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Capitolo 36

Verità.
Obbligo.
La rudezza di un gioco.

36.

«Allora che decidi
«Posso ormai confutare che sei insopportabile
«Grazie, adoro essere insopportabile idiota notturno senior, molto più che giocare a Obbligo o Verità.»

Iniziò a ridere mentre le davo mentalmente della sadica.

«Comunque, sfido la sorte.»
«Uhm, buon per te.»
«Obbligo

Eravamo l'uno di fronte all'altra, accovacciati vicino al piccolo tavolino di legno in camera. Tania armeggiava come un barman coi cocktail una bottiglia di spumante che avevo trovato nel cassetto di Hendrik Moore sepolta circa tre mesi prima dal nostro ultimo festeggiamento. Sulla sua faccia un ghigno diabolico pareva farsi scorgere mentre con un movimento rotatorio del polso faceva compiere un giro completo al piccolo cilindro allungato.
Io fissavo prima lei, poi la bottiglia con la fronte grondante di gocce di sudore e ingoiavo un piccolo groppo in gola come se quel gioco fosse l'inizio della mia morte.

«Sicuro, obbligo?»

Cercò di incutermi timore aiutata anche dalla torcia del suo cellulare, mentre le unghie graffiavano sulla superficie dell'oggetto che si fermò puntandomi con il suo collo.
«La bottiglia in realtà servirebbe per un'altra cosa, e sarebbe anche inutile visto che siamo due.»
«Beh, renderemo le cose più interessanti.» rispose lei.

«Hai detto obbligo
«Mi sarebbe piaciuto giocare ad Uno, ma sì Tani. Obbligo

Si portò istintivamente una mano alla guancia massaggiandosela, mentre i gomiti si puntellavano sul tavolo ancorandosi all'instabile struttura di legno disposta al centro del piccolo ambiente.
Con l'ausilio del dorso delle mani Tania si sporse per raggiungere il mio volto che necessitava di una nuova iniezione di coraggio.

Quell'insignificante gioco da quattro soldi mi stava azzerando la fiducia che avevo accumulato, nel corso degli anni, in me stesso.
Tra qualche frazione di secondi qui in questa stanza sarebbe scorso del sangue e per la precisione quello di Josh Watson.

Non provavo un certo timore nel dire assolutamente la verità o ad abbassare la mia autostima in cose infantili o in bassezze disgustose, ma lei, lei mi spaventava, il modo con cui giocchicchiava con la bottiglia ma senza prestarne alcuna attenzione.
Mi fissava lei, seria, attenta, senza proferire parola, ma i suoi occhi azzurri come il mare che parevano brillare alla penombra erano iniettati di sadismo e la linea delle sue labbra prima retta si piegò all'insù. «Bene, sei pronto?»
Faticosamente cercai di tenere spalancate le palpebre in modo da visionare e imprimere nella mia testa tutto ciò che una volta morto avrei lasciato. La stanza, la finestra che disegnava, come un programma per fotomontaggi, dei lunghi fasci argentei che si scagliavano contro le doghe del pavimento o il suo viso, il volto di Tania incorniciato dai capelli crespi di un fulgido rosso o l'intaglio europeo dei suoi occhi vispi come quelli di una lince.
Magari fosse esistito un pulsante reset, apparso nel nulla come nei videogiochi per fermare la scena, ma nulla, niente bottone, niente.
«Uhm, beh.. se proprio devo.» balbettai per niente certo della risposta. «Sì, ma ti prego non essere cattiva con me.» la implorai con una faccia a dir poco pietosa, come un cucciolo che vuole richiamare la sua porzione di ossa. «Ma gli obblighi non sono cattivi, sono solo le regole del gioco.
Se le accetti bene, altrimenti ti consiglio di non barare, perché fiuto gli inganni a chilometri di distanza.» piegò una falange sulla bottiglia e io abolii la versione cucciolo ferito per indossare quella di combattente rinvigorito.
«Non nè ho intenzione dear
Lei assottigliò le fessure fino a renderli spiragli e inquadrarmi bene per appurare la veridicità delle mie ultime parole.
«Non mi credi?»
Lei inspirò a pieni polmoni, alzando con una mano il piccolo trofeo di vetro.
«Da un playboy non mi aspetto il massimo, ma cercherò di fare un sforzo.»
«Una vittoria aiutata dal barare, per me non è una vittoria.»
La udii ridere, e la sua risata riempiva il silenzio di una notte insonne come un cameo a cappella senza alcuna sinfonia ad accompagnarlo e mi resi conto di quanto quello mi rendesse difficile trovare la giusta concentrazione.
«Va bene, asseconderò le tue manie ma non sperare che te la dia franca solo perché sei il playboy del college e nessuna, fino ad ora, ti ha potuto resistere.» probabilmente asseriva alla sua persona, ma non doveva subito permettersi di cantare vittoria, perché prima o poi il morso avrebbe fatto effetto in modo permanente e come una farfalla sarebbe rimasta impigliata nella rete delle mie avances.
Gonfiai il petto.
«Non è detta l'ultima parola.»
Mi guardò di nuovo e quei suoi sguardi di fuoco furono stilettate conficcate nel mio cuore.
«Vedrai sarà così.»
La sua bocca dischiusa mimò un ti piacerebbe idiota, che io mi limitai ad ignorare. Ti conquisterò, pensai, raddrizzando la schiena.
«Te lo devo ripetere?» mi chiese con stizza mentre portava un dito alla tempia. «Sono già impegnata.»
«Si, come no? E io sono sposato con Kate Middleton.»
«Oh, povera!» strillò mentre le pareti assorbivano l'eco.
«Stare con un marito idiota? Non la invidio per niente.»
Ridacchiai conquistando come un soldato greco la tanto agognata Troia, mentre mi rimbalzava dritto in faccia la sua gelosia segregata con fermezza.
«Kate è fortunata.» dichiarai, mentre percepivo a occhi chiusi i suoi sbuffi ripetuti nel cuore della notte mentre esaltavo le doti di mia moglie.
«Fortunata? Direi con un piede nella fossa, e ora per piacere puoi smetterla.»
Missione compiuta, sussurrai più a me stesso che alla coetanea dall'altro lato, che tratteneva la bottiglia nelle sue mani come una bambina col suo giocattolo intoccabile. Okay, è gelosa.
«Vuoi dire che sei-» ma non mi lasciò terminare e proseguì lei. «Vuol dire che vorrei iniziare a giocare prima che la notte diventi mattina, grazie.»
«In realtà sei gelosa di Kate.»
Un nuovo sorrisetto smorzò le sue labbra serie e mi consegnò una nuova vittoria su un piatto d'argento.
«No, spero tu stai scherzando! Non che non sia una bella ragazza, ma io sono meglio, molto meglio.»
«Manie di narcisismo? Male, Bergazzi Watson.» la punzecchiai e lei cercò di lanciarmi l'oggetto di vetro dritto nella faccia, ma io fortunatamente evitai lo spargimento di sangue bloccandole con forza le mani.
Le sue braccia indemoniate si placarono trattenute dalla chiusura delle mie mani tese verso la sua figura a formare una x intrecciata. Aprì le labbra per muovere altre proteste, ma all'ultimo momento decise di tacere mentre io iniziai ad allentare la stretta.
«Sei più calma?»
Mi fissò intensamente come se dinanzi al suo infinito campo visivo non esistesse altro che il mio bel volto, e annuì fiacca come una belva rabbiosa a cui avevano sparato una freccia di tranquillanti, mentre lentamente cercavo di avvicinarmi goffamente, ma il più lento possibile in modo da non aizzare qualche suo gesto omicida volontario. Proseguii spedito e mi innalzai piano in equilibrio con le gambe piegate fino a che non superai di poco la sua figura minuta. «Prometto che non ti punzecchio più, okay?» le promisi, ma non ero certo di voler mantenere quella promessa.
Le toccai le scapole e discesi verso gli avambracci, mentre lei non si muoveva, non mi allontanava, stava a quel gioco che avevo montato senza problemi, come un cagnolino a cui avevano dislocato una zampa e non mi piaceva, la preferivo forte e agguerrita, ma pian piano ogni suo lato celato stava sgusciando fuori e io morivo dalla curiosità di conoscerne tutti i dettagli. «Ti sei offesa?» le chiesi dolce, ma lei non accennò a rispondermi. Mi avvicinai che sentivo il suo fiato condensato carezzarmi le guance. Era lento, faticoso, ma i brividi che correvano su per la schiena erano veloci come scariche elettriche.
Le scostai il grande ciuffo rosso, e lei seduta, non accennava a nessun movimento come paralizzata.
Combaciai alla perfezione col suo petto, e notai quanto il suo cuore stesse scalpitando impazzito e si univa al mio come un tutt'uno.
Le sue labbra erano come segnali di direzione che mi guidavano al piacere assoluto, ma preferii superare la piazzola, e inaspettatamente le mie labbra si scontrarono con la sua fronte con dolcezza, che la avvertii sussultare e inspirare con più rapidità.
Tuttavia nella mia testa si scatenò la confusione, estasi, paradiso e una sorta di frustrazione per qualcosa di più di un casto bacio quasi paterno sulla fronte.
Ma non assecondai nulla e mi riabbassai fino a incontrare i suoi occhi dilatati e sorpresi.
«Allora giochiamo!» esultai, mentre lei voleva ribattere anche su quel piccolo anticipo, ma non le uscirono le parole adatte così con una scrollata di testa lasciò perdere e diede inizio alla lotta.

Anche se i suoi gesti cercavano disperatamente la soluzione a quel gesto, che l'aveva destabilizzata.
Perché non aveva respinto quel bacio sulla fronte?

«Vediamo.. hai detto obbligo?» ripetè come se la sua testa fosse andata in letargo.
«Sì.»
«Uhm, obbligo... Obbligo..» e puntellò un gomito, mentre col dorso si sosteneva la parte bassa del mento nel duro momento del pensare ardentemente a qualcosa, che possibilmente non fosse il bacio di prima. «Trovato!»
«Oh, bene finalmente mi stavo addormentando.» scherzai.
Lei si accigliò.
«Cerca nella mia valigia dovrebbe esserci qualcosa di appropriato, e mettiti quello più scollato che trovi.» sbattè con forza le ciglia.
Mi issai in piedi come una molla pressata. «Cosa! Sei matta!»
«Chi?» si puntò il dito contro il petto, mentre spingeva il labbro inferiore verso l'esterno singhiozzando. «Sei cattivo!»
«Ah no! Perché tu invece sei una santa!» dissi sarcastico.
«Ti ricordi le regole del gioco?»
Sospirai scocciato.
«Sì, mai rifiutare un obbligo.»
Mi fece un piccolo applauso.
«Bravo, lo vedi che se ti impegni qualcosa di buono lo combini?»
Le feci un sorrisetto isterico.
«Così siamo pari.» alludendo alla volta precedente in cui lei aveva dovuto forzatamente indossare un mio pantalone. «Ne Josh?»
«Odio te e odio questo gioco!» esclamai scompigliandomi i capelli, mentre recuperavo la sua valigia e gliela consegnavo.
Osservò puntigliosa il contenuto, mentre le sostenevo con entrambe le mani quel pesante oggetto, poi la vidi inserire la mano nello scomparto e sfilare uno dei completini più osceni che avevo mai visto nella mia vita, solo perché il manichino non sarebbe stato lei. «Questo è perfetto.»
Lo guardai e feci una piccola smorfia di repulsione.
«Josh. Le regole, ricordi?»
«Sì! Dannazione, maledetto io che ho detto la parola Obbligo!»
Glielo tirai via dalle mani e lo stesi sull'avambraccio, camminando nella direzione della porta del bagno, mi fermai sull'uscio, la guardai facendole la linguaccia e ottenendo il suo sorriso di soddisfazione stampato nelle sue adorabili labbra di mattacchiona, vi entrai chiudendomela alle spalle.

«No, io non ci esco, non ci uscirò mai, sono a dir poco-» mi fermai per assicurarmi che il fine tessuto mi arrivasse a sfiorare metà coscia più pelosa di quella di un leone.
Alzai lo sguardo alla porta ancora chiusa, dove al di dietro c'era Tania pronta ad annunciarmi come a una sfilata di moda.
«Sono osceno
Avvertii il ticchettio sulla porta delle sue unghie e la tentazione di tornare dritto nel guardaroba mi agguantò la testa.
Voltai il capo.
«Dai Josh non farti pregare. Sono curiosa.» potevo percepire lo sfregamento delle sue mani le une contro le altre con il suo immancabile ghigno in volto.
«La curiosità può uccidere.»
«Sarai peloso sì, ma meglio questo che il pegno del perdente.»
«Il pegno del perdente? Stai barando perché non esiste.»
Lei rise con lentezza da farmi morire dalla paura.
«Esci e te lo spiegherò.» continuò.
«No, mai e poi mai. Non ci casco alle tue bambinate.»
«Bene, se non rispetti il suddetto obbligo dovrai affrontare la pena massima.»
Alzai le mani tremando per finta. «Sono spaventato, uhm..»
«Andrai in giro.»
«Solo questo? Posso sopravvivere, non sono fatto di pasta frolla.»
La sua risata diventò molto più lenta fino a penetrarmi nelle ossa.
«Aspetta, te ne andrai in giro, ma in boxer uhm.» e si passò la saliva sulle labbra con malizia.
Aprii la porta piano con gli occhi talmente spalancati che sarebbero potuti cascare a terra, ma lei mi afferrò il polso e mi tirò via dall'uscio. Mi guidò fino al centro della stanza in modo che i suoi occhi azzurri potessero ammirare la piccola opera oscena di un artista sbronzo.
La sua risata imperiosa mi trapanò le orecchie e mi salì in testa.
«Oddio, sei così... ridicolo!» e intanto continuava a ridacchiare, accasciandosi sulle ginocchia piegate, con una mano premuta sulla pancia sul punto di esploderle. Le mie guance si incendiarono come un tizzone, e con una mano abbassai il tessuto per cercare goffamente di coprire le lunghe gambe pelose.
Mi sentivo ignudo, anche se non lo ero, e sentivo l'urgenza di seppellirmi finché l'uomo avrebbe camminato sulla terra.
«Contenta?» grugnii infastidito, mentre i tacchi mi rendevano sbilanciato.
Tania si rialzò trattenendosi al tavolino, con gli occhi gonfi di lacrime, mentre cercava di calmare il riso isterico con una mano a tapparsi la bocca.
«Molto.» boccheggiò senza respiro.
«Io mi vado a cambiare, prima che qualcuno mi veda in questo stato.»
Lei mi bloccò a metà strada.
«No, resta così. Sei molto più digeribile.» e intanto riprendeva a ridere. Mi girai traballando sui trampolini che mi aveva obbligato a mettere al piede e le lanciai una saettata di fuoco.
«Bene così la santa potrà piegarsi ancora di più in due dalle risate alla faccia mia.»
Tese le braccia verso l'alto.
«D'accordo, sei ridicolo lo ammetto. Meglio che ti togli questo vestito prima che blocchino la scena per atti osceni nei confronti dei minori.»
«Grazie.»
Cominciai a vacillare pericolosamente in direzione del cornicione della porta e quasi balzando mi aggrappai al suo fregio, mentre con la coda dell'occhio scrutavo Tania con la bocca tappata in procinto di scoppiare nuovamente nel riso incontrollabile e poggiai indice e medio alle estremità del naso, poi le allontanai per puntarle come un kalashnikov contro la sua persona che si sosteneva al tavolino.

«Ti tengo d'occhio.» mormorai e lei in risposta alzò le spalle.
Slittai nel ristretto posto sicuro, e caddi come un sacco di patate in un tonfo secco sul bordo della vasca trattenendo a denti stretti un'imprecazione sgarbata.
«Oh crap!» strillai esasperato, liberandomi delle scomode calzature e le lanciai contro il lavabo come si fa con un frisbee.
«Tutto a posto Josh?»
Tania apparì all'uscio trafelata, col cuore che palpitava a mille, attirata dal forte frastuono della colluttazione fra me e la cara vecchia vasca bianca.
Mi raddrizzai con il volto affogato nel rosso dell'imbarazzo.
«Ehm.. s-sto bene.» barbugliai restando incollato con entrambe le mani come quando non si è sicuri che la giostra intende veramente fermarsi. «Solo solo caduto.»
E ho fatto una figuraccia.
Lei si portò una mano al petto respirando per calmarsi.
«Credevo fosse caduta una granata
«Una granata? Addirittura.»
«Dal rumore sì.» oltrepassò l'uscio e allungò una mano in modo che mi potessi ancorare per rimettermi in piedi.
La strinsi forte e saltai su e i nostri volti furono di nuovo alla minima distanza. Potevamo attirarci come una calamita e il metallo, ma non abbastanza perché gli opposti potessero sfiorarsi.
Tania fiondò lo sguardo a terra e con un lieve disagio a disegnarle i tratti somatici snodò la precedente stretta di mano e la sua mano scivolò contro il tessuto del mio pantalone che aveva ancora addosso. «Continuiamo il gioco.»
Accidenti, un nuovo momento romantico mandato in fumo, grugnii dentro di me.
«Okay, prima però devo cambiarmi.» le ricordai facendole segno al vestito stropicciato.
«Va bene.»
«Allora, esci e aspettami fuori.»

[Pov's Tania]

Ero nella stanza ad aspettare che il pigro idiota Josh Watson si decidesse a uscire dal confortevole bagno e intanto la mia testa stava cominciando a vagare nei rimasugli dei ricordi di prima.

Pensavo intensamente a quel bacio, che non era stato quello che tutti ci si aspettano alla prima occasione, ma un gesto di infantilismo misto a pura dolcezza. Qualcosa che era riuscito ad ammansirmi così tanto che non avevo mosso proposte e mi aveva spinto addirittura ad assecondarle.
Mi aveva bloccato il cuore, avevo percepito nello stomaco le farfalle vorticare in un grande sciame, per non parlare dei suoi meravigliosi occhi scuri in cui avrei voluto annegarci facilitata dalla loro forma che conservava la massima espressione maniacale.

Come potevano essere così belli da uno a cento, visti da così vicino, mentre mi posava leggermente un bacio a stampo nel centro della fronte?

Scossi il capo cercando di rimuovere quei pensieri e appoggiai la testa nel piccolo incavo circolare delle braccia.
Avevo avvertito quella sensazione come un pugile che mi assestava con una tale forza il suo grosso pugno nella pancia, strappandomi un gemito strozzato di dolore.
Il suo sollevarsi per superarmi e l'effluvio maschile che emanava il suo corpo, come se ne avesse applicato dosi massicce, salirmi nelle narici solleticandole.
Le sue mani che limitatamente esploravano il primo strato di epidermide reso impossibile dalla presenza del capo di lana. Più lo percepivo scendere in basso, più la trepidazione mi inibiva.
La cosa che avrei potuto sperare di utilizzare era svincolarmi dalla sua stretta grazie alla prontezza dei miei pugni velenosi, ma per qualche strana ragione lo lasciai fare di me ciò che voleva, fino al culmine del bacio in fronte.
Il mio cuore aveva ruzzolato in un triplo salto mortale e il dolore si era irradiato nei nervi.

I miei occhi affrontavano i suoi, ma perdevano colpi man mano che la trama cioccolato si intensificava. Il colpo di grazia arrivò quando mi accorsi di quanto lui fosse stato prudente e non avesse voluto rischiare di urtare la mia sensibilità.

L'idiota non era tanto idiota, sembrò puntualizzare la mia coscienza mentre assaporavo dinanzi ai miei occhi quella zuccherosa scena romantica e questa volta, in tutta la storia della mia vita, le diedi ragione.
Il click della porta del bagno spazzò via la vocina interiore e anche gli ultimi fotogrammi ripristinati dalla memoria.
Mi drizzai a sedere con le gambe incrociate, mentre Josh socchiudeva la porta e mi raggiungeva per riprendere da dove avevamo lasciato.
Abbassai lo sguardo per non intercettare la sua figura, decidendo di preservare le mie guance dal pericolo di prendere fuoco per colpa di un'idiota nei paraggi e finsi un colpo di tosse.
«Sei in ritardo.» lo accusai, schiacciando un pezzetto di legno che emergeva dalla struttura liscia. Ancora non lo guardavo, forse lui subito si sarebbe accorto di questo improbabile trattamento e in realtà covavo la speranza di continuare a esaminare i difetti costruttivi del tavolo piuttosto che constatare quanto il suo volto strafottente fosse perfetto.
«Ora tocca a me.»
Non guardarlo Tania.
«Certo.» e un improbabile suo ravvicinamento e un dito posto sotto il mio mento per alzarmelo mi fece sobbalzare, letteralmente.
«Ora tocca decisamente a te.»
Fui costretta dal suo dito freddo a guardarlo negli occhi, in quegli occhi scuri come quella notte, che mi annebbiavano l'orientamento e mi faceva smarrire come Ulisse che non trovava più il modo, dopo aver dignitosamente combattuto, di tornare nella sua amata patria.
«Bene..» farfugliai e con una manata veloce il suo dito si ritirò.
«Scelgo Verità
«Verità. Non obbligo?» mi chiese malizioso di volersi riscattare da quel colpo basso con occhi assetati di vendetta.
«No, meglio verità.»
«Va bene cherish.» si portò un dito alla guancia, ma dal suo sogghigno si capiva perfettamente che non aveva manco tutto quel bisogno di rimuginarci su.
«Avanti, non ho paura.»
«Okay bellezza, ma ricordati di dire sempre e solo la verità.»
«Lo stesso per te.»
Lui abbozzò un nuovo ghigno, passandosi l'indice sulle labbra dischiuse appena.
«Hai mai scopato una volta?»
Avvampai di tutti i colori come se stessi affogando e rialzai la testa, puntando i miei occhi nei suoi, importandomi ben poco di ciò che avrebbero potuto causarmi.
«Ma che razza di domanda è!»
«Una domanda.»
«Sei un pervertito!» sbottai rabbiosa guardandolo allibbita per un lungo istante.
«Sono le regole e ora tu devi rispondermi, altrimenti ti tocca quel pegno, tesoro.»
Non potevo ribattere, non potevo passare quel fardello altrimenti sarei dovuta in giro per tutto il college facendomi un'ottima pubblicità di bigotta.
Chiusi gli occhi e sospirai, mentre lui mi fissò come spazientito.
«Allora?»
«Piacere di averti conosciuto, amata vita. Ti lascio sapendo di aver fatto quasi tutto. Amen.»
«Ti decidi!» mi incalzò battendo la mano sul tavolo facendolo oscillare di poco. «Qui si fa notte.»
«Okay mister idiota.» e mi fermai con lui che minacciava di scagliarmi contro un malefico incantesimo stile Harry Potter.
«No, non sono mai stata con un ragazzo.» e sottolineai con un cenno del dito la parola mai, mentre lui dilatava gli occhi.
«Vuol dire che sei..»
«Vergine, sì sono vergine.»
Piombò il silenzio in entrambe le fazioni mentre maledivo quel gioco. Prima di allora nessuno lo aveva mai scoperto. Nessuno sapeva che non ero mai stata con un ragazzo manco per sbaglio, manco da ubriaca, manco per gioco. Era qualcosa di cui non andavo molto fiera visto che tutte le mie coetanee non facevano altro che parlottare delle loro opposte sensazioni in merito. C'era chi provava piacere e lo voleva fare ancora come le comuni prostitute in mezzo alla strada, c'era chi per il dolore provato non lo consigliava a nessuno, ma secondo me ogni donna è diversa. Ogni donna lo fa dove più le aggrada, anche sulla lavatrice, nei parcheggi isolati o nel letto come le persone di buon senso.
Diverse erano anche le sensazioni, i piaceri, i dolori con cui lo affrontavano, dopotutto il mondo non avrebbe mai potuto essere noioso se esistevano razze diverse di individui che popolavano ogni continente.

Nessun uomo era uguale all'altro, neanche se plasmato da un essere soprannaturale come Dio.
Questo era il bello.
E io non volevo essere la copia di nessuno, volevo avere il mio carattere personalizzato, le mie proprie passioni, i miei pregi e difetti e un futuro raggiungibile e ben tracciato. Esisteva solo una Tania e quella ero io.

«Ma sono felice di non aver concesso me stessa ai patentati idioti come te.» gli dissi acida come la scorza di un limone, mentre lui aveva la mascella scolpita nella rigidità e un volto serio.

La cosa impressionante che possedeva quel cretino era la delusione che trapelava dai suoi occhi che non si nascondevano a quel mondo nemmeno per un momento e neppure nelle tenebre che divoravano quel piccolo luogo.
«Tu?»
Josh alzò gli occhi al soffitto e mi giunse una fitta lancinante nel costato. Forse ho esagerato.
«Io, cosa?»
«Hai mai s-scopato?» ci volle tutta la forza conservata nel corde vocali per liberare dalle catene tutta quella volgarità. «Insomma, sei mai stato con una ragazza?» cercai di correggermi, udendo il lontano rimprovero di mia madre, che se mi avesse ascoltato parlare in quel gergo scurrile adolescenziale si sarebbe accusata di non aver fatto un buon lavoro con sua figlia.
Scossi il capo cancellando quel richiamo familiare e mi concentrai sul gioco ancora in corso.
Ridacchiò come uno scemo, prima di rispondermi con una ritrovata proverbiale faccia da cretino imbalsamato da mesi.
«Tu stai chiedendo a un playboy se ha mai scopato! What?» e rise ancora di più, asciugandosi il bordo degli occhi con i pollici.
«No, sto a chiedendo a un cretino prima che a un playboy!»
Lui smise di shignazzare.
«Certo che io scopo, giorno, notte, pomeriggio e sera, tutti i giorni.
Se vuoi sono libero ora.»
Gli assestai un potente schiaffo sulla guancia e lui si ritrasse come un cagnolino a cui avevano pestato la coda.
«Bastava un no
«No.» gli feci una linguaccia e mi alzai in piedi con agilità andando verso il letto di Hendrik.
Chiusi la valigia con entrambe le mani, riposi il vestito di prima nello scomparto e la spinsi in scivolata sotto il letto.
Josh grugnì.
«Non abbiamo finito, mi devi un obbligo.» si alzò in piedi anche lui, raggiungendomi da dietro.
Lo sentii barcollare con passi silenti e porre entrambe le mani sui miei fianchi agguantandoli.
«E mi devi le mie amate sigarette Punch che mi hai scagliato fuori dalla finestra.» si avvicinò al lobo del mio orecchio, mentre avvertivo il calore sprigionato dai suoi vestiti maschili su di me.
«Domani mi devi un pacchetto.»
Mi voltai e le sue mani persero il contatto con il mio girovita. Lo guardai, alzandomi sulle punte delle convers per raggiungere il suo volto contrariato.
«Scordatelo.» sussurrai beffarda.
Lui provò a puntarmi un dito contro per ribattere, ma il suo tentativo fallì.
«E scordati il tuo tanto atteso obbligo, non te lo concederò mai.»
«Bene, cara.» si avvicinò di più. «Vedremo chi vincerà.»
«Ah sì?»
«Sì.» alzò il pollice. «Se vinci tu.. anmetterò la dura realtà di non poterti conquistare e smetterò di fumare come vorrai, ma se vincerò io mi dovrai una confezione intera di sigarette Punch coi tuoi soldi e dovrai fumartene una anche tu!»
Ci pensai su, mentre lui tendeva una mano verso il mio corpo per ufficializzare la scommessa.
«Affare fatto.» e gliela strinsi forte mentre Josh increspava un sorrisetto compiaciuto.

Il click metallico della porta della stanza decretò l'entrata in scena della seconda coinquilina della stanza. Una coinquilina che conoscevo benissimo e il cui pensiero di rivederla mi gonfiava il cuore di gioia tanto che sembrava potesse esplodermi.
Josh si voltò nella sua direzione.
«Sofia!» mentre lei era rimasta all'uscio con ancora le mani ancorate alla maniglia abbassata.
Nel vederla il respiro mi si mozzò in gola che se avessi gridato il suo nome che mi era mancato come l'acqua in un giorno di siccità, sarebbero fuoriusciti gemiti brevi e interrotti dai singhiozzi.
Lei era dinanzi a me.

«Ma che sta succedendo

****

Angolo della Love ~ ♡

Ragazzi! E questo nuovo aggiornamento pre-Epifania è concluso. Spero stiate preparando le calze, le scope, i biscottini perché arriverà e tutto porterà via. Ma dopotutto una cosa non continua per sempre, quindi dopo il sei torneremo alla nostra tanta odiata quotidianità, ma cosa ci possiamo fare?

Nel frattempo, nel mondo dei libri il gioco di Josh e Tania si è completato e per la gioia di voi fan della Taniosh, ci sono alcuni screzi innocenti. Dopodiché è entrata Sofia, e nel prossimo capitolo scopriremo molti altri particolari.
Per esempio come la prenderà Sofia sulla presenza della sua migliore amica e chi è la fantomatica Elly Hèrman interpretata da Lea Sèdoux.

Tutto nei prossimi.

Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi perché leggete le mie storie e mi date la carica giusta per fare ogni cosa, ogni capitolo, ogni particolare sempre meglio perché voglio che diventi 'La vostra Canzone. '

Ci si vede nel prossimo capitolo
Imperdibile.

La vostra Jo.

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