Capitolo Cinquantaquattro
“Mi avevi detto che non ci saresti andata! Me lo avevi promesso!” Giancarlo urlò sfogando tutta la sua rabbia e preoccupazione.
Per tutto il tragitto in moto era rimasto in un silenzio pesante, facendo sentire Selvaggia sempre più in colpa ad ogni metro che percorrevano. Nemmeno quando avevano parcheggiato sotto al suo appartamento le aveva detto qualcosa, nonostante lei avesse cercato un confronto. Appena aveva cercato di parlargli lui aveva alzato lo sguardo in alto, con aria scocciata, e si era subito allontanato da lei senza risponderle, facendola sentire sempre più in colpa.
Una volta soli nella sua stanza aveva sfogato tutta la sua frustrazione.
"Pensavo che fossi più intelligente, Selvaggia!"Continuò a urlare senza freni. "Ma non ti rendi conto di quanto sei stata incosciente? Ti sei comportata da stupida, da irresponsabile! Non puoi capire come mi sono sentito a saperti lì dentro!"
Selvaggia si sentì le lacrime agli occhi. Avrebbe voluto ribattere, dirgli che non aveva il diritto di rivolgersi a lei in quel modo, ma si frenò perché sapeva che in realtà aveva ragione.
“Mi dispiace…”
“Ti dispiace?” Urlò ancora più forte. “Ti dispiace! Mi dici cosa avrei dovuto fare se ti fosse successo qualcosa? Quelli sono degli assassini, una ragazza come te che finisce tra le loro grinfie sparisce senza che nessuno se ne accorga!”
Selvaggia fu convinta che adesso stesse esagerando. “Ho capito, ma non ho fatto niente, in fondo—”
“Non hai fatto niente!” Le si avvicinò di colpo con gli occhi fuori dalle orbite. “Come fai a dire che non hai fatto niente?! Potevano ucciderti!”
Adesso stava veramente esagerando. “Non dire assurdità!”
“Tu non sai proprio un cazzo di chi sono quelle persone!” Si mise le mani nei capelli. “Sei solo una ragazzina stupida e incosciente! Ti sei comportata da cretina andando là da sola, così all’improvviso, te ne rendi conto?!”
Selvaggia non riusciva a guardarlo negli occhi, era tremendamente mortificata. Restò in silenzio, ascoltando Giancarlo che dava sfogo a tutta la sua irritazione.
"Non avrei mai pensato che fotessi essere così fuori di testa, così scema a escogitare un piano simile! Stupida!"
Quelle parole le fecero alzare la testa si scatto e d'istinto alzò una mano, dandogli uno schiaffo sulla guancia. Giancarlo si portò una mano alla guancia colpita. Una lacrima scendeva lenta su quella di lei.
Non avrebbe mai voluto colpirlo, ma quelle parole l'avevano punta nell'orgoglio. Nessuno le aveva mai detto cose del genere.
Si osservarono in silenzio per diversi istanti, senza capire. Di colpo lui l'afferrò per le braccia e la strinse contro il suo petto. Neanche lui avrebbe mai voluto parlarle in quel modo, ma la paura era stata troppo forte e non aveva badato a quello che stava dicendo.
Stretta tra le sua braccia, Selvaggia si lasciò andare a un pianto liberatorio, cominciò a singhiozzare contro la sua felpa, inondandola di lacrime.
“Scusami… non volevo mentirti…”
“Shhh, va bene, ormai è andata, basta.” Le massaggiò la schiena. “Ormai è finita, sono solo contento che sia qui tutta intera.”
Selvaggia continuò a singhiozzare contro il suo petto finché non riuscì a calmarsi. Alzò lo sguardo per incastrare i suoi occhi in quelli di lui e restarono di nuovo a o osservarsi in silenzio per un lungo attimo, dimenticandosi della lite, del loro diverbio e di chi fossero. Per un attimo dimenticarono addirittura dove si trovassero.
Si tuffarono l’uno sull’altra e cominciarono a baciarsi con una passione travolgente. La rabbia che avevano provato li spinse ad essere ancora più appassionati. Si spogliarono con urgenza, togliendo l’uno l’indumenti dell’altra. In un attimo di lucidità, Giancarlo si staccò da lei e andò a chiudere a chiave la porta della stanza. Tornò a incollare le sue labbra a quelle di lei finendo di spogliarla. Si soffermò con le mani sul suo fondoschiena, spingendola contro di lui per farle sentire quanto la desiderava.
Si gettarono sul piccolo letto, intrufolandosi frettolosamente sotto le coperte e unendosi in un unico corpo. Si amarono con una foga indicibile, dopo i primi assaggi frettolosi rallentarono il ritmo per assaporarsi con più calma. In breve tempo la stanza si diffuse dei loro ansimi e dei loro gemiti, intrappolandoli in un mondo tutto loro. Tutto il resto rimase fuori, estraneo al loro amore. Si mossero in una danza che li portò a toccare ben presto vette altissime, facendoli esplodere contemporaneamente, per atterrare sulle ceneri del loro amplesso, esausti ma appagati.
Rimasero avvinghiati sotto le coperte ancora a lungo, cullandosi e godendo la calma dopo la tempesta. Selvaggia alzò la testa per guardarlo in faccia:
“Ma chi ti ha detto che ero andata proprio là? Non lo avevo detto a nessuno.”
Giancarlo si trattenne dal mettersi a ridere. “Sei sicura?”
Lei ci pensò su un attimo e subito si illuminò. “Matteo?”
Giancarlo annuì. “Menomale che il tuo amico ha più sale in zucca di te… Dopo che vi siete incontrati è venuto a cercarmi in redazione. Mi ha detto che ti ha visto molto risoluta e che non hai sentito ragioni. Fortuna che ero ancora lì, fosse arrivato due minuti in ritardo non mi avrebbe più trovato.”
Selvaggia sospirò abbassando lo sguardo, si sentiva in colpa per aver messo entrambi in allarme. Pensò che avrebbe dovuto chiamare anche Matteo per rassicurarlo che non le era successo niente. Ma forse avrebbe fatto bene a tenerlo un po’ sulle spine per aver avvertito subito Giancarlo quando le aveva promesso che non lo avrebbe fatto.
Giancarlo la strinse di nuovo contro il suo corpo, aveva lo sguardo perso, assorto in chissà quali pensieri.
“Non puoi immaginare la paura che ho avuto a saperti là dentro, da sola e alla loro mercé.” Affondò le dita nella sua carne. “Per favore, promettimi che non andrai più da quelle persone, per me non ha più importanza che mio padre non abbia ricevuto giustizia… mi importa di più che non ti succeda niente di male.”
Selvaggia prese coscienza di quanto fosse stato male sapendola in quella villa enorme. La sua paura era autentica e profonda, forse proprio perché in passato aveva già toccato con mano quello di cui erano capaci quelle persone e si accorse che aveva agito senza pensare ai suoi sentimenti.
“Mi dispiace, Giancarlo… non ho più intenzione di andare là in quella villa. L’uomo che mi ha ricevuto mi ha messo in soggezione prima ancora di aprire bocca. Non ho intenzione di ripetere l’esperienza.”
Giancarlo la strinse ancora e chiuse gli occhi, inspirando il suo odore misto a quello del sesso che ancora aleggiava nella stanza.
“Bene.” Sospirò.
Selvaggia si lasciò stringere, godendosi quell'abbraccio con un senso di ritrovata pace.
Eppure, proprio quando si stava rilassando, le parole di quell’uomo stravagante le tornarono alla mente come un tormento interiore:
“…tuo padre ha fatto esattamente quello che gli avevamo detto di fare, e in cambio ha ricevuto quello che aveva chiesto… ovvero adottare te.”
Cosa voleva dire? In che senso suo padre aveva fatto quello che loro gli avevano detto di fare? Aveva fatto in modo che il padre di Giancarlo venisse arrestato per poterla adottare?
Non poteva crederci! Tornò a stringere il medaglione che aveva al collo:
“Non sei l’unica ad averlo… ma non siamo in molti a possederlo.”
Se quello in suo possesso era di sua madre, allora…? Come mai sua madre possedeva un medaglione uguale a quello di un boss della malavita?
Restò a rimuginare tra sé per un pezzo, finché non ricordò che il processo al padre di Giancarlo si era tenuto nello stesso periodo in cui lei aveva dovuto affrontare il suo come accusata di aver ucciso Sebastiano Caruso!
Non poteva essere solo una coincidenza.
***
La mattina dopo Selvaggia si recò all’università, anche se in pratica vi si recò per inerzia, per abitudine. Non sapeva se continuare a studiare. Salutò Giancarlo e lo guardò entrare nell'istituto, indecisa se seguirlo o meno. Si guardò attorno, osservando tutti gli altri studenti attorno a lei che si attardavano a chiacchierare e a scherzare.
Che senso aveva tornare a studiare? Tutto quello in cui aveva creduto fino a poco tempo prima le sembrava solo un gigantesco bluff, un enorme messinscena a suo danno. Quello che credeva essere il miglior padre adottivo che potesse mai avere, e del quale voleva seguire le orme, si era rivelato un uomo senza scrupoli, pronto a sacrificare la vita di un innocente per i propri interessi. E, a quanto pareva, anche sua madre non era uno stinco di santo, dato che probabilmente apparteneva ad una delle famiglie mafiose più ricche della zona. Che razza di persona era sua madre?
Girò lo sguardo attorno a sé, ritrovandosi a invidiare la vita dei ragazzi intorno, intenti a ridere e a scherzare tra di loro, a prendersi in giro e a preoccuparsi solo degli studi e delle proprie vite normali e semplici. Certo, semplici, perché la sua non lo era più. Se mai lo fosse stata.
Tra la folla di ragazzi individuò un uomo che la stava osservando con uno strano cipiglio. Era vestito di nero e la fissava con le braccia incrociate al petto. Il cuore le balzò in gola, era l'energumeno del boss del giorno prima! Era un po’ distante da lei, quindi non riusciva a vederlo bene, ma non poteva sbagliarsi su di lui.
Fece un passo indietro per allontanarsi. Se quell’uomo era lì era sicuramente a causa sua. L’uomo si accorse di essere stato riconosciuto e si mosse verso di lei. Selvaggia stette quasi per voltarsi e scappare il più veloce possibile, ma tra la folla una voce femminile la chiamò da lontano. Si bloccò guardandosi attorno finché non vide Ludovica avvicinarsi con quel sorriso falso che aveva imparato a riconoscere. Spostò nuovamente lo sguardo da lei all’uomo vestito di nero e all’improvviso sembrò svanito nel nulla. Aveva il fiatone e il cuore batteva a un ritmo più veloce del normale, le fischiavano le orecchie.
Ludovica la raggiunse, iniziando subito a parlare. “Ehi, Selvaggia! non hai sentito che ti chiamavo?” Osservò la sua faccia stravolta. “Ma che hai, ti senti bene?”
Selvaggia la guardò sbattendo le palpebre e deglutì, annuendo nervosamente.
“Sì…”
“Dalla faccia non si direbbe.” Constatò pungente. “Senti, è da un po’ che non ti vedo e volevo sapere com’era finita poi con tuo padre.”
A quella domanda il cuore di Selvaggia bruciò nel suo petto, che cosa ne sapeva, lei? La guardò, spaesata.
“Come?”
Ludovica scoppiò a riderle in faccia. “Cos’è, tuo padre per caso ti ha tolto i viveri? Sembri un po’ sciupata. Devo dire che non mi aspettavo che venisse a cercarti addirittura qui solo per impedirti di uscire con Giancarlo, ma dato che ti ha lasciato dovrebbe essere tutto a posto con tuo padre, no?”
Selvaggia la guardò confusa. “Ma di cosa stai parlando?”
Ludovica sembrò spazientita. “Del fatto che adesso che tu e Giancarlo vi siete lasciati tuo padre non ha più motivo di preoccuparsi tanto. In fondo lo capisco, quando venne qui sembrava davvero preoccupato e io gli dissi la verità su Giancarlo. Sai, non potevo mentire…”
“Di quale verità stai parlando?”
La fissò assottigliando gli occhi. Cosa si era inventata, adesso? Si era completamente dimenticata dell’uomo in nero, in quel momento esisteva solo Ludovica e la sua ennesima frottola.
Ludovica sbuffò divertimento. “Ma di me e di Giancarlo, no? Non lo sai? Da quando vi siete lasciati io e lui ci siamo visti spesso, non lo sapevi?”
Selvaggia rimase di stucco e restò a bocca aperta. “No… non sapevo niente…”
Ludovica ridacchiò nuovamente. “Ora capisco tutto! Ma non ti preoccupare, non inizierò a vantarmene come facevi tu. Mi dispiace solo che abbia dovuto dirtelo in questo modo, credevo che Giancarlo te ne avesse parlato. Quando sono stata a casa sua in quella cucina un po’ buia ma caratteristica, sono stata bene con lui…”
Ludovica descrisse in modo molto preciso la cucina di Giancarlo, perfino la collezione di bottiglie antiche di Coca Cola che sua madre teneva in una mensola. Non riusciva a credere che Giancarlo non le avesse detto niente. Di colpo smise di ascoltarla, quel continuo cicaleccio iniziò a darle fastidio. Era troppo sconvolta per continuare ad ascoltare quelle parole senza senso e, senza neanche salutarla, si allontanò, dirigendosi verso casa sua. Era troppo confusa per ragionare con lucidità.
Ludovica la guardò andarsene, visibilmente infastidita che se ne fosse andata senza neanche salutarla. La richiamò inutilmente. Poco a poco un sorrisetto appuntito comparve sulle sue labbra.
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