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Capitolo 45

[Pov's Tania]

In quei momenti la mia vita mi era passata dinanzi agli occhi come il flash di una fotocamera durato pochi secondi. Credevo che non sarebbe mai finito, che lui avrebbe continuato ad infierire su di me come una bestia nonostante io avessi cercato di spingerlo via da me, di urlargli contro che era un bastardo, di divincolarmi da quella posizione con le poche forze che mi erano rimaste. Alla fine però non ci ero riuscita. Lasciai che le cose andassero come aveva deciso il destino covando la speranza che telepaticamente la mia testa avrebbe inviato un messaggio in quella di Josh e che lui sarebbe corso a salvarmi da quel mostro. Ma ciò rimase solo un desiderio che morì nell'istante in cui quel mostro concluse la sua pratica erotica inculcandomi nel corpo quella cosa viscida che mi faceva ribrezzo. Ogni anfratto della mia anima andò in frantumi. Ogni tentativo di evitarlo, con i calci, i pugni sferrati contro il suo petto, con le grida disperate ovattate dal di fuori dai vetri scuri e spessi, e nell'oscurità del veicolo dalle lacrime che scivolavano sul volto, le suppliche che sgusciavano via dalle mie labbra prive di ossigeno.

Non era servito a nulla.
Alla fine aveva raggiunto il suo ignobile scopo.
Si spostò da me lasciandomi svuotata e tornò al suo posto. Il mio corpo avrebbe voluto fuggire, fuggire via da lui, ma restava attaccato al sedile anteriore con la cintura allacciata. Incosciamente immaginavo di camminare a piedi scalzi su un filo protratto dalla luce all'oscurità, una luce che si stava affievolendo mentre trionfava il buio che avvolgeva ogni minimo dettaglio di quel posto. Iniziavo poi a correre, mentre il filo lentamente avanzava seminando la felicità alle mie spalle. Il nastro finì per convergere al centro.
Di lì non si poteva più andare, era come un trampolino verso quel mare burrascoso che accoglieva qualche anima che veniva trascinata dalla corrente, lontana dalla salvezza, e alla fine sommersa dalle acque scendeva di sotto e non riaffiorava più. C'era una forza che ti spingeva a gettarti nel vuoto per annegare nei problemi che ti portavi nel petto come un grosso macigno, e anche se cercavi di resistere ogni sicurezza ti abbandonava. Avrei voluto immergermi a capofitto in quella massa acquosa nera come la pece ed abbandonarmi completamente nel dolce moto delle ondose che si infrangevano contro gli scogli. Il mio corpo lo avrebbe voluto, ma la mia mente no. Restava in piedi e si allontanava, volava via con la leggerenza di una piuma, verso un posto completamente diverso con il sole che accarezzava e illuminava ogni oggetto intorno a sé e dove non c'era quella figura rivoltante che stonava con quella maestosa visione. La figura minacciosa che aveva giocato con il mio corpo come con un pezzo di cristallo fragile, in cui si formavano crepe al suo interno.
Il mio corpo era martoriato dalle cicatrici che ancora versavano sangue e che anche con il mio sforzo non riuscivano a rimarginarsi. Ci voleva qualcuno che lo facesse per me, e in una piccola parte di me stessa immaginavo che quel qualcuno avrebbe potuto essere Josh Watson, ma poi tornavo ad essere obiettiva e scacciavo via dalla mia testa questo pensiero.
Non mi sarei mai mostrata debole dinanzi a un cretino.
Quando mi toccavo si materializzava sulla mia retina quei momenti prima di lotta, di possesso, di erotismo, e mi vergognavo di me stessa, di non essere riuscita a fermarlo, di essere rimasta inerte perché potesse fare i comodi suoi, e credevo che se lo avrebbe fatto una seconda volta non avrei fatto nulla per impedirglielo perché avrebbe soffocato i miei gemiti di paura, le mie lacrime, la mia debole resistenza, provocandomi altri segni, altri lividi che non avrei sopportato.
Avrei squartato tessuto dopo tessuto, pelle dopo pelle, pur di estirparne il suo lurido profumo, il suo lurido dito che ancora percepivo arrampicarsi sulle mie gambe, la sua bocca umettata di saliva che mi mordeva il collo e mi lasciava altri segni tangibili della sua dominanza; aveva concluso quando liberandosi del mio ultimo strato aveva spinto quel viscidume dentro di me, che ancora mi faceva vomitare. Le fitte che si irradiavano nel basso ventre erano ancora sostenute e si susseguivano, dolorose, come spilli appuntiti. Come se quel viscidume contenesse chiodi e mi stesse rompendo dall'interno.
Vorrei squartare tutto. Rimanere solo con le ossa, l'unico strato mai intaccato ma ormai fragile, deteriorato, spappollato che mi sosteneva ancora con fatica.
Mi sentivo sporca anche se non lo ero, mentre scivolavo con la schiena sulla tappezzeria ruvida del sedile della sua macchina. Perché ero ancora lì?
Lui aveva lasciato il parcheggio e adesso ci stavamo muovendo verso la strada principale del Minnesota. Guidava attento ma con un ghigno diabolico disegnato sul suo volto, che mi faceva sentire ancora più stupida. Mi trapanava il petto, era orribile, volevo andare via, tornare al college e porre fine a quel supplizio abbandonami nel tepore delle coperte.
Fissavo il finestrino chiuso. La movida americana notturna continuava imperterrita a non interessarmi. C'era l'adrenalina, l'energia dei ragazzi che passeggiavano sui marciapiedi a grandi gruppi parlando del più e del meno, le discoteche, i bar, i tavolini dei ristoranti fuori e dentro pieni, i semafori che scattavano prima giallo, rosso, poi verde e il traffico delle macchine incollonato a destra e a sinistra che ansimava di voler passare sgommando, prima di rimanere nuovamente bloccati alla linea trasversale. In tutta quella atmosfera di piacevole divertimento, io ero indifferente. Per me quella serata era da dimenticare, volevo solo aprire quella dannata portiera e sentirmi libera di respirare a pieni polmoni l'aria gelida della notte dinanzi alla scritta "Mc Nancy Nally Smith" finalmente gli eventi di quella notte sarebbero stati solo un vano ricordo come tanti altri. Il mio volto stravolto si specchiava, si deformava, si scuriva, si rischiarava nel vetro del finestrino. Non era rimasto più niente del trucco impeccabile di Sofia, solo un clown del circo. L'eyeliner nero sapientemente applicato con una linea dritta sopra la palpebra mobile era sbiadito e stava colando verso la mandibola, trascinandosi dietro una scia. Il rossetto era sbavato per colpi dei suoi baci spinti al limite dell'erotismo. La fragilità della mia anima che non si sentiva più forte, in grado di valicare qualsiasi ostacolo presente sul suo cammino, si paragonava ora a una carta. Un momento prima esisteva in tutte le sue funzioni, ma dopo? Veniva dato alle fiamme, stracciato, appallottolato e non restava niente. Cenere nel primo caso, ma la cenere era talmente sottile e invisibile che, all'alzarsi del vento, veniva trasportava via. Mi sentivo prima carta e poi cenere, non c'era differenza. Entrambe erano usate e poi gettate via. Per il maniaco che mi aveva tramortito ero stata solo carta da stropicciare.
«Ora potremmo andare pure in discoteca.»
Dopo quello che mi aveva fatto? Dopo avermi stuprato in macchina? Cosa voleva fare in una discoteca? Festeggiare la sua vittoria e la mia perdita?
«Fottiti.» gli risposi disgustata, voltandomi verso la strada.
«Non sei molto gentile, tesoro.» mi posò una lurida mano sulla coscia, salendo verso l'inguine. «Dai, fai la brava. Accontentami pure in questo.»
Gliela spostai con violenza sentendomi un poco più possente. «Scordatelo, stronzo. Voglio tornare al college.»
Lui portò la mano sul volante. «Ti faccio schifo?»
«Sì, come lo hai capito? Mi fai letteralmente vomitare.»
Mi strinsi una mano contro il petto per coprirmi con il copri spalle nero. Era evidente quanto il mio abbigliamento risultasse più stropicciato che mai, i dettagli della violenza non sarebbe spariti così facilmente come la cenere.
Ci avrebbero messo un po' ma il tempo avrebbe curato ogni male.
«Piano con gli insulti. Ho il mio orgoglio, e comunque amo fare sesso con le ragazze carine e forti come te. Mi fa venire voglia di dare il meglio. Mi piace vincere facile, e la vittoria in questo caso è anche dolce.» sottolineò mentre comparivano le sue innocenti fossetto da santarello che non era. «Progetto molto bene le mie vendette, ma il mio obiettivo principale non eri tu, ma quel cretino di Josh.» spiegò, e a questa ultima sua affermazione la mia bocca si spalancò e sentii il dolore al basso ventre rinvingorsi di nuove spietate fitte.
Cosa, mi aveva stuprato solo per vendicarsi di Josh? Ora si che potevo definirmi una stupida con la s maiuscola. La rabbia cominciò a risalire dalle mie viscere fino a quando non avrebbe raggiunto la superficie per esplodere in tutta la sua potenza devastante come quella del Vesuvio in fase eruttiva.
Quello stronzo mi aveva solo usato, ma in realtà il suo obiettivo nel mirino era un altro.
«Quindi tu hai abusato di me per colpire in realtà Josh?!»
«Esatto.» dalle labbra gli spuntò un nuovo sorriso, che avrei voluto volentieri cancellato. «Mi dispiace di averti fatto credere cose che non esistevano, ma avevo bisogno di qualcosa che lo facesse abboccare.»
«Tu mi hai stuprato! Mi hai costretto a fare sesso con te, perché volevi vendicarti?»
«Era il più semplice modo che ho trovato. Tu per Josh hai assunto una grande importanza e se saprà che ti ho maltrattato, sedotto e poi stuprato sicuramente si incazzerà e la mia vendettà sarà completamente realizzata.»
«Chi ti da il diritto di giocare in questo modo con la mia vita?» gli urlai in faccia innervosita.
Non solo il suo lurido corpo si era strusciato contro il mio, ma adesso dovevo anche sentirmi dire che era per pura e semplice vendetta?
Strinsi i pugni. «Cazzo
Che altro sarebbe uscito dalle sue labbra? Dovevo assolutamente saperne di più, indagare a fondo per carpire qualche informazione in più sul suo gioco. Ormai era diventata una questione vitale. Dovevo riscattarmi dallo squallore della sua violenza che mi pesava sulla coscienza da quando l'avevo subìta e salvare Josh dalle conseguenze del suo piano malato. Dovevo farlo parlare a costo di cavargli di bocca altre notizie interessanti, così continuai ad interrogarlo e a scendere nei particolari.
«Bene, ci sei riuscito. Cosa hai ottenuto con questo tuo ignobile gesto?»
«Quello che volevo, Tania.»
«Cioè? Non ho capito dove volevi andare a parere con-»
«Non voglio rischiare che tu vada a riferirlo a quello stupido di Josh.»
«Non glielo dirò.» gli mentii, ma era per una giusta causa.
«Okay dear ma sei avvertita, se glielo riferisci finisci male chiaro?» si avvicinò al mio volto e assottigliò la voce. «Sarà molto più violento rispetto a stasera.» cercava inutilmente di incutermi timore, mentre un polpastrello mi sfiorava la guancia, che io ritrassi immediatamente.
«Tranquillo, non fiaterò. Si col cavolo che non parlerò, te lo sogni.» «Bene, il piano consiste nel far soffrire Josh e metterlo in ridicolo dinanzi a tutto il college. Qui rientra il tuo stupro, dopotutto vorrà sparire sotto terra quando scoprirà per caso che tu sei venuta a letto con me.» si interruppe per fare una risata sguaiata che mi penetrò nelle orecchie.
«Ok.» mormorai mentre traevo un sospiro nel vedere che la macchina si stava avvicinando al parcheggio desolato del college. Finalmente ero libera, libera dal mio aguzzino, dalle sue mani, dalla sua bocca. Non attesi neanche che il veicolo fu completamente fermo e aprii la portiera di scatto, senza degnarlo di un saluto o di uno sguardo. Mi incamminai ghermita nel mio cappotto verso la struttura del dormitorio con la luce esterna che illuminava ogni angolo del patio. Arrivai alla porta d'ingresso, e prima di entrarvi, guardai indietro.
La macchina non c'era più.

Mi recai silenziosa nel mio alloggio. Non c'era anima viva, solo un silenzio che si poteva tagliare con un coltello e il luogo nella penombra illuminato malinconicamente dalla luna che mi fissava immobile nella volta celeste. Giunsi nel corridoio delle stanze, e mi sfilai i decolté per non produrre rumore che facesse rinsavire le anime degli studenti dormienti. Aprii piano la porta di legno e mio fiondai nella stanza. Accesi la luce e trovai i tre letti fatti e nessuna traccia di Sofia e Josh, probabilmente andati a quella serata in discoteca per distrarsi e divertirsi. Camminai verso il bagno, una doccia mi avrebbe certamente rilassato, pensai con tutta l'intenzione di immergere il mio corpo martoriato per eliminare ogni traccia della sua violenza, ogni traccia della sua saliva, del suo profumo, del sudore che mi appiccicava il vestito che non era nemmeno mio. Non avrei osato immaginare come ci sarebbe rimasta Sofia, visto che Tony per aver accesso al mio reggiseno aveva rotto una bredella e scucito lo spacco. Quel lurido verme aveva avuto bisogno di più spazio che il vestito gli diminuiva per spingere a fondo nel mio corpo una sostanza talmente viscosa che con la doccia volevo rimuovere a costo di rompermi a sangue. Posai il pigiama sul bordo del lavabo e mi sedetti su una panca bianca iniziando a svestirmi di quel povero vestito splendido che ora era un cumulo di stracci afflosciati sul pavimento.
Rimasi nuda di nuovo, mi spostai verso lo specchio. Osservai la mia figura, non era cambiata, ero comunque magra fino al midollo, alta, con gli stessi tratti somatici, un bacino largo, ma la consapevolezza che la mia sicurezza era vacillata diventava palese ogni secondo che passava. Non ero più la dolce ragazzina italiana approdata in un'altra parte del mondo per riavere la sua migliore amica, non ero più quella ragazzina, ora ero una donna, ma lui mi aveva trasformato, ero mutata da una giovane italiana con un bagaglio di sogni e speranze per un futuro migliore a una svuotata, persa in un labirinto in cui il peggior incubo era quel maniaco che la perseguitava, la sfiorava e alla fine le cancellava il sorriso dalla faccia e la voglia di continuare a vivere. Mi strofinai piano il collo, alla sinistra c'era un livido.
Vicino al mio braccio un escoriazione a causa dell'urto con la portiera, i capelli rossi sciolti e scompigliati, le braccia a furia di spingere contro il suo fisico palestrato mi bruciavano e a furia di urlargli contro di lasciarmi, di aprire la maledetta portiera sarei potuta diventare afona domani. Sospirai.
Ero un cadavere vivente. Mi allontanai dallo specchio, voltandomi di schiena, e anche lì troneggiava un livido violaceo lungo quanto una spanna.
I segni della violenza, pensai, schiaffeggiandomi le guance per farle riprendere un po' di colorito. Mi sollevai sulle punte per arrivare al mobiletto dove Sofia aveva disposto la saponetta alla fragola e allungai un braccio sporgendomi per tastare, ma al posto del sapone presi per sbaglio una lametta nuova di zecca, probabilmente utilizzata una sola volta da Josh, perché intrappolati nella lama lucente vi erano dei peli castano rossicci, non sapevo si facesse già la barba. La rigirai tra le mani. Fissai instancabilmente la lama particolamente precisa, che brillava sotto la plafoniera bianca. La passai da una mano a un'altra. La lasciai scivolare sul palmo, e sfiorai la punta per testare la sua capacità e finezza producendomi un piccolo punto invisibile da cui si gonfiò una goccia di sangue scuro.
La mia lucidità stava svanendo. L'istinto guidava la mia mano nei successivi gesti, mentre abbandonavo mentalmente il pensiero che l'acqua avrebbe potuto estirpare solo superficialmente l'abominio. Piegai il braccio, mi esaminai il polso da cui partivano diramazioni verdi e blu, le mie vene.
Quello era il mio obiettivo. Impugnai con la mano destra la lama, e iniziai a pichiettare sul polso da me scelto, poi mi avvicinai con estrema cautela.
Il polso era talmente vicino alla lama, che essa si sarebbe potuta tuffare nella pelle, recidendo le vene, fino a lesionare i tendini e le ossa.
Impugnai con maggior sicurezza, una sicurezza lampante che mi illuminava le iridi azzurre, mentre nella mia testa continuavo a udire una voce assillante, una voce che mi diceva, anzi mi ordinava di tagliarmi le vene, di compiere questo mio gesto disperato per evadere dalla vergogna.
«Morire in questo modo sarà più glorioso che nell'altro.» precisai a voce alta, mentre avvicinavo la lama come un pugnale, veloce, poi con lentezza fino ad andare a rallentatore. Inclinai il pugnale provvisorio e come un bisturi dei medici creai un primo taglio come una striscia e il sangue cominciò a fluire dal dorso della mano, poi ne creai un secondo, un terzo, un quarto, ma decisi di farlo superficialmente, di andare per gradi, prima di sfiorare il limite del primo strato. Il sangue continuava a scorrere, poi ruppe gli argini e fluì maggiormente finché non si ammassò in una piccola pozza sotto ai miei piedi nudi. Inorridita dalla vista del rosso preparai la lama a un eventuale esplorazione dei tendini e delle ossa, ma prima che potessi farlo, prima che potessi commettere la mia follia suicida, una mano, una mano come quella del mio stupratore mi tirò via l'oggetto, me lo strappò, mi privò della possibilità di farmi fuori, di tentare il suicidio.
«Cazzo fai Tania!» mi scrollò dal mio torpore e mi costrinse a guardarlo in volto, mentre dal mio polso sgorgava ancora molto sangue.
«Dammi sto dannato coltello!» esclamò furioso, sollevando le braccia perché non ne rientrassi nuovamente in possesso. Perché mi voleva viva? Io volevo morire, non potevo sopportare lo scandalo dello stupro, non solo ero stata privata della mia femminilità per una vendetta, ma essere giudicata anche dagli altri no questo mai. «Dimmi immediatamente che cazzo facevi con questa lametta. Volevi ammazzarti, per caso?» additò il polso, ora mi bruciava, il sangue colava sul pavimento mentre il mio salvatore in ritardo mi fissava con disprezzo.
Uno che voleva farla finita non era che un codardo.
«Ridammelo! Non sono affari tuoi, voglio tagliarmi le vene.»
«No, non te lo do. Non sarò complice della tua morte, quindi dimenticatelo. Non te lo ridarò, questa lametta per barba è mia.» mi disse.
Abbassai il capo al pavimento colorato di rosso. «Non ho ragione di vivere. Non lo merito, sono l'ultima persona ad averne diritto.» le lacrime cominciarono a scendere copiosamente sul mio volto. «Voglio morire.» piagnucolai, ma lui alzando la mano mi diede un forte schiaffo che mi fece barcollare verso la doccia. «Ma sei scema, sei una cretina o cosa?!»
Portai una mano ad accarezzarmela rabbiosa perché era il secondo cretino che osava mettermi le mani addosso in un'unica sera e gli urlai contro.
«Sei uno stronzo! Non permetterti di toccarmi più!»
«Scusa Tania, ma lo meritavi. Che cosa ti è successo? Perché ti vuoi ammazzare! Adesso sei una di quelle bimbe mocciose che vuole scappare dei suoi problemi eh? Perché da peso alle altre persone, a ciò che dicono?»
Non risposi, preferii rimanere in silenzio alle sue supposizioni però corrette.
«Mi dispiace.» mi sussurrò con voce più calma, mentre si avvicinava, ma io indietreggiai. Non volevo essere toccata.
«No, grazie comunque.»
Josh sospirò. «Perché non vuoi che ti tocchi?»
«Non voglio che mi tocchi punto.» ripetei specchiandomi nei suoi occhi scuri preoccupati per me. Già ero stata toccata abbastanza.
«Non c'è un motivo.»
Ma Josh era ancora decisamente confuso sulla mia reazione.
«Sei sicura?» cercò di poggiarmi una mano sulla guancia, ma io mi spostai.
«Sì.»
Il braccio mi faceva male. Il sangue continuava a scendere, perché si preoccupava di farmi uno stupido interrogatorio piuttosto che fasciarmi i tagli che io mi ero procurata?
«Mi eviti.»
«Non ho niente.»
«Chissà perché non ti credo affatto.»
«Sei tu che non mi credi. Ho la coscienza apposto.» cercai di andarmene per svincolare i suoi ossessivi dubbi, ma lui mi prese il polso sano e mi costrinse a girarmi. I suoi occhi si dilatarono quando notò il livido sul mio collo.
«Cos'è questo!?» urlò. Mi liberai dalla stretta e balzai in avanti coprendolo con entrambe le mani, una sporca di sangue. «Niente, un livido.»
«Smettila di contare balle. È un succhiotto, ti sei fatta fare un succhiotto!»
Dannazione, sono stata scoperta e ora con facilità mi caverà di bocca lo stupro e credo che neanche un santo in paradiso avrà la forza di mantenerlo quando gli dirò l'esecutore. «Un succhiotto. Sì, è un succhiotto contento?» provai a suonare sarcastica, ma lui continuò a guardarmi come se fossi uscita fuori di testa. «Chi.. chi ti ha messo le mani addosso!»
«Nessuno. Sei paranoico.»
«Chi è stato lo stronzo! Dimmelo!»
«Non è un succhiotto, non è stato nessuno.»
Mi puntò un dito contro. «Quello di stasera.. è per lui che ti stavi tagliando le vene, vero? Chi è, parla, dimmi il suo nome.»
Bene, ci manca solo che indovina si tratti di stupro e potrò affermare che Josh era un veggente in arte e parte.
«Ma che te ne importa. La vita è mia, chiaro!»
«Conosco questo genere di cose. Tu non sei una tipa facile, quindi ti hanno preso con la forza. Voglio nome.» alzò un dito. «E cognome.»
«Lo dico e lo ripeto, dovresti andare da un dottore Josh. Stai diventando lunatico lo sai?» la voglia di confessargli lo stupro e che Tony mi aveva sedotto e ingannato era tanta, ma dire una cosa così nel cuore della notte a un tipo come Josh che avrebbe potuto mettersi in macchina e spaccagli la faccia sarebbe stato sconveniente. «Hai le allucinazioni.»
«Bene, se ho davvero le visioni confessami il nome del tipo del succhiotto così potrò spaccargli la faccia e fargli ingoiare i denti tutti in un sol colpo.»
«No, anche perché non è un succhiotto.»
«Conosco questo "livido" anche io li faccio, ma questo è violento. Questo tipo ti ha indotto a tagliarti le vene, allora ti avrà certamente- Non voglio pensare allo stupro, perché veramente lo manderei in terapia intensiva.»
Mi morsi un labbro. «Josh.» gli andai incontro e gli presi dolcemente il volto chiudendolo nelle mie mani mentre fissavo i suoi occhi iniettati di rabbia diventare improvvisamente dolci. «Grazie.» continuai, mentre avvinghiavo le mie braccia intorno ai suoi fianchi e lo spingevo contro il mio corpo, questa volta spontaneamente e senza la minima violenza. «Ti voglio bene.»
Josh rimase prima di pietra, poi lentamente le sue braccia si chiusero a guscio accogliendomi nel suo caldo e sereno abbraccio che annullava ogni mio pensiero negativo, perché dopotutto io con lui stavo bene.
«Tania?» mi chiamò e io sollevai il volto incontrando il suo.
«Uhm?» mugugnai confusa, mentre lui si piegava verso il basso e con le sue mani mi faceva poggiare sulla punta delle dita per giungere quasi a stretto contatto con le sue labbra. «Io ci sarò.» soffiò sulle mie labbra.
Le sue si schiusero e si avvicinarono finché non sfiorò le mie, e intensificò il bacio. Decisi di assecondarlo. Il gesto era puro, piacevole, dolce, quasi infantile da parte sua, ma il mio cuore rimbalzò nel petto in un triplo salto mortale. Quasi simultaneamente le nostre labbra si rincontrarono e le lingue si sfiorarono per la prima volta; Josh decise di ritrarre la lingua e rimase immobile, con gli occhi chiusi aspettando facessi lo stesso. Mi sorreggeva con le mani sulla schiena. Le nostre labbra si incresparono, si rituffarono, si staccarono come per riprendere ossigeno mentre il mio palmo tagliato gli macchiava la camicia bianca di rosso. Ci guardammo, lui sorrideva.
«Tania io-» lo fermai con un indice sulle labbra e i miei occhi si scontrarono con i suoi scintillanti di felicità, mentre io ritrovavo la luce a guidare i miei passi. «Tsk. Ti prego non roviniamo questo momento con inutili parole.» smisi di parlare, e inserii una mano tra i suoi capelli ricci morbidi e ben modellati. «Okay, signor Watson?» scherzai, mentre lui mi baciò la punta del naso. «Okay, signora Watson.» la dicitura mi fece arrossire lievemente sulla guance, mentre il mio cuore aveva il permesso di esplodere per lui.
«Non siamo ancora sposati.»
Josh rise e la sua risata contagiosa e giocosa ripagò di tutto il male che prima mi era stato arrecato. «No, è vero. Ma chissà.. un giorno sarò all'altare ad aspettarti con il tuo vestito bianco e ci uniremo per sempre.»
«Accetterai ogni cosa di me?» gli chiesi, mentre gli massaggiavo una guancia. «Anche il mio passato?»
«Hai qualche dubbio al riguardo?»
Scossi il capo.
«Allora, proseguiamo.»
«Okay, ma non così veloce.» non mi fece finire di parlare che la sua bocca si scontrò di nuovo con la mia sempre con calma, come se il tempo non ci potesse interrompere. «Mai. Abbiamo tutto il tempo del mondo.» asserì.
«Credevo fossi il solito ragazzo viziato e rompipalle. Ora però ho capito che ci sono esseri con doppie personalità ed esseri come te che devono essere solo scoperti. Perché tu sei roccia all'esterno, ma un tesoro all'interno.»
Josh si accigliò. I discorsi filosofici non li comprendeva, ma era certo di una sola cosa che i nostri baci erano più salutari della medicina.
«Nonostante tutto mai fidarsi delle apparenze
Josh mi spostò una ciocca di capelli dietro la schiena. Ero nuda, miseria!
«Certo che così.. non mi aiuti di certo.»
«Tieni le mani a posto, Watson.»
«Quando sarai mia moglie no Tania, ma rispetto i tuoi spazi.» alzò le mani al cielo con aria innocente. «Non pretendo poi molto. Aspetterò fino al matrimonio basta che dopo sarai per sempre mia, mia e di nessun'altro. Dopotutto sei vergine no?»
Non più purtroppo. «Certo.»
«Sarà più speciale.» dichiarò lui. «Spero di essere alla tua altezza.»
«Mh..» mugugnai. Lui notò il mio cambiamento di umore e mi prese il volto fra le sue mani. «Ehi, tutto bene?»
«Sì, ma il braccio mi fa male.» portai la mano sana ad accarezzargli la nuca. «Potresti curarmelo tu?»
«Certo, Tania. - mi mostrò il palmo della sua mano, io poggiai quello ferito e lui lo chiuse stretto per paura di perdermi, - vieni bendiamo i graffi.» Mi feci trascinare verso la stanza, non prima che lui mi mettesse addosso l'accappatoio dietro la porta. Era gentile, carino, non sapevo che Josh avesse queste qualità nascoste, ma in fondo le apparenze ingannavano.
Mi fece sedere sul letto. Mi alzò il braccio ferito e lo esaminò.
«Si rimargineranno presto. Sta tranquilla. - prese dal mobile una fascia bianca, un po' di panni puliti per fermare la copiosa emorragia, e dopo aver controllato che non uscisse più sangue dai superficiali tagli, lo fasciò con delicatezza. - mi raccomando, non farlo mai più.»
Io annuì e mi feci coccolare nelle sue braccia, fin quando i miei incubi non svanirono in una bolla di sapone. Domani sarebbe stato un altro giorno..



***

Finalmente tra Tania e Josh è scoppiata la famosa scintilla di passione, sfociata in un bacio, che spero di aver reso bene durante il racconto di Tania. A quanto pare i mostri del passato non infastidiranno più la nostra nuova coppia, che finalmente ufficializzeremo nel prossimo capitolo, ma siamo davvero sicuri di star dimenticando un dettaglio?

Beh, se volete sapere di che dettaglio sto parlando.. io non anticipo nulla, dovete leggere tutto dai prossimi capitoli, e se volete regalarmi una piccola stellina o un commentino è ben accetto. Inoltre voglio ringraziarvi per l'enorme affetto e sostegno che mi regalate ogni giorno, grazie a voi siamo arrivati a 10 K
Grazie mille a tutti voi, vi adoro.

Nel frattempo anticipo che la canzone presente nel link di questo capitolo, appunto, dedicata alla Taniosh si intitola "Io ci sarò" vi invito ad ascoltarla mentre leggete la parte della Taniosh.. e capirete.

Vi saluto cari, è stata una giornata da dimenticare.
Bye amori.

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