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Capitolo 7. Sei carino mentre dormi

Charles'POV

L'emozione più grande che abbia mai provato è sempre la stessa e sarà quella per sempre: quel preciso istante in cui il semaforo rosso si spegne e il piede si abbassa sul pedale dell'acceleratore. Il cuore batte all'impazzata e nella testa c'è tutto e niente al tempo stesso. 

Sicuramente, se l'ultima volta che avevo vissuto quel momento, avessi saputo che per un po' non mi sarebbe più stato possibile farlo, me lo sarei gustato molto di più. Perché sì, la decisione di farmi prendere una pausa è stata tanto improvvisa quanto assurda. Alla fine del GP del Canada, dove finii in sesta posizione, venni chiamato per un meeting. Pensai fosse il solito meeting che si fa dopo le gare, però quando nella stanza delle riunioni trovai solo Mattia, Sebastian e il mio manager, capii che riguardava me. 

Che idea brillante che hanno avuto! Lo devo ammettere, davvero originale, così tanto che a confronto Dante nel strutturale l'inferno è stato un pivello del cazzo. 

Mi mancava guidare la mia monoposto come manca il respiro quando stiamo troppo sott'acqua. Erano passate solo quattro settimane, eppure mi sembrava di essere in quella casa sperduta nelle campagne toscane da una vita. Non sapevo quanto ancora avrei resistito e mi faceva paura scoprirlo.

«Quando torni?» mi chiese Pierre, facendomi sospirare pesantemente. Con una mano in tasca e il telefono all'orecchio, presi a camminare in mezzo al fruttato di Luisa, fermandomi davanti al pesco e staccando un frutto da un ramo abbastanza basso.

«Dubois non si fa sentire da settimane. Mi ha scritto solo un messaggio qualche giorno dopo il mio arrivo qui per sapere come stavo, come se gliene fregasse davvero qualcosa!» risposi, riferendomi al mio manager. 

«Dai Charles, lo sai che lo stanno facendo per il tuo bene...a proposito, come stai?»

«Non bene. Farei qualsiasi cosa per ritornare. Ti sembrerà strano sentirmelo dire, ma in questo momento vorrei essere lì, perché per quanto Le Castellet mi faccia schifo come tracciato, ti giuro che ci girerei in loop per tre giorni di fila!» Il mio amico rise, spingendo anche a me a sorridere.

«Ehi amico, devo andare. Ti chiamo appena ho un po' di tempo».

«Certo», sussurrai. «Domenica ti guarderò, non fare cazzate e...salutami gli altri».

Quando la chiamata finì, mi sentii un vuoto all'altezza dello stomaco e continuò a farsi sentire per tutta la sera. Mangiai poco, cercando di rassicurare Luisa che fosse perché ero un po' stanco e non perché non mi piacesse. Poi andai in camera, rimanendo sul letto mentre una playlist di Spotify mi faceva da sottofondo. Erano tutte canzoni che non conoscevo, ma poco importava. 

«Stasera non mi hai degnato di uno sguardo», disse Daniele, entrando dalla porta socchiusa e chiudendosela alle spalle. Vedendolo, mi misi a sedere sul letto, piegandomi sulle ginocchia. «Non ero sicuro sarebbe stata una buona idea venire...eppure, eccomi qua».

Lo osservai mentre si muoveva verso il letto, quasi stesse fluttuando. Non si sedette, decise di andare alla finestra, appoggiandosi contro il davanzale. Io mi lasciai cadere sul letto, girando la testa indietro e guardandolo all'incontrario. 

Da quando ero arrivato, Daniele era stato l'unico a rendere il mio soggiorno sopportabile. Tanti erano i motivi, ma ero sicuro che lui fosse al corrente solo di alcuni. All'inizio avevo trovato in lui un buon modo per distrarmi, stuzzicarci mi piaceva e mi piaceva il fatto che sapesse tenermi testa. Poi, quella sera che siamo finiti a letto, non solo lui aveva avuto una brutta giornata; eravamo finiti a letto insieme perché avevamo entrambi  bisogno di essere consolati, quindi pensai che magari farlo altre volte avrebbe curato altre ferite che mi portavo dentro. Ma lui mi ha detto di no. Non sono mai stato molto abituato a sentirmi dire di no, ma lo accettai. Per qualche giorno. 

L'arrivo di Cesare mi sembrò una mana dal cielo: infastidire Daniele si era rivelato semplice, ma ero stufo dei giochetti, ecco perché quel pomeriggio avevo deciso di mettere le cose in chiaro. Senza però riuscirci. E che cosa avrei dovuto dire a Daniele? Nemmeno io sapevo bene cosa volessi, ma sapevo che la sua presenza mi piaceva, che si parlasse di sesso o meno. Era strano, non mi capitava spesso di legarmi a qualcuno accantonando la sfera sessuale, ma con lui c'era qualcosa di più. 

La mia psicologa diceva sempre un sacco di cazzate, ma tra quelle cazzate una volta una cosa giusta la disse: "Devi parlare con le persone Charles. Tenerti tutto dentro non ti rende più forte, ti rende più solo. E noi non siamo fatti per stare da soli". Avevo bisogno di parlargli, perché dopo la morte di mio padre non lo avevo fatto con nessuno. Perché lui? Questo non lo capivo, ma sapevo fosse la cosa giusta.

«Mi manca un sacco correre», sussurrai chiudendo gli occhi. «Il rombo del motore e l'asfalto che brucia. Il cuore in gola ad ogni curva e la voce del mio ingegnere di pista che mi fa i complimenti per un sorpasso...non credevo si potesse sentire così tanto la mancanza di qualcosa. Direi che è quasi paragonabile alla mancanza di qualcuno». Avendo ancora gli occhi chiusi, non mi resi conto che Daniele si fosse avvicinato al letto. Si sdraiò vicino a me e lo ritrovai a pochi centimetri dal viso, i suoi occhi verdi nei miei, curiosi di sapere di più.

«Quando è morto mio padre credevo che il dolore non potesse essere più grande di quello che stavo già provando. Invece è aumentato, e più cercavo di smettere di pensarci, più aumentava. Non mi bastavano le feste, le scopate occasionali o guidare ubriaco per il centro di Monaco;  niente riusciva a farmi sentire meno dolore. Niente tranne che la mia monoposto, però quando me ne sono reso conto era troppo tardi. Avevo già fatto tutte quelle cazzate che poi alla fine mi hanno portato qui e sì, avevi ragione...è solo colpa mia». Daniele mi accarezzò la guancia, appoggiando la fronte contro la mia. Quando chiuse gli occhi, lo feci anch'io e mi sentii in pace con me stesso per alcuni secondi. 

«Ti chiedo scusa», sussurrò con un sospiro, però prima che potessi chiedere chiarimenti riprese a parlare, appoggiando le labbra contro la mia spalla e facendole vibrare sulla mia pelle, facendomi così venire i brividi. «Mi sento uno stronzo, perché non ho fatto altro che pensare a me, a come mi avresti cambiato se ti avessi permesso di entrare nella mia vita. E non ho pensato nemmeno per un secondo come...stessi te».

Aprii gli occhi, cercando di girare la testa così da poterlo guardare negli occhi, però non ci riuscii. Daniele appoggiò le labbra sulle mie in un movimento lento e dolce. Le sue dita fredde si poggiarono alla base del mio collo, facendomi incurvare nelle spalle. Cercai un contatto sempre maggiore, attirandolo a me e passando le braccia attorno alla sua vita. In un secondo me lo ritrovai a cavalcioni, pronto a plasmare ogni parte di sé per riuscire a farla aderire ad ogni parte di me; e ci riuscì benissimo.

«Mi fai sentire come se domani potesse essere un giorno migliore, non so se mi spiego».

«Domani sarà sicuramente un giorno migliore e sai perché?» mi chiese ridendo contro le mie labbra. Io scossi la testa, lasciandogli un bacio veloce. «Perché avrai la fortuna di svegliarti accanto a me!»

«Wow, accidenti che fortuna!» dissi ridendo. Lui si scostò leggermente da me, rimanendo però a guardarmi dall'alto. Aveva i capelli in disordine e le labbra piene dei baci che ci eravamo dati. Mi resi conto che se avessi fatto scelte diverse, meno errori e stupidaggini, le nostre strade non si sarebbero mai incontrate. E dove sarei stato io in quel momento? Lui so bene dove sarebbe stato: nel suo letto, a leggere qualcosa alla luce fiacca della lampada che tiene sul comodino, a pensare di tanto in tanto a quel coglione che lo aveva lasciato per messaggio.

Se Daniele riusciva a curare alcune delle mie ferite, anche inconsapevolmente, ero sicuro di riuscire a fare lo stesso con le sue. E di quello che sarebbe successo una volta finita d'estate in quel momento me ne fregavo

***

«Sei inquietante», bisbigliai appena aprii gli occhi. Daniele mi stava guardando e aveva lo sguardo vigile, quindi pensai che fosse sveglio già da un po'. Prendendo il telefono dal comodino, mi resi conto che erano quasi le sette e mezza. 

Il mattino era fresco e cercai un po' di calore avvicinandomi ancora di più a lui. Gli passai un braccio attorno alla vita e appoggiai la testa contro la sua spalla. Lui si limitò a liberare il braccio sinistro, così da cingermi la spalla a sua volta; le sue dita iniziato a danzare contro la mia pelle, facendomi così venire i brividi. E mi avvicinai maggiormente, stringendolo.

«Sei carino mentre dormi», mi sussurrò, spingendomi ad alzare la testa verso di lui. Sorrise, facendo subito dopo una smorfia ed io ebbi voglia di baciarlo ma non ci riuscii. La sveglia del suo cellulare cominciò a suonare, quindi si staccò per fermarla.

«Vado a farmi una doccia», mi informò mettendosi a sedere sul bordo del letto. Io sprofondai la testa nel cuscino, chiudendo gli occhi ma riuscendo comunque a raggiungere con le dita la sua schiena. Gliela sfiorai da sopra la maglietta che aveva addosso, arrivando all'orlo e infilandole sotto, così da trovarmi contro i polpastrelli la sua pelle piena di brividi.

«Possiamo farcela insieme», proposi. Daniele si girò, appoggiando le mani contro il materasso e sporgendosi verso di me. Mi lasciò un bacio all'angolo della bocca, ridendo.

«Beh, potrei anche lasciare la porta del bagno aperta», disse alzandosi dal letto. Lo seguii con lo sguardo mentre si avvicinava alla porta e silenziosamente usciva fuori.

Vi dico solo che fare la doccia con Daniele non fu come me lo ero immaginato. Dopo averlo raggiunto nel box doccia, non feci nemmeno in tempo a bagnarmi completamente che sentimmo la porta del bagno aprirsi nuovamente. Preso dal panico, lui mi mise una mano davanti alla bocca, guardandomi con gli occhi sbarrati.

«Tesoro, stamattina ho delle commissioni da fare!» sentimmo dire da Luisa. Daniele si schiarì un po' la voce, prendendo un respiro profondo.

«D'ac-...d'accordo».

«Va tutto bene?» chiese. E no, non stava andando tutto bene, visto che Daniele aveva tolto la mano e adesso le mie labbra erano contro il suo collo, intente a lasciare baci un po' ovunque.

«S-sì», riuscì a dire alla fine. Non sentimmo nessuna risposta, ma passati alcuni secondi Luisa lo salutò e gli disse che sarebbe tornata per pranzo. Beh, quella era decisamente una buona notizia.

«Ma sei pazzo?» mi domandò non appena la porta del bagno si richiuse. Lo guardai fintamente sorpreso, ma sapevo bene a cosa si stesse riferendo.

«Rilassati un po', dai!» dissi spostando le labbra sul suo petto e abbassandomi sempre di più, fino a finire in ginocchio davanti a lui.

E sì, riuscii a farlo rilassare!

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