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Capitolo 41

Vedremo che cosa mi verrà mente sulle basi della canzone di Katy Perry - Firework - sto proprio ascoltando questa canzone, ma ho già in testa cosa accadrà in questo nuovo aggiornamento. Siete curiosi? Non vi resta che leggere - per chi non lo sapesse ripeto: il capitolo verrà dedicato al primo che commenterà, e quando si raggiungeranno circa quindici stelle, quindi mi raccomando! -

Vi chiedo di portare pazienza per quanto riguarda le altre mie due storie e di votare questa storia nei vari concorsi, se volete che perlomeno arrivi a un risultato decente:
1.
https://www.wattpad.com/209766189-concorso-2016-la-tua-canzone-kissenlove - dovete votare nella parte della seconda prova di @mystifique
2.

https://www.wattpad.com/208349622-concorso-wattpad-2016-64-la-tua-canzone - troverete la parte 64 dedicata a 'La tua Canzone' con voto e se l'avete letta, ma anche per una prima impressione, un primo impatto un voto da 1 a 10.
Indetto da ILoveMyCrazyAngel

3.

https://www.wattpad.com/187893455-concorso-wattpad-2015-16-la-canzone-del-cuore - 'La tua Canzone' voto + commentino se volete, con la vostra impressione.

Detto questo vi saluto cari, e vi lascio col Pov di Alan Taylor.

41

[Pov's Alan]

Non ho chiuso occhio per tutta la notte ripensando al modo spregevole in cui ho tradito anche solo mentalmente la ragazza da cui ormai sento di dipendere.
Perché non si può essere anche solo per una volta felici senza aver costantemente paura di affondare giù?

Si deve sempre guardarsi alle spalle per non farsi acchiappare dai fantasmi ritornati dall'oltretomba.

Era come un percorso fatto a ritroso dalle profondità della terra, sfuggiti alle fauci dell'angelo ribelle che bramava di spellarti e cibarsi della tua carne, per risalire con fatica, aggrappandosi a ogni roccia sporgente e tirare un sospiro sollievo quando si era quasi la fine, quando c'era quello spiraglio che ti apriva la strada verso la libertà dalla prigionia. Muovendo qualche passo ti accorgevi di quanto sia stato difficile arrivare lì, a contemplare a un palmo di distanza la luce della felicità, e come sarà facile invece sentirsi franare la terra sotto i piedi e sprofondare giù, solo per esserti guardato alle spalle circospetto per incontrare gli occhi che espressamente l'uomo infernale ti aveva chiesto di evitare. Lo spirito può essere forte quanto può, ma la carne è debole e viene ogni volta tentata.. stava a noi decidere di evitarlo.

Eravamo solo piccoli granelli di sabbia. I nostri difetti di fabbrica, i nostri pregi plasmati, ma il peccato si annidava in noi come una chenia e diventava complicato liberarsene, quanto tutto ciò che facevamo, ogni passo che muovevamo, ogni carta che giocavamo in questo pazzo gioco era scritto nel destino.

I destini non erano tutti uguali.
Alcuni semplici, altri complicati. Ma se qualcuno aveva la volontà, poteva cambiarlo, vivere una vita migliore, correggere i propri errori, anche se questi parevano irrisolvibili a una prima impressione.

Quello che era successo con Elly in ascensore, anzi, quello che non era potuto accadere grazie al fortuito ripristino dell'ascensore.

Era stato rassicurante non trovarsi nella catastrofica situazione di dover tradire anche fisicamente Sofia. Non l'avrei mai sopportato un peso del genere sulla coscienza. Ma fortunatamente avevo scongiurato il bacio del tradimento, ma adesso mi trovavo a dover chiarire immediatamente il malinteso, altrimenti avrei perso per sempre la donna della mia unica e sola vita, e non me lo sarei mai perdonato. Ero sceso di buon'ora dopo aver fatto una colazione leggera e mi ero diretto a piedi verso il college nonostante il freddo pungente di inizio novembre mi screpolasse il volto, per schiarirmi le idee sul da farsi.

