Capitolo 34
Voglio essere il pensiero costante che non ti farà smettere di ridere, perché il tuo sorriso è più prezioso dei cherubini.
Cit. Sofia Baglietti
Riepilogando... in realtà non c'è niente che io possa dirvi che voi non sappiate già, visto che avete letto fino ad ora.
Quello che alcuni non sanno, dei precedenti capitoli, è che io e Alan ci siamo fidanzati in segreto.
Eravamo stanchi di ignorarci come bimbi capricciosi per tutto il tempo e dopo esserci concessi in quella casupola di legno al lago Shin, abbiamo mosso qualche passo traballante verso la soluzione al nostro problema.
Stiamo insieme, mi sembra un sogno divenuto realtà.
Dopo aver superato la contea di Assex, e anche il centro trafficato del Minnesota, eravamo giunti al parcheggio del Mc Nally Smith.
Osservai il mio professore spegnere la macchina e inserire il freno di stazionamento mentre sgangiava la cintura di sicurezza.
Va bene così, pensai cercando di non mostrarmi abbattuta per la messinscena che avremmo poi dovuto montare dinanzi a tutti, come grandi attori che recitano in una commedia. Lentamente allungai un dito sfiorandogli il dorso della mano, percorrendo la lunga conca formata dalla vena indugiando su ogni piccola crosticina di sangue represso, non fa niente, mentirò solo per averti accanto a fine giornata Alan.
Alan alzò la mano e la rigirò con scatto improvviso, facendo scivolare la mia nel palmo aperto.
«Tesoro.» i suoi occhi si incastrarono nei miei, mentre la luce della macchina si spegneva.
Mi faceva ancora un certo effetto, che quelle sue labbra e quella sua voce sensuale che sferzava con un colpo secco le tenebre che ci avvolgevano e mi accarezzava la guancia, si riferisse proprio a me.
Lui che di bellezza e di carattere ne poteva avere cinquantamila, ma aveva scelto me.
«Ehm.. io..» farfugliai intimorita di dire o fare qualcosa che non andasse bene, vittima di un attacco di dislessia.
«Tutto bene?» mi chiese e un distante coro angelico risuonò nei paraggi. Mi strinse la mano nel suo pugno, mentre si chinava sul mio minuscolo viso. Potevo avvertire, senza niente a rischiarare quei nostri gesti, il suo respiro caldo e lento accarezzarmi le gote, la stretta delicata e impacciata dalla ristrettezza della vettura immobile nello stallo e quei suoi occhi limpidi che non facevano altro che scrutarmi timorosi.
Una vampata di calore mi scaldò le guance, fino a poco tempo prima gelide per il maestrale del di fuori.
Dischiusi le labbra per rispondere ma sentivo un eccesso di saliva impastarmi le parole da renderle incomprensibili, come tutte le volte che provavo a dire qualcosa di serio a lui. In sua presenza però mi si azzerava il cervello e tutto ciò che proferivo erano lallazioni banali o piccoli mormorii a bassa voce. Non avevo il diretto controllo sulle corde vocali, che andavano sempre per conto loro quando Alan stava con me, cioè sempre.
«Ben-» mi interruppi per mordermi l'interno della bocca, cercando di trattenere un'esclamazione irritata.
Possibile, coscienza, che io debba sempre e solo balbettare in sua presenza come i neonati di poco più che un mese?
Inspirai profondamente, preparandomi a reclamare qualcosa di più compunto.
«Sto bene.»
Alan con un piccolo schiocco metallico aprì la portiera, chiudendo il giubbino che gli avevo restituito per combattere le sferzate fredde.
Lo fissai confusa, restando nel bollore concentrato della Porche, mentre Alan riapriva la portiera posteriore e vi introduceva metà busto per recuperare la valigetta da cui sfuggivano vari scomparti disordinatamente.
La richiuse energicamente.
