a sera quando le stanche nuvole dileguano nel buio incerto.
Non c'è nulla di più soffocante del vuoto di una pagina bianca. Questo lui lo sa bene, perché lo vive ogni giorno da ben dieci anni. All'inizio erano solo alcune giornate di poche parole, di silenzi e inchiostri rimasti intatti. Ma la vita è cresciuta intorno a lui, gli ha coperto le radici, la pelle, il corpo. E alla fine l'ha fatto fuori, cacciato a calci in culo e tanti cari saluti. Qualcosa, quindi, è appassita in Manuel. Con la stessa semplicità con cui una foglia, alla fine del suo corso di vita, si stacca dal ramo e cade lenta, lentissima, fino a toccare il suolo in una resa disarmante. La vitalità gli è cascata tutta dalle dita, gli sarà caduta chissà dove, nemmeno lo ricorda, neanche se ne è accorto. E ora la cerca invano, tra le vie strette di questo borgo arroccato nell'infinito spazio verde che li inghiottisce tutti.
Fa caldo, il sole è alto nel cielo, furente, arrabbiato. Lui lo è di più. Perché questa mattina, di questo caldo diciotto di giugno, il nostro Manuel ha avuto il desiderio di scrivere.
Quando è accaduto era steso sul letto, appena sveglio, forse ancora in dormiveglia, poiché la vita gli era sembrata troppo liquida, i sogni che aveva lasciato ancora troppo freschi. Il sole gli sfilettava il volto, la testa gli prudeva per il sudore accumulato nella notte. E mentre la sua coscienza lo riportava alla vita, per un attimo, un attimo brevissimo, c'è stato un lampo di pensiero. Un pensiero è breve, labile, può scapparti dalla testa in un attimo, anche attraverso la matassa di ricci di Manuel.
Un pensiero, un solo pensiero. E Manuel, orgoglioso e presuontoso com'è, ha lasciato che gli sfuggisse via. Ha permesso che la sua voce venisse zittita dopo un decennio di afasia. Volontariamente, per libera decisione. Levatosi dal letto si è chiuso in bagno, ha bestemmiato, fatto una doccia, bestemmiato ancora e poi è uscito. Le strade strette gli mettevano ancora più rabbia, quei conci rossastri parevano tutti ridicolizzarlo in qualche modo. Li sentiva bisbigliare, stringersi ancora di più intorno a lui. Pareva urlassero tutti la stessa moina. Ha serpentato per la città, ha sbirciato dalle finetre, ha preso a calci pietruzze che gli complicavano il percorso, ha meledetto la sua stessa esistenza. Ora che si trova sul colle fuori la città e la osserva dall'alto, ora che il sole sembra volerlo friggere con tutti i vestiti, vorrebbe urlare, gridare contro quelle quattro case che vede davanti a sé, contro la cupola che svetta verso il cielo. E chiedere a tutti, tutti loro, per quale assurdo motivo, dopo dieci anni di blocco, tra i mille e mille argomenti potessero anche solo di sfuggita sfiorare la sua mente, perché, insomma, tra tutto quello, tra tutte le cose, tutte le persone, tutti i momenti della sua vita; perché, in definitiva, tra tutti... perché proprio lui.
Ricorda ancora la prima volta che l'ha visto. Aveva venti anni ed era seduto ad un baretto in via Veneto. Roma era brulicante di persone, di giovani che si spingevano tra i tavolini e ridevano sguaiatamente, tracannando la vita come una pinta fresca di birra. Lui era seduto al tavolino numero diciotto, una grande coincidenza se si considera che quel giorno il calendario segnava proprio il diciotto di giugno. Una sigaretta tra le dita, lo sguardo duro di chi non vuole parlare con nessuno, un bicchiere di liquore di sottomarca stretto nella mano sinistra. Manuel si guardava attorno circospetto, alla ricerca di un volto su cui fantasticare. Lo vide arrivare da lontano. Correva tra la folla scalpitante, ma senza spingere o disturbare nessuno. Si dimenava con la delicatezza di un filo d'erba mosso dal vento. Era pallido, sudato, magrissimo. Discusse col padrone, poi calò il capo, afferrò il grembiule del collega e lo indossò. Lo chiamò subito al tavolo. Non aveva null'altro da ordinare, ma fu un istinto, qualcosa di inumano che lo spinse a farlo. Si avvicinò con gentilezza, un sorriso educato sul viso. Quando gli fu vicino, gli occhi gli sembrarono molto più chiari, incredibilmente più luminosi che da lontano. Il volto conservava in sé l'antica innocenza, un sentimento di purezza immacolato, non marchiato dal fradiciume della vita. Manuel arrossì, cosa a lui molto inusuale, poi abbassò la testa, ammise che non aveva nulla da ordinare, ma che voleva sapere il suo nome, così, giusto per chiacchierare, poiché era un uomo solo, e sconsolato, e aveva bisogno di un amico.
