Capitolo Quattordici
Il tenente dei carabinieri Giovanni Biscemi arrivò all'indirizzo della villetta un'ora dopo i suoi sottoposti. Notò subito che la situazione era già in mano ai RIS. Il loro furgone parcheggiato poco distante rendeva evidente che erano all'opera per i primi accertamenti sul posto, ma quando lui parcheggiò poco più in là non vide solo il furgone dei RIS fuori dal cancello della villetta, ma anche un piccolo capannello di giornalisti e fotografi che ciondolavano in attesa che arrivasse qualcuno da intervistare. Sbuffò sconcertato. "Ma chi li ha avvisati, quelli?"
Appena lo videro arrivare, questi ultimi si misero subito all'erta, impugnando i loro microfoni pronti ad accerchiarlo per farsi dire qualche novità succulenta sul nuovo caso. Appena si avvicinò, infatti, gli si affollarono attorno rumorosi, iniziando a fargli domande scomode, alle quali non poteva rispondere. Fortunatamente era abituato ad affrontarli e riuscì a liberarsi di loro con un semplice: "È presto per rilasciare dichiarazioni," e si intrufolò oltre il cancello aperto, dove un piantone in uniforme impedì loro l'accesso e fortunatamente non si azzardarono a seguirlo.
Subito la porta della villetta si aprì e apparve uno dei due carabinieri che erano arrivati per primi, lo salutò col saluto militare e si presentò:
"Carabiniere Usai, tenente."
Il tenente annuì compiaciuto e questi lo scortò all'interno della casa fino al cospetto di due donne sedute nel salotto, che si tenevano per mano. Una delle due, quella apparentemente più giovane, era in evidente stato di shock, con il viso rigato di lacrime e lo sguardo fisso e privo d'espressione. L'altra, una bionda che dimostrava alcuni anni in più, le stava seduta vicina e le teneva stretta la mano. Il tenente si presentò accomodandosi sulla poltrona vicina e si fece dire dalla padrona di casa la propria versione dei fatti, dopo di ché si alzò. "E la ragazzina dove si trova, adesso?" Chiese rivolto al Carabiniere Usai.
"Nella sua stanza al piano di sopra," risposte quest'ultimo, "in compagnia del Carabiniere Felici, Signore."
Per quale motivo un giovane Carabiniere si dovrebbe trattenere con una ragazzina nella stanza di questa? Si domandò, ma poi si ricordò del Carabiniere in questione e sospirò rassegnato tra sé e sé. Quel ragazzo era stato mandato in Sicilia direttamente da Milano per esubero, ma si chiese se la vera motivazione non fosse invece un'altra. Con i suoi diciannove anni il Carabiniere Felici aveva dimostrato di possedere una spiccata personalità e una forte predisposizione a seguire più le sue idee che gli ordini che gli venivano impartiti, e questo modo di fare irritava profondamente il tenente.
"Vorrei parlare anch'io con la minore, se è possibile."
A queste parole la signora Concetta balzò in piedi. "La accompagno io con molto piacere, capitano." Squittì con troppo zelo.
Il tenente la guardò allibito. "Non si preoccupi, signora, sono certo che il Carabiniere Usai può benissimo farmi strada da solo." La fermò, reprimendo la voglia di correggere il titolo che gli aveva affibbiato. "Lei resti qui a far compagnia alla signora Caruso, ne ha un evidente bisogno."
La donna rimase delusa dal rifiuto dell'uomo ma non seppe ribattere e tornò a sedere.
I due carabinieri salirono al piano di sopra e, prima di recarsi dalla ragazzina, il comandante si soffermò a osservare i RIS al lavoro e a guardare con un senso di repulsione il corpo coperto da un lenzuolo bianco. Osservò gli schizzi di sangue e il fucile che gli aveva sparato, già repertato dai colleghi, finché non venne affiancato dal luogotenente della divisione dei RIS. "Ferita d'arma da fuoco fatta da una distanza molto ravvicinata, come si può evincere dagli schizzi di sangue sul muro. La ferita è stata inferta al centro della fronte e la pallottola è uscita dalla parte superiore occipitale, non dando alla vittima nessuna possibilità di scampo, ma evitando anche che soffrisse." Lo informò; tutte cose a cui era già arrivato da solo con una semplice occhiata. "Il corpo è stato ritrovato sul letto, circondato da vari dépliant che informavano sull'inizio della stagione della caccia e sui luoghi aperti a tale sport, si presume che li stesse esaminando quando la figlia è entrata nella stanza."
"Quindi è logico che sia stata la figlia a sparare."
"Sull'arma del delitto sono state rinvenute due tipi di impronte, ma ancora non sono state identificate. Si presume che siano quelle della ragazzina e quelle della vittima, nonché proprietario dell'arma."
Il tenente Biscemi annuì. "Bene, non mi resta che parlare con la ragazzina."
Si fece scortare dal Carabiniere Usai fino alla sua stanza, dall'altra parte del corridoio, dove bussò e subito aprì, senza aspettarsi nessun invito. Si ritrovò di fronte il Carabiniere Felici seduto sul letto accanto a una graziosa ragazzina che si abbracciava le gambe e si dondolava continuamente con lo sguardo perso, in evidente stato di shock.
"Carabiniere..." cantilenò per attirare l'attenzione.
Riccardo sobbalzò e, accorgendosi della presenza del suo superiore, balzò in piedi impacciato, salutandolo in modo ossequioso.
Questi lo guardò per un attimo con austerità e, ignorandolo, andò a sedersi al suo posto accanto alla ragazzina, che se ne stava immobile, continuando a dondolarsi e a guardare davanti a sé, come se non si fosse accorta della sua presenza. Iniziò quindi a farle delle domande, alle quali, ovviamente, lei non rispose. Tentò di farla riprendere, ma senza alcun risultato.
Il Carabiniere Felici intervenì: "Ha detto di chiamarsi Selvaggia, tenente."
Il tenente lo guardò un po' perplesso e poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla ragazzina, ma questa sembrava letteralmente incapace di sentirlo o di accorgersi della sua presenza. A quel punto tornò a guardare il ragazzo. "Come hai fatto a farti dire il suo nome?"
Riccardo rimase un attimo sconvolto da questa domanda. "Non saprei... ho solo provato a consolarla e lei mi ha guardato... continuava a dire che non voleva sparagli e basta, ma oltre a questo non è riuscita a rispondere alle mie domande."
A quel punto il comandante si alzò: "Allora riprovaci tu, è evidente che possiedi qualcosa che la aiuta a fidarsi di te. Vedi di farla riprendere. Ma fa' in fretta, non credo che possa rimanere in questa casa ancora per molto."
Riccardo annuì e mentre il suo superiore usciva dalla stanza tornò a sedersi sul letto accanto a lei, cercando nuovamente di farla reagire. "Selvaggia... te la senti di alzarti da questo letto?"
Al suono del suo nome si voltò verso di lui a guardarlo con gli stessi enormi occhi verdi di prima. "Io non volevo... non volevo sparargli..."
Mosso a compassione per lei, Riccardo tentò di consolarla mettendole una mano sulla guancia. La osservò in viso guardandola negli occhi e rimanendo come impigliato in quel mare verde e bellissimo.
"No, certo che no, tu non volevi farlo, lo so. È per questo che adesso è bene che tu ti alzi da questo letto e vieni via con me. Te la senti?"
Finalmente Selvaggia sembrò riprendersi un pochino. Sbatté gli occhi e si guardò attorno, come se fosse la prima volta che vedeva la stanza in cui si trovava, come se prima di allora non ci fosse mai stata. Alla fine annuì. "Sì... va bene."
Riccardo la aiutò ad alzarsi in piedi e docilmente lo seguì fin fuori dalla porta. Ma una volta nel corridoio non poté evitare di guardare nella direzione della camera da letto padronale, dove i RIS lavoravano con fermento entrando e uscendo in continuazione da quella porta. A quel punto il ragazzo le avvolse un braccio attorno alle spalle e la costrinse a distrarsi, sospingendola con gentilezza verso le scale.
Un sentimento di forte fiducia nei suoi riguardi si espanse nel petto della ragazzina, quegli occhi azzurri e limpidi erano riusciti a comunicarle fiducia e sicurezza. Pur non conoscendolo, con lui si sentiva istintivamente al sicuro. E Dio solo sapeva quanto ne avesse bisogno!
A volte l'istinto è l'unica cosa che ci rimane da seguire quando tutto il resto ci crolla addosso.
Lo seguì senza obiezioni, come se ne andasse della sua stessa vita, fino al salone dove l'aspettavano gli occhi adirati e rabbiosi della donna che l'aveva adottata. Appena incontrò quelle iridi castane si bloccò di colpo, costringendo Riccardo a chiedersi perché si fosse fermata così improvvisamente. Selvaggia era caduta di nuovo nel più completo sconforto, e gli occhi di quella donna non potevano che farla sentire profondamente in colpa.
Il Carabiniere seguì lo sguardo della ragazza e comprese il motivo di quel comportamento. La donna che la fissava dal divano si alzò lentamente in piedi, senza distogliere lo sguardo severo, come se volesse ucciderla, e avanzò lentamente verso di lei. Le lacrime si affacciarono di nuovo negli occhi della ragazzina ma non poté fare nulla per evitarlo.
"Tu!" Gracchiò con rabbia, la voce roca. "Tu sei la rovina di questa casa!"
Selvaggia rimase impietrita, senza reagire. Sbatté le palpebre e alcune lacrime tornarono a solcarle il volto.
"Tutto è iniziato da quando sei entrata da quella porta..." Margherita si avvicinò ancora. "Ti abbiamo accolta con amore, togliendoti da quel posto infame, e guarda come ci hai ripagato!"
"No..." Selvaggia iniziò a singhiozzare e a scuotere la testa per negare quelle parole. "Io non volevo..."
"Taci, stupida!" Urlò, avvicinandosi ancora. "Non sei nemmeno degna di respirare l'aria di questa casa, sei solo un'irriconoscente..." caricò il braccio per darle un forte schiaffo, ma fortunatamente il Carabiniere Felici riuscì a fermarla in tempo, bloccandole un polso.
"Mi scusi, ma la pregherei di tenere le mani a posto, se non le dispiace."
Margherita lo guardò sconvolta, di colpo si coprì il volto con entrambe le mani e tornò a singhiozzare. Si sedette sul divano per farsi consolare dall'amica. Quest'ultima guardò con astio il Carabiniere che l'aveva fermata e abbracciò Margherita per consolarla, lanciando sguardi assassini a Selvaggia.
***
Prima ancora che il cadavere di Sebastiano Caruso venisse portato via, Riccardo Felici ricevette l'ordine di accompagnare la ragazzina in un luogo sicuro lontano dall'odio di quella madre adottiva che non manifestava un minimo di comprensione verso una ragazzina di appena tredici anni. Se fosse rimasta in quella casa ci sarebbe stato il rischio che alla signora venisse una sincope.
Appena fu scortata fuori dal cancello della villa, Selvaggia venne letteralmente assalita da un gruppo di giornalisti ancora maggiore, che presero a farle domande e a fotografarla senza sosta, lasciandola profondamente frastornata e confusa da tutto quel putiferio. Subito il giovane Carabiniere le fece scudo col proprio corpo e la scortò fino alla volante con l'aiuto del collega Usai, non senza qualche difficoltà. La aiutò a salire e la portarono direttamente in caserma.
Per tutto il tragitto in macchina non fece altro che ripensare a quello che le era accaduto... e a suo padre. Non riusciva a spiegarsi cosa le fosse preso, a come fosse riuscita a farlo. L'unica cosa che sapeva era che lei non voleva. Ogni altra parola, ogni altro pensiero che esulava da quella faccenda non riusciva a concepirlo. Davanti ai suoi occhi le passavano continuamente le immagini di quel padre tanto adorato. Continuava a vedere il suo sorriso... quello stesso sorriso che nella sua mente iniziò a essere oscurato dal sangue. L'eco delle sue parole dolci iniziarono a essere coperte dal suono dello sparo del fucile... e tutto l'amore che era riuscito a trasmetterle, dal dolore.
***
Ragazzi, l'incubo per Selvaggia è appena iniziato, da qui cambierà la sua vita in modo completo. Chissà se riuscirà ad superare anche questa prova...
A questo proposito vorrei invitarvi a farmi sapere le vostre opinioni su questa storia, sia se vi piace o se non vi piace e, soprattutto, perché non vi piace. Per me, come per ogni autore di questa piattaforma, è una cosa molto importante, ci aiuta a capire se siamo sulla strada giusta, se stiamo facendo un buon lavoro o no.
Ah, se però vi dovesse piacere, non dimenticate di lasciarmi una stellina... 😉
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