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XXIII

Questo capitolo lo dedico a Dreamer_Angel_, la mia omonima. Tantissimo auguri di buon onomastico 💟

00:00, bosco, da sola
Erano solo due parole e un'ora ben precisa, ma chi me lo aveva mandato? Damon? Non credevo fosse lui, poteva benissimo dirmelo da sé, venendo qui e non facendosi scoprire.

Giravo e rigiravo il foglio tra le mani, con sguardo perso nel vuoto, ma immerso in centinaia di pensieri e preoccupazioni. Il messaggio lo aveva trovato mia madre, quindi era impossibile raggiungere il posto stabilito, lei non me lo avrebbe mai permesso.
Una profonda curiosità si insinuò in ogni parte del mio corpo, soprattutto nella mente; quello ormai era il mio punto fisso.

«Allora Jane? Voglio delle spiegazioni», la voce di mia madre mi arrivava ben chiara.

«Non avrai spiegazioni, perché nemmeno io le ho. Non so chi mi abbia mandato questo messaggio, né perché voglia vedermi.»

«Va bene, adesso basta Jane, sono stata sin troppo tollerante con te, ti ho sempre difesa, ma adesso è arrivato il momento di mettere un punto a tutto questo. Arrivare addirittura a mentirmi, non ti riconosco più, da quando quel decelebrato di Damon ti ha rapita non sei più tu: ci menti, sgattaioli via non solo di notte, ma anche di giorno!
Non so più che fare con te e questa è la goccia che fa traboccare il vaso!», disse furiosa, strappandomi il foglio dalle mani. «Questo lo porterò a tuo padre e insieme prenderemo una decisione, che a te piaccia o meno», si voltò, avanzando verso l'uscita, per poi fermarsi improvvisamente. «Se scopriamo che in qualche modo anche tu sei colpevole dell'attacco alle campagne del Nord, non te lo perdonerò mai.»

Dopo la sua sfuriata, mi lasciai cadere sul divano con le lacrime agli occhi. Mia madre era l'unica che mi sorreggeva quando non riuscivo a rialzarmi, lei era tutto per me, perché mi aveva detto quelle cose. Credeva veramente che io c'entrassi qualcosa?
Che fini avrei ad attaccare gente innocente?

Mi asciugai una lacrima che furtivamente era scesa e mi alzai, afferrando i miei deliziosi biscotti e andando in camera. Se lei era giunta a conclusioni così estreme, io non potevo farci nulla, se non isolarla completamente dalla mia vita.
Non le avrei detto più nulla, che riguardasse me o ciò che pensavo, poteva usare tali informazioni contro di me.

Da tutti mi sarei aspettata di essere sospetta, tranne che da lei. La mia fiducia era solo in lei e adesso nemmeno più lì.
Entrai in camera e sbattei la porta, gesto alquanto infantile, ma che in quel momento mi rendeva estremamente più sollevata.

Mi sdraiai sul letto a pancia in giù e presi uno dei miei libri preferiti, elaborando mentalmente una strategia per riuscire ad uscire dal castello questa notte. Sicuramente tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di me.

Lessi almeno sette pagine, non era un classico, il libro che stringevo tra le mani era collegato alla fantasia e quindi alle streghe, vampiri e il mondo del paranormale.
Paranormale e streghe!

Ma certo, io ero una strega, seppur inesperta, ma pur sempre strega ed era arrivato il momento di mettere in pratica le mie doti. L'unica volta che aveva usato la magia era per la sopravvivenza, la seconda volta mi sarebbe servita per sgattaiolare via.

Sostituii, quindi, il mio libro con uno di magia; mia madre me ne aveva portato due per l'esattezza, precedentemente. Mangiai tutti i biscotti preparati e, all'ultimo biscotto, trovai una formula rara e complessa.
La lessi attentamente e mi chiesi se fossi mai stata in grado di produrla: l'invisibilità.

Guardai l'ora, mancavano otto ore a mezzanotte, avevo otto ore per apprendere quella magia.

Ciò che avevo svolto da prigioniera, lo stavo per rifare da libera... Per fuggire. Era un qualcosa di contraddittorio, ma poco importava. Mi aspettavo che da un momento all'altro qualcuno entrasse in camera mia, quindi feci molta attenzione alle prove.
Infatti, come volevasi dimostrare, dopo nemmeno due ore dall'inizio, entrarono in camera mia madre e mio padre.

Chiusi il libro e me lo portai in grembo, come solitamente ero abituata a fare con qualsiasi libro. I miei genitori erano seri in viso, mi prepararai a qualsiasi cosa avessero da dire, ma furono le uniche due parole di mio padre a farmi sprofondare completamente: «cambierete camera.»