Entrai dalla porta principale, e la marmaglia giovanile si era riversata come un fiume in piena nel grande corridoio centrale.
Cominciai ad addentrarmi, proprio come il primo uomo che ebbe il coraggio di varcare la luna, e infilai una mano nella tasca del pantalone, che come sempre mostrava la formalità esteriore di un uomo di ventiquattro anni in veste di professore. Mi aggiustai la tracolla della borsa da lavoro, e tenni lo sguardo basso per tutto il tragitto, perché dovunque mi girassi, in ogni volto femminile vedevo lei come una maledizione.

La maledizione di Sofia.

Quella mia unica illusione svaniva, perché lei non era lì, dovevo farmene una ragione.
Ma al momento una ragione valida non c'era e io non potevo far altro che proseguire fino all'aula dove si sarebbe tenuta la mia lezione.

Mi feci spazio fra i miliardi di giovani, sussurrando un 'permesso' e loro si scostavano creando un varco per farmi passare.
I ragazzi mi riconoscevano e mi salutavano educatamente augurandomi di passare un felice giorno con un assolo di strumenti, violino, flauto.. qualsiasi strumento che avessero a portata di mano e di cui fossero esperti.
Le ragazze mi lanciavano sguardi trasognanti, ma a me non importava, gli unici occhi che volevo per me erano quelli di Sofia Baglietti. Un lieve cenno col capo mentre le sentivo rivolgersi ai loro coetanei, - Il professore Alan è davvero carino! - poi continuava l'altra. - Io me lo sposerei. Sai l'invidia delle altre che mi vedono con un marito che è uno schianto? - io mi allontanavo verso la parte iniziale della scala rimanendo indifferente. Il matrimonio era un passo importante nella vita di un essere umano, era considerato un sacramento.. per questo bisognava scegliere la persona più giusta.

Iniziai a salire le scale, e mi scontrai non volendo con la massima autorità del college.
«Professore Alan.»
Perché di tutte le persone che girovagano nel college, mi capita proprio quello che avrei voluto evitare ad ogni costo? - pensai sopprimendo un sospiro carico di tensione.
«Dickens.» proferii sbrigativo.
Terra tu non inghiottisci mai quando vuoi, ma quanto a te pare più giusto, ovvero nel momento più sbagliato.
«Facevo una breve perlustrazione degli ambienti.»
«Io invece stamattina ho il corso. Devo recuperare le ore perse quando sono tornato in Wisconsin.»
«Sì, lo so Alan.» rispose, lisciandosi un po' il mento da cui si intravedeva un principio di pizzetto grigio chiaro. «Oggi, come da regolamento vorrei che sommistrasse ai ragazzi il consueto test di ingresso.» mi consegnò una pila di oltre quaranta fogli fotocopiati di domande. «Sono i precedenti argomenti che avevano trattato con il professore Brown Jack.»
Il nonnino andato in pensione. - non si doveva parlare così dei propri colleghi, ma prima che rilevassi la cattedra di musica ci eravamo incontrati per discutere della sua classe, che considerava ignorante fino al midollo.
«Io e il collega ci siamo incontrati.. ma penso che sia prematuro.-»
«Cosa? Sommistrare il test ai ragazzi, senza averli avvertiti?»
Annuii.
«Beh questo non sarebbe accaduto se il loro professore non si fosse concesso una 'vacanza'.» mi lasciò la pila di fogli nelle mani e discese le scale.
Vacanza.. direi una visita importante - salite le scale percorsi un lungo corridoio, e giunsi dinanzi alla porta 63.

Un respiro profondo prima di cominciare. Girai il pomello d'ottone e spalancai la porta trovandomi già mezza classe dentro impegnata a chiacchierare.

Non fecero caso a me.

Poggiai la borsa sulla cattedra, e in quel momento il fracasso diventò un brusio a malapena udibile.
Guardai gli occhi di tutti, ma quelli in cui bramavo specchiarmi non c'erano. Sofia era assente quel giorno e la causa non poteva essere che quello spiacevole malinteso.
Abbassai lo sguardo.
I ragazzi tacevano in piedi.
Lo rialzai poco dopo e mi spostai verso il centro della stanza.
«Innanzitutto buongiorno.»
«Buongiorno professore.» risposero in coro.
«Voi tutti sapete che sono stato assente per cause di maggiore entità, e che secondo il regolamento devo per forza somministrare un test.»
I ragazzi elevarono un coro di proteste.
«Non è colpa mia, sono le regole ma il test è semplice. Sono argomenti trattati dal mio collega precedente, il signor Jack.»

Era difficile scrivere su qualcosa che nella realtà era astratta. Non potevamo né toccarla con mano e nemmeno vederla con i nostri occhi, ma solo sentirla e lasciarla entrare nel nostro cuore.
La musica parlava per noi, trasmetteva i nostri sentimenti, se eravamo felici, arrabbiati, annoiati, estasiati. Se avevamo bisogno di un'amica vera e sincera che non giudicasse o se volevamo solo sfogarci, perché la vita era una merda, strimpellando qualche accordo. Se volevamo arrivare al cuore di una persona, quando le parole erano troppo banali, quando volevamo farci perdonare da qualcuno, la musica era una delle più valide alleate sempre pronte ad accorrere.

La musica era un mondo diverso da quello originale, dove tutti per almeno una volta abbiamo pensato di andare e da lì non farvi più ritorno.

Le regole del college erano rigide e prevedevano almeno due prove.
Io ero contrario. Un test scritto a penna non dimostrava un bel niente, soltanto la grammatica, l'ortografia e se si era in grado di impostare una critica, ma non mostrava le attitudini dei ragazzi, le loro passioni e tendeva a nasconderli dietro a delle frasi imparate a memoria.

La vita non era un test, fatto di parole, ma un grande casino da cui emergeva di noi stessi ogni cosa.

I ragazzi dovevano imparare a vivere, non a celarsi come delle comparse dietro a stupide parole.

Per una volta avrebbero tutti dovuto sentirsi protagonisti della vita e smettere di essere estromessi dietro al backstage.

Io non insegnavo nozioni per farli diventare 'numeri' o robot da comandare, io avevo scelto di essere professore perché avessero cultura, testa per pensare, per riflettere, per diventare gli scrittori del loro futuro con mente e cuore, per non cedere agli inganni e alle false promesse.

I ragazzi mi fissavano inebetiti, perché non prevedendo la verifica non avevano studiato a sufficienza.

«Mi dispiace, ragazzi. Dipendesse da me non avreste mai fatto questo test, ma il preside Dickens è stato molto chiaro. Dovete farlo anche solo per formalità.» tirai fuori dalla borsa le scartoffie spillate. «Per qualsiasi cosa non esitate a venire da me per eventuali chiarimenti.»

Improvvisamente la porta si aprì di scatto rivelando la figura allampata di Josh Watson, che entrò trafelato come se dovesse ritirare un premio.
«Prof scusate il ritardo.» ansimò piegandosi sulle ginocchia per prendere fiato.
«Mi sembrava strano che Josh Watson quest'oggi fosse assente. Comunque per questa volta passi, ma sii più puntuale.»
«D'accordo prof.» sorrise sollevato. Aveva lasciato la porta aperta - notai - da cui poi entrarono altre due ragazze. Una era lei, Sofia, con un jeans e un maglioncino verde acido che si confondeva coi suoi occhi luccicanti come lo smeraldo, molto più ridenti rispetto a quella sera e questo mi devastò totalmente. L'altra, sua coetanea, chiuse la porta e si voltò verso di me, facendo oscillare sul petto una splendida chioma rosso fuoco.
Guardai prima la nuova ragazza poi Josh. «Chi è lei?»
«Sono nuova, processore.» mi rispose l'interpellata, senza attendere la risposta di Josh che tacque. Con una sola falcata raggiunse la cattedra e mi mostrò decisa una mano in modo che la stringessi.
«Piacere, Alan Taylor. Il professore di musica del Mc Nally Smith. Benvenuta.»
«Tania Bergazzi, lieta di conoscerla.» e mostrò un sorriso, poi si girò indietro verso Sofia, rimasta impalata al posto di prima. - Quell'Alan.. - le strizzò un occhio e Sofia ridusse gli occhi a due fessure.
Slegammo la stretta e chiesi a Tania di fare una breve presentazione alla classe.
Apparve molto decisa, un breve inchino, sguardo fisso che vagava sulle facce delle sue compagne, che vedevano minacciato il loro primato di popolarità e dei suoi compagni che ammiccavano di farle una spietata corte.

«Spero la tratterete bene.» aggiunsi. Le feci un cenno col dito di disporsi nel bancone con Sofia e Josh e lei annuì. Vidi Josh provare a intrecciare una mano nella sua, che lei evitò con uno schiaffo, mentre Sofia si staccò dalla porta e li seguì silenziosa, con volto incassato nelle scapole quando transitò davanti alla cattedra.
Non osava nemmeno guardarmi, e anche se non lo davo a vedere, dentro il mio mondo cadeva a pezzi perché aveva perso la sua regina e non sapevo come fare per ricostruirlo daccapo un'altra volta.

Ignorai il vuoto che dilagava in ogni angolo del mio corpo e la lezione poté cominciare.

«Diamo inizio al test.»

«Prof! Cosa?» mi interruppe prontamente Josh. «Oggi è il primo giorno di Tania non potete sommistrare il compito. Vi prego! Un altro giorno, magari tra quarantacinque anni eh?»
«No Josh. Anche se non volessi, sono stato costretto dal preside. Quindi per favore non mettermi in condizione di fare il cattivo, perché lo odio. Niente commenti, fa il compito.»
«Non so fare niente.» piagnucolò.
«Allora non fare niente.»
«Consegno in bianco?»
«Se lo ritieni opportuno.»
«Poi mi mettete un brutto voto?»
Mi lisciai i capelli portandoli all'indietro. «Se stai zitto e fai il test niente nota di demerito.»
Iniziai a trafficare per i diversi banchi smistando ad ognuno di loro il test. «Come da regolamento
niente bigliettini e neanche i telefoni. Fate quello che sapete fare, e non copiate dal vostro compagno di banco. Il compito deve essere soggettivo.» Diedi delle sbrigative dritte ai ragazzi, guardando Josh Watson esaminare il foglio.
«Prof?»
Gli andai vicino.
«Qualche problema?»
Avvertivo il cuore tamburellare nel piegarmi per decifrare la calligrafia ostrogota di Dickens e mi avvicinai quel tanto che bastava per inalare la fragranza esotica di Sofia.
«Allora vediamo.»
I miei occhi slittavano ad osservare lei, che ragionava, con gli occhi verdi piantati sulle righe e non faceva nemmeno caso alla mia improvvisa comparsa.

Un nuovo tuffo al cuore.
Perché lei doveva mantenere un'aria così impassibile?
Non poteva semplicemente darmi a parlare, almeno urlarmi contro come aveva fatto ieri tutto il suo disprezzo, dirmi che ero uno stronzo patentato, che non mi meritavo una come lei, invece di salvare quelle odiate apparenze?

Perché non esplodeva con la furia di un uragano?
Mi sarei accontentato di ascoltare la sua voce ai massimi decibel, piuttosto che percepire un varco profondo aprirsi, allungare le distanze e allontanarci.
Strinsi i pugni.
- Cazzo Sofia! Non mi escludere dalla tua vita. Ho sbagliato, dammi la possibilità di spiegarti ogni cosa. - strillai in me impazzito, mentre rimuovevo dalla testa ciò che stavo facendo.
La sua indifferenza mi feriva più di quanto mi immaginassi, tutto perché Elly mi era caduta addosso in ascensore. - Si poteva essere più fortunati di così? - mormorai a me stesso mentre la mia concentrazione sguazzava in altri ragionamenti più importanti di quello stupido foglio. - Cerco con tutte le mie forze di respingere Elly fin dal momento in cui ho messo piede in quell'ascensore. Le dico che lei è il mio passato, e che in modo sottinteso, Sofia è il mio futuro adesso. Lei si arrende, l'ascensore che si è bloccato, sale fino al settimo piano e quando questa deve inciampare e cadermi in braccio? - sospirai. - Quando la mia fidanzata si presenta nel cuore della notte a casa mia e ci vede insieme in ascensore, con tutta la fatica impiegata per non combinare niente! Niente. Ho proprio una fortuna.. -
«Mi sembra si tratti di descrivere gli stadi essenziali della vita di Bethooven.» gli dissi, rialzandomi.
Josh annuì.

«Ottimo, avete tutti il foglio?» mi rivolsi alla classe. Con coraggio aggiunsi. «Tu, Sofia?»
Lei abbassò il foglio.
«
Una goccia di sudore mi corse lungo la tempia al vedere i suoi occhi iniettati di rabbia.
Tossii. «Bene, avete due ore. Sono domande facili sulla vita di diversi musicisti e sulle loro opere più importanti, quindi rispondete bene.» mi voltai di spalle per annegare nel dolore.
«Buon lavoro.» biascicai.
Andai verso la cattedra, e riordinati i fogli in più, trascinai la sedia per sedermi e occupare la mente in altre cose; indossai gli occhiali da lettura, presi una penna dalla borsa e mi abbandonai completamente al riordino del registro.

[Pov's Josh]

«Ragazze, voi lo sapete fare?» chiesi al limite della disperazione.
«Sembra facile.» rispose Sofia, armata di penna. «Concordo.» affermò anche Tania che si guardava attorno come una bimba emozionata dinanzi a uno scaffale di giocattoli.
«E poi è tutto diverso.» continuò.
«Anche io ho pensato la stessa cosa, quando ho partecipato al mio primo corso di musica col professore Brown.»
«È stato terribile.» mi intromisi, scribacchiando qualcosa giusto per dare l'impressione di starmi impegnando. «Più che a un college sembrava ci trovassimo a una caserma. Credevo di non resistere.»
«Non è stato poi terribile in un certo senso, poteva andarci peggio.» sussurrò Sofia.
«Certo per te, ma per me invece no. Sono contento che ce ne siamo liberati finalmente e che quel vecchio sia stato sostituito da Alan.»
Sofia contrasse la mascella arrabbiata.
«Beh almeno quel vecchio non si metteva a tradire le persone.»
Inarcai le sopracciglie. «Cos-?»
«Stiamo perdendo tempo. Dobbiamo fare questo test, quindi smettetela ok?» ci disse Tania, disposta al centro come uno spartiacque.
«No, aspetta che intendevi dire con quel 'non si mette a tradire le persone
«Niente.» si limitò a rispondere Sofia, concentrandosi poi alle domande sul foglio che necessitavano di una risposta.
«Che diamine mi nascondete?»
Le due si lanciarono uno sguardo fugace. «Assolutamente nulla.» Scrollarono le spalle.

Chissà perché ma la storia non mi convinceva affatto.

Per circa un'ora fui occupato e attento alle domande del test che interessavano Beethoven, Ciakovskij e altri bei compagni, poi la mia riflessione principale si spostò radicalmente all'oggetto vivente affianco a me: Tania Bergazzi.

Se state pensando che sia una spia, un ragazzo che amava ficcanasare o semplicemente troppo comprensivo, avete sbagliato di grosso.

Aveva lasciato a metà il compito, e tra un'ora Alan ce l'avrebbe ritirato. Non volevo che la beccasse col cellulare fra le mani a chattare con qualcuno, basta che non fosse stato quel pallone gonfiato di Tony Tomlison o quell'altro Alessio Baldi perché non avrei risposto delle mie azioni. Rialzai il capo, sollevai il mento, e spinsi la testa verso la mia amica sbirciando il display del cellulare.

Due messaggi.
Due differenti persone.

Aguzzai la vista, e lessi in alto, nella barra di stato il nome.

Sconosciuto.
«Hello Tania. I'm Tony
Ormai sapevo che quella era una tattica per attirare.
«Ti va di uscire stasera con me
Dritto al sodo - ponderai come un detective nel bel mezzo del ritrovamento dell'assassino. - solita, stupida e meschina tattica. Astuto come una volpe, ma illuso se pensi che questa volta ti lascerò fare la prima mossa.
Tania sorrise, e alzò gli occhi al cielo per scervellarsi sulle parole adatte. Mi ritirai nel mio posticino, fiondandomi sul compito senza provare il minimo interesse verso quelle quattro scartoffie.
Tania riabbassò il capo e digitò un misero 'va bene' chiudendo.

Un altro messaggio.

Ebbe acceso a quelli ricevuti e leggendo il mittente sussultò, portandosi una mano al petto con gli occhi strabuzzati.
«Troia.» Era quell'altro mollusco che aveva lasciato a Caserta. «Perché non mi hai salutato! Perché anche tu mi hai lasciato. Sei una troia che non ha la benché minima considerazione di me. Fottiti Tania, fottiti davvero bella stronza.»
Glielo aveva addirittura sottolineato quell'Alessio di merda.
Con che diritto? Quale diritto si era conquistato, per chiamarla stronza, quando lo stronzo che non aveva mai capito nulla era soltanto lui. Quale diritto aveva di insultarla così pesantemente?
E lei si trovava pure il cuore stretto in una morsa di violento spasmo che la costringeva a piangere e a sentirsi debole.
Tania spense il cellulare, e poggiò una mano sulla fronte per frenare le lacrime copiose che minacciavano di scendere da un momento a un altro.
La guardai silenziosamente, ma un grande bisogno di cullarla nelle mie braccia, accarezzarle il volto e asciugarle con i pollici i rivoli che le percorrevano le guance nivee iniziò a materializzarsi nella testa.

Forse non ero la persona più indicata. Anche io ormai davo più importanza alle cose stupide escludendo quelle che contavano, ma sapevo che quando uno ti feriva nell'orgoglio così brutalmente, le lacrime erano l'unico modo per sfogarti.

Per una volta lei avrebbe messo da parte quel suo carattere da dura e sarebbe apparsa debole.

«S-stronzo.» singhiozzò, mentre la sua sicurezza vacillava verso il precipizio e la maschera si distruggeva sotto ai miei occhi.
Abbracciala, - mi suggeriva la coscienza. «Zitta, ti prego.»
Ora che puoi farlo, non farti sfuggire questa occasione. - mi incalzava. La mia mano si allungò fin quasi a sfiorarle la scapola, ma il gesto non si concretrizzò; continuai finché non superai le sue spalle piegate e tremolanti.
Agguantai dolcemente il braccio sinistro e strinsi un po' di più la presa, insicuro sul passo successivo. Lei incontrò i miei occhi mentre un'espressione sorpresa le si andava disegnando in volto. Trascinai il suo magro corpo verso il mio più robusto, in un abbraccio che lei avrebbe voluto evitare ma che alla fine accettò senza dire una parola.
La mia bocca urtava la sua testa, inspirando il profumo dei suoi capelli. Chiusi gli occhi.
Era il paradiso. Lei poggiata sul mio fianco, ascoltava forzatamente i battiti accelerati del mio cuore, e le sue mani fredde accerchiavano la mia vita.

Era imbarazzante, ma non volevo smettere. Avere lei, stringere il suo corpo, annusare il profumo sprigionato dai suoi capelli, era come possedere il mondo intero.

Vedi che ci sei riuscito? - mi annunciò vittoriosa la mia vocina interiore. Ma non era accaduto perché lei me lo aveva ordinato, era accaduto perché lo avevo voluto io. Il playboy della scuola che per la prima volta dimostrava di avere ancora sentimenti per una persona, sentimenti troppo forti per essere controllati.

«Io ho bisogno di Tania.» puntualizzai, ovviamente senza dirlo espressamente alla diritta interessata, che rigida come una statua se ne stava tranquilla sul mio petto a contare quanta gittate stessero scombussolando il mio cuore. Avevo bisogno di lei per una miriade di cose, avevo bisogno dei suoi occhi, dei suoi occhi blu come il mare, un blu che sminuiva la magnificenza della distesa marina, della sua bocca piccola e delicata, del suo naso, dei suoi gesti da maniaca, dei suoi dolci richiami, non proprio dolci.
Avevo bisogno della sua risolutezza, della sua pazzia, delle sue idee per dare un senso alla mia esistenza. Solo uno scemo non si sarebbe accorto che avevo posato i miei occhi di ammaliatore professionista su di lei da quando ci eravamo incontrati nell'ufficio di mio padre, e un cretino avrebbe ipotizzato che mi ero preso la sbandata. Paragonarla a Venere o ad altre dee greche sarebbe stato un insulto per la stessa Tania.
Lei era tutto. Ossigeno per i miei polmoni, energia per i miei muscoli, vita. Il desiderio di protezione nei suoi confronti non avrebbe potuto estinguersi neanche se ci avessi provato. Superava tutto, persino la mia ragione, la mia promessa di non intavolare una relazione seria, la logica, la scienza. Qualsiasi cosa.
Come poteva essere possibile, che una semplice ragazzina italiana, avesse incrinato la mia anima da playboy fino a renderla inoffensiva? Era stato il destino e lei era un angelo sceso dal cielo per riportarmi sulla retta via smarrita o semplicemente ero io che la immaginavo già con ali e aureola in testa.

Tania ispirò con il volto rosso.
Sofia ci guardava con dolcezza, talmente tanto che mi avrebbe fatto cariare i denti a furia di scrutarla. «Oh, ma come siamo-» la interruppi, smettendo di accarezzare la testa di Tania come se fosse stata un cucciolo.
«Zitta, è già abbastanza imbarazzante.»
Spostai il peso di Tania dal mio petto e schiarii la voce per far diminuire il rossore esploso in ogni poro.
«Vi siete messi insieme?» domandò Sofia curiosa.
«No!» esclamò Tania. «Ma ti pare che mi vado a mettere con questo.. questo individuo.» si mostrò di nuovo dura nei miei confronti, e questo mi faceva ribollire il sangue nelle neve e immergere la lingua nel veleno. Impugnai la penna come un coltello e ripresi a scrivere con i nervi tesi.
«Dai, vi siete pure abbracciati!» puntellò un gomito sul bancone. «A me lo puoi dire.» Gonfiò le guance. «Sono tua amica.» insistè a quel punto Sofia.
«Ti ripeto che è stato lui a coinvolgermi in quella sottospecie di abbraccio smielato
«Però a te è piaciuto.»
Tania ci pensò su.
«Uhm.. non posso dire che non fosse caldo.»
«Come solo caldo?» boccheggiai deluso, stropicciando il bordo del foglio. «Mi aspettavo che dicessi qualcosa di più di questo.»
Tania sbuffò. Quella sua aria da dura era ancora intatta.
«Ehm... grazie?»
Lasciamo perdere.
Tornai al mio impegno quotidiano, il test, con il veleno che fluiva in me lasciandomi un pungente sapore di amarezza. Ecco cosa succedeva quando si dava ascolto alla tua coscienza, quando ci si buttava a capofitto nel mare da un scogliera e ci si fracassava la testa.
Sospirai. - Tentativo fallito. -

[Pov's Alan]

«Tempo scaduto ragazzi.» li avvertii, controllando l'orario con l'orologio al polso. «Lasciate le penne, mettete ogni vostra informazione personale, consegnate e siete liberi.» aggiunsi, mentre ad uno ad uno i ragazzi lasciavano i banconi con in mano i fogli, chi con un sorriso solare in volto, chi distrutto, chi in ansia per la valutazione, e chi invece al compito non aveva dato alcuna attenzione e aveva pubblicamente abbracciato una ragazza per consolarla come Josh Watson. Non ero stupido, avevo spiato di sottecchi quei tre per tutte e due le ore, e la mia testa aveva lavorato di buon lena e si era sempre impatanata nello stesso problema: parlare con Sofia, farsi perdonare, chiarire e alla fine tornare più uniti di prima, ma il problema era come avvicinarla senza generare altri sospetti?
Dopo che Josh consegnò, anche Tania lo fece ritenendo di non essere stata molto esaustiva nelle risposte, e alla fine al mio cospetto giunse la mia preda.
Posò il suo test sistemandolo negli altri, sempre con gli occhi bassi, sfuggenti, combattuti. Provò a seguire i suoi amici, che erano diretti al giardino retrostante, ma nel momento in cui stava sparendo lasciai la cattedra e corsi da lei prendendole un braccio.
«Non te ne andare.»
Lei si voltò incenerendomi con lo sguardo, ma a me non importava.
«Lasciami andare.» mi ordinò con una freddezza che mi penetrò nelle ossa. Le strinsi la mia mano intorno al braccio per dimostrarle che non volevo cedere. Doveva ascoltarmi, doveva sforzarsi, perché io non l'avevo tradita. Era stato un malinteso, era tutto successo in un attimo, non mi ero reso conto che Elly mi era caduta addosso, ma non avevo fatto nulla, non l'avevo baciata questo lei doveva saperlo ad ogni costo prima di decidere di troncare la nostra ancora immatura relazione.
«No, devo parlarti.»
Josh e Tania rimasero per prendere le sue difese, ma io ordinai loro di lasciarci soli.
«Andate ragazzi.» fece Sofia. «Voglio proprio sapere che scusa si inventerà il professore.»
«Nessuna scusa. È quello che è veramente successo.»
Con uno strattone si liberò.
«Bene, parla. Parla e poi lasciami in pace perché di quello che fai con lei non me me importa più nulla.»
Diminuii le distanze, e lei cominciò ad indietreggiare verso la porta. «Hai paura?»
«No, che ti salta in testa!»
Annullai quei minimi centimetri d'impeto e lei si trovò a contatto con la porta della classe con le mie mani che la bloccavano in una gabbia infrangibile. Le strinsi le mani sulle spalle. «Quello che è successo è che non ti ho tradito.»
«Oh, certo perché quella non era una vera donna, ma un travestito di nome Elly che ti è caduta addosso... guarda caso quando ha visto me che vi guardava.»
Scesi con le mani verso la schiena e lei si paralizzò.
«Non è andata così.» La corressi, prendendole con una mano il mento, obbligandola a osservare i miei pozzi chiari come il cielo, la cosa che mai quel giorno si sarebbe sognata di fare.
Le accarezzai il viso da bambina ribelle, assaporando il morbido contatto della sua morbida pelle a contatto con la durezza dei miei polpastrelli. Lei non fiatava.
«Io non ho fatto altro che pensare a noi due, ma poi Elly Hèrman mi ha sconvolto totalmente.»
«Allora lei.. è importante nella tua vita. Per questo vi siete baciati in quel dannato ascensore!»
«No, non ci siamo dati alcun bacio.» ripetei più forte, asciugandole una lacrima con il pollice e iniziai a baciarle la fronte. «Intesi?» soffiai sulle sue labbra che si schiudevano per emettere qualche sospiro.

Non proferì più parola.
«Mi credi?» le chiesi con l'ansia che divorava ogni briciolo del mio corpo.
«Dimmi che non mi credi.» continuai, mentre lei aveva socchiuso gli occhi e il suo battito pareva notevolmente impazzito.
Avvicinai le mie labbra alle sue, sperando che la sua risposta mi regalasse la speranza che stava morendo, sperando che si trattasse di un sogno, e che al mio risveglio, l'avrei trovata accucciata sotto le coperte accanto al mio petto, sorridente, che mi dava un bacio come buongiorno. Non avrei mai tollerato in nessuna maniera una vita senza di lei, la sua assenza avrebbe squartato le mie viscere, dopo avermi torturato con ferocia per non aver provato ad aggiustare le cose. Di me non sarebbe rimasto nulla. Solo un uomo, dimenticato, trascinato giù dalla corrente senza sogni, senza obiettivi, senza lei.
Una volta che adagiai piano le mie labbra nelle sue, lei non ricambiò.
Io premetti, con insistenza, perché mi lasciasse entrare, ma lei non si degnò di ribaciarmi.
«Sofia.» la implorai con una fitta al petto. Perché non diceva nulla? Perché voleva uccidermi? Perché non dava alcun segnale di volermi perlomeno capire?

Lasciai scivolare le mani via dalla porta inerti al corpo. Lei spinse le mani contro il petto e si staccò, riprendendo a guardare il pavimento, come se lui fosse più meritevole dei suoi sguardi. Un brutto pavimento di marmo mi aveva sconfitto.

«Alan, vattene

****

Ragazzi! Buona sera! Contenti che ho aggiornato?
Spero di si.

Alan ha provato a spiegare a Sofia il malinteso di quella sera, ma la ragazza gli ha risposto vattene.
È davvero finita, così presto, fra Alan Taylor Scott e Sofia Baglietti oppure ci sarà una minima possibilità di vedere il loro amore trionfare? Beh, qui tutto è possibile, quindi stellina e commentino please :)

Per la fan della Taniosh vi è stato un piccolo e innocente abbraccio, ma tranquilli dai prossimi rincarerò la dose in entrambi i casi.
Ci vediamo nel prossimo, si spera al più presto.

Bacioni, Kissenlove

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