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LA PROVA DI DESTREZZA

La battuta di caccia si tenne nel parco di Rishi, a pochi passi dal confine con la foresta. Prima che si riversasse nella giungla, mergendosi con essa, la riserva era dominata da ampie zone erbose, chiazzate da boschetti di bambù e palme. Sottili torrenti percorrevano l'oasi, ruscelli che serpeggiavano fra canne e giunchi, immersi nella gramigna che ondeggiava al vento. In poche settimane avrebbero straripato creando acquitrini e fermando la caccia.

Gli uomini procedevano a cavallo, mentre dietro di loro un carro trainato da un mulo seguiva la spedizione, con due naga robusti che in silenzio lo spronavano ad andare avanti. Un gruppo di corvi si alzò in volo gracchiando. Un merlo nero li fissava da un ramo, gli occhi neri che luccicavano con interesse, mentre una brezza leggera faceva frusciare le foglie.

«Un colpo solo, diritto in mezzo agli occhi.» Itachi dava adito ai sogni, pensando con esaltazione di braccare una tigre.

«E dopo che farai? Te la metterei in spalla e andrai a spaventare i naga?» Lo rimbeccò Sato.

«Sciocchezze. La farò imbalsamare.»

Daichi rise scuotendo la testa.

«Allora non è in mezzo agli occhi che la dovrai colpire, Itachi,» lo prese in giro Sato. Tese l'arco. Scoccò la prima freccia che sparì nella vegetazione intricata del sottobosco. Ne prese un'altra e non appena lo stormo si ebbe alzato in volo, puntò la pernice che si era attardata a salire. Due frecce sibilarono parallele.

«Sergente.» Protestò Sato quando la pernice venne trafitta da entrambe. «Come ce la spartiamo ora?»

Amane rise. «Dovrai essere più svelto, Sato. Una distrazione ti può costare la vita. Si lanciò nella direzione dove avevano visto cadere la preda, mentre dietro di lui Sato aveva preso a spronare il cavallo. «Sta barando, sergente!» gli gridò.

Barando o meno, Amane l'aveva spuntata. Ciò non fece alto che incitare Sato a vincere. Tentò un paio di volte di fare altrettanto e colpire la preda che il sergente stava seguendo, ma dopo una serie di fallimenti, aveva preso distanza, andando a braccare un paio di antilopi azzurre nell'erba alta.

Amane lo osservò tirare e di proposito spaventò l'animale o lo uccise prima ancora che Sato potesse tendere l'arco. Lo vide arrabbiarsi, avercela con se stesso e in ultima cercarsi un'altra area di caccia, con lo sguardo serio e pieno di concentrazione. Amane sorrise e continuò quietamente la caccia.

Il ragazzo era giovane, ma a volte si montava la testa e la smetteva di impegnarsi. Quando lo faceva finiva per travisare gli allenamenti, dandosi invece a piccole risse fra i cadetti. Non era la direzione a cui lo voleva puntare. S'infiammava facilmente, rispondendo a provocazioni anche blande, andando a competere per un non nulla e prendendosela non raramente con i naga.

Si chiese che cosa serbasse il futuro, a lui e agli altri. Non tutti avrebbero continuato nella milizia. Di Itachi ne era sicuro, la sua famiglia lo voleva vedere in politica, ma non aveva ancora superato la fase del disimpegno che gli faceva voltare le spalle agli studi.

Quanto a Daichi, non aveva nessun familiare a Patala, essendovi giunto come soldato semplice. Partito volontariamente per la guerra con il proposito di fare carriera, aveva finito per restare ferito e trascorrere gli ultimi mesi del conflitto in un ospedale. La convalescenza probabilmente gli aveva salvato la vita e risparmiato lo scempio di quella avanzata sanguinaria, che aveva prodotto migliaia di caduti poco prima della vittoria. Gli aveva anche risparmiato i naga sadhu.

Di Kazuya invece non era certo. Poteva vederlo comandare qualche operazione strategica e disporre di uomini sotto al suo comando, ma non agire sul campo. Conosceva a memoria le tattiche da usare in battaglia e non avrebbe esitato a recitare i passaggi dei trattati che discutevano di guerra. Ma essi non avevano fatto altro che consolidare quella che Amane credeva fosse una posizione prettamente pacifista.

Kazuya, di appena di diciott'anni, più giovane di quanto non fossero gli altri, non aveva mai combattuto. Era giunto insieme alla famiglia a cui erano stati assegnati dei territori, per qualche servizio reso in patria. Accade appena prima che venissero tutti esiliati a Patala. Amane si chiedeva a volte se non fosse stata invece una punizione severa o piuttosto una condanna a morte, esercitata dall'Imperatore in persona.

Continuò a seguire i loro progressi tenendosi in disparte, cogliendo qualche sprazzo di conversazione. Le battute di Kazuya su Itachi continuarono senza lenire la foga con cui Itachi sperava di scovare la tigre. E infatti fu un grande disappunto per lui, che dopo qualche ora non solo non ne aveva intravista una, ma era rimasto di gran lunga indietro sulla caccia.

Indispettito sfogò la sua ira su un pavone, che fra i cespugli stava corteggiando una femmina. La freccia gli trapassò il collo abbattendolo al primo colpo, senza che avesse avuto il tempo di fuggire. Imprecò facendo il segno al naga di andarlo a prendere mentre fissava il carro di malavoglia.

A uscirne veramente soddisfatto, per quanto non avesse preso un granché, fu Daichi. Si sosteneva da sé e Amane si chiese quanto il ritmo di Itachi, Sato e Kazuya gli pesasse davvero economicamente.

I naga finirono di trascinare il bottino sul carro per portarlo in centro. Mentre aspettavano che caricassero le carcasse, Itachi fece particolare attenzione perché non rovinassero la pelliccia della loro cacciagione.

«Ci rivediamo in caserma,» annunciò Amane, salito che fu sul cavallo.

«Quale caserma? Abbiamo il pranzo, sergente.» Itachi si voltò verso di lui abbandonando la supervisione.

«Ve lo pagherò io la prossima volta,» asserì Amane gettando un'occhiata al tempio. Era appena a due passi da lì, immerso nella vegetazione e circondato dagli stagni. Scorgeva la sua torre da distante e le guglie che si stagliavano in alto con minaccia. Si stava approssimando il mezzogiorno, la celebrazione doveva essere già iniziata.

Sato gettò sul carro il fagiano che si portava dietro, la mano destra fasciata da un guanto di pelle. «Ci sta mollando, sergente? Si è trovato di meglio da fare?»

«Morditi la lingua, Sato. Non vi sto mollando. Ho un appuntamento da attendere.»

Itachi fece un occhiolino a Sato. «Romantico, sergente?»

«D'affari.» Amane sorrise dal suo cavallo. «E quando avrò finito con gli affari, vi porterò in un locale dove friggono i serpenti, i migliori che si possano mangiare.»

«E alcol?» chiese Kazuya con una punta di divertimento.

«E pure donne.» Amane fece girare il cavallo afferrando saldamente le redini. «Se vi trovo ubriachi stasera, avrete turni doppi da scontare. Se volete bere, non fatevi beccare.» Così dicendo se li lasciò dietro, mentre il suo sorriso sbiadiva fissando il tempio di Manasa. 

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