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XVIII

Scusate il leggero ritardo nel pubblicare questo capitolo, ma non ho avuto la linea di internet per un bel po' di tempo e siccome preferisco scrivere questa storia tramite il cellulare, ho dedicato quel tempo alla revisione della Rosa Spinosa (dal computer)ed ora eccomi qui
-Angel ❤️

Buona lettura😘

Jane/Eva

Camminavo in circolo per la stanza e mi passavo ripetutamente la mano alla base del collo. Sudavo e goccioline fredde scendevano dalla fronte.

Non capivo cosa stesse succedendo, avvertivo la gola pizzicare e bruciare. Avevo sete, ma con tutta l'acqua bevuta, ancora non riuscivo a placare quello stranziante impulso di continuare a bere.
Purtroppo quel fastidio non si bloccava nemmeno la notte, che non solo trascorrevo insonne a causa dei continui incubi, ma il riposare in sé era diventato un impresa.

Volevo parlarne con qualcuno, ma chi? Non avevo nessuno che potesse capirmi, inoltre la Regina -dopo una lunga conversazione in veranda- mi aveva fatto chiaramente intendere che anche lei iniziava a trovarmi strana.

Mi sedetti sul letto ed incrociai le gambe, incurante della gonna del vestito che si era alzata fino all'inguine. Quando però sentii bussare alla porta, fui costretta a ricompormi.

Dalla porta entrò proprio la Regina, colei che fisicamente mi somigliava tanto, ma si era dimostrata esattamente come mi aspettavo. Lei, sempre sorridente, chiuse la porta e mi venne incontro.

«Posso parlarti?»

«Certo, mi dica», dissi inespressiva, ero stufa di quella situazione e non sapevo nemmeno come ci ero finita.

«C'è una persona nell'altra stanza che vorrebbe incontrarti, ti conosce.»

A quelle parole sussultai, chi era quella persona? Un mio parente? Come aveva fatto a rintracciarmi? Lo avevano trovato loro?

«Una persona?», scossi il viso, «lo avete convocato voi?»

«No, è arrivato questa mattina e ha dichiarato di conoscerti. Ovviamente prima di dirlo a te, abbiamo parlato con il ragazzo.»

«È un lui dunque, non so come possa conoscermi. Io non-»

«Prima di giungere a conclusioni affrettate, ti consiglio di incontrarlo. Infondo stiamo cercando di capire chi tu sia e come ti trovi qui e lui potrebbe aiutarci. Non ti costa nulla vedere chi è, magari ti risveglia qualche ricordo.»

Sospirai senza aggiungere altro, la decisione l'aveva già presa ed era inutile ribattere. Decisi, dunque, di annuire e scendere dal letto. La seguii fuori dalla porta e successivamente nella stanza accanto.

Mi ricordo di quando, quella stessa mattina, avevo visto e sentito del chiacchiericcio provenire proprio da lì.
Ella bussò alla porta e sembrava essere più trepidante di me. Quando qualcuno, possibilmente il Re, le diede il consenso di entrare, lei non esitò a farlo.

«C'è qui Eva che ha accettato di vederlo.»

La porta venne spalancata del tutto e il primo viso che vidi fu quello del Re, affiancato da quello di un giovane uomo che non appena mi vide si irrigidì.

Rimasi impalata davanti all'uscio e fissai il ragazzo con fare sospetto. Lo avevo già visto, aveva un viso troppo familiare, ma non ricordavo dove, fin quando non mi balenò per la mente: l'attimo successivo all'attacco ricevuto, avevo avuto una sorte di visione -o sogno- a cui non sapevo dare spiegazioni e lui era lì presente.

Gli stessi occhi scuri come il carbone, i stessi capelli neri e scompigliati da mani passateci ripetutamente, schiena dritta e postura piena di orgoglio... Era lui, lo sapevo al cento per cento.

«Damon», sussurrai senza nemmeno rendermene conto. Le parole uscirono di getto, come se quel nome già fosse stato pronunciato più e più volte.

Lui stesso ne rimase sorpreso, infatti sgranò gli occhi e lanciò un'occhiata ai Reali.
«Lo conosci?», chiese proprio il Re.

«Non saprei, ha un viso molto familiare», sussurrai non sapendo come spiegare il modo in cui lo avevo visto; era assurdo.

«Va bene, vi lasciamo mezz'ora da passare da soli per confrontarvi. Eva se reputi mezz'ora troppo tempo, puoi benissimo venire da noi, siamo nel salone al piano inferiore», spiegò la Regina, dopodiché uscirono dalla stanza e mi lasciarono da sola con un perfetto sconosciuto che tanto sconosciuto non era.

Lo fissai senza proferire parole, mentre lui fissava me da capo a piedi. Un dettaglio di vitale importanza mi balzò agli occhi in un secondo momento: il suo modo di vestire. Sicuramente ciò che indossava non seguiva la moda del ventunesimo secolo, anzi, sembrava provenire da tempi ormai passati.

Congiunsi le mani in grembo ed attesi che parlasse, ma siccome sembrava essere più in difficoltà di me, fui io a prendere parola. «Come avete fatto a trovarmi?»

Lo vidi tentennare leggermente e grattarsi la nuca con la mano destra. «Se ti raccontassi come sono giunto a te, non mi crederesti.»

«Ormai temo di star per impazzire dalle troppe situazioni spiacevoli in cui sono capitata, dunque non starò qui a criticare la vostra pazzia; siete libero di dirmi la verità.»

«Ah ti prego, non darmi del voi, è vero che tanto tempo fa lo pretendevo, ma penso che abbiamo superato quella fase», sospirò, «vengo da molto lontano e ti ho trovata grazie a mia sorella.»

«Perché mi stavi cercando?», assecondai la sua volontà, ma mi appuntai mentalmente che un tempo anche lui pretendeva il dovuto rispetto nel dialogo.

«Tutta la tua famiglia ti cercava, abbiamo passato mesi interi nella ricerca e sono venuto fin qui per riportarti a casa; purtroppo mi è stato detto dai Reali che hai un vuoto di memoria e ciò gioca a nostro sfavore. Sono certo, conoscendoti, che non ti fiderai ciecamente di me e delle mie parole, ma farò in modo di guadagnarmi la tua fiducia; dunque puoi rilassare le spalle e sciogliere la tua posizione di attacco.»

Solo allora mi accorsi che, involontariamente, avevo irrigidito le spalle e mi ero posizionata ad una certa distanza da lui. Mi schiarii la voce e decisi di andare verso il letto e sedermici su, accavallando le gambe; non potevo fare di meglio, dato che non avevo altro a mia disposizione, come un comodo divano e una teiera con del tè.
«Potete... Puoi accomodarti sulla prima seduta che trovi, se sei d'accordo vorrei farti delle domande, cosicché possa provare a rimembrare qualcosa della mia vita.»

Lui, sorridente, annuì e si sedette accanto a me. I suoi movimenti erano talmente eleganti e sicuri che mi ero soffermata su essi, anziché seguire la sua traiettoria e capire dov'era diretto.
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi, sono qui proprio per questo e non tornerò a casa senza di te.»

Deglutii e mi spostai leggermente, c'era qualcosa in lui -così com'era successo con la Regina- che mi infondeva sicurezza, ma allo stesso tempo non sapevo cosa fare o come comportarmi.
«Sei un mio parente? Per essere venuto qui, da solo, a nome della mia famiglia, devi essere qualcuno molto importante.»

Continuava a sorridermi, come se non fosse realmente lì di fronte a me. Dal suo volto si intravedevano solo pensieri positivi, sembrava felicissimo di essere lì, con me accanto. «Mmm... Diciamo che ho avuto un ruolo importante nella tua vita.»

«La Regina ti avrà sicuramente parlato del mio problema-»

«Quale problema? Quello della perdita di memoria, ti ho già detto che non-»

«Da dove vieni Damon?», chiesi, interrompendolo. Io mi reputavo figlia del diciassettesimo secolo, se lui mi conosceva e aveva vissuto con me, avrei capito se stesse mentendo o meno, mediante questo importante dettaglio.

«Da molto lontano, te l'ho già detto», e il sorriso divenne forzato.

«Vorrei sapere il luogo preciso, cosicché possa ricordarmi dove si trova casa mia.»

«Oh... Mmm...», si bloccò improvvisamente. «Tu vieni dalle Campagne dell'Est.

«Le Campagne dell'Est?», aggrottai la fronte. «Che io sappia non esistono più, si sono unite a quelle dell'Ovest nel 1701», ricordai ciò che avevo letto in uno dei pochi libri che avevo preso dalla biblioteca.

«Davvero?», chiese sorpreso, sgranando gli occhi.

«Sì», annuii, «adesso va sotto il nome di EastSide. Anche le passati campagne Del Nord e Del Sud si sono unite e vanno sotto il nome di NorthSide.»

«Hai imparato parecchio da quando sei qui, potrebbe esserci utile», sussurrò tra sé e sé.

«Non cambiare argomento Damon, da dove provieni?»

«Ti ho già risposto alla domanda e non ho mentito, tu provieni dalle Campagne dell'Est, io del Nord. Ci conosciamo fin da bambini e siamo cresciuti insieme.»

«I tuoi vestiti, sono diversi da quelli che ho visto in questa epoca. Quando mi sono svegliata da un sonno che sembrava essere eterno mi è stato detto che quando mi hanno condotta in ospedale indossavo abiti del 1600, addirittura hanno supposto che facessi parte di una recita o che lavorassi in un teatro; ti ripropongo la stessa assurdità: prima di arrivare qui hai svolto una recita?»

«Una recita? Sono gli abiti che indosso quotidianamente ed hai ragione quando supponi che non siano di questo secolo, ho dimenticato di eliminare questo piccolo dettaglio, ma prima o poi lo avresti capito: so per certo che non sei pazza, perché anch'io provengo dal 1643.»

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