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~Capitolo 11.

É scientificamente provato che James Rodriguez sia incapace di fare i pancakes, dolce fondamentalmente semplice.

-Ammettilo che su chatroulette hai detto di avere come passione cucinare solo per fare la figura di un ragazzo perfetto.-

-Ma io sono perfetto.- Rispose James, facendomi la linguaccia.

Io risi e gli feci il verso.

-Gail, mi passeresti la farina per cortesia?- Domandó il ragazzo dopo che gli feci rivedere il passaggio.
Ormai la cucina era ridotta ad uno schifo, e noi eravamo conciati da buttar via. Se mia madre fosse arrivata in quel momento eravamo piú che morti.

-Si, certo.- Gli passai la farina e lui iniziò a mischiarla alle uova.

-Posso sapere che avevi prima? Sembravi strano.- Gli chiesi, mentre mettevo dello sciroppo d'acero su un pancake.
Lui divenne rosso e inizió a passarsi una mano sporca di farina fra i capelli.
Cercai di non ridergli in faccia, ma era così difficile.

-Ehm...mi hanno portato in camera tua e...-Sussurró lui, impacciato.
Ora si che mi preoccupai. Cosa c'era in camera mia di tanto imbarazzante?
Lo incitai con un gesto ad andare avanti, girando il pancake. Di certo non avrei bruciato tutto come mia madre.

-C'eraunposterdimeinmutandeconunapropostasessuale.- Disse lui tutto ad un fiato.

La sorpresa fu così grande che feci cadere il cucchiaio che tenevo fra le mani.
Io non avevo nessun poster di lui in mutande e ben che meno non ci avrei mai scritto una proposta sessuale.

-COSA?- Urlai, mentre il colore del mio viso eguagliava il suo.

-LENA MUOVI IL CULO E VIENI QUA.-Sbraitai, e pochi secondi dopo, la mia migliore amica varcó l'ingresso della cucina.
Fece per dire qualcosa riguardo al macello, ma io fui più rapida.
Strappai dalle mani di James il pacco di farina e lo rovesciai in testa a Lena.
Lei fece una faccia sorpresa ma subito dichiaró guerra.

-Eddai, era uno scherzo!- Si difese lei.

-Di pessimo gusto!-

Io e James, che non c'entrava nulla, ci ritrovammo ricoperti di uova, e ciò significava che non potevamo arrenderci senza lottare.
Fu un tripudio di uova, farina, sale, zucchero e qualsiasi cosa trovassimo.

-Abby! Ti é suonato il telefono e...- Esclamò Annabeth, entrando in cucina nel bel mezzo del combattimento. Quando vide tutto quel disordine si stoppó, impallidendo.

Mi fermai con il pacco di farina a mezz'aria, e ci girammo tutti a guardarla.

-Oh mio Dio.- Disse con voce flebile. -Mamma ha detto che tra venti minuti arriva.-

E detto ciò, scappó via.

-Merda!- Urlai, arraffando una scopa.

In men che non si dica organizzai un piano.
Io e James avremmo iniziato a pulire mentre Lena si faceva una doccia rapida, poi lei ci avrebbe sostituito; Annabeth avrebbe apparecchiato e Arya avrebbe finito di preparare i pancake.

Tutto questo in meno di venti minuti.

Funzionò alla grande, se non fosse che James era a corto di abiti di ricambio e se ne accorse solo dopo la doccia.

-Abby, c'é un problema.- Disse il ragazzo, mentre la sua testa fece capolino dalla porta. -Che metto? Non posso di certo venire così a cena.-

Continuò, entrando in camera mia, con legato in vita l'asciugamano.
Per i futuri dieci secondi non ragionai piú.
Era davvero wow.

-Ehm, Abby?- Mi richiamó lui, con un cenno.

Io mi riscossi e corsi in camera di Annabeth.
Ero certa che avrei trovato qualche vestito di Jason, e infatti così fu.
Fortunatamente avevano la stessa taglia.
Glieli passai, attenta a non guardare il suo petto scolpito e bagnato troppo a lungo, e ritornai ad asciugarmi i capelli.
Forse la fortuna fu dalla nostra parte perché, quando mia madre tornò, eravamo giusto in tempo in sala a sistemare gli ultimi preparativi.

-Ciao ragazzi! Che buon profumino!- Esclamò, entrando in cucina per ispezionarla.

-Avete lasciato tutto in ordine, che bravi.-Si complimentó. -Oh, ma avete usato tutte le uova? Domani mi tocca fare la spesa!- Si lamentó raggiungendoci in cucina.

Sperai non si accorgesse del nostro cambio d'abiti, ma ad una madre non sfugge mai nulla.
James disse che la colpa era solo della sua sbadataggine e lei fortunatamente non indagó.

Poverino, lui non c'entrava nulla.

La cena proseguì in risate e allegria, e quasi desiderai che non finisse più.
Mi ero abituata a James e non volevo che lui partisse.
Certo, avevo il suo numero, ma non era la stessa cosa che averlo in Canada.
Anche a mia madre sembrò piacere, perché ogni qualvolta James era distratto, lei alzava i pollici in segno di approvazione.
Mancava solo che gli mostrasse foto mie da bambina, e sarei morta d'imbarazzo.

-James, Abby ti ha fatto vedere i suoi quadri?- Chiese mia madre, dopo che servii i pancakes.

-No, non gli interessa. Vero, James?- Domandai, fissandolo con aria di supplica. Odiavo mostrare i miei quadri, era come mostrare un pezzo della mia anima.
Ma ovviamente non diede quella risposta.

-Mi interessano tantissimo, invece!-Ribatté lui, con un sorriso.

-Peccato che non ci sia tempo...sai devo sparecchiare, poi devi andare...- Mi inventai, addentando il dolce.

Nonostante tutto era buono.

-Per stasera facciamo noi.
Appena finite di mangiare, puoi mostrarglieli.-Disse mia madre.
Cercai in tutte le maniere di impiegarci tanto tempo a finire il dolce, ma non funzionò.

Dovetti arrendermi.

Quando mostrai a James alcuni dei miei quadri, lui ne sembrò realmente affascinato.
Non fece i soliti commenti scontati, non fece complimenti solo per non farmi rimanere male e non li degnó solo di un'occhiata fugace.
Cercava di capire cosa mi avesse portato a dipingere.

-Gail, questo quanto costa?- Domandó il ragazzo indicandomi uno dei miei quadri preferiti.

Rappresentava il tramonto di una giornata d'estate.
Ancora mi ricordo che fatica per alzarmi poco prima dell'alba. Fatica che era stata premiata con quella tela.

-Non costa. Non sono un'artista professionista.- Risposi confusa. Che diamine aveva in testa?

-É bellissimo, Abby. E lo voglio comprare.- Ribadì lui con convinzione.

Ecco, di lui adoravo la sua sincerità, il suo modo genuino di essere.

-Te lo regalo, non c'é bisogno di comprarlo.- Dissi.

Solitamente non avrei mai regalato un mio quadro, ma con lui era diverso.
Mi faceva piacere che lui avesse qualcosa di mio.
Tutte le volte che avrebbe guardato il mio quadro, si sarebbe ricordato di me.

-Ho un'idea diversa.

Io appendo il quadro nel palazzetto del Real Madrid con tanto di nome e cognome, e in cambio ti do' del mio tempo.-

Mi allungò la mano e io la strinsi.

-Ci sto.- Dissi con un sorriso.

Lui ricambió il sorriso e ci osservammo in silenzio, con aria assorta.
I suoi occhi erano troppo belli, erano come due...

-Ehm...chi é il tuo pittore preferito?- Chiese il ragazzo, cambiando discorso e interrompendo il filo dei miei pensieri.

Fu lui il primo a riscuotersi, lasciando andare la mia mano.

-Picasso.- Risposi senza doverci pensare.

-Oh, e a chi ti ispiri nei tuoi dipinti?-Domandó ancora ma stavolta dovetti pensarci su.

-Diciamo che non m'ispiro ad una persona o a qualcosa in particolare.
Però so cosa non voglio che manchi in un mio dipinto. Voglio che i dettagli siano notati, perché credo che senza di essi sarebbe tutto più piatto.
Immaginati tutte le nuvole uguali, i miei occhi di un normale azzurro e la mia scrivania di un marrone come tutti gli altri. O quel tetto senza quelle tegole dall'aria antica e consunta dalla pioggia.
Non sarebbe eccessivamente noioso?
Ecco, io perché nei miei quadri cerco d'imprimere più dettagli possibili. Fanno la differenza come un gol al novantesimo.-

Forse gesticolai un po' troppo, ma non me ne curai. Quando iniziavo a parlare di una cosa in cui credevo davvero era difficile fermarmi.

-L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.- Sussurrò lui con naturalezza, come se citare Paul Klee fosse una cosa normalissima.
Io sorrisi e annuí.

-Già, Klee aveva ragione.- Affermai, dando uno sguardo all'orologio.

Anche James fece lo stesso, e il suo viso fu contratto da una smorfia.
Probabilmente l'avevamo trattenuto già troppo.

-James...-Iniziai a dire, ma lui m'interruppe appoggiandomi un dito sulle labbra.

-Ti aspetto all'aeroporto alle nove e mezza. Lo so che domani hai scuola solo che...-

-Ci sarò. Te lo prometto.-

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