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Capitolo 12.~

-Mamma! Non mi sento tanto bene...- Mormorai, rigirandomi nel letto.
Avevo escluso l'ipotesi di dire la verità a mia madre.
Era fuori discussione dirle che volevo andare da James prima della sua partenza. Non so perché ma sapevo già che mia madre sarebbe stata contraria perciò l'idea della febbre immaginaria mi era sembrata la migliore.

-Hai già provato la febbre? Sei un po' pallida, effettivamente. - Accorse mia madre come un fulmine.

-Ho un forte mal di testa...-Mugolai, buttandomi sotto le coperte, così che nessun lembo di pelle si intravedesse.
Mia madre si sedette sul mio letto e alzó la coperta di scatto.

-Abby, ormai stai a casa da scuola, puoi anche non mentirmi.- Affermó lei, facendomi gelare il sangue nelle vene.

-Má, che ore sono?- Domandai con preoccupazione.

-Le nove e cinque.- Rispose, facendomi scattare all'improvviso.

-Cosa???- Mi alzai e corsi all'armadio, sotto lo sguardo perplesso di mia madre.

-Si è impallata la tua sveglia, sono venuta per svegliarti ma eri troppo addormentata così ho preferito lasciarti dormire.- Si scusó lei, ma io l'ascoltai solo a metà.

Ormai non sapevo che fare.

-Abby, mi stai ascoltando?- Interruppe il filo dei miei pensieri mia madre.

-No, scusami...puoi ripetere?- Chiesi con aria di scuse.

-Stavo dicendo che mi hanno lasciato a casa oggi, perciò possiamo fare qualcosa insieme...- Continuò mia madre.

Ma non capiva che la mia testa era altrove?
Avevo promesso a James che ci sarei stata, ma non sapevo come fare.

-...Sempre se non hai da fare con quel tuo calciatore, James giusto?- Mia madre mi guardò e io mi sentii come se stesse girando il coltello nella piaga.

-Si dice Hames, non geims. Comunque alle nove e mezza ha il volo.- Borbottai con voce apatica.
Mia madre sembrò fissarmi con aria di disapprovazione e si alzò dal letto.

-E tu non vai a salutarlo, signorina? Muoviti a preparati, sennò facciamo tardi.- Disse con quel tono che non ammetteva replica.

Nessuno ha idea di quanto io abbia amato quella donna.

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-Mamma...non ce la faremo mai.- Sussurrai guardando l'orologio della macchina.

Segnava le nove e venticinque, e noi eravamo bloccate nel traffico.
Anche se Dio fosse stato dalla nostra parte, saremmo arrivate comunque in ritardo.

-Non ho intenzione di non farcela.- Disse decisa mia madre, stringendo con entrambe le mani il volante e accelerando il passo.

Probabilmente si sentiva in una film di fast and furious perché sorpassava macchine, si sbatteva dei semafori e faceva curve pericolose.

(Non so come faccio ad essere ancora viva).

Continuavo ad osservare l'orologio e i minuti avanzare.
Eravamo vicini all'aeroporto, ma ormai era troppo tardi. Erano le nove e mezza.
Già mi immaginavo James seduto e con il telefono in mano.
Avevo provato a mandargli un messaggio ma non avevo credito sufficiente. Lo avevo anche chiamato con il telefono di mia madre, ma non aveva risposto a nessuna delle mie chiamate. Probabilmente perché non aveva il numero salvato.
Dovevo smetterla di tormentarmi le mani, ma ero così in ansia che avevo bisogno di sfogare in qualche modo il mio nervosismo.

-Abigail, scendi e corri da lui.-

Mia madre mi guardò e io annuì.

Era l'unico modo.

Senza aspettare che mia madre accostasse, aprii la portiera e mi scaraventai in strada.
I miei piedi si muovevano veloci, e la mia mente si era come azzerata.
Non pensavo altro che ad essere veloce come il vento.
Non m'importava se le macchine stessero suonando il clacson all'impazzata.
Non m'importava se i miei piedi iniziavano ad implorare pietà.
Non m'importava se mi mancava l'aria.
Non m'importava che un tizio mi stesse dicendo di fermarmi.
Io dovevo vedere James.

-Devo vedere James! Me lo lasci vedere!- Urlai contro la guardia che mi stava respingendo.

-Non é possibile, signorina.- Replicò apatico. Alzai lo sguardo con aria di sfida e fu li che lo riconobbi.

-Ma tu sei Adam! Tu sai chi sono, ti prego!- Esclamai supplicandolo, ma niente. Rimaneva una statua di sale.

-No, non mi sembra. Non può entrare da questo ingresso.- Rispose con un'occhiata che la diceva lunga e aveva puntato lo sguardo verso qualcosa oltre le sue spalle. Stava cercando di dirmi qualcosa. Ma cosa???

Immaginai cosa avrebbe fatto Lena al mio posto.
Sicuramente avrebbe picchiato e aggredito la guardia fino ad avere la risposta, probabilmente facendo una nottata in galera.

Ma io non ero Lena, io ero Abby.

Guardai senza capire la guardia che ora sembrava fissarmi nuovamente con aria apatica.

C'era qualcosa in quello che aveva detto che mi fece venire un colpo di genio.

-Grazie, grazie e grazie!- Esclamai, capendo cosa mi stesse comunicando.
Quasi gli saltai al collo, ma la sua risposta me lo fece odiare nuovamente.

-Se rischio il lavoro è colpa tua.- Sussurró lanciandomi un pass.- Ma so già che è sicuramente partito.-

Ecco, fra insultarlo e correre da James era meglio la seconda. Alla fine mi aveva aiutato e dato il pass. Potevo sopportare delle provocazioni.
Oltrepassai l'ingresso oltre le spalle della guardia e mi guardai attorno.
Non c'era nessuno, a parte il personale che si trova in un aeroporto, ovviamente.

-Mi scusi. Mi sa dire dov'é partito l'aereo con i giocatori della Colombia?- Chiesi alla prima ragazza che trovai con l'uniforme.
Mostrai il pass, ma non sembrò convincerla.

-Ormai é andato, signorina. Si può sapere chi lei sia? E come ha avuto quel pass?-

Il tono della sua voce non era scortese, anzi, era piuttosto gentile ma non la stavo ascoltando.
Bisognava rinominare quel giorno come il giorno in cui Abigail Williams non ascoltò nessuno. (O quasi).

Le mie orecchie erano concentrate ad ascoltare un'altra conversazione. Quella di altri addetti intenti a parlare fra di loro e a dirmi a chiare lettere dove era la partenza dell'aereo.

Grazie mille!

Ancora una volta mi misi a correre, ma stavolta non mi fermò nessuno e riuscii a raggiungere il gate designato.

Peccato che l'aereo stesse partendo.

Non so per quanti minuti restai ferma ed immobile ad osservare l'aereo decollare.
Tutte le mie speranze di vedere James erano svanite.
Mi era solo rimasta la consapevolezza di non aver mantenuto la promessa.
Con l'amaro in bocca, e le lacrime agli occhi, mi voltai per ritornare da mia madre.
La mia vita tornava ad essere la stessa di sempre.
Ero ormai arrivata all'ingresso, quando udii il rumore dell'aereo atterrare.

Quasi non credetti alle mie orecchie.

All'inizio pensai che mi stessi confondendo, ma quando mi voltai e vidi che era lo stesso di James, il mio cuore inizió a battere fortissimo.

Lo sportello si aprí, e vidi James Rodriguez correre nella mia direzione. Subito lo raggiunsi e gli buttai le braccia al collo, stringendolo forte.

-James, io volevo fare prima solo che...-Cercai di scusarmi, ma lui scosse la testa.

-Non fa nulla. Sapevo che saresti venuta, é per questo che ho fatto fermare l'aereo.- Ammise, con un sorrisetto sulle labbra.

Era talmente bello da mozzare il fiato.

-Ti ho portato una cosa, Gail.- Sussurrò lui.

I nostri sguardi rimanevano incollati, come due calamite.

Mi ero persa nel castano intenso dei suoi occhi, che sembravano racchiudere dolcezza infinita.

-Cosa?- Chiesi curiosa.

James mi fece l'occhiolino, passandomi una rosa rossa.
Il mio stupore fu così tanto, che la mia bocca si spalancò e arrossii visibilmente.

-Lo so, non è tanto...- Alzò le spalle e fece una smorfia, a mo' di scusa.

-Per me un piccolo gesto vale più di mille parole.-

Con un sorriso stampato sulle labbra, lo baciai.
La paura di essere respinta mi tormentó, ma scomparve immediatamente quando continuó a baciarmi, con dolcezza e lentezza.

Baciarlo era totalmente diverso che baciare Jacob.

Con James sentivo le farfalle nello stomaco, l'adrenalina a mille.
Con Jacob, anche un bacio era statico. Nessuna farfalla nello stomaco, niente di niente.
Quando mi staccai, sentivo ancora il suo sapore sulle mie labbra.

-Devi andare James...-Mormorai, mentre la tristezza mi assaliva senza darmi scampo.

-Io non voglio partire, io voglio te.- Rispose, sfiorandomi la guancia con due dita.

-Ma non puoi restare.- Sussurrai con voce strozzata.

-Io...giurami che ci rivedremo, Gail. Per favore.-

Gli presi la mano e annuii.

-Te lo giuro.- Presi la sua mano e la misi sul mio cuore.

Un sorriso comparve sulle sue labbra, prima che esse si mossero a cercare le mie.
Ci baciammo per interminabili minuti, prima che qualcuno chiamò James.
Doveva partire, non poteva piú rimandare.

-Allora ci sentiamo, James?

-Ci sentiamo, te lo prometto.

Furono le ultime sue parole, prima che lo sportello si chiudesse con uno scatto dietro le sue spalle.

L'aereo partì, senza mai tornare indietro, e l'ultima immagine che vidi fu James con la mano incollata al finestrino.
Quanto volevo essere con lui, ma di James mi rimaneva solo quella rosa rossa.

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