«Tu vuoi restare in macchina, lumaca?» picchiettò un dito sul finestrino per attirare la mia attenzione. Mi voltai, ma il grande spessore del vetro mi isolava da quel suo avvenente timbro e gesticolai con indice e pollice in modo che lui capisse, ma niente.
«Alan, non capisco!» gli strillai con quanta forza avevo nei polmoni, ma lui nulla, continuava a scuotere il capo in risposta.
Lo vidi gonfiare le sue adorabili guance e fare un mezzo giro dalla macchina fino alla portiera opposta.
Con un click appena udibile si semispalancò e il suo volto vi fece capolino. «Finalmente.»
Gli sorrisi flebilmente. Avevo molto freddo, a causa di quegli spifferi, visto che indossavo solo indumenti leggeri e fini calze nere. Nessun cappotto, la fretta di seguire Alan Taylor dovunque stesse andando mi aveva impedito di ritornare in camera.
I denti iniziarono a battere piano, le mani si strofinavano al cavallo dei pantaloni per generare quell'attrito che avrebbe rimediato un po' di calore, la schiena veniva percorsa in ogni suo tratto da una scia di pelle d'oca. Accidenti, manco fossimo in Alaska, ma qui si rischiava di morire per ipotermia.
Alan alzò lo sguardo e i piccoli raggi obliqui argentei scolpirono i suoi tratti somatici, sottolineando la lieve rigidità del suo volto.
Un gioco di luci e ombre si stava disegnando sulla sua pelle bianca.
Alzai una mano e gli strinsi dolce un braccio per poi sfilarlo e raggiungere il suo pugno chiuso, che affondava nell'aria, come se vi fosse un corpo invisibile accanto a lui.
«Sono contenta però.» e lui riabbassò il volto perfettamente in linea col mio. «Anch'io.»
Silenzio.
Immobili, come se il regista nascosto nei cespugli avesse fermato la scena perché qualcosa non quadrava. Alan appoggiato alla Porche con una mano sul tettuccio laccato di bianco sembrava immerso in un ragionamento complicato.
La ragazza che lo amava più di sé stessa, cioè io, cercava di decifrarlo.
Ero seduta ancora sul sedile anteriore, con una mano a tenermi il braccio, mentre con gli occhi ridotti a fessure e la bocca di poco spalancata cercavo di seguire attentamente i gesti latenti del mio fidanzato, per esplorare ogni piccolo anfratto e immergermi nel complesso universo della mente umana, che era un misto fra codice morse e il lemma degli alieni. Alan però continuava a fissarmi, senza accennare ad alcuna parola e senza rilassarsi.
«Voglio essere il tuo pensiero costante che non ti farà smettere di ridere, perché il tuo sorriso è più prezioso dei cherubini.» dissi io, mentre slegandogli quel violento pugno portavo la sua mano aperta ad accarezzarmi la guancia. «No, Alan?»
Lui distese le spalle, e come se la scena fosse ripartita a rallentatore sotto i nostri occhi quando il regista aveva urlato da dietro le quinte azione, tolse la mano dalla guancia e la avvertii posarsi sulla schiena. Mi avvicinò, mi avvicinò così tanto che mi sollevai dallo schienale e poi mi trasse a sé.
Avvertii la leggerezza del mio corpo mentre lui mi agguantava i fianchi e la temporanea assenza dell'asfalto sotto ai miei piedi, ma durò poco, che non ebbi il tempo di razionalizzarlo. Mi strappò un unico gemito strozzato, mentre la mia fronte sbatteva contro il suo petto. «Alan-» e mi fermai bruscamente. L'imbarazzo bruciante si spandeva in ogni parte del mio corpo intirizzito dal freddo della notte del trentuno ottobre e avevo l'impressione che l'ultima cosa che avrei visto prima di entrare nel dolce piacere del coma irreversibile era il suo dolce volto o il calore del suo petto poggiato sulla guancia.
«Tsk.»
Delicato e lento, ma sopratutto sicuro, allargò il cappotto e cinse entrambi, trattenendomi con le sue mani unite dietro le mie spalle esili. «Adesso va meglio?»
Se dicessi no, mentirei.
«Molto.»
«Lo sai?» e con una gamba allungata chiuse la portiera. «Mi piace tenerti nelle mie braccia. Sembri una bambola. La mia bambina che devo proteggere.»
Mi stava prendendo per una poppante, per caso?
«What?» feci alzando un sopracciglio. «Alan Scott Taylor.»
«Stavo scherzando piccola, ma non è un ragionamento sbagliato, visto che hai solo sedici anni e io ventiquattro.»
Avrei voluto lasciare quell'abbraccio, mi sentivo davvero molto offesa, ma il freddo che ci circondava e il calore che mi stava scaldando le ossa mi impedivano di allontanarmi.
«Ma la cosa buffa..»
«Cosa?»
«Che ti amo e non posso smettere di pensare a te, a quello che adesso significhi per me, e non importa quella che dirà la gente vedendoci. Io ti amerò per sempre.»
Smisi per un momento di respirare, era arrivata la mia ora.
Chiusi gli occhi sentendo un rilassante calore prodotto da quella insolita colluttazione penetrare in ogni piccolo tessuto.
Ero incapace di formulare frasi coerenti. «Sì, lo so.» mormorai premuta contro la camicia di lui.
Mi volevo prendere a schiaffi.
Avviluppai le braccia intorno al suo corpo robusto come una quercia e mi soffermai ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Cadde di nuovo il silenzio e la scena subì nuovamente la rallentazione. Rimasi stretta a lui, con le spalle coperte dal cappotto, consapevole che Alan meritava più di due parole messe vicino, almeno per questa unica volta in cui saremmo stati liberi dalle catene e dalle regole del college.
Forse ero talmente presa da lui, da tutto ciò che si era risvegliato nel mio corpo da non riuscire a dimostrarglielo come avrei voluto.
Il mio cuore era suo, tutto era suo, le giornate, le notti, i pomeriggi erano legati alla sua immagine, la mia materia umana era talmente impregnata di amore nei suoi confronti che non sapevo come poter tenerla a bada.
Alan era parte di me. L'altra parte della mela, la mia anima gemella e la mia unica salvezza.
Allontanai il volto piano e fissai gli splendidi occhi incastonandoli nei miei. «Anche io ti amo.» ed era riduttivo dire ciò, perché non esisteva sentimento più grande di quello che ci impegnavamo a rilegare dentro di noi.
I veri sentimenti dentro, non fuori dove tutti potevano giudicare e vedere coi propri occhi.
Alan inspirò e un lampo di gioia gli saettò nello sguardo come un fulmine. «Lo so da solo, amore.»
Con un piccolo strattone mi premette a sé e iniziò a camminare verso l'entrata principale del college.
Mentre percorrevamo il lastricato percorso fino alla porta principale ci stringevamo di più. Alla fine ci fissammo e ci venne spontaneo farci travolgere da una risata, mentre il buio dell'ambiente antecedente sfumava, mischiandosi alle fioche luci che costeggiavano ogni piccolo tratto del lungo corridoio principale deserto. Una piccola raffica di vento richiuse con forza il grande portone, e l'ultimo rimasuglio di quel freddo pungente fu solo un vano ricordo. Il corridoio oltre che vuoto era anche un confortevole luogo caldo. Alan ci liberò entrambi del cappotto e se lo dispose ben piegato sull'avambraccio.
«Casa dolce casa. Non vedevo l'ora di ritornare qui.» asserì mentre si guardava attorno per appurare che nessuno ci fosse acquattato nelle immediate vicinanze.
Incrociai le gambe, iniziando a camminare inquieta in quel tetro rettilineo al suo fianco.
Alan mantenne la sua andatura elegante e bilanciata, io al contrario, ero un pagliaccio che sgomitava per farsi riconoscere e far ridere gli spettatori impercettibili.
«Ma questa volta no.» sembrò correggersi per poi spingermi con una certa fretta a contatto con quei suoi muscoli scolpiti nascosti dalla camicia distesa.
«Chissà perché..» mormorai, liberandomi e l'abbraccio svanì con il suo meraviglioso disappunto ben visibile sul suo volto.
«Sono così curiosa di scoprirlo.» continuai camminando nella direzione opposta da dove eravamo entrati.
La risata di Alan rieccheggiò come un eco nei muri del college e giunse al mio timpano come una delle melodie più armoniose che un musicista avesse potuto creare con l'ausilio delle sue sole mani.
«Non lo immagini?»
Lo fissai, mentre dalle piccole finestre seminate ovunque si riusciva a intravedere una piccola parte di cielo tinto di un bluastro, disturbato dal coagulo di alcuni nuvoloni neri manacciosi di pioggia.
L'inverno aveva finalmente ottenuto il protagonismo sulle prossime scene della loro stramba storia e presto le terre fertili del Minnesota avrebbero ospitato puntualmente, nel periodo precedente al Natale il primo nevischio dell'anno.
La neve oltre che essere un accessorio per quel paesaggio fiabesco era anche affascinante e divertente, sopratutto per chi si sbizzariva con i pupazzi di neve o chi voleva rendere tutto più entusiasmante con una sana lotta a palline di neve.
La cosa importante era che ci fosse, perché senza neve il Minnesota era una terra degli Stati Uniti uguale alle altre e perdeva il suo fascino attrattivo, e non solo poteva mai esistere nella storia che un Natale trascorresse senza la consueta presenza della neve?
Purtroppo io non potevo dire di aver passato i miei Natali bianchi, ma non erano stati poi tanto male grazie anche ai miei migliori amici, Tania e Alessio, ma quest'anno sentivo che sarebbe stato speciale, non solo per la neve, la mia prima neve dal mio arrivo, ma anche per Alan.
«No, professore.» gli risposi, mentre stipulavo un nuovo contatto timido tramite l'intreccio delle nostre mani. «Spiegamelo.»
Un passo dopo un altro verso il corridoio dove c'era il mio rifugio e sentivo la quotidianità tornare.
Domani il fidanzamento con Alan sarebbe stata solo una banale reminiscenza. La sera in cui lui mi aveva ufficialmente chiesto di diventare la sua compagna di vita sarebbe stata insabbiata dalle recitazioni che avremmo messo in piedi dinanzi agli altri, a Josh, a Dickens, agli altri collaboratori.
Non mi piaceva mentire, perché avrei voluto gridare al mondo intero che mi ero innamorata di un ragazzo di otto anni più grande, ma non potevo essere egoista, sarebbe potuto scoppiare un vero scandalo e la reputazione del college e quella di Alan distrutta per sempre.
Sarei riuscita ad ignorare i miei sentimenti, a tenerli a bada finché la storia non sarebbe finita oppure avrei finito per demolire tutto?
Sicuramente la seconda.
Avrei almeno dovuto fare un tentativo. Resistere per la dignità di Alan ad ogni costo, nonostante sentissi di non potercela fare a reggere una bugia grande quanto un palazzo a trecento piani.
«Tra pochi minuti dimenticheremo di essere fidanzati e ci tratteremo da perfetti sconosciuti.» sussurrai fortificando la stretta.
«Sofia.» si fermò a pochi passi dalla mia fermata e mi pose le mani sulle scapole guardandomi.
«Noi fingeremo dinanzi agli altri questo è vero, ma soli.. ti prometto che ti ripagherò di questa fatica con ogni bacio delle mie labbra.»
Sorrisi spontanea e gli appoggiai le guance a coppa sul volto.
Quante volte vorrai fornirmi delle prove per crederti, amore mio?
«Non mi devi niente.» precisai e rimasi in silenzio, mentre se riuscivo a concentrarmi riuscivo a percepire in quel taciturno posto le cicale frinire al di fuori della finestra, qualche porta dei piani superiori sbattere per il vento, un treno sdridere e transitare veloce sulle rotaie o il grido disperato di mia madre per avvisami dei ravioli a tavola e l'odore d'inchiostro dei libri.
Poi i rumori nella mia testa si ridussero, fino a ritornare nel silenzio e nella realtà.
«Come faccio a meritarti.» mi confessò Alan facendo combaciare le nostre fronti. «Dopo tutto il dolore, un piccolo spiraglio di felicità.» poi rise come un bimbo senza pensieri e il mio cuore parve scalpitare di gioia.
«Tu mi meriti, meriti perché sei una persona altruista che non si lascia abbattere dai problemi.
Meriti ogni sorriso, ogni soddisfazione, perché il mio desiderio di vedere le tue fossette è incomparabile a niente e nessuno.»
«Sei troppo per me.» mormorò Alan, mentre la debolezza lo vinceva così tanto che lasciò che le lacrime gli rigassero le guance.
«In realtà, tutto è troppo per me.» mugugnò convinto. «e non posso crederci, la mia vita sarà sempre tracciata nel dolore.» si staccò da quella fronte e le sue mani scivolarono sul tessuto della mia maglietta fino ad abbandonarlo del tutto e provare a muovere qualche passo, ma che gli impedii.
«Alan, guardami!» gli urlai per farlo rinsavire da tutte le stupidaggini che gli ronzavano nella testa. Lui mi fissò come gli avevo ordinato, con una lacrima che gocciolò sul pavimento.
«Non esiste una vita solo di dolore o di gioia e tu dovresti saperlo.»
Lui impassibile continuava a incatenare i suoi occhi spenti nei miei. «Continui a dire che ho solo sedici anni, che sono la tua bimba e che devo essere protetta, ma adesso sei tu che ti stai comportando come un immaturo.»
Alan abbassò il volto.
«La vita ha gioie e dolori, e i dolori non fanno altro che irrobustirci per affrontarne di altri. Se cadi ci rialziamo ma insieme, non solo tu. Hai me e non devi più aver paura di nulla.» gli asciugai le lacrime.
«Ti senti meglio adesso?»
Alan increspò un piccolo sorriso, che per me fu il rianimo del cuore.
«Sì. Sapevo di poter contare su te e mi dispiace per quello che ho detto e ho fatto prima.»
«Non hai di che scusarti amore, ma-.» mi interruppi e mi avvicinai per stringerlo forte al mio corpo come prima e alzarmi sulle punte delle scarpe per raggiungere il suo volto corrugato.
«Ma ti dovrai scusare se non mi bacerai ora e subito.»
Il petto di lui si poggiò perfetto sull'altro, mentre lui, come qualcuno avesse preferito in quella modalità, si chinò a rallentatore mentre mi sfiorava il naso e concludeva nella sequenza successiva tuffandosi nel vuoto infinito delle labbra screpolate.
Questa volta fu veloce, a stampo, niente giochi maliziosi, né ulteriori gesti che bruciassero le tappe; era innocente come il nostro amore, ma più che amore poteva essere definito attrazione fisica. Però avevo voluto così.
«Potevo fare di meglio.» puntualizzò lui, dopo aver ripreso a respirare, mentre lo tenevo ancora avvinghiato a me.
«Va bene.»
«Va bene, come dice lei birbante.» agitò le mani adagiate sul tessuto leggero della mia maglietta, mentre ripeteva quel che avevo detto io con toni più isterici.
«Uhm, professore non ha notato che nelle mie citazioni brillanti c'è il copyright?»
«Perché era una tua citazione?»
«Tutto ciò che esce della mia bocca è proprietà del mio pensiero, sa?»
Eravamo ancora attaccati, ma preferivamo questo, in modo che quel momento si consumasse il più lentamente possibile. Ero conscia di non poter bloccare il tempo.
«Potremmo avere lo stesso pensiero. Basta che ci crediamo fino in fondo.»
«A me sembra una grossa pazzia.»
«Pure io, per questo ci credo.»
«Allora credi nel paranormale mio caro, è essere irrazionali.»
Alