri programmi...-'
Era colpa mia se Lena Hale era morta.
Se io fossi andata all'appuntamento fissato per le nove, lei probabilmente era ancora con noi.
Il senso di colpa mi stava divorando.
Con un sorriso tremulo, mi staccai dalla Signora Hale e iniziai a correre.
Stavolta non avevo una meta.
Volevo solo correre più lontano possibile da li, lontano dalla casa di Lena e dal mio senso di colpa.
Non volevi vedere un mondo senza Lena. Era terribile, orribile e bruttissimo.
Lei era la mia migliore amica, ora non mi rimaneva altro che il ricordo.
'-La trovo una cattiva idea.- Mormorò Abigail, ma Lena scosse la testa, con un sorrisetto obliquo.
Era munita di videocamera e sigaretta, la sua amica più fidata.
-Io no. Al mia via iniziamo.-
Sussurrò la mora, mettendosi in bocca la sigaretta e accendendo la videocamera.
Inquadró le tre gemelle, e poi fece un cenno con la testa.
-Via!- Esclamò, e subito le tre ragazze si animarono.
Quello fu il loro primo video, il primo di una lunga serie di successi.
Ma oltre ad essere l'inizio, era anche una sfida.
Quando Lena terminó di filmare il video, fece i pollici in su.
-Perfetto ragazze, a chi va un kebab?- Chiese, mollando la videocamera e accendendosi l'ennesima sigaretta.
-No, odio il kebab!- Borbottò Annabeth, e Lena le fece il verso.
Poi, Abigail afferrò il telefono e ordinò quattro kebab e una pizza margherita.
-Perché quattro kebab?- Chiese Arya. Lena ghignó, e dopo un lungo tiro di sigaretta rispose.
-Viene anche Lucas, amico mio e di Aurora.-
Lena non aveva mai avuto degli amici.
Ma da quando aveva conosciuto Abby, la sua vita aveva preso una svolta diversa.
Si sentiva finalmente accettata.'
Chiusi gli occhi e li riaprii.
Cosa mi aspettavo? Forse speravo che tutto questo fosse solo un brutto sogno, ma sapevo che non era possibile.
Non si poteva neppure tornare indietro, dovevo andare avanti.
Ma volevo solo buttarmi a terra e piangere, soffrendo in silenzio.
Odiavo vivere in quel modo.
Mi accorsi troppo tardi di quello che stava succedendo.
Lo premetto, non fu volontario.
Mi voltai appena in tempo per vedere un autobus travolgermi in pieno.
E poi tutto fu buio.
Non solo avevo perso Lena, stavo per perdermi anche io.
'-Promettimi che qualunque cosa accada, tu sarai sempre la mia migliore amica.- Disse Lena, prendendo per le spalle Abby.
La bionda aggrottó le sopracciglia, per poi annuire.
-Ti seguirei anche in capo al mondo, Lena.
Dove vai tu, vado anche io.-
Affermò Abigail, con aria solenne.
Ma non strappò un sorriso a Lena.
La mora fissò l'amica con aria triste per poi annuire.
-La vita è così strana e imprevedibile, Abby.- Mormorò Lena, la regina delle frasi incomprensibili.'
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