Sgranai gli occhi, «cosa? Questa è la mia camera.»

«Da oggi stesso verrete trasferita in un'altra camera, nell'ala ovest.»

«Nell'ala ovest non ci sono camera, ci sono solo-»

«Prigioni? È così che le definiamo, ma state tranquilla, ho già ordinato alla servitù di rendere una delle tante camere accoglienti.»

«Lì ci portiamo gli uomini che vengono trovati, sconosciuti, per un imminente colloquio con il consiglio!»

«Vedila sotto un'altra prospettiva, Jane, sono delle semplice stanze con le sbarre alle finestre, tutto qui», intervenì mia madre.

«Tutto qui? Scordatevelo, non andrò lì!»

«Non è una richiesta, Jane, è un ordine e lo eseguirai... Con le buone o con le cattive», indurì il tono di voce mio padre.

«Ma... Madre! Perché mi fate questo? Non ho fatto nulla di male!», la voce mi si incrinò. Mi voltai verso mia madre, cercando un suo sostegno, ma quella volta ero da sola; abbassò il viso e si avvicinò ancora un po' a mio padre.

«È per il vostro bene, fidatevi di noi.»

«Fidarmi di voi, lo faccio... Mi correggo, lo facevo ad occhi chiusi, mi state trattando come una traditrice!»

«Fidatevi, un traditore sarebbe morto seduta stante. Non vogliamo che corriate rischi e la vostra ribellione non ci aiuta.»

«Cosa volete che faccia? Volete che acconsentisco e vi faccia un applauso? Volete che vi abbraccia e vi dica quanto adoro la vostra protezione nei miei confronti? Non lo farò mai!», alzai la voce e strinsi le mani in due pugni, talmente con tanta violenza che le unghie si conficcarono nella pelle e iniziai a provare dolore. 

«La state rendendo una tragedia, è solo temporaneamente, fin quando le acque non si saranno calmate.»

«Preferisco essere bandita che deposita in celle.»

«Non sono celle Jane! Sono delle camere a prova di fuga. Non ero d'accordo con la proposta di vostro padre, ma dopo il biglietto letto stamani sono convinta che questa sia la soluzione migliore. Non vogliamo che qualcuno vi rapisca ancora, se realmente non è stato Damon ad attaccare le Campagne d Nord, significa che c'è un altro nemico in giro e se voi scappate di continuo non riusciamo a concentrarci su nulla. Vi vogliamo un bene dell'anima e quando siete da sola -anche nella vostra stessa stanza- abbiamo le palpitazioni, temiamo che possiate uscire ancora di nascosto, anche per le cose più stupide... Come acquistare la farina», mia madre indicò velocemente il cesto ancora in camera. 

Il discorso di mia madre mi colpì, come sempre d'altronde. Mi sedetti sul letto e sospirai. Quella camera era tutto per me, era il mio rifugio, lì nascondevo i miei segreti, le mie passioni. La loro idea non mi entusiasmava affatto, ma sapevo che in un modo o in altro mi avrebbero costretta ad andare lì; così funzionava in casa e nella mia vita: loro dettavano, io eseguivo.

«Va bene», mi alzai dal letto e, con occhi lucidi, mi diressi verso l'ala ovest del castello. Il clima cambiò drasticamente, se in un primo momento avvertivo una leggera freschezza, lì il gelo avvolgeva i corridoi.

Il lusso era comunque presente, così come il tappeto rosso che faceva da pavimento e i tanti quadri appesi alla parete, seppur non fossero numerosi. Le porte non erano in legno finemente levigato e decorato, ma erano costituite da semplice legname.

Mi venne incontro Sophia, che mi sorrise dolcemente. «Ho preparato la vostra stanza. Spero che vi sentiate a vostro agio, ho provato a renderla quanto più accogliente possibile.»

«Grazie mille, Sophia.»

Comminai verso l'ultima stanza in fondo al corridoio, l'unica che aveva la porta aperta; il resto erano chiuse a chiave e molto presto lo sarebbe stata anche la mia.

Non appena entrai, la prima cosa che mi balzò all'occhio, furono le sbarre alle finestre. Un letto a baldacchino era posizionato al centro e non vi era alcun armadio, solo una scrivania, uno specchio e l'occorrente per prepararsi al risveglio.

Solitamente nei castelli non erano presenti queste camere, ma nel mio si: i miei genitori offrivano questi alloggi a persone trovate nei boschi a girovagare, famiglie povere che non avevano casa, qui ci restavano per massimo due notti, successivamente veniva data loro una casa e un posto di lavoro. Ciò, ovviamente, non avveniva con gente che, a prima vista, sembrava pronta ad una rapina.

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