Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo Cinquantatré

“Clan Lo Iacovo, uno dei più antichi e potenti clan della malavita siciliana. Tutti i nomi presenti in quel fascicolo appartengono a questo clan, ma sono tutti in carcere. Almeno, da quanto ho trovato in rete...”

Matteo rivelò a Selvaggia per telefono ciò che aveva scoperto.

“E non esistono familiari o altri appartenenti al clan che non stanno marcendo in galera insieme a loro?”

La notizia l'aveva innervosita.

Matteo sembrò restio a risponderle. “Senti, Selvaggia… non credo sia una buona idea—”

“Perdonami, Matteo, ma ho bisogno di sapere, non di qualcuno che mi trasmetta insicurezza.”

Matteo rimase in silenzio per alcuni istanti. “Sì, ma… Questa è gente che non scherza.”

“Cosa hai trovato?” Chiese con più determinazione.

Matteo sospirò. “Sono cose che non posso dirti per telefono. È meglio se ci rivediamo di persona.”

La sua coinquilina la chiamò dall'altra stanza, interrompendo la telefonata.

“Selvaggia, puoi venire un attimo in cucina?”

Selvaggia si affrettò a chiudere la chiamata con l’amico.

“Ok, ti richiamo tra un’ora… ciao, devo scappare!” Sussurrò.

Chiuse la telefonata e uscì m di camera per andare da Manuela.

***

Selvaggia alzò lo sguardo e vide l’enorme villa che si ergeva al di là del maestoso cancello di ferro della proprietà del clan Lo Iacovo. Il suo intuito aveva avuto ragione e Matteo aveva cantato quando si erano visti. Non era un tipo che sapeva mantenere a lungo un segreto, soprattutto con lei; quando l’aveva avuta davanti che lo fissava con quegli occhi verdi e splendenti non era riuscito a tacere ancora, e lei se ne era approfittata.

Adesso aveva il cuore che batteva all’impazzata e per istinto si portò una mano al medaglione che portava al collo, sotto la maglietta, cercando un po’ di sicurezza da quell’oggetto inanimato. Non sapeva spiegarsi perché ma aveva cominciato ad indossare quel medaglione come un talismano, e in quell’occasione aveva decisamente bisogno di fortuna.

Suonò al campanello incastonato nel muretto alla sinistra del cancello. Era un unico pezzo di metallo giallo che sembrava oro. O era oro per davvero? Rimase ad osservare pigramente quel cerchio nero sopra il citofono che sembrava a tutti gli effetti una telecamera, senza realizzare che lo fosse davvero. Dopo diversi secondi di silenzio assoluto vide un uomo sbucare dal fondo del viale alberato che portava all'entrata della maestosa tenuta, camminava verso di lei con fare energico, da militare. Era vestito completamente di nero, con gli occhiali scuri e la faccia seria. Sembrava un buttafuori di una discoteca, ma più minaccioso, le fece paura.

Quando arrivò al cancello la guardò in silenzio per un po'.

“Ti sei persa?”

“Ehm… no. Io… volevo parlare con… con il suo capo.” Balbettò.

L’uomo fece una risatina derisoria. “Senza appuntamento?”

Selvaggia sgranò gli occhi. “Ci vuole un appuntamento?”

L’uomo ridacchiò ancora, si portò una mano all’orecchio e sembrò concentrarsi su qualcosa che gli veniva detto da un auricolare, del quale Selvaggia non si era accorta se non in quel momento. Riportò lo sguardo su di lei, di nuovo serio, e senza alcun preavviso il cancello emise un debole clack e cominciò ad aprirsi.

“Entra pure, seguimi.”

L'enegumeno si avviò lungo il viale alberato e Selvaggia si affrettò a stargli dietro. Lo seguì lungo quel viale guardandosi attorno. Oltre agli alberi che delimitavano il viale d’ingresso scorse campi da golf in lontananza e giardini curati alla perfezione. Da una parte c’era un grazioso gazebo bianco, dentro si intravedeva un bellissimo set di divani e poltroncine da esterno, continuamente accarezzato da una leggera brezza che spostava in modo romantico una delle tende del gazebo lasciata aperta. Poco più in là una grande fontana con delle cascate cantava al vento, il rumore dell’acqua giungeva fino a lei come quello di una canzone cantata dalla natura. Non si accorse che l’uomo davanti a lei si era fermato e ci andò a sbattere addosso.

Arrossì violentemente e abbassò lo sguardo. “Mi-mi scusi… ero distratta…”

L’uomo sembrò infastidito ma non ribatté. “Entra pure, l’ufficio di don Carmelo è la prima porta a destra.”

Don Carmelo? Stava per conoscere il capostipite del clan? Non poteva crederci.

Appena varcò quella maestosa porta di legno laccato si ritrovò in un enorme atrio con dei soffitti altissimi, da dove pendeva un lampadario splendido, con mille piccole pietre che riflettevano la luce del sole che entrava dalle vetrate ai due lati del portone, mandando continui riflessi dorati e accecanti sulle pareti e su di lei. Il pavimento di marmo, bianco e lucidissimo, rifletteva anch'esso la luce e ci si poteva specchiare. Di fronte a lei al Eno una decina di porte e una gamma mobili splendenti con bordi laccati in oro, bianchi e candidi come il latte, e una maestosa scala che portava al piano di sopra. Sbatté le palpebre e cercò la porta che il buttafuori le aveva indicato. Con il cuore in gola si avvicinò ad essa e bussò timidamente, come se non volesse farsi sentire da chiunque fosse dalla parte opposta. Una voce bassa e maschile la invitò a entrare:

“Avanti!”

Con mano tremante abbassò la maniglia dorata ed entrò nella stanza.
Fece due passi incerti e la prima cosa che notò furono due statue luccicanti a grandezza naturale, disposte in fila alla sua destra, raffiguranti due donne vestite come nell’800 che sembravano darle il benvenuto. Sulla sua sinistra un’enorme scrivania bianca con il ripiano in vetro troneggiava al centro della stanza dalle pareti madreperla e rifiniture in mattone e, seduto dietro quell’enorme scrivania, un uomo dallo sguardo nero come la pece e dei baffi ben curati la guardava massaggiandosi il mento, come a valutarla per una possibile vendita. Era vestito con un completo bianco e una camicia nera, da dove spiccava un medaglione d’oro, appariscente e un po’ volgare da quanto era grande. La carnagione abbronzata evidenziava una certa opulenza, il viso contornato da un pizzo ben curato e i capelli tagliati alla perfezione mostravano una cura maniacale per la sua persona.

Selvaggia rimase impietrita di fronte a quella scena. L’uomo la osservava profondamente, curioso di capire cosa ci facesse una ragazzina in casa sua, e Selvaggia si dimenticò delle domande che voleva fargli e che si era preparata…

“Chi sei, scusa?” Domandò di colpo l’uomo.

Completamente nel panico, Selvaggia si sforzò di rompere quel silenzio.

“Io… io sono la figlia di Michele Giordano.”

Gli occhi dell’uomo ebbero un guizzo, sembrò che il nome di Michele gli avesse fatto tornare alla memoria ricordi poco piacevoli e che avere la figlia di fronte a lui sembrasse una sfida.

“Da quel che mi risulta Michele Giordano non ha figli.” Parlava con un forte accento siciliano, ma in un italiano perfetto.

Selvaggia non seppe come rispondere e andò ancora più nel panico. La magnificenza di quel posto bastava a mettere in soggezione chiunque, anche lei che, nonostante il suo passato, si era abituata a vivere in una villa imponente come quella di suo padre… ma che scompariva in confronto a quella.

“Io…”

D’istinto si portò una mano al medaglione e lo strinse tra le dita, cercando quel po’ di quel coraggio che non possedeva.

Quel gesto non passò inosservato al suo ospite che, incuriosito, alzò un dito facendole cenno di avvicinarsi.

Senza staccare la presa da quel medaglione, Selvaggia si avvicinò a lui. Sentiva le gambe che le tremavano… era stata davvero un’irresponsabile, un’incosciente! Quella era gente che non scherzava, se decidevano che eri scomodo non si facevano scrupoli a eliminarti. Lo sapeva, ma c’era andata lo stesso.

Quando fu a un passo dalla scrivania l’uomo assottigliò lo sguardo. “Che cosa stringi in quel pugno?”

Selvaggia lasciò di scatto la mano, tirandolo fuori dalla maglietta il medaglione. Sotto la luce del sole risplendente in tutta la sua lucentezza e alla vista di quel monile l’uomo sgranò gli occhi.

“Chi te lo ha dato, quello?”

Selvaggia tornò ad afferrare il medaglione con dita sottili e incerte.

“Questo… è mio… l’ho sempre avuto…”

L’uomo la zittì con un gesto e continuò a fissarla con sguardo assorto, preso in chissà quali riflessioni.

“Insomma, ma cosa sei venuta a fare, qui?”

Di colpo il cellulare di Selvaggia iniziò a squillare dalla sua borsa, facendole fare un sussulto.

“Non rispondi?” Scocciato, l'uomo le indicò la borsa che portava su una spalla.

Confusa più che mai, Selvaggia la aprì e afferrò il cellulare. Appena vide che a chiamarla era Giancarlo il cuore le saltò in gola. Fissò lo schermo del cellulare iniziando a tremare come una foglia… era completamente in preda alla paura, ma chissà come trovò il coraggio di respingere la chiamata, e rificcò il cellulare nella borsa.

L’uomo dietro alla scrivania iniziò a ridere. “Non credo che dovresti trovarti in questo posto. Sembra che hai paura di essere mangiata da un momento all’altro.”

Selvaggia deglutì e da qualche parte trovò il coraggio di rispondergli.

“No… è che alcuni anni fa mio padre ha… difeso un innocente che però è finito in prigione insieme ad alcuni altri… uomini, che—”

“Sì, mi ricordo di quel processo.” La interruppe lui con la sua voce bassa e baritonale. “Alcuni miei uomini sono stati arrestati a causa di quel ristoratore da strapazzo.”

Guardava il medaglione che Selvaggia portava al collo con sguardo assorto. Lei non riusciva a respirare e a quelle parole avvertì un colpo di stizza al basso ventre.

“Comunque, da una parte se lo sono meritato, è per questo che sono ancora dentro. E poi riescono a rendermi un buon servizio anche da lì, quindi presumo che resteranno al fresco ancora per un po’.”

Confusa da quelle parole, Selvaggia tentò di raccogliere le idee. “Sì… ma io ero venuta per sapere—”

“Senti,” la interruppe nuovamente. “Tuo padre ha fatto esattamente quello che gli avevamo detto di fare, e in cambio ha ricevuto quello che aveva chiesto… ovvero adottare te. Non riesco a capire perché tu sia venuta qui, soprattutto con quel medaglione. Cosa vuoi sapere, di preciso?”

Cosa c’entrava il suo medaglione?

“Come conosce questo medaglione?”

Un coraggio che non sapeva di possedere la spinse a fare quella domanda... C'era qualcosa che non le tornava.

Senza rispondere, l’uomo aprì un cofanetto sulla sua scrivania e ne estrasse un medaglione identico.

“Non sei l’unica ad averlo… ma non siamo in molti a possederlo.”

“Lei conosceva mia madre?” Chiese con un sospiro.

A questa domanda lo sguardo dell’uomo si fece tagliente, fissò Selvaggia per alcuni istanti e, senza sapere come o perché, il buttafuori che l’aveva fatta entrare apparve alle sue spalle, silenziosamente.

“La signorina se ne stava andando." L'uomo si rivolse al suo buttafuori, ma continuava a guardare lei. "Assicurati che esca da qui senza incidenti.”

Questi chinò la testa come per dar prova di aver recepito l’ordine e afferrò Selvaggia per un braccio. La strinse tanto da farle male ma lei non ebbe il coraggio di protestare e lo seguì senza lamentarsi.

La scortò fino al cancello aperto e la spinse malamente fuori dalla proprietà.

“Credo proprio che tu non sia la benvenuta, qui.”

Tornò indietro e il cancello iniziò a chiudersi lentamente.

Selvaggia lo osservò massaggiandosi il braccio, nel punto in cui l’aveva afferrata, sentiva le forze abbandonarla. Si voltò alla sua destra e, lungo la strada poco distante dal cancello, Giancarlo era seduto sulla sua moto che la fissava con sguardo arrabbiato.

Neanche adesso era fuori dai guai.

L'aveva chiamata da lì? Perché era venuto?

Fece alcuni passi nella sua direzione, sentiva i piedi farsi di piombo a ogni passo. Lo aveva deluso, lo sapeva bene, e leggeva quella delusione in modo chiaro nei suoi occhi. Si sentì profondamente in colpa, quello sguardo arrabbiato e la delusione che vi leggeva la resero conscia della stupidaggine che aveva fatto, ma era stato più forte di lei.

“Mi dispiace se ho infranto la promessa—”

“Zitta, non dire niente!” La interruppe. Le lanciò il casco, che lei afferrò malamente, e si rimise il suo. “Monta, ti riporto a casa.”

“Giancarlo, io volevo solo—”

“Ho detto di metterti quel dannato casco, Selvaggia!” Urlò incollerito.

Impaurita, Selvaggia indossò il casco e si arrampicò sulla sella dietro di lui. Si sentiva profondamente mortificata, aveva rotto una promessa e messo in pericolo se stessa, lo sapeva bene… ma quell’uomo le aveva fatto capire una cosa molto importante.

Quell’uomo conosceva sua madre, ne era sicura, e adesso non poteva più lasciar perdere.

***

A metà del viale alberato l'energumeno del boss si voltò, voleva vedere se quella strana ragazza fosse ancora lì. Stava chiacchierando con qualcuno che era nascosto dal muretto al lato del cancello. Scosse la testa divertito e rientrò nella villa.

Don Carmelo, cu spacchiu era chidda?” Chiese in dialetto stretto.  (Don Carmelo, chi caspita era quella?)

Don Carmelo stava guardando lo schermo dietro alla sua scrivania, che trasmetteva le immagini della telecamera posta sopra il citofono.

Una ca somigghia a quarcuno ca canuscìa.” (Una che assomiglia a qualcuno che conoscevo)

E cu è?” (E chi?)

“Una ca muriu, ma che ni pighiau pu culu a tutti.” (Una che è morta ma che a quanto pare ci ha preso tutti per il culo.)

Fissò lo schermo con aria truce, in quel momento si pentì di averla lasciata andare così facilmente.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro