Capitolo Quarantasei
Svegliarsi insieme a Giancarlo, abbracciata a lui come un koala, era un'esperienza nuova ed estremamente emozionante.
Qualcosa l'aveva svegliata prima della sveglia, così ebbe un'ennesima occasione per osservare il volto di Giancarlo rilassato nel sonno. Aveva dei lineamenti virili e decisi e, a suo parere, decisamente perfetti, con quel mento spigoloso ma armonioso e le labbra sottili ed espressive nei suoi sorrisi. Si sentiva fortunata a stare con lui.
La sveglia iniziò a suonare e, senza neanche aprire un occhio, Giancarlo allungò un braccio per spegnerla con delle sberle. La sveglia si chetò e Giancarlo tornò inconsciamente ad abbracciarla. Prese un grosso respiro, si stiracchiò sotto le coperte e sbadigliò senza ritegno, tutto questo sotto gli occhi divertiti di lei, che lo lasciò fare per capire fin dove si sarebbe spinto. Finalmente aprì un occhio osservandola con lo sguardo ancora addormentato, lo richiuse e, fingendo di stirarsi nuovamente, allungò le braccia dietro di lei per poi stringerla nuovamente a sé.
"Buongiorno..."
Appoggiò ogni centimetro del suo corpo a quello di lei, che sussultò. Non si aspettava di sentire tutta quella esuberanza di prima mattina, e arrossì sentendo la sua erezione premerle sulla pancia. Sospirò imbarazzata e Giancarlo sorrise divertito.
Due colpi veloci di nocche sulla porta li distrassero dai loro giochini e quest'ultima si spalancò. Grazia apparve ancora in tenuta da notte ma totalmente sveglia.
"Che fate, la sveglia è già suonata, mi sembra. Forza, alzatevi! La colazione sarà pronta tra cinque minuti."
Si diresse in cucina, lasciando la porta spalancata.
Giancarlo sospirò di frustrazione ma scostò le coperte costringendosi ad alzarsi. Selvaggia lo imitò, anche se controvoglia: lasciare quel talamo e quelle lenzuola calde e confortevoli le provocò qualche sbuffo di contrarietà.
***
L'edificio principale della loro università li sovrastava, imponente. Stavano per entrare insieme, mano nella mano, ma Selvaggia si bloccò in mezzo alla strada, costringendo Giancarlo a fare altrettanto. La guardò confuso, ma lo sguardo di lei era completamente attratto dalla facciata dell'edificio, che fissava a bocca aperta, sotto shock.
"Ehi, tutto bene?"
Lei scosse le palpebre come risvegliandosi da un brutto sogno. "Sì... ma, vai pure avanti, io aspetto un po' qui."
"Sei sicura?"
"Sì. Tranquillo."
"Ok..."
Giancarlo le sorrise, la salutò con un bacio sulle labbra e si introdusse nell'edificio. Selvaggia rimase a fissare la facciata dell'Università cercando di capire se volesse ancora continuare a studiare oppure no. Aveva paura di aver sprecato del tempo inutilmente, ma non era sicura che smettere sarebbe stata la scelta giusta. Era ancora convinta che difendere le persone, specie se accusate ingiustamente, era una nobile causa e che per farla al meglio bisognava studiare molto per essere sempre dalla parte della ragione, ma se per farlo avrebbe significato dover voltare le spalle ad un innocente per non soccombere e poter continuare ad esercitare... era troppo!
Suo padre non le aveva detto perché ai tempi aveva agito in quel modo, ma non era difficile capire che aveva dovuto scendere a patti con qualcuno di potente per ottenere qualcosa in cambio. E chi altri poteva essere stata questa terza persona se non un qualche mafioso? In fondo suo padre era conosciuto per aver difeso molti pentiti... Non voleva crederci!
Proprio in quel momento sentì il cellulare squillare, lo afferrò dalla tasca e quando vide chi era a chiamarla chiuse la telefonata senza rispondere. Proprio lui! Non aveva nessuna intenzione di parlare con suo padre.
***
Giancarlo la lasciò fuori dal cancello di malavoglia, era consapevole che stava combattendo una battaglia interiore e sapeva che avrebbe dovuto farlo da sola, solo così poteva vincerla. Ma solo lui seppe quanto gli costò lasciarla in quel frangente senza poterla aiutare.
Continuava a pensare al pomeriggio del giorno prima e all'esperienza che avevano condiviso. Selvaggia lo aveva completamente stregato, facendogli vivere un amplesso incredibile. Si rendeva vagamente conto che era stata una scelta dettata dal trauma subìto e lì per lì ebbe paura che se ne sarebbe pentita; ma quel mattino, a parte nel momento in cui si era bloccata davanti all'università, non aveva dato cenni di ripensamento. Anzi, ripensando al momento del risveglio avrebbe giurato che non le sarebbe dispiaciuto affatto ripetere l'esperienza. Se non fosse stato per sua madre forse lo avrebbero fatto.
Le sue immagini mentre si muoveva su di lui, calda e sinuosa, riempivano la sua mente. Sentiva ancora i suoi ansimi nelle orecchie e i suoi baci sulle labbra. Un brivido di desiderio lo attraversò lungo la schiena...
Di colpo si rese conto che aveva appena oltrepassato le amiche di Selvaggia, ferme a un lato del corridoio che lo guardavano in modo ostile; tra di loro c'era anche la morettina che lo aveva avvicinato non molto tempo prima con intenzioni non proprio oneste, e si disse che come amica valesse meno di zero.
Le vide parlottare tra loro come delle antiche dame di corte e tornare a fissarlo in modo malevolo, in un primo momento non seppe spiegarsi quell'atteggiamento ma pensò che Selvaggia potesse essersi confidata con loro prima del loro viaggio a Palermo e che non avesse ancora avuto modo di chiarire la situazione.
Controllò se Selvaggia avesse deciso di entrare e magari toglierlo da quell'impaccio, ma la intravide ancora fuori nello stesso punto in cui l'aveva lasciata, sempre indecisa e confusa sul da farsi. Si fermò un secondo con la voglia di tornare da lei per confortarla ma si accorse che le sue amiche avevano seguito il suo guardo e che stavano parlottando tra loro, indicandola. Fu proprio la morettina a staccarsi dal gruppo per andare incontro alla sua ragazza, mentre le altre due continuavano a guardarlo con astio.
Irritato da quella situazione decise di ignorarle e continuò per la sua strada.
***
Selvaggia sentiva una vera e propria tormenta nel suo animo, nemmeno si accorse di Ludovica che la stava salutando. Quest'ultima le passò una mano di fronte agli occhi per svegliarla dal suo mondo personale.
"Ehi, ci sei?"
Selvaggia prese un bel respiro, sbatté le palpebre e si sforzò di distogliere lo sguardo dalla facciata dell'edificio per posarlo distrattamente sull'amica.
"Ciao..."
Sospirò, senza avere la forza di aggiungere altro, e tornò a guardare l'entrata dell'edificio di fronte a sé.
Ludovica seguì il suo sguardo. "Non sai se entrare o no?"
Selvaggia scosse la testa.
"Ti capisco," Ludovica roteò gli occhi. "Abbiamo appena notato Giancarlo camminare disinvolto lungo il corridoio, come se niente fosse. Che ipocrita!"
Il tono di disgustato catturò l'attenzione di Selvaggia. "Come?"
Ludovica assunse un'espressione maliziosa. "Mi dispiace dovertelo dire, ma pochi giorni fa lo trovai per caso sotto casa..." lo sguardo dell'altra la mise in soggezione e la voce le morì lentamente, ma si sforzò di terminare. "...Ehm, non ha dato l'idea di essere molto dispiaciuto della vostra rottura..."
"Perché, cosa ti ha detto?"
"Ehm... Mi ha invitato a bere una birra a casa sua... come se io avessi dimostrato interesse nei suoi confronti." Era sempre più insicura. "Ovviamente gli ho risposto di no, ma ha insistito finché non mi sono dovuta allontanare."
Chissà perché ma le parole dell'amica risultavano false alle sue orecchie.
"E tu non gli hai detto niente? Non gli hai detto quello che pensi di lui?"
Si chiese perché Giancarlo non le avesse parlato di aver incontrato Ludovica. Le cose erano due: O perché nel frattempo erano successe così tante cose che gli era passato di mente, o perché non era vero niente.
"Te l'ho detto, gli ho risposto che non mi interessava finché non me ne sono andata."
"E poi come è andata a finire?"
Volle stare al gioco, cercando di non mostrare nessuna emozione.
"Che me ne sono andata lasciandolo lì."
"E lui non ti ha detto niente, non vi siete più incontrati?"
"Beh... no. Anzi, ora che ci penso—"
"Ti ha detto di andartene perché non sei il suo tipo, vero?" Sbottò interrompendola, stanca del suo teatrino.
Ludovica, colta di sorpresa, rimase a bocca aperta, impietrita di fronte a quegli occhi verdi incandescenti.
"Beh... no... veramente..."
Il suo istinto le aveva detto giusto, la reazione di Ludovica dimostrava che quello che stava dicendo erano tutte stupidaggini. Ormai aveva imparato a conoscerla e a capire quando inventava frottole; specialmente dopo la bugia sulla sua finta relazione con Giancarlo. Allora l'aveva perdonata, ma non aveva dimenticato.
"Sarebbe meglio che la smetti di sbavargli dietro e ti faccia una vita tua, Giancarlo e io stiamo insieme, e mi dispiace per te se ti senti rifiutata od offesa, ma non puoi continuare a creare castelli di carta su qualcuno che non ti vuole!"
Totalmente confusa e mortificata, Ludovica non seppe come ribattere. Restò a fissarla con gli occhi spalancati, intimorita. Ma come una goccia d'olio che si espande pesante su una superficie, sentì il cuore riempirsi di una rabbia cieca. Deglutì decisa a non soccombere nuovamente.
"Ma tu chi ti credi di essere?" Chiuse la bocca di scatto, gli occhi incendiati di rabbia. "Sei piombata qui e mi hai rubato l'amore da sotto il naso, come se i miei sentimenti non avessero nessun valore per te."
Questa volta fu Selvaggia a sentirsi sorpresa, la reazione dell'amica non poteva aspettarsela.
"Ma che stai dicendo?"
"Sto dicendo che avresti dovuto farti da parte!"
Selvaggia alzò le sopracciglia, sempre più confusa. "Credo che tu non abbia capito che c'è anche da tenere in considerazione un altro fattore in casi come questi."
"Sì, so già quello che intendi dire," Ludovica alzò il mento, insegno di sfida. "Ma quella è una cosa che avrebbe potuto cambiare a mio favore se solo tu non ti fossi messa in mezzo."
Selvaggia la fissò senza più riuscire a ribattere, davvero credeva che l'amore delle persone si potesse cambiare a comando? Davvero pensava che Giancarlo avrebbe finito per amarla senza la sua presenza?
Cercò qualcosa da dirle, qualcosa che potesse farla ragionare per farle capire il suo ragionamento contorto ma una macchina nera di passaggio attrasse la sua attenzione. La guardò con più attenzione e riconobbe il suv di suo padre che stava parcheggiando poco distante.
Era tornato a cercarla.
Si guardò velocemente attorno cercando un posto dove nascondersi, finché non decise di rifugiarsi all'interno dell'edificio dell'Università lasciando Ludovica lì da sola. Questa la guardò sbigottita.
"Che ti prende, non hai nemmeno il coraggio di rispondermi?" Le urlò dietro, ma Selvaggia non si prese la briga di darle soddisfazione. "Che razza di stronza!"
***
Michele scese di macchina e si avvicinò velocemente all'entrata dell'Università. Non aveva la benché minima idea di cosa fare ma sperava solo di trovare sua figlia e poterle parlare a quattr'occhi, sperando di aiutarla a capire la situazione... e se fosse stato il caso avrebbe anche potuto rivelarle la verità, se sarebbe servito a riportarla da lui.
Si avvicinò con passo svelto al portone, camminava in modo nervoso in mezzo ai ragazzi presenti ma una voce femminile e delicata chiamò il suo nome con curiosità. Si arrestò per vedere chi lo avesse chiamato.
Una ragazzina dell'età di sua figlia, con dei grandissimi occhi castani e i capelli lisci dello stesso colore, stava camminando verso di lui con aria incuriosita.
"Lei è l'avvocato Giordano?"
"Sì... sono io..."
Michele sbuffò interiormente per questa perdita di tempo, ma la buona educazione lo spinse a fermarsi per rivolgerle la sua attenzione.
"Posso fare qualcosa per lei, signorina?"
Ludovica si avvicinò ulteriormente. "Lei è il padre di Selvaggia, vero?"
"Sì... è una sua amica?"
"Sì! Era qui fino pochi secondi fa. La sta cercando?"
A Michele non sembrò vero di aver trovato subito un'amica di sua figlia. "Esatto, le volevo parlare, sa dove posso trovarla?"
"Purtroppo non so che lezioni segue, ma può trovarla in mensa all'ora di pranzo, se vuole andare sul sicuro pranziamo sempre insieme."
"Grazie, gliene sono grato."
"Prego." Gli sorrise. "Posso fare qualcos'altro per lei?" Si sentiva ben disposta ad aiutare quell'uomo per qualche motivo.
Michele ci pensò un po' su. "Per caso conosce anche il suo ragazzo?"
"Chi, Giancarlo?"
"Esatto."
"Oh, quello..." Storse le labbra con disprezzo.
Quel tono contrariato mise Michele in allarme. "C'è qualcosa che non va?"
"Ehm... non so se dovrei dirglielo."
"Dirmi che cosa?"
"Beh, ecco..." Ludovica sembrò d'un tratto vergognarsi. "È una cosa un po' personale."
"Ma c'entra mia figlia?"
"Sì... in parte sì."
"Allora credo che dovrebbe dirmelo."
"Non so..."
Ludovica tergiversò, non era convinta di poterlo dire, o almeno così sembrava, ma questo atteggiamento non fece altro che aumentare l'ansia del povero Michele, convinto, chissà come, che quel ragazzo avesse fatto qualcosa per non manifestarsi degno di frequentare sua figlia.
"La prego, signorina..."
"Ludovica."
"La prego, Ludovica," Michele si avvicinò e le mise le mani sulle spalle. "Per me è molto importante. Se c'entra qualcosa mia figlia Selvaggia lo devo sapere!"
Ludovica vide la disperazione negli occhi dell'uomo, capì di avere il coltello dalla parte del manico. Sorrise.
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