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Capitolo 4

***

{Pov's Sofia}

Ero scappata, così.
Alan ci era rimasto male, il modo in cui quei suoi occhi che toccati dalla luce diventavano argentei, avevo notato un bagliore di insicurezza, delusione perché qualcosa gli faceva pensare che non si fosse sbagliato.
Avevo contato fino a mille ma comunque non mi era bastato, le sue iridi non sarebbero mai state mie nemmeno se gliele avesse chieste.
E poi cosa avevo di speciale da far interessare un ragazzo di otto anni più grande di me?
Alan aveva ventiquattro anni, io solo sedici anni, non poteva essere possibile infatti anche se ci fossimo impegnati non sarebbe accaduto nulla.
Lui era carino, incarnava perfettamente ciò che è un principe con quei suoi occhi ghiaccio e con la folta massa di capelli neri. Mancava solo il mantello poi sarebbe stato perfetto. Ma io non ero una principessa; avevo qualche bellezza nascosta come alcune ciocche che mi ero tinta di rosa grazie a Tani che mi aveva coperto, un naso all'insù, le labbra talmente piccole da essere invisibili ed ero magra fino al midollo.
Può mai un uomo adulto interessarsi a me?

Alan no di certo.
È in cerca della sua dolce metà, ma non di una ragazzina che non sa la più pallida idea di cosa voglia dire innamorarsi. Vuole qualcuno che sia la sua guida non qualcuno che debba essere guidato come me.

Ognuno cerca la sua direzione
Forse l'ha già trovata.

E mentre quei suoi occhi mi annegano spingendomi a confessare, la paura mi blocca la voce, come una mano invisibile che mi stringeva intorno al collo uccidendomi.
Lui, Alan Taylor.
Mi uccideva senza anestesia.

Così me ne andai.
Girandomi ingannai il suo richiamo, con una mano ad accarezzare la maniglia dolcemente, poi la abbassai e mi si aprì un flebile spiraglio di libertà.
Uscii, il corridoio mi fece trarre un sospiro di sollievo, lontana da lui e condannò il supplizio di bugiarda.
Con monospalla cascante sull'avambraccio percorsi circa qualche metro, intravedendo un grande portone ad arco, con strani bassorilievi incisi che si apriva a un giardino retrostante, curato e coltivato a piante secolari.
Mi fermai col fiato corto.
Josh stava semidisteso vicino a un tronco di pino, con le braccia piegate e portate sotto il capo.
Aveva inoltre un sigaro della Punch stretto fra le fessure delle labbra, che stava finendo per accenderne subito un altro.
Non appena distolse lo sguardo dal cielo tinteggiato da qualche nuvola, mi sorrise con malizia, togliendosela. <<Ehi, mora!>>
Un nomignolo che si era inventato sul momento. Io mi addentrai nella piccola aiuola raggiungendolo.
<<Josh, da dove ti è uscito questo 'mora'?>>
<<Non lo so.>> rispose lui, aspirando il sigaro a metà.
<<Ehi... se ti scopre Alan sicuro che questa volta non ti copre.>>
Lui continuò a fumare, creando degli anelli che si smembravano nell'aria.
<<No, moretta... Alan è uno sballo. Quel prof è roba buona.>> mi disse con ghigno malefico, assottigliando le fessure fino a renderle spiragli.
Pareva un alieno.
<<Ma tu come mai lo chiami così?>> affermò in modalità impiccione.
<<Così come?>>
Si schiarì la voce. <<Alan?>>
Io avvampai di colpo.
<<P-perchè.. non posso?>> boccheggiai mentre lui scoppiò in una fragorosa risata, buttando il mozzicone a terra.
<<Sei proprio un cretino, Joshi.>>
Joshi era un secondo nome che gli veniva affibbiato quando mi prendeva in giro.
<<Moretta, Josh!>> sottolineò.
Io gli mostrai la lingua.
<<Oh... davvero?>>
<<Sì, moretta innamorata.>> esclamò con grande sincerità; avrei preferito avesse una pipa in bocca perché quando la sua bocca cantava c'era solo da nascondersi sotto terra. Io lo fulminai con un'occhiataccia e lui abbassò lo sguardo colpevole, cercando nel taschino dei pantaloni un nuovo sigaro da accendere. Josh si prese un nuovo sigaro e se lo accese piazzandoselo fra le labbra, mentre con un gesto della mano mi invitava a sedergli vicino.
Io stavo per accettare, ma una forte voce maschile che proveniva da dietro mi bloccò; mi girai lentamente, e credo che Josh sia riuscito a sentire un ruvido rumore di carcasse di metallo mentre Alan, trafelato mi veniva incontro. Anche quando correva era un principe, i suoi capelli esposti alla luce del sole vi illuminavano i riflessi, gli occhi parevano essere stelle, anche se non era ancora notte.
Fisico da sportivo.
Un Dio greco.
Era normale che tutti lo stimassero, come me e come gli altri quaranta alunni, che pur avendolo avuto una misera ora di corso avevamo capito che cosa volesse dire amare un sogno.

Lui che sapeva farmi amare la musica molto più di quanto potevo fare prima che lo incontrassi.
Lui diverso da tutti.

Mi voltai e lo vidi frenare vicino a noi, al che Josh spalancò la bocca, trattenendo il sigaro consumato tra indice e medio e non si preoccupò minimamente di nasconderlo. Alan mi guardò, Josh se ne stette in silenzio appiccicato al tronco, anche se lanciava fugaci sorrisetti furbi indirizzandomeli alle spalle. Io questo volta decisi di non evitare i suoi occhi e lo fissai, anche se mi costò.
<<Sofi.>>
Non appena pronunciò il mio nome, il cuore subì uno scossone e mi rimbalzò in petto.
<<Prof, sì?>>
Alan mi mostrò il palmo chiuso. Al suo interno, quando lo schiuse, vi trovai uno dei ciondoli che tenevo agganciati al bracciale della Morellato; un gufetto rosso, placcato in argento, che mi aveva regalato Tani.
<<Lo avevi perso sulle scale, ma me ne sono accorto quando eri già andata via.>> spiegò.
Con la bocca aperta fissai lui e il ciondolino, mentre Alan mi domandò.
<<Vuoi che te lo metta?>>
Io annuì, senza spiccicare parola.
<<Dammi la mano.>> mi ordinò, io ubbidii mentre Josh si ficcò in bocca il terzo sigaro, cestinando anche il secondo.
Le mani di Alan mi sfiorarono.
Erano fredde, ma al tempo stesso, morbide. Aveva mani bianchissime come se non vi scorresse nemmeno una goccia di sangue. Al loro contatto io rabbrividii, ma non perché faceva freddo, non perché ne avessi, era qualcosa che non sapevo spiegare e che mi saliva lungo la spina dorsale; una sensazione strana.
<<Stai tremando?>>
Nessuna risposta.
Alan spostò la mano dal polso alla mia guancia, massaggiandomela.
Josh fermo al posto di prima distolse lo sguardo sentendosi un terzo incomodo e crebbe in lui l'intenzione di lasciarci soli.
Alan arrivò fin sotto al mento.
<<Hai il volto freddo, Sofia.>>
<<S-sì, fa un po' di freddo ma sto bene. >>
<<Sei sicura?>> fece lui, guardando critico il mio abbigliamento, camicia a maniche lunghe, gonna che mi arrivava fin sopra al ginocchio e calze nere con scarpe abbinate.
<<Dovresti metterti una giacca sopra, Sofia. >>
Josh sbuffò.
Odiava il romanticismo.
<<Comunque.>> agganciò il ciondolo, ritraendo la mano dal mio viso imbarazzato.
<<Ehm.. ho finito.>>
Josh finì la terza tirata.
<<Josh!>>
<<Sì, prof?>>
<<Non si fuma.>> Lo ammonì severamente, accigliandosi.
<<Prof è importante.>>
<<Siamo a due, non c'è due senza un tre, eh Watson?>>
<<Prof...>> mormorò rammaricato.
Io ero ancora in trans. Alan era dolce anche quando si arrabbiava e in ogni cosa che faceva.

A un certo punto si sentì vibrare qualcosa, e Alan si esaminò le tasche dei pantaloni cacciando un Iphone di ultima generazione;
Osservò il display.
<<Scusate. Devo rispondere.>>
Io e Josh annuimmo all'unisono.
Lui ringraziò sorridendo e accettò la chiamata.
<<Pronto?>> tacque un secondo. <<Sì, signor Gruber sono io.>>
Di nuovo tornò silenzioso, facendosi uscire solo repentini 'ah' o 'sì' ma poi improvvisamente i suoi tratti mascellari si irriggidirono, come se l'interlocutore gli stesse riferendo qualcosa di grave.
<<Ho capito.>> concluse, serrando gli occhi e inspirando. <<Vengo subito, signor Gruber.>> stava per chiudere, ma poi aggiunse, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. <<Ah... avete chiamato già il suo medico?>>
Ascoltò e farfugliò tra i denti 'va bene' poi riattaccò preoccupato.
Si rifilò il cellulare nei pantaloni.
<<Prof qualcosa non va?>>
Lui sospirò.
<<Niente, ragazzi.>>
La risposta però se per Josh fu sufficiente per me invece fu motivo di tarli nel cervello ancora più insistenti. <<Se non vi dispiace, devo andare.>> e con volto a terra se ne tornò dentro al collage.
Lo adocchiai finché non sparì.
Fu Josh a riportarmi alla realtà.
Io mi sedetti vicino.
<<Uhm.. Sofia sei per caso preoccupata per il prof Alan?>>
<<Sì. Tu non hai visto con che faccia se ne è andato?>>
Josh ci pensò su, accendendo il quinto sigaro.
<<Ehi, Joshi. Hai da accendere?>>
Trionfante, mi mostrò il pacchetto aperto, due sigari, io ne presi uno.
<<Ehi ragazza vedi di non diventarmi ciminiera!>>
Io me la accesi.
<<Ho avuto un bel maestro.>>
Era stato Josh a insegnarmi.
<<Modestamente.>>
<<Joshi dobbiamo scoprire perché Alan stava così.>> gli proposi mettendo su un sorriso serafico che Josh conosceva benissimo e che il più delle volte lo predisponeva a qualcosa di pericoloso.
<<No, no, non ci tengo.>>
<<Ehi Joshi, sei con me o contro!>> <<Contro.>> fu la risposta.
Mi alzai, scuotendomi la gonna, e gli mostrai il broncio. <<Non mi aiutare, sei libero di non farlo, ma io devo assolutamente scoprire che cosa ci ha nascosto.>>
<<A costo di finire in prigione?>>
<<Be.. può essere!>>
<<Sei pazza mora!>>
Era uno dei miei pregi, adoravo essere pazza, ma non importava.

<<Cosa mi nascondi Alan?>>

●●●●●●●●

Ehiii!
Salve gente di Wappad!
Primo screzio fra Sofi e Alan, e una chiamata. Cosa sarà successo?
Sofi scoprirà il misfatto?
Se vi piace il capitolo votatelo con una stellina o col commentino
Vi prego ;)








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