XXII
Auguro a tutti voi una felice Pasqua 🐤
Purtroppo per mancanza di tempo non ho potuto correggere il capitolo, però ho deciso comunque di pubblicarlo, dunque possiate scusarmi per gli errori che vedrete.
-Angel ❤️
Buona lettura 💛🐤
Continuavo a sfiorarmi quegli orrori che spuntavano dalle mie gengive e li osservavo come se potessero sparire da un momento all'altro.
Deglutii e mi resi conto di quanto fossero affilato, tant'è che senza accorgermene mi ero procurata un piccolo taglio al labbro inferiore.
Provai a serrare le labbra e a nasconderle, ma ottenni l'effetto contrario. «Resteranno per sempre?», chiesi spaventata a Damon, il quale sembrava essere tranquillo e a suo agio in queste situazione.
«Sporgenti no, usciranno solo quando dovrai nutrirti; con il tempo imparerai a gestirle a tuo piacimento, ma fino ad allora dobbiamo prevenire incidenti del genere. In questo castello ci sono anche umani, se presa da un folle attacco di sete, potresti addirittura attaccarli; oppure mostrare loro le zanne. Ti consiglio di nutrirti ad intervalli regolari, così come facevo io prima di arrivare qui.»
«E adesso come fai? Non hai più tutte le comodità che avevi a casa, di cosa mi dovrei nutrirmi? Di sangue umano? Non ucciderò mai una persona!»
«Tranquilla, non c'è ne sarà bisogno, potrai bere il mio sangue. Essendo anch'io un essere potente, ti fornirò maggiore forza.»
Indietreggiai leggermente e lo osservai inespressiva, «non posso bere il tuo sangue, è una cosa disgustosa.»
La sua espressione si indurì, «non fare la schizzinosa, non ne hai mai avuti di questi problemi. Fidati se ti dico che non sei mai stata una santa, questo ruolo non ti si addice proprio. Perdita di memoria o meno, tu rimani sempre tu: una ibrida forte, testarda, coraggiosa e amorevole. Prima di tornare a casa, Jane, devi ritrovare la vera te, perché è ancora qui», si indicò il petto, all'altezza del cuore, «solo che devi farla uscire.»
Le sue parole mi fecero riflettere, mi stavo impegnando tanto affinché ricordassi quante più cose possibili di me, ma era difficile. Pensai dunque che lui era una delle poche speranze che avevo e mi chiesi se provasse un certo interesse nei miei confronti. Paranoie a parte, il suo sguardo non si smentiva, inoltre sentivo -anche se involontariamente- il suo cuore battere irregolarmente quando io ero nelle vicinanze.
Non ne ero sicura, era solo una supposizione, ma se così fosse stato, avrei preferito che fosse lui a dirmelo chiaramente; insomma, aveva affrontato un viaggio di oltre trecento anni pur di trovarmi e aiutarmi, non era un cosa di poco conto.
Capii che da quel momento dovevo comportarmi senza impormi dei limiti, dovevo essere semplicemente me stessa e forse solo in quel modo sarei riuscita ad apprezzarmi e a comprendere la mia stramba vita.
«Cosa devo fare per», indicai le mie labbra. Se dovevo nutrirmi, lui doveva insegnarmi.
«Devi avvicinarti a me e mordermi il collo, o il polso, o qualsiasi parte del corpo ti semplifica i movimenti. È abbastanza semplice e ti verrà tutto naturale.»
Lentamente, sotto il suo sguardo attento, avanzai verso di lui. «Tu quale parte preferisci? Cioè, intendo dire, c'è qualche parte che ti provoca più dolore?»
«Non provo mai dolore, scegli senza pensarci troppo», concluse, continuando a seguire ogni mio movimento fin quando non mi sedetti accanto a lui.
Titubante abbassai la mano fino a sfiorare la sua per prendergli il polso, ma mi fermai quanto capii che non volevo il polso; un istinto primordiale stava prendendo il sopravvento e mi indirizzava verso il collo.
Mi avvicinai lentamente, come se avessi paura di scattare improvvisamente o di un suo rigetto. Poggiai la punta del naso sulla pelle del sul collo e inspirai il suo dolce profumo; sì, era proprio quel dolce profumo che mi faceva impazzire.
Schiusi leggermente le labbra, ma ero troppa incerta nell'agire, avevo paura e non sapevo il perché.
«Jane lasciati andare, non pensare a nulla», sussurrò con voce roca.
Chiusi gli occhi e seguii ciò che mi aveva detto. Mi lasciai andare e, spalancando la bocca, affondai i denti nella sua soffice pelle. Lo feci con lentezza e, quando mi resi conto che non aveva emesso al gemito di dolore, iniziai a succhiare.
La mia bocca venne subito inondata dal grazioso sapore del sangue che, a differenza di come pensavo, non mi disgustava affatto. Con la mano destra risali fino ad arrivare alla base della sua nuca, in modo da poterlo stringere meglio.
Lui non si muoveva, non emetteva un lamento né un sillabo; era immobile e mi lasciava il comando.
A piccoli sorsi mi godevo quel momento e finalmente quell'irrefrenabile voglia di bere, si placò. Le zanne mi facilitavano molto il lavoro e le piccole goccioline che sfuggivano dal loro attacco, le recuperavo con un movimento veloce della lingua.
Fu allora che sentii Damon irrigidirsi ed emettere un sospiro, mentre poggiava una mano sul mio fianco.
Non sapevo quanto tempo fosse passato, un minuto, due o forse tre; fatto sta che pian piano lo sentii inclinarsi verso dietro e pur di non abbandonare il mio desiderio, lo seguii, posizionandomi su di lui.
Improvvisamente un colpo di lucidità mi fece bloccare e mi staccai lentamente da lui, pulendomi il labbro con il dorso della mano. «Va meglio?», chiese, forzando un sorriso.
«Sì, scusami per aver calcato troppo la mano, non riuscivo più a fermarmi», borbottai quasi umiliata.
«Non devi scusarti, eri molto assettata.»
Abbassai il viso e solo allora mi resi conto che sotto di me vi era il suo petto. Iniziai ad avvertire un calore al centro del petto che pian piano salì verso le goti.
Le mie braccia, distese in un primo momento lungo i fianchi, vennero afferrate e in un millisecondo la mia schiena venne a contatto con un morbido materasso.
«Da quando sono qui non hai sorriso nemmeno un po', una volta lo facevi spesso, me lo fai un sorriso?», disse lui, posando le mani suoi miei già chi ed iniziando a farmi il solletico.
Da confusa, alla sbalordita, alla divertita fu un attimo. Iniziai a ridere e a dimenarmi sotto di lui. Non avrei mai pensato che mi sarei ritrovata in una situazione del genere e quella fu veramente la prima volta in cui risi.
«Smettila... Damon!», l'aria venne quasi meno a causa delle troppe risate.
«Come? Non ho capito....», continuò lui mentre sorrideva divertito.
«Ho detto... Ho detto basta!», gli bloccai le mani con le mie.
«Va bene, va bene», si arrese, scendendo dal mio corpo e passandosi una mano tra i capelli. «Ah... Non ti senti meglio?»
«Sì», sorrisi, «ridere fa bene. Damon perché mi stai aiutando?», chiesi finalmente i miei dubbi.
«Perché tu hai aiutato me tante volte, adesso tocca a me starti accanto.»
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