Tra i due calò un silenzio simile ad un masso, l'altro balbettò qualcosa, a Manuel parve capire che si chiamasse Simone. Risero entrambi per l'imbarazzo. Simone indietreggiò, raggiunse un altro tavolo che lo stava chiamando. Andò via. Manuel si alzò, prese le sue cose e rincasò. Lo rivide due anni dopo.
Urbino è una città bomboniera, a tratti si potrebbe dire una città non città. Le case sembrano essere parte di un presepe, le chiese sono terre sconsolate dove non ci entra nessuno da una vita, le viuzze sono fatte di ricordi di anziani signori e dei loro anni passati a sbucciarcisi le ginocchia in gioventù. È il racconto di una storia lontana, fuori da questa vita, fuori da questo tempo. Manuel vive qui da quando ha smesso di scrivere. L'ha deciso perché sentiva di aver perso i pensieri, di aver perso se stesso. Tanto valeva sparire.
Ha preso fissa dimora in una casetta appena dentro le mura, grande abbastanza per contenere letto cucina e bagno nella stessa stanza. La finestra è piena di nidi d'ape, la apre solo quando non riesce più a respirare. Sono anni che il ronzio segue i suoi movimenti, eppure lui non si decide a toglierli. Forse in quella città vuota e silenziosa, il ronzio delle api gli ricorda il baccano di Roma, il russare stonato di lui nelle calde giornate estive passate in apnea, stesi nudi sul divano.
Si è trasferito senza dirlo a nessuno. Ha preparato le valigie, lasciato un biglietto alla madre, ed è andato via. Sto via per un po', ha scritto. Non vi scriverò, non provate a cercarmi. Tanto io non esisto più, avrebbe voluto aggiungere, ma voleva evitare quell'ulteriore dose di dolore alla madre. È scappato via senza fiatare.
Quando rivide Simone, due anni dopo, il viso era diventato quello di un uomo, ma l'ingenuità gli era rimasta negli occhi. Era diventato barbuto, i capelli gli erano cresciuti e il fisico si era ammorbidito.
Simone, lo chiamò.
Si voltò e si vedeva che voleva dire qualcosa, voleva chiamarlo per nome anche lui. Manuel si ricordò che non si erano nemmeno presentati per bene, che mentre in quegli anni aveva pensato a quel suo Simone tutte le sere, l'altro non aveva mai saputo il suo nome. La cosa lo ferì nel profondo, per questo allungò una mano e si presentò. Simone la strinse debolmente, lasciò che la mano di Manuel lo avvolgesse per bene.
Passarono una giornata intera insieme. Gli disse che aveva iniziato a studiare e lasciato il lavoro al bar. Studiava matematica all'università, di tanto in tanto aiutava dei bambini a studiare, nel tempo libero amava giocare a scacchi e a calcio, ascoltava solo musica classica viennese. Gli chiese cosa avesse contro Chopin, o Verdi, ma lui rise solamente, si imbarazzò, guardò altrove. Scopriva in quel momento che esistevano individui lontani dal conflitto, liberi dai giudizi perché non giudicanti, felici nel loro semplice essere. Lui, antipatico, scontroso, polemico, rimase così interdetto dinanzi alla sua reazione che volle rispondere, ebbe il desiderio di innervosirsi, di attaccarlo o criticarlo. Eppure il suo atteggiamento lo annientò, cancellò in lui ogni traccia di livore. Si lasciò consumare dalla pacatezza della sua anima. Si lasciò cullare dal suono della sua risata. Arrivò al tramonto senza aver bestemmiato nemmeno una volta, col volto disteso e la leggerezza di quando era ancora in fasce.
Torna a casa ancora in parte arrabbiato. Ha tutto questo odio dentro e non sa dove metterlo, non sa cosa farci. Vorrebbe buttarlo su qualcuno, almeno avrebbe un senso. Invece gli resta in corpo, gli invade ogni spazio vuoto tra un organo e un altro e non riesce più a respirare, o a digerire, o a pisciare.
Il sole sta calando, la giornata l'ha consumata sul pavimento della cucina raccolto in se stesso e nel suo dolore.
È quasi sera quando afferra la prima penna a portata di mano e un tovagliolo sporco lasciato da pranzo sul tavolino. Si arrende. Inizia a scrivere ciò che l'ha svegliato, ciò che gli ha ridato vita.
Simone, Simone, Simone, Simone.
Sono qui, Simone.
Se Manuel dovesse raccontare di preciso di come finirono dall'uscire come amici al fare l'amore, inciamperebbe in non poche difficoltà. L'amore offusca i sensi, annebbia i ricordi. Ti trascina nella vita facendoti dimenticare di tutto quello che c'è intorno, facendoti dimenticare delle regole, della vita che segue uno schema, della gravità, del passato presente e futuro. L'amore ti scioglie il cervello, ti brucia le sinapsi. E così, gli occhi di Simone divennero sempre più vicini, le loro mani sempre più intrecciate, i corpi sempre più uniti, sempre più sudati. Ricorda benissimo, tuttavia, la prima volta che ha visto Simone nudo. Non se lo aspettava nemmeno. Erano finiti a casa di Manuel, stranamente vuota, erano ebbri d'amore, di cuori che si scontrano e che battono all'unisono, di profumi che si mischiano. Manuel era chiuso nel cesso, ma quando uscì trovò Simone davanti a lui, bianchissimo, liscio come una donna, i fianchi morbidi, le gambe piene, gli occhi imbarazzati e spiritati al tempo stesso. Ebbe l'istinto di coprirsi, forse lo fece per un attimo. Ma Manuel lo fermò, lo implorò di rimanere così, immobile. Il rossore sulle guance di Simone lasciò spazio al desiderio, alla disperata richiesta di renderlo suo. Manuel fece tutto con calma, consumò il piacere nella disperazione dell'altro, il cui potere di alimentare il desiderio di Manuel fu presto usato come arma. E il gioco del peccato e dell'amore non si concluse più, andò avanti per mesi. Dove era Simone, lì era Manuel. Dove nessuno era mai stato, Manuel aveva lasciato baci eterni che avrebbero scottato per sempre. Anche quando Simone non c'era, Manuel lo vedeva al suo fianco. Così divennero la stessa persona, si compenetrarono come spesso accade a due ragazzi che si amano senza remore. Ma l'amore, si sa, è una malattia debole, fragile. A guarirne ci vuole un attimo.
Manuel cammina a passo spedito per la città, lo fa almeno una volta al giorno. Da quando ha iniziato a scrivere, ha notato che camminare è in qualche modo legato alla sua creatività. Quando sta fermo, le parole gli escono, sì, ma con leggerezza, senza toccarle con mano. Quando cammina, invece, sente la vita attraversarlo, le cose gli entrano dentro, riprendono a vivere al suo interno.
Così, da quando ha iniziato a scrivere di Simone, ha ripreso anche a camminare. Più che di Simone, scrive di qualcuno che potrebbe essere entrambi. È una storia dove i protagonisti sono chiusi nello stesso corpo, dove lo scontro è all'interno di se stesso e allora nulla accade.
Sono dieci anni che non scrive, e sono esattamente dieci anni dall'ultima volta che ha visto Simone. Come egli sia ricomparso così nella sua via, dal nulla, è cosa alla quale ancora non sa dare risposta. In questi anni da eremita, non si è mai chiesto anche solo una volta che fine avesse fatto. Un po' perché forse l'aveva odiato, un po' perché Simone lo sentiva dentro sempre, non c'era il bisogno di cercarlo.
Ora qualcosa è cambiato. L'aria è diversa, le nuvole prendono forme insolite, la gente sembra tutta ricordargli lui. È incredibile come le persone, ad un certo punto, ritornino. Che ricompaiano come se nulla fosse davvero accaduto. Come se dieci anni fossero stati dieci giorni, o dieci minuti.
Litigarono una notte di inverno. Manuel aveva costruito una vita, delle persone che bene o male lo rispettavono, aveva una madre che lo amava alla follia. Era tutto troppo ben costruito per mandarlo all'aria. Simone pareva volesse distruggere ogni cosa. Con quel suo corpo dolce, con gli occhi minuti da bambino, pareva quasi assurdo come la sua forza dovesse essere tanto devastatrice. Gli disse dal nulla, in un giorno piovoso e freddo, che voleva dirlo a tutti, che era stanco di quei loro incontri clandestini. Che per lui Manuel era più di un compagno di letto, che l'amore che provava era troppo sublime per poter essere abbassato alla sola sfera sessuale. Si rifiutò, disse che non avrebbe dovuto pretendere così tanto da lui. Che non sarebbe cambiato mai per nessuno. Simone ammise che c'era un uomo, più grande di loro, che lo amava infinitivamente, ma che lui non amava. Però, forse, sarebbe stato disposto a rinunciare all'amore pur di essere scelto, pur di non essere tenuto segreto come qualcosa di cui vergognarsi. Che per lui senza gesti d'amore non c'era nulla, nemmeno la passione. Uscì dalla stanza del motel sbattendo la porta. Non lo cercò mai più. Manuel fece lo stesso.
Entrambi, tuttavia, si cercarono nei sogni, senza mai poterselo dire.
Gli pare quasi impossibile, eppure deve essere così. Si avvicina, e ora ha quasi l'assoluta certezza che sia lui. Ma svolta all'angolo, e quando lo raggiunge, di lui nemmeno più l'ombra. Manuel inizia a pensare di essere impazzito. Non può essere Simone, nessuno sa che è lì. Eppure quelle spalle alte, la camminata ondeggiante...
No, è solo una sua ossessione, un'illusione dettata dal desiderio di rivederlo. O peggio, è divenuto completamente folle e ora inizia a vedere i personaggi dei suoi stessi libri. Preso da questo pensiero, inizia a dubitare anche solo di averlo conosciuto Simone. E se l'avessi semplicemente scritto io, dieci anni fa? Se non fosse mai accaduto sul serio? Forse dovrebbe tornare a Roma, forse dovrebbe verificare con i suoi stessi occhi.
Passano dieci giorni, e Simone riappare.
Si trova in collina, sta guardando la città dall'alto coma fa tutti i giorni, quando in un angolo in basso a destra, appena fuori le mura, scorge un ragazzo alto e snello, una matassa di ricci disordinati, la camminata a pendolo. Urla il suo nome, lo sente riecheggiare e tornare indietro. Lo urla di nuovo. Simone! Questa volta si gira, alza la testa, lo guarda fisso, poi scappa via.
Passano altri dieci giorni, e quasi come un appuntamento strano col destino, eccolo che riappare. Questa volta è più vicino di quanto possa pensare. Manuel è affacciato alla finestra, ne approfitta del frescore serale e dell'assenza del ronzio. Sta fumando una sigaretta quando per distrazione gli cade dalle dita. Sente un lamento sottostante, si affaccia ed è lui, Simone. Questa volta non ha dubbi, è proprio lui. Restano a guardarsi così, per alcuni istanti, prima che Manuel prenda le scale di fretta e si precipiti giù.
"Sono passati dieci anni" sussurra Manuel. Simone lo scruta di sottecchi, le mani in tasca, le spalle strette.
"Non sei cambiato di una virgola" risponde. E Manuel vorrebbe piangere, vorrebbe urlare e scalpitare, perché la sua voce gli era mancata come l'ossigeno e ora gli sembra di tornare finalmente a respirare.
"Nemmeno tu" riesce ad articolare.
Ma poi "Come hai fatto a trovarmi?" chiede.
"Ho provato un paio di città in questi anni...".
"Mi stai cercando da molto?".
"Da dieci anni".
Sente il cuore fermarsi, e allora anche lui si ferma. Smette di respirare, sta per accasciarsi sulle ginocchia quando Simone fa un passo veloce e lo afferra, lo tira su.
"Dieci anni?".
"Dieci anni... ho provato tutti i centri piccolini, che sapevo che se fossi sparito saresti andato in una città silenziosa, tranquilla. E ora che ci penso, Dio, era così ovvio... Urbino... come ho fatto a non pensarci prima".
"Cosa vuoi da me?".
"Ricominciare".
"Non ti sembra sia passato troppo tempo?".
"Non nel mio cuore".
Manuel lo scruta dal basso, mentre si appoggia disperatamente alle sue braccia tese.
"Sali... ti prego".
Ora che si trova ad osservare il sole sorgere, Manuel pensa che Urbino non è mai stata più bella di così. Simone dorme nudo dietro di lui, candido e aperto come un fiore ai primi di marzo. La camera è un cumulo di vestiti gettati alla rinfusa sul pavimento. Una sigaretta è ancora accesa al tavolino dove si trovano i suoi scritti, sparpagliati un po' ovunque perché Simone ha desiderato leggerli tutti prima di fare l'amore. Vorrebbe ridere, che la vita è strana, e lui probabilmente non la capirà mai. Sono troppi i pensieri, troppo poco l'ordine. Ma per adesso va bene così, per adesso c'è l'alba serena che lo accoglie. E questa, probabilmente, è una storia senza inizio né fine, una storia senza capo né coda. Ma anche per questo, per adesso, ci accontentiamo. La notte è troppo dolce e silenziosa per giudicare.
_________________________________________
fa cacare era giusto per pubblicare qualcosa
ringraziamento specialissimo alle patate puzzolone geniali!!!!!!!!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro