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Capitolo Quarantuno

Michele osservò la figlia correre dietro a quel ragazzo, ma restò immobile, cercando di capire cosa fosse appena successo. Cercò di raccapezzarsi e capire perché mai quel ragazzo avesse avuto quella reazione strana, finché, scavando nella sua memoria, non lo riconobbe come il figlio di quel cliente che aveva difeso alcuni anni prima, forse il cliente più importante che avesse mai avuto nella sua carriera...

Come aveva potuto non riconoscerlo subito?

Certo, era cambiato molto da l'ultima volta che lo aveva visto; a quei tempi era poco più di un ragazzino, adesso era un uomo, ma quello sguardo fiero e deciso era sempre lo stesso.

Com'era piccolo il mondo! Tra tutti i ragazzi che sua figlia avrebbe potuto conoscere doveva innamorarsi proprio del figlio del Siriani.

La voce di Selvaggia lo riportò bruscamente alla realtà.

"Cosa è successo?"

La trovò ritta sulla soglia del salotto, a guardarlo con aria confusa e triste. Gli si avvicinò ripetendo la domanda:

"Cosa è successo? Perché Giancarlo è scappato?"

La fissò per un lungo attimo, combattuto se dirle la verità oppure no. Quel ragazzo aveva giurato di odiarlo con tutto se stesso, cosa sarebbe successo se fosse riuscito a mettergli contro anche sua figlia?

"Mi dispiace, Selvaggia, ma non voglio che lo frequenti più." Non riuscì a guardarla in faccia e si voltò per allontanarsi da lei.

Gli occhi della ragazza si riempirono di confusione. "Cosa? Perché?"

"Perché non è il ragazzo adatto a te." Non osò alzare lo sguardo su di lei, ma sentì la sua voce incrinarsi.

"Ma tu lo conosci... Come fai a conoscerlo? Perché se n'è andato in quel modo?"

"Non ha importanza, sappi solo che non è adatto a te." Ripeté, si voltò di nuovo e si rinchiuse nel suo studio.

***

Selvaggia restò con la testa colma di nuovi interrogativi e nessuna risposta. Suo padre sparì oltre la porta del soggiorno e le sembrò di avere il cuore lacerato. Non riusciva a capire, non poteva comprendere come fosse possibile che il padre che amava così tanto e il ragazzo dei suoi sogni si conoscessero e che addirittura non corresse buon sangue tra loro. E pensare che aveva fantasticato così tanto su quell'incontro! Aveva immaginato Michele fare da padre a Giancarlo, dargli pacche sulle spalle e scherzare insieme come una famiglia. Aveva sognato di poter passare con entrambi un meraviglioso week end, convinta che sarebbero andati d'amore e d'accordo. Come era possibile che tutti i suoi sogni fossero stati infranti così bruscamente?

Ma adesso Giancarlo se n'era andato, senza nemmeno dirle perché... senza nemmeno spiegarle quale fosse il problema. E come se non bastasse, suo padre le aveva appena proibito di continuare a frequentarlo, così, senza darle spiegazioni. Era incredibile! Si sentiva tagliata fuori, come se la sua stessa vita non fosse più affar suo.

Spinta da una forza sconosciuta si portò fino alla porta del suo studio, decisa a pretendere spiegazioni da lui. Titubò un po' ma alla fine si fece coraggio e bussò. La voce bassa e gutturale del padre arrivò alle sue orecchie come un malaugurio.

"Avanti..."

Selvaggia entrò, guardandosi attorno con timore, sarà stata la terza volta che entrava in quella stanza. In quasi sei anni suo padre non le aveva mai permesso di entrare lì dentro, anche se a volte era riuscita a farlo quando lui non c'era, spinta dalla curiosità. Il fatto che in quel momento l'avesse appena invitata, però, le sembrò di cattivo presagio.

Notò subito la libreria alle sue spalle, poco più piccola rispetto a quella nel soggiorno, e si accorse che la foto che l'aveva sempre incuriosita era stata spostata, quell'immagine raffigurante quella bellissima donna dai capelli rossi non c'era più. L'enorme scrivania in mogano campeggiava al centro della stanza, di fronte a lei, dove suo padre era seduto con i gomiti appoggiati e l'aria assente, mantenendosi la testa con le nocche. Si avvicinò di qualche passo, cercando di non farsi intimidire.

"Vorrei... avere delle spiegazioni." Sussurrò timorosa.

Michele alzò la testa. "Spiegazioni?"

"Sul perché non mi è più possibile frequentare quel ragazzo."

Sospirò spazientito. "Selvaggia... non voglio ripetermi..."

"Ripetere cosa?!" Sbottò alzando la voce. "In pratica non mi hai detto niente, me lo hai solo proibito!"

"Non ho intenzione di discutere." Rispose cercando di moderare il tono di voce.

Ma Selvaggia in realtà non riusciva a contenersi, quell'ordine era qualcosa di inconcepibile e doloroso per lei. "E quello che voglio io non ha importanza?!" Urlò furibonda.

***

Giancarlo si era allontanato di un bel pezzo lungo la strada che avevano fatto in macchina. Poco più avanti si ricordava di aver visto una trattoria e sperava di chiamare un taxi e farsi venire a prendere lì.

Camminava lungo l'asfalto e intanto continuava a ripensare a quello che gli era appena successo, e più ci pensava e meno riusciva a crederci. Era pazzesco! Aveva giurato a sé stesso che prima o poi si sarebbe vendicato di quell'avvocato, ma poi era cresciuto, si erano trasferiti e aveva dimenticato che esistesse, credendo che non lo avrebbe più rivisto e preferendo ricordarsi di suo padre com'era prima di tutta quella faccenda. Sapere che quell'avvocato era il padre della sua ragazza lo aveva gettato in un vortice di incredulità e confusione.

Arrivò alla trattoria ed entrò in un lungo ingresso con un bancone sulla sinistra, dove un uomo con un grembiule sporco era intento a servire dei caffè a due clienti.

"Potrei avere il numero del taxi?"

L'uomo annuì e gli indicò l'elenco telefonico.

Perfetto, come gli antichi....

Quindici minuti dopo stava montando in macchina per farsi riportare alla stazione di Palermo. Si stava chiedendo quanto gli sarebbe costato quel viaggio. Ma per tutto il tempo che aveva aspettato il taxi e lungo il tragitto fino alla stazione non fece altro che pensare a Selvaggia.

Sembrava che glielo avesse mantenuto segreto a posta, non riusciva a credere che lei non conoscesse la storia che lo legava all'avvocato Giordano; eppure tutti i giornali ne parlarono all'infinito in quel periodo.

Gli tornò in mente quella luce meravigliosa dei suoi occhi che si era spenta in un secondo e la sua espressione mortificata quando l'aveva lasciata nel suo giardino, andandosene in preda alla collera. E se davvero non ne sapesse niente? Si stropicciò la faccia, pensando di averla nuovamente fatta soffrire. Avrebbe voluto tornare indietro e abbracciarla, stringerla e rassicurarla che lei non aveva colpe, ma non riusciva a immaginarsi di restare un minuto di più nella casa di quell'uomo!

Sperò che lunedì, quando l'avrebbe rivista, lo avrebbe perdonato per il suo comportamento... sempre che avesse avuto voglia di ascoltarlo. Ma poi cosa le avrebbe detto, la verità? E gli avrebbe creduto? E se invece fosse già stata messa in guardia da suo padre con qualche frottola e non volesse più vederlo? Al solo pensiero si sentì male.

In preda all'ansia afferrò il telefono e compose il suo numero, ascoltando poi il suono del cellulare che squillava a vuoto...

***

Selvaggia uscì come una furia dallo studio di suo padre, il nervoso non l'aveva abbandonata un solo istante. Michele aveva ribadito subito il suo divieto categorico di continuare a vedere Giancarlo, dicendole che conosceva bene il suo passato e sicuramente l'avrebbe portata su una brutta strada, che non era adatto a lei e che con lui avrebbe fatto una brutta fine. L'aveva bombardata di discorsi senza senso, alzando la voce e intimandole di ubbidirgli per non farlo arrabbiare. Avevano litigato, entrambi avevano alzato la voce ma non aveva ricevuto risposte alle sue domande, come se non avesse dovuto sapere certe cose.

A quell'ordine insensato non avrebbe mai potuto obbedire. Per la prima volta in vita sua da che era la figlia di Michele Giordano provò una sorta di odio verso di lui.

Si fiondò nella sua stanza con il viso paonazzo dallo sforzo per non scoppiare a piangere e per la corsa fatta. Si appoggiò con le spalle alla porta chiusa, aveva il fiatone, e la sensazione di essere presa in giro da suo padre non le piaceva.

Perché non voleva dirle chiaro e tondo come faceva a conoscere Giancarlo? E perché secondo lui non andava bene per lei?

No, si era limitato a ordinarle che non doveva più vederlo, punto e basta. Ma come poteva pretendere che un ordine simile potesse andarle bene!

Si buttò sul letto nascondendo il viso nel cuscino, dando sfogo a quelle lacrime che era riuscita a trattenere fino a quel momento. Alcuni minuti dopo, quando si fu calmata, si mise a sedere ma era ancora incapace di capire la sua situazione. Le sembrava di vivere un incubo. Continuava a pensare alle parole di suo padre, come in un vortice vizioso in cui riecheggiavano i suoi discorsi senza senso. Rimase a sedere in quella posizione per tutta la serata, non vole uscire nemmeno per la cena.

***

Michele la aspettò invano a tavola, senza toccare cibo, ma Selvaggia non si fece vedere. Il suo piatto era intatto e il suo posto vuoto. Si alzò da tavola e andò a bussare alla sua porta.

"Selvaggia, sono io. Posso entrare?"

Dall'altra parte non arrivò nessuna risposta. Riprovò una seconda volta, ma sembrava che Selvaggia non fosse nemmeno in camera. Provò allora ad aprire la porta ma era chiusa dall'interno.

"Tesoro, per favore, apri, voglio parlarti." Supplicò, ma ancora Selvaggia non diede segni di vita.

Capì che per il momento non avrebbe ottenuto niente, le diede la buonanotte e se ne andò a letto anche lui. Sicuramente domani sua figlia sarebbe stata più incline ad ascoltarlo e meno arrabbiata con lui. O almeno fu quello che si augurò, perché da quando l'aveva adottata era la prima volta che litigavano e la cosa non gli piaceva affatto.

***

L'orologio a pendolo del corridoio aveva suonato da poco la mezzanotte quando Selvaggia si arrischiò a uscire dalla sua stanza. Percorse la casa in silenzio, senza accendere nessun lume, e uscì dalla porta che dava sulla piscina fino alla dépendance dove vivevano Vincenzo e Carmen. Ovviamente la porta era chiusa dall'interno, quindi fece il giro e arrivò sotto la finestra della stanza di Carmen. Alzò una mano per toccare il vetro e cercò di attirare la sua attenzione bussando con le unghie contro di esso. Aspettò un paio di secondi e ci riprovò, ma non successe niente. Allora prese un piccolo sasso e lo tirò con non troppa forza contro la stessa finestra, ancora uno e un altro finché non la vide apparire con il viso stravolto dal sonno.

"Che stai facendo, sei impazzita?" Biascicò stropiccia dosi un occhio.

"Ho bisogno del tuo aiuto!"

"Non puoi aspettare domattina?" Nascose uno sbadiglio dietro una mano.

"No... ho bisogno di tornare a Catania, adesso."

Carmen sbatté le palpebre e la guardò confusa, ma i fumi del sonno si stavano finalmente allontanando.

***

Era strano vedere la stazione di Palermo cosi poco affollata rispetto al solito, ma in fondo erano le due di notte e non poteva essere altrimenti.

Erano partite mezz'ora prima e Selvaggia era riuscita a raccontare a Carmen l'accaduto mentre quest'ultima si vestiva. All'inizio aveva cercato di farla ragionare, di farle aspettare il giorno per ripensarci con più lucidità, e anche perché si sarebbe sentita in difetto nei confronti del suo datore di lavoro se non avesse almeno provato a farla ragionare, ma alla fine era d'accordo con lei. Selvaggia non era più una bambina e ordinarle una cosa simile senza nemmeno darle spiegazioni era inconcepibile. Forse si sarebbe comportata allo stesso modo.

Soltanto quando aveva raccolto tutte le sue cose Selvaggia si accorse delle tre chiamate perse da parte di Giancarlo. L'aveva chiamata mentre era era in camera da sola e non aveva sentito il cellulare, rimasto chiuso dentro la sua borsa abbandonata in salotto. Ma era meglio non richiamarlo e aveva spento il cellulare, con la paura che suo padre potesse accorgersi della sua assenza e iniziare a chiamarla per farla tornare indietro. Lo avrebbe chiamato una volta tornata a Catania, aveva intenzione di recarsi immediatamente a casa sua per parlargli e vedere se almeno lui le avrebbe raccontato la verità sulla relazione con suo padre.

Carmen le fece le ultime raccomandazioni e salì sul primo treno per Catania. Questa volta non riuscì ad addormentarsi come faceva sempre. Prese posto in uno scomparto vicino ai controllori, per sentirsi più sicura, e dopo tre ore scese finalmente alla stazione di arrivo. Il cielo sulla città stava cominciando ad albeggiare, prese il taxi e si fece portare sotto casa di Giancarlo, una volta lì, prima di scendere dall'auto decise di chiamarlo.

Il cellulare fece a malapena uno squillo:

"Selvaggia, oh mio Dio!" Sospirò con sollievo. "Ti ho chiamato un sacco di volte, credevo che non volessi più parlarmi... non riuscivo a dormire, io—"

"Giancarlo, calmati!" Lo interruppe. "Scusami se non ti ho risposto, il cellulare era rimasto in borsa e non lo sentivo... aprimi il portone, per favore."

Giancarlo rimase per un attimo interdetto. "Sei sotto casa mia?"

"Sì."

"Ti vengo a prendere!" Chiuse la chiamata.

Selvaggia pagò il tassista e scese dall'auto, prendendo con sé la sua piccola valigia. Il modo in cui le aveva parlato l'aveva rassicurata che non l'avesse lasciata di nuovo, ma adesso aveva bisogno di spiegazioni. Si avvicinò al portone e lo vide aprirsi. Giancarlo apparve con un paio di pantaloni leggeri e una maglietta stropicciata, i capelli spettinati e scalzo. Si fece subito da parte per farla entrare.

*

"Sei pazza a venire qui a quest'ora!" La sgridò a bassa voce.

"Sì, io... avevo bisogno di parlarti."

Non le diede il tempo di dire altro che subito la strinse contro il suo petto, in un abbraccio che trasmise finalmente a entrambi quella calma e quel conforto di cui avevano bisogno.

"Grazie di essere qui." Sussurrò.

Selvaggia si lasciò stringere e Giancarlo avvertì i suoi nervi rilassarsi dopo ore che li aveva tenuti in tensione. Le prese la valigia dalle mani e la scortò in casa, intimandole di fare silenzio dato che sua madre stava ancora dormendo. Una volta nella sua stanza Selvaggia guardò il letto sfatto e il disordine incombente... più del solito.

"Scusa... quando sono tornato ero troppo nervoso e non sono riuscito a fare altro che a mettere ancora più in disordine."

Giancarlo si avvicinò al letto per tirare su le coperte, come per dare una parvenza di ordine a quel caos. Ma a Selvaggia lo ignorò. Gli si avvicinò e lo fermò.

"Non ti preoccupare, non sono qui per questo."

Lui si tirò su e sospirò. "Sì... lo so, sono solo nervoso."

"Perché?"

Bella domanda, pensò, di cosa mai avrebbero dovuto parlare se non del suo passato e del ruolo che aveva avuto Michele Giordano nella sua vita? Ormai era ovvio che lei non ne sapesse niente... La invitò a sedersi con un gesto della mano.

"Perché se sei qui vuol dire solo una cosa. Vuoi la verità, vero?"

Selvaggia annuì. Sembrava impaziente di sapere cosa stesse succedendo nella sua vita, ma non sapeva che stava per ricevere risposte anche a domande che ancora non si era posta...

Spazio autrice:

Piccolo regalo per le mie poche ma buone lettrici che seguono questa storia mentre la sto scrivendo, perché sono una brava bambina.

Vi è piaciuto questo capitolo? Beh, sì, in effetti spiega poco, ma si capisce che Michele e Giancarlo condivido un evento passato che ha segnato entrambi, soprattutto Giancarlo che a quei tempi era ancora un ragazzino. Mi dispiace di aver dovuto interrompere il capitolo prima di ogni spiegazione, ma inserirle tutte qui sarebbe stato troppo confusionario.

Spero comunque che sia stato di vostro gradimento, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate con un commento. Scusate se ve lo chiedo esplicitamente ma ho bisogno di conoscere i vostri pensieri, devo capire se sto andando nella direzione giusta, se questa storia vi sta trasmettendo emozioni positive o no.

In ogni caso, se me lo merito, non dimenticate di lasciarmi una stellina...

Un grande bacio a tutte!

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