Capitolo 9
Allora miei amati wappadiani, ecco il nuovo aggiornamento e vi ringrazio infinitamente per il vostro appoggio, siete fantastici.
I misteri della 'La tua Canzone' sono molti e vi lasceranno col fiato sospeso sopratutto nei prossimi capitoli dove scopriremo cosa ha in mente Josh Watson. Qualcuno fantastica anche su una possibile nascita di una coppia Tani/Josh oltre che sulla già quasi Sofi/Alan.
Ma è tutto ancora incerto.
Sappiamo che ogni storia non è mai come una se la aspetta e che forse prima di scrivere il nostro 'happy Ending' dovremmo lottare per conquistarlo. Riusciranno i protagonisti a vincere tutti gli ostacoli? Non vi resta che seguirla nei vostri elenchi di lettura per essere sempre aggiornati.
Baci Jo_14
[Pov's Sofia]
Ma dove va?
La mia testa iniziò a ingarbugliarsi mentre con opportuna distanza seguivo Alan fuori dalla struttura del college. Qualche volta si fermava improvvisamente, si voltava per ispezionare il corridoio desertico e io prontamente mi nascondevo dietro a qualche grande colonnato per non essere vista e acquattata sbirciavo affacciandomi cautamente.
I meravigliosi occhi mare di Alan Taylor ruotavano con un certo timore. Era come se volesse assicurarsi che nessuno lo seguisse, come se da un momento all'altro potesse comparire un Ninja armato che lui avrebbe dovuto combattere, ma questo poteva succedere solo negli stupidi film Thriller che Tania preferiva e che ogni sabato noleggiava con la nostra speciale pizza.
Io amavo cose più soft, non romantiche, quelle mi davano la nausea sopratutto quando gli attori si sbaciucchiavano come se si conosceressero da tanti anni.
Se avessi dovuto baciare un altro che non fosse il mio ragazzo, non avrei mai voluto essere scritturata. Non amavo ficcare la mia saliva in altre salive, per questo i miei gusti in fatto di movie cambiavano a secondo del mio umore, ma principalmente preferivo qualcosa che mi facesse ridere come Fantozzi.
Tania lo detestava.
Gli opposti si attraggono, scientificamente.
In fatto di movie era guerra, ma vinceva sempre lei con il suo Casablanca contro i miei film panettoni, quello che preferivo
Natale in Egitto. Però non ricordavo bene il titolo quindi sarò approssimativa.
Detestavo perdermi nei miei oscuri pensieri perché mi isolavo dal mondo, entravo in un'altra dimensione e non dovevo, anzi non potevo o perderò di vista la mia preda.
Alan smise di guardarsi indietro, e voltò il capo davanti a sé, con un forte sospiro di sollievo.
Sghignazzai silenziosa, uscii allo scoperto e continuai a camminargli dietro, a passo silente, appoggiando a malapena la suola sul pavimento. Fortunatamente non venni scoperta, ed era un bene, così potevo scoprire cosa lo tormentava.
Me ne compiacevo, sentivo che il lavoro stava procedendo a gonfie vele. Ottimo, Alan sei mio.
No, non pensate male.
Il mio non è riferito a quello che tutti stanno pensando, so che pensate sia cotta ma non è così, è otto anni più grande, non sono masochista né lui è pedofilo, chiariamo questo concetto che può ingannare.
Lo seguii finché non imboccò il portone principale di uscita, diretto forse alla piazzola del college dove accanto a due macchine vi era percheggiata una Porche bianca con strisce nere disposte lateralmente.
Prima che lui si avvicinasse alla portiera del conducente mi rintanai dietro a un grosso cespuglio; mi sollevai con le punte delle converse piegate verso l'alto e lo osservai sbloccare con l'apposito telecomando e aprire la portiera per poi infilarsi dentro.
Mi abbassai mentre udii il rimbombante sbuffo del motore partito. <<Dannazione, lo perderò di vista sicuramente.>> grugnii infastidita per quell'iniziativa.
Non poteva continuare a vagare come un solitario per il college?
E poi dove voleva andare se ancora non aveva completato il corso di musica?
Non potevo tenermi tutte queste domande vorticanti nella testa, dovevo seguirlo, con o senza vettura, anche con i pattini a rotelle, con un motorino, o anche senza.
Dovevo assolutamente scoprire ciò che nascondeva.
Ma con cosa?
Alan pareva aver già inserito la prima marcia e stava lasciando il parcheggio. Avrei dovuto subito mobilitarmi per seguirlo fin dove poi si sarebbe fermato. Mi guardai in giro per trovare qualcosa, non era rubare ma semplicemente prendere in prestito, ma non notai nulla manco al posteggio delle biciclette.
L'unica cosa era la macchina.
Lasciai il piccolo cespuglietto e mi diressi sicura verso una macchina di grande cilindrata rossa, ferma vicino alle ringhiere dell'entrata da cui Alan era appena uscito.
Accarezzai dolcemente la maniglia, ma essa azionò un trillo sostenuto.
Maledetto antifurto.
Avevo però imparato dalle arti di di Josh a farlo tacere e a forzare la maniglia; presi una piccola molletta che mi teneva insieme la capigliatura raccolta in un'alta coda di cavallo e la lasciai girare il più possibile fino a che non udii un rumore metallico e quella si aprì sotto ai miei occhi.
Bingo!
Entrai, chiusi e misi in moto.
Non sapevo assolutamente come si guidasse quel coso, la visuale pareva assai difficile per una piccoletta come me e non avevo ancora capito bene come funzionasse la frizione e il freno. Era tutto così difficile persino tenere in equilibrio lo sterzo in modo di non tamponare le altre vetture o andare a sbattere.
Dannazione! Ma cosa diamine mi è venuto in mente? Guidare? Se non ho manco una patente?
Josh avrebbe dovuto essere lì, seduto al sedile anteriore a dirmi che ero un'imbranata, che non sapevo distinguere nulla né carreggiate né corsie, e che ero completamente impazzita, pazza di amore - come ipotizzava lui.
Perché mi mettevo alla guida senza sapere nemmeno come fare?
Ero davvero diventata eccentrica.
No, volevo solo sapere cosa preoccupasse il mio professore, era normale rubare una macchina che non era mia, mettersi al volante, seguirlo come una Stalker per vie sconosciute fuori dal college, rischiare una contravvenzione, era tutto normalissimo se fatto con quoziente pari a zero.
Sterzai nella curva, girai tutto il volante finché sentii il muso davanti raddrizzarsi e correggere la direzione che si stava proiettando contro il tronco di un albero piegato sulla strada. Sospirai e guardai dal vetro del parabrezza la macchina che mi precedeva, quella di Alan, perché la sua folta chioma corvina era riconoscibile fra tutte le altre.
[Pov's Alan]
Ero diretto nel Wisconsin.
Ci andavo anche prima di finire il corso, bastava solamente farsi compilare un permesso dal preside Dickens e potevo liberamente uscire anche se avevo ancora l'orario sul calendario da seguire.
Era esattamente ciò che avevo fatto quel giorno, volevo accettarmi che le condizioni di mia madre fossero stabili e avevo deciso di appurarlo personalmente per non disturbare il nostro vicino. Ero sicuro che mamma si sarebbe arrabbiata, a lei non piaceva che lasciassi la cattedra solo per quei cinque chilometri che ci separavano per controllarla come una guardia carceraria.
Per lei la sua malattia era come una banale influenza con raffreddore e brividi di freddo, non una malattia terminale, maligna, che avrebbe potuto portarla via in qualsiasi momento della sua giornata.
Preferiva vivere gli attimi come se fossero i primi e conservare quelli migliori, rimuovendo i peggiori.
Nonostante questo le avevo ripetuto centocinquantamila volte che mi sentivo più sollevato se potevo passare nel Wisconsin tutti i giorni. Lei mi aveva risposto che bastava fossi stato più felice io, a lei interessava che non litigassimo in questi ultimi momenti che ancora ci restavano e io avevo lasciato perdere la storia facendo di testa mia, così da poter passare più tempo e prendermi cura della mia fragile bambina.
Quel giorno era esattamente quello che volevo fare: prendermi cura di lei e starle vicino a osservarla, mentre infagottata nel plaid le sue ciglia nere accarezzavano dolcemente l'aria e la sua bocca si chiudeva e schiudeva, a volte increspando un sorriso. I capelli tenuti legati si appiattivano sotto la nuca a contatto col cuscino di lattice.
Guardai la strada dietro di me dallo specchietto retrovisore centrale, e vidi che troneggiava un enorme fuoristrada che somigliava vagamente alla macchina del preside Dickens, ma non ero del tutto sicuro, dopotutto molte erano fabbricate a quel modo, con quella stessa struttura.
Mi soffermai non tanto sulla vettura ma sul conducente.
Notai familiarmente quelle ciocche nere e lunghe, che le sfioravano il petto al lato destro. Non poteva essere che tutte le persone, tutte le cose che avevo intorno a me mi ricordassero quegli occhi dolci, misteriosi, dalla trama verde speranza.
E invece era così, la conducente mi ricordava Sofia.
Adocchiai ogni singolo particolare per dare un senso logico a quella mia tesi impossibile, ma la macchina stava a una distanza tale da non permettermi di focalizzarne i tratti.
Ero stufo di vedere ciò che in realtà non esisteva.
Quella donna non era lei.
Sofia era segregata al college.
Non poteva essere stata così pazza da seguirmi senza che me ne accorgessi e non poteva nemmeno essere stata così imprudente da rubare la macchina e mettersi al volante senza contare dei pericoli che avrebbe incontrato durante il tragitto.
No Alan, sei tu che sei strano e vedi lei in ogni direzione.
Vedrai.
Vedrò, ma ormai sono convinto.
Sono convinto di ciò che è cretino.
Perché Sofia dovrebbe stare in quella macchina?
Scossi la testa con fare smanioso e misi le quattro frecce, diminuendo le marce, tirando poi il freno a mano accostando.
Aprii la portiera, la conducente fu portata a rallentare.
[Pov's Sofia]
<<Cazzo!>> urlai sbattendo le mano sul volante, quando Alan si dispose al centro per fermarmi.
Cercai col piede la frizione, poi diminuii la velocità col freno fin quasi a fermarmi.
La macchina tremò.
<<E adesso?>> Mi domandai.
Alan non appena vide la grossa vettura fermarsi, si avvicinò.
<<Oh.>> spalancai la bocca.
Mi portai le mani ai capelli, arruffandonfoli per l'ansia.
<<Che faccio!?>>
Decisi di staccare la macchina con il freno di stazionamento inserito.
La soluzione era cercare di velocizzare tutti i suoi rimproveri su quanto fossi stupida, con quel viso corrugato che lo rendeva ancora più carino.
Saltai giù e gli andai incontro, con viso dispiaciuto.
<<Sofia?>>
Non appena gli fui vicino, quasi sul punto di sfiorargli il petto che si muoveva convulsamente, la sua voce si incrinò.
<<Che ti salta in testa Sofia!>>
Mi rimproverò, ma ciò significò molto, e cioè che nel suo incoscio pensasse a me. Ma che diamine?
<<Volevo fare un giretto.>> mentii.
Alan inarcò un cipiglio.
<<Ah sì?>> domandò suonando sarcastico, quasi come se mettesse in dubbio ogni mia parola.
<<Perché non mi credi?>>
<<No.>> tagliò corto.
Finsi di essere amareggiata.
<<Mi stai offendendo.>>
Alan fece un sorrisetto in risposta.
<<Sì può sapere perché ridi?>>
<<Non sono un fesso.>>
<<Ma io non ho detto questo.>> replicai.
<<Sì invece, non sono stupido.>>
Era inutile, Alan riusciva a fiutare ogni mia bugia.
<<Hai la patente?>> chiese ancora.
Panico totale.
<<S-sì.>> mormorai.
<<Ottimo, mostramela.>> fece, allungando la mano.
Iniziai a sudare freddo rovistando nelle tasche del pantalone per trovare quella stupida carta che attestava la mia idoneità alla guida che non avevo.
<<Be l'ho lasciata a casa.>>
Alan ritrasse la mano, accennando un altro sorrisetto strafottente.
<<Bene, non c'è l'hai e quella macchina.>> me la indicò alle spalle. <<Sono sicuro che non è tua.>>
Rimasi in silenzio. Era abbastanza per me quell'interrogatorio.
<<Uhm.>> mugugnai. <<È stato solo un piccolo equivoco.>>
Cercai di salvare l'insalvabile.
<<Equivoco?>> ripetè. <<Sofia è pericoloso mettersi alla guida senza patente e sopratutto rubare una macchina che non è tua.>>
<<Ma non l'ho rubata!>>
<<Senti Sofia, quella macchina è del preside Dickens non tua e questo è rubare.>> spiegò.
<<No Alan ti prego.>>
<<Sofia sei uscita dal college senza permesso, per favore, non complichiamo le cose.>>
Io abbassai lo sguardo, cercando di fargli compassione.
<<Adesso ti faccio riportare al college da un mio amico.>> mi disse, mentre prendeva il telefono e componeva il suo numero.
<<Oh no, ti prego. Voglio venire con te, non voglio tornare Alan.>>
Alan mise in chiamata.
<<Alan cosa posso fare?>>
Lui mi guardò, i suoi occhi erano di nuovo nei miei, più splendenti dei diamanti.
<<Nulla.>>
<<Dai.>> incalzai.
<<Sì.>> mi si avvicinò con il cellulare premuto all'orecchio. <<Una cosa potresti.>>
Io sorrisi speranzosa.
<<Cosa?>>
<<Stare zitta per un secondo.>>
Io gonfiai le guance, incrociando le braccia al petto come una bimba piccola che fa i capricci perché non vuole andare a scuola.
Lui tacque mentre il suo amico gli rispose. <<Ehi amico!>> esclamò a tono scherzoso.
<<Avrei un problema. Mi servirebbe un passaggio per una ragazza un po ' pazza.>> poi si zittì. Si limitò a scuotere la testa.
<<Ho capito. Sei in Wisconsin?>>
Di nuovo silenzio, solo leggeri gesti del capo in alto, in basso, a destra e a sinistra. <<Ah. Capisco.>>
L'ultima cosa che mi serviva per convincerlo era mostrarmi più dolce, gentile e dire la verità.
Sospirai forzatamente.
<<Alan.>>
Il diretto interessato si voltò nella mia direzione.
<<L'ho fatto solo per te. Voglio che tu sia sincero con me, voglio che mi dici cosa ti succede, voglio essere la spalla su cui piangerai.
Voglio che ti senti bene, tutte le pazzie le ho dedicate a te.>>
Mi guardò a occhi sgranati.
Forse non se lo aspettava, e nemmeno io.
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Angolo Autrice •°°•°•
Salve wappadiani!
Benvenuti nel mio nuovo aggiornamento. Sofia ha fatto una pazzia per Alan, e il ragazzo sembra molto arrabbiato.
Adesso come reagirà il nostro bel protagonista di fronte alla confessione dolce della nostra Sofia? Non vi resta che aggiungere questa storia nel vostro elenco letture per scoprire tutti i retroscena della storia di Sofia Baglietti e Alan Taylor perché le sorprese saranno molte dai prossimi capitoli. Cosa accadrà?
Se vi è piaciuto questo capitolo non dimenticate di leggere, commentare e votare con una stellina. Mi farà sempre piacere
Jo_14
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