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IL TEATRO

Amane avanzò fra gli spalti. Risalendo la scalinata, ebbe accesso a un corridoio interno che portava al balcone centrale.

Il colonnello lo attendeva guardando l'orda dei naga che si riversavano dentro il teatro. Sotto ai suoi occhi si spartivano i posti, si ammassavano gli uni sugli altri come bestiame.

«Hiroto, spero che apprezzerai. Se fosse stato qualcun altro a chiedermelo, gli avrei detto di fottersi.» Amane si accomodò accanto a lui, guardandosi attorno a disagio. Erano soli. Dei pesanti tendaggi li isolavano dal corridoio, i balconi laterali erano vuoti e loro due si ergevano al di sopra dei naga di fronte al palcoscenico.

L'ufficiale sorrise sorseggiando lentamente il vino. Era un uomo maturo, con il corpo robusto e imponente; il viso severo e dai tratti spigolosi era attraversato da rughe profonde nonostante i suoi quarant'anni. Scrutava i naga con occhi neri e penetranti dal taglio sottile, con un interesse che Amane non sapeva condividere. Teneva accanto a sé la spada sfiorandola di tanto in tanto per abitudine.

«Goditi la serata, Yamato. Le ragazze sono abili e graziose. Sono capaci di stregarti. Non è uno spettacolo da quattro soldi che la tua squadra va a vedere.»

Non hanno tutti i torti. Amane sospirò. «Mi fido del tuo giudizio,» mentì. Si versò del sakè che l'ufficiale si era procurato per l'occasione.

Hiroto era un appassionato di teatro. Un estimatore molto colto che apprezzava la bellezza. Ma solo un certo tipo di bellezza. Assisteva agli spettacoli in cui si esibivano le naga compiendo rituali in onore dei deva, le divinità che dominavano Patala.

Non appena si diffusero le prime note dei tamburi e della vina, fra gli spalti scese un devoto silenzio. E anche Hiroto tacque. Le lente movenze delle ballerine riempirono il palco. Ciascun passo, ogni gesto era seguito dai suoni squillanti di sonagli e cimbali. Erano movimenti armonici che creavano una danza aggraziata e sensuale, rievocando il flettersi di un serpente sacro, manifestazione del divino. Accanto a lui Hiroto spiegava il senso dei gesti tracciati in aria, come una scia satura di significato. Erano simboli alla pari delle parole, che narravano una storia mitica di un passato lontano.

Amane non poteva che provare una repulsione naturale. Quella danza era una maliziosa provocazione mascherata da un velo di sacralità.

Ecco le differenze, ecco l'aspetto retrogrado di una società infima.

Gli haku avevano un proprio repertorio di leggende ed eroi, ma non erano intrappolati nella rete di rituali e superstizioni dettate dalla religione. Ne avevano stroncato la vena fin dagli albori, sviluppandosi all'insegna della scienza, dell'evoluzione civile e militare. La loro storia si era purificata per vivere libera dalla menzogna.

Guardando i naga nella sala sottostante, li vedeva bearsi di quelle tradizioni. Il fatto che nascondessero l'erotismo dentro il sacro donava loro un'aura di perversione. Hiroto, un uomo colto e un ufficiale che aveva combattuto con Amane nella stessa guerra, stava coltivando quello stesso vizio. Con il tempo che vi dedicava, aveva imparato a memoria il significato dietro quell'arte. E come conseguenza era stato ammaliato da più di qualche ballerina che aveva visto esibirsi. Non era il solo. Gli haku avevano coltivato una fama deprecabile, nel prendere le ragazze con la forza e pestarle come falene.

Distrattamente Amane guardò Hiroto, chiedendosi se si fosse mai spinto a tanto.

«Che cosa c'è?» chiese lui, staccando lo sguardo dallo spettacolo. «Non ti piace?» C'era una sincera delusione nella sua voce.

Amane tornò a osservare il palco. «Mi stavo chiedendo se conoscessi qualche nome importante qua a Devi. Gente nell'ombra, che conosce i segreti di quelli che contano. Mi riferisco a qualcuno fra i naga.»

Hiroto lo osservò interessato. «Una professionista?» Un'immagine iniziò a formarsi nella sua mente.

«Non una di quelle che credi tu.» Amane si portò il bicchiere alle labbra bevendone appena un sorso. «Gira voce fra gli ufficiali che ci sia una fonte sicura di oppio. Ne sai niente?»

«Oppio?» Prima la sorpresa poi lo sdegno si impossessarono di Hiroto. Si mosse sulla sedia a disagio, con la tensione a irrigidirgli i muscoli delle spalle e del collo.

«Sono voci che girano.»

«Basta con le stronzate, Amane. L'oppio è illegale. Ci è precluso. Punto. Fine della storia.» Aveva alzato la voce.

«Lo so, è destinato ai naga. Eppure, avendo la possibilità di procurarselo... È una bella tentazione per chiunque, non meno per la milizia.»

«Calunnie! Sono parole gravi, sergente,» lo accusò rimarcando il grado che aveva nella milizia. «Senza più il titolo di colonnello a coprirti le spalle vola basso, altrimenti te le tagliano, quelle ali.»

Amane sorrise. «Non sono calunnie se parlo per supposizioni. Accidenti, mi sono lasciato distrarre. Francamente, Hiroto, non mi interessa fumare l'oppio. Ho bisogno di qualcuno che abbia risorse e informazioni. Qualcuno che si può corrompere facilmente.»

«Un informatore per cosa? Ti stai scavando la fossa da solo, Amane, e non è un bello spettacolo, te lo dico io.»

«Allora non ascolti. Ti sto dicendo che non vado dietro l'oppio e neppure dietro a chi lo fuma. Non è una faccenda che mi riguarda.»

«Fai bene allora.» Hiroto si versò da bere svuotando il bicchiere tutto d'un fiato.

«Se ho ragione, i naga si stanno creando un altro idolo da adorare e per cui combattere. Se ci riescono, la storia si ripeterà nel sangue.»

Il sollievo, che Hiroto provò nel sentire che l'oppio non era coinvolto, finì sotto un'altra apprensione. «Che genere di idolo?» Si accigliò. Non stava più prestando attenzione allo spettacolo. «Qualcuno deve averti messo una pulce nell'orecchio. Di che si tratta? Cosa sai?»

«Il problema è che non so. Sono ipotesi, ma basta guardarli: anche nell'esibizione parlano di una nuova era e dello splendore che ritorna a Patala.»

Hiroto sorrise debolmente rilassandosi sulla sedia. «Ipotesi, dici?»

«Pensala in questo modo: se estinguiamo ogni ribellione prima che nasca, non ci sarà bisogno di estrema violenza. E senza violenza basterà inculcare terrore e rispetto nella nuova generazione, perché abbia nel sangue l'obbedienza. Se non possiamo tornare a casa, dovremo imporci in un altro modo. Con una riappacificazione controllata potremo trovare in futuro una cura, lì da qualche parte in mezzo a loro. Ci risolleveremo, Hiroto, anche se dovessimo guardare la morte in faccia per farlo.»

Hiroto batté lentamente le mani con un'espressione divertita. «Che cosa ti devo dire? Sei un idealista, Amane. Non ti credevo così... come si dice? Passionale?»

Amane non rispose alla provocazione. «Hai un nome? Qualcuno che abbia occhi e orecchie in qualsiasi affare della città?»

«E non ti interessa l'oppio.»

«Minimamente.»

L'ufficiale intrecciò le dita mentre sospirava rassegnato. «Curioso che tu abbia nominato l'oppio. Chi ho in mente gestisce un bordello, più di uno in realtà, che è molto frequentato dai nostri. Se ne dicono di tante, ci saranno pure dicerie, ma la naga che lo gestisce ha molti affari che passano per le sue mani. Sfruttamento illegale non di meno.»

«Grazie,» fece Amane con un cenno di riconoscenza.

«E così, chi dei tuoi ha svuotato il sacco?»

Amane si lasciò sfuggire un sorriso. «Solo voci, colonnello, nient'altro che voci.»

«E cos'è che dicono le tue voci di preciso?»

Lo spettacolo a quel punto era una mera distrazione. Amane si chinò verso Hiroto. «Dicono che apparteniamo a due razze diverse, come lo sono i falchi e le vipere. Dicono anche che non siamo noi la razza inferiore. Siamo destinati a ergerci sulle rovine e a dominarli, far nascere una civiltà nuova, forte, pura, che sarà da esempio per il mondo intero.»

Hiroto ne sembrò entusiasta. Trascorse la serata parlando ad Amane di teorie filosofiche sull'importanza della razza e di come, senza una distinzione definita, non ci fosse progresso. «Ci deve essere sempre chi sfrutta e chi è sfruttato, è lo stato di natura e la natura è legge,» gli diceva.

Mentre ascoltava, Amane rivolse uno sguardo alla donna che si esibiva sul palco, al suo capo decorato con fiori freschi. Il bianco dei crisantemi esaltava la sua pelle olivastra che splendeva sotto le luci del teatro. La vide flettersi e danzare, le mani impegnate a tracciare segni in aria con un esteso, costante sorriso sulle labbra.


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