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Capitolo Ottantanove

La caserma di Palermo era esattamente come se la ricordava, grande e caotica, anche se c'era stato da più di sei anni prima e per brevissimo tempo. Ricordava benissimo quando lo trasferirono in quel piccolo paesino della provincia, dove rimase per quasi due anni prima di fare ritorno a Milano.

Il comandante Passalacqua era sempre lo stesso, con quella voce potente e autoritaria e lo sguardo fiero. Aveva qualche filo bianco in più tra i capelli e qualche ruga più evidente attorno agli occhi ma lo accolse di buon grado.

"Carabiniere Felici."

Riccardo si impettì e fece il classico saluto militare.

"Sottotenente Riccardo Felici, signore." Lo corresse.

Passalacqua sorrise. "Riposo, sottotenente, riposo."

Con occhi sorridenti si alzò dalla sua scrivania e si avvicinò a Riccardo, molto più rilassato.

"Ho sentito che vorresti il trasferimento di nuovo in questa caserma."

"Sì, signore."

"E questo trasferimento è dovuto a qualche motivo particolare che riguarda i tuoi superiori del nord?"

"No, signore. Ho solo bisogno di cambiare un po' d'aria."

L'uomo aveva uno sguardo serio e penetrante mentre osservava il ragazzo diritto negli occhi. Sorrise di nuovo, rendendo ancora più evidenti quelle zampe di gallina, e gli diede una forte pacca sulla spalla.

"E questo mi basta. Ben venuto a bordo, figliolo!"

Era quello che sperava. Aveva chiesto e ottenuto il trasferimento per un solo e unico motivo, e farsi riassegnare alla caserma di partenza era il primo passo.

I colleghi con i quali aveva condiviso il primo anno di lavoro a Palermo erano stati tutti trasferiti. Non conosceva nessuno delle facce che incontrò negli spogliatoi quando prese possesso dell'armadietto che gli era stato destinato.

In quel momento, mentre guidava la gazzella dei Carabinieri in solitudine verso villa Giordano, a circa sette chilometri fuori dalla città, si augurava che Selvaggia si fosse rintanata lì, che avesse trovato riparo a casa di quello che, date le sue ricerche, doveva trattarsi di suo padre.

Aveva capito sin dalla prima volta che era entrata nella sua vita che era qualcosa di più di una semplice barista di un pub. Solo che non credeva che avesse un passato così turbolento!

Dopo averla associata al clan Lo Iacovo aveva scartabellato i vecchi archivi elettronici, ma nella rete molti file erano andati persi per chissà quale motivo, per questo doveva trovare ciò che gli interessava nel suo luogo di origine. Nella caserma di Palermo esistevano ancora i vecchi archivi cartacei e lì scoprì che era cresciuta in un orfanotrofio, documenti antecedenti al suo soggiorno là non esistevano. Lesse che fu adottata da una coppia con la quale visse una bruttissima esperienza. Quando lesse i fascicoli che riguardavano quel caso ebbe come un flash! Si rivide in casa di quella donna meschina e orrenda, che fingeva di piangere per la morte del marito senza manifestare il minimo senso di colpa per ciò che aveva fatto. Fu in quel momento che si ricordò degli occhi di Selvaggia.

Quella bellissima bambina dai corti capelli rossi e gli occhi d'angelo era la stessa ragazza che occupava tutti i suoi pensieri. Quegli occhi terribilmente scioccati gli tornarono alla mente come l'opera d'arte più sfuggente e meravigliosa che avesse mai visto. Non vedeva l'ora di rituffarsi in quel mare verde e splendente!

Ancora non aveva capito quali rapporti la legassero col clan mafioso dei Lo Iacovo, ma aveva tutta l'intenzione di scoprirlo e Michele Giordano era presumibilmente l'unico che poteva svelare questo mistero. A meno che non l'avesse trovata lì.

Guidò per diversi metri in un lungo viale alberato, sul quale si affacciavano diverse ville lussuose e curate, finché non si fermò di fronte al grande cancello in ferro della villa che stava cercando. Si allungò dal finestrino e suonò al citofono incastonato vicino ad esso, presentandosi subito come "Carabinieri", sperando che fosse una sorta di lasciapassare. Una voce femminile esclamò in tono sorpreso qualcosa per lui incomprensibile, e il cancello iniziò ad aprirsi lentamente. Guidò la gazzella lungo un breve vialetto sassoso, circondato da grandi vasi di fiori, e fin sotto un pergolato ben curato, dove un Porche nero come la notte era a sua volta parcheggiato.

Appena scese dall'auto un uomo alto e ben piazzato uscì dalla porta d'entrata e gli andò incontro. Era davvero molto alto, forse un metro e novanta, e portava un vestito di sartoria elegante e costoso. Camminava come chi è abituato a manifestare un certo grado di sicurezza. Quando fu abbastanza vicino e poté vederlo bene in faccia notò il taglio dei suoi occhi, simili in modo impressionante a quelli della ragazza per cui si era spinto fin lì.

"Buonasera, sono l'avvocato Michele Giordano, posso fare qualcosa per lei?" Gli allungò una mano, con uno sguardo profondo.

"Sottotenente Felici della divisione antimafia di Palermo." Si presentò Riccardo, contraccambiando la stretta. "Vorrei parlare con lei di sua figlia Selvaggia."

Al nome della ragazza l'espressione dell'uomo si tramutò in sconcertata. "E perché mai?"

La sua reazione fece suonare un campanello d'allarme nel militare, ma cercò di non darlo a vedere.

"La ragazza è sparita da Milano circa una settimana fa, da allora non vi sono più tracce di lei. Quando è stata l'ultima volta che l'ha vista?"

Michele sembrò in difficoltà a rispondere e questo aumentò il sospetto che nascondesse qualcosa.

"Io... Sono sicuro che mia figlia sta bene. È una ragazza con la testa sulle spalle, sa quello che fa."

"Presumo che lei sappia dove si trova, allora." Il comportamento dell'uomo lo convinceva sempre meno e la riluttanza a rispondere alle sue domande stava diventando fastidiosa.

"Senta," lo affrontò Michele con nuovo impeto, "mia figlia ha già passato parecchi guai nella vita, e so che in questo momento non ha fatto niente affinché i Carabinieri indaghino sulla sua persona, d'altronde nessuno ne ha denunciato la scomparsa, quindi—"

"Sono stato io." Lo interruppe Riccardo. Lesse un velo di sincera preoccupazione negli occhi dell'uomo. "Io ne ho denunciato la scomparsa, nonostante si sia allontanata di propria volontà."

Michele cambiò nuovamente espressione e tornò serio come prima. "Perché avrebbe dovuto fare una cosa simile?"

"Mi scusi signor Giordano." Riccardo si tolse il cappello. "Sono un carabiniere, sì, ma sono anche il ragazzo di sua figlia, e da una settimana Selvaggia è sparita dalla sua abitazione di Milano senza lasciare detto a nessuno dove sarebbe andata. Se sa qualcosa la pregherei di rivelarmelo. Non era più la stessa da quando ha parlato con quel boss—"

Questa volta le parole di Riccardo non stupirono affatto il povero Michele, che gli impedì di continuare a parlare alzando una mano.

"Venga dentro, parleremo meglio." Si incamminò verso l'ingresso di casa senza attenderlo.

Riccardo lo seguì dentro quell'enorme villa che sembrava guardarlo con aria austera, con quella facciata grigia e imponente. Si ritrovò in un vasto ingresso con pavimenti lucenti e quadri enormi, ma non ebbe l'opportunità di guardarsi tanto attorno perché Michele proseguì senza interruzioni verso una seconda porta e dovette affrettarsi per raggiungerlo. Entrò in un immenso salone con una grandissima libreria alta fino al soffitto, un maestoso caminetto e dei grandi divani in pelle dall'aria costosa, dove un uomo calvo e con un paio di baffi curiosi vi era seduto. Al suo ingresso si alzò lentamente in piedi e si presentò:

"Buona sera. Mi chiamo Girolamo Prisco, piacere di conoscerla."

Riccardo strinse la mano che gli tese. "Il piacere è tutto mio, mi chiamo—"

"Oh, so benissimo chi è lei, Riccardo Felici." Lo interruppe Girolamo con un sorrisetto furbo. "E per dirla tutta mi aspettavo che sarebbe venuto, prima o poi, ma non credevo così presto."

Riccardo rimase letteralmente a bocca aperta. "Come fa a conoscermi?"

Michele gli si accostò, stavolta con uno sguardo più comprensivo. "Siediti, ragazzo, credo proprio che abbiamo molte cose di cui parlare."

Riccardo si sedette lentamente sul divano alle sue spalle, sospettoso, e Girolamo fece altrettanto, guardandolo comprensivo.

"Mi deve perdonare, signor Felici, ma per tutto questo tempo, da quando ha incontrato la signorina Selvaggia, io l'ho sempre tenuta d'occhio, e non posso che ringraziarla per tutto quello che ha fatto per lei, sia a nome mio che a nome del mio amico qui presente." Indicò Michele, seduto sulla poltrona accanto.

"Ma perché, chi è lei?"

"Ha ragione a essere sconvolto, lasci che mi presenti. Selvaggia mi considera un po' come uno zio, in realtà sono un vecchio amico di suo padre, a mia volta avvocato e anche investigatore privato. Sono io che ho aiutato Selvaggia a trasferirsi a Milano, più di un anno fa, e da quel momento non l'ho persa di vista un solo istante."

"Selvaggia non mi ha mai parlato di lei."

"Perché non sapeva che la stavo controllando. Non volevo che si sentisse spiata, ma ho vigilato su ogni sua mossa. Devo dire che la sua presenza al suo fianco le è stata molto preziosa, lei è una bravissima persona, sottotenente."

"Sì, ma... Selvaggia non ha mai voluto rivelarmi niente di sé, o del suo passato. Quello che so l'ho scoperto da solo, facendo ricerche. So che è stata adottata, e che... Ha avuto una bruttissima esperienza con i suoi ex genitori adottivi."

"Già." Michele sembrava assorto a rivangare il passato. "Quella donna sciagurata le ha trasmesso una grande insicurezza—"

"Che tu hai saputo arginare, Michele." Lo interruppe Girolamo.

"Quindi, almeno con lei ha avuto una vera famiglia, è riuscito a farle da padre." Constatò Riccardo. "Ma allora mi sfugge perché si sia trasferita a Milano."

Michele restò in silenzio con lo sguardo assorto, ma a un cenno di assenso dell'amico decise di aprirsi con quel giovane.

"Io e mia figlia abbiamo litigato, più di un anno fa." Si vergognava, ma era deciso a dire tutto. "Ed è per questo che Selvaggia si è voluta trasferire a Milano, o almeno, questo è uno dei motivi..."

Insieme a Girolamo raccontò a Riccardo tutta la storia, senza tralasciare alcun particolare del passato di Selvaggia. Lo mise al corrente della sua infanzia, passata dapprima nel Monastero di clausura e poi in un orfanotrofio, della disavventura vissuta coi coniugi Caruso finché non venne adottata da lui. Non gli ha risparmiato neppure la sua storia con Giancarlo e della sua tragica fine, che ha poi dato la spinta per farla traslocare a Milano. Tutte le ricerche che Riccardo era riuscito a fare su di lei lo avevano portato a sapere solo determinate cose, ma c'erano ancora molti buchi che finalmente erano stati riempiti grazie a questa spiegazione.

"C'è ancora una cosa che mi sfugge." Corrugò la fronte e guardò Michele negli occhi. "Che rapporto c'è tra Selvaggia e il boss Lo Iacovo?"

Michele e Girolamo si guardarono preoccupati. Per alcuni lunghissimi istanti non risposero, forse per la paura di ciò che avrebbero potuto rivelare, ma alla fine Girolamo prese la parola:

"L'unica cosa che non ti abbiamo detto è che in realtà Michele non è il padre adottivo di Selvaggia, è effettivamente il suo padre biologico."

Riccardo osservò l'uomo seduto compostamente sulla sua poltrona, che gli restituì uno sguardo profondo. Beh, sì, una certa somiglianza nel taglio degli occhi l'aveva notata subito.

"Alla sua nascita non ho potuto prendermi cura di lei, mi arrivò la notizia che fosse morta insieme a sua madre in un'inondazione."

"E invece era stata affidata alla ruota del Monastero."

"Esattamente," Michele annuì. "Solo che nessuno di noi due lo sapeva, sua madre l'aveva nascosta lì per proteggerla."

Riccardo lo guardò confuso. "Proteggerla da cosa?"

Michele si passò una mano tra i capelli. "Dalla sua famiglia. La madre di Selvaggia era l'ultima genita del boss Gaetano Lo Iacovo."

L'ultimo tassello andò al suo posto e tutto prese un senso nella sua mente. Comprese perché si era trasformata in una suora di colore pur di avere un contatto diretto con quell'uomo, anche se gli sfuggiva il motivo vero e proprio, ed era ovvio che non potesse dirgli niente; data la sua posizione di Carabiniere non voleva metterlo nei guai. Ma adesso che Gaetano Lo Iacovo era morto non avrebbe potuto più nuocerle in alcun modo.

"Ma se adesso lui è morto perché Selvaggia è sparita?"

"Perché sta cercando sua madre." Rispose Girolamo. "La stessa Selvaggia era all'oscuro della sua situazione familiare fino a un anno fa, ma quando le dissi che sua madre era morta in un inondazione, all'apparenza mi sembrò rassegnata, ma avevo capito subito che non ci aveva creduto. Il fatto che il corpo di sua madre non fosse mai stato ritrovato deve averle fatto credere che si sia salvata, e probabilmente adesso si trova sequestrata nella villa dei Lo Iacovo."

A queste parole Riccardo sgranò gli occhi: "Come sequestrata!"

Girolamo si fece di colpo più serio e gli si avvicinò, per rivelargli informazioni molto personali.

"Sono in contatto con una talpa all'interno del clan dei Lo Iacovo," mormorò. " E mi ha riferito che è da quattro giorni che l'attuale boss, Don Carmelo, ha un'ospite particolare dentro la sua villa, ma nessuno a parte il suo braccio destro l'ha vista, e... Sembra proprio che sia stata lei a entrare da sola nella tana del lupo."

Il cuore di Riccardo si colmò di preoccupazione. "Crede che si tratti di Selvaggia?"

"Temo di sì. Sono esattamente cinque giorni che non la vedo, e giusto quattro giorni fa una sua amica è venuta a trovarla all'appartamento in cui risiedeva, dicendomi che aveva appuntamento con lei e che si erano viste giusto il giorno prima. Non c'è altra spiegazione per la sua scomparsa."

"Ma perché? Perché rapirla? Cosa può mai volere da lei quell'uomo?"

"Solo vendetta." Girolamo sembrò preoccupato per la prima volta. "O almeno, questo è quello che presumo. È un uomo pieno di rancore, ritiene che fosse suo diritto ricevere il testimone del clan quando suo padre avrebbe tirato le cuoia. Ma era molto più piccolo del fratello Gaetano, non ne aveva diritto, e lo ha sempre accusato di avergli rubato il ruolo, per così dire, anche se era di Gaetano per diritto di nascita. Quando poi seppe che dopo Gaetano lo avrebbe ereditato il figlio maggiore tentò di accaparrarselo uccidendolo e facendolo passare per un incidente. Ma Don Gaetano non era stupito, sapeva, ma non ha mai avuto le prove. Così Carmelo, per toglierselo di mezzo, lo fece arrestare mentre era a Milano, denunciandolo in modo anonimo e aspettando pazientemente la sua vendetta. In fondo adesso ha già una certa età e ritiene di essere stato derubato dal fratello fin troppo. E nonostante adesso suo fratello sia morto continua ad esigere vendetta, non so bene perché ma ha continuato a nutrire rancore anche nei confronti dei figli di suo fratello."

"Non capisco... So che i figli di Don Gaetano, i due rimasti, fanno una vita normale, lontana dal mondo in cui sono cresciuti. Una è addirittura diventata suora!"

Appena menzionò queste parole l'immagine della Madre Superiora che aveva accompagnato Selvaggia al cospetto del boss gli si materializzò davanti agli occhi.

"Non è di loro che Don Carmelo ha paura." Gli fece presente Girolamo.

"Posso farmi assumere come talpa a servizio di Don Carmelo!" Sbottò Riccardo, "In caserma abbiamo già un paio di—"

"Sì, lo conosco il vostro uomo che sta là dentro." Lo interruppe Girolamo. "E anche se questo è il vostro normale modo di agire non credo che sia quello giusto."

Riccardo lo osservò incredulo. "Sta scherzando! I nostri infiltrati ci hanno permesso di catturare potenti esponenti mafiosi, ed è grazie a uno di loro se hanno arrestato il mandante dell'omicidio del giudice Farnesi—"

"Ne sei sicuro?"

Riccardo rimuginò sulle proprie parole... Gli era stato appena riferito che don Gaetano era stato incastrato per quell'attentato, ma che non era lui il vero mandante dell'omicidio Farnesi. "Don Carmelo è il mandante dell'omicidio Farnesi?"

Girolamo sembrò d'un tratto spazientito. "Quello che non sapete è che anche loro hanno un paio di talpe tra le forze dell'ordine, qualsiasi operazione ufficiale compiate loro la verranno a sapere prima di voi."

A Riccardo sembrò cadergli il mondo addosso: "Ci sono delle talpe? E chi sono?"

"Non lo so, ma non ha importanza. L'unico modo per infiltrarsi tra le fila di don Carmelo è quello di fare tutto all'insaputa anche dei Carabinieri."

Questa volta rimase sotto shock. "Dovrei agire all'insaputa dei miei superiori?"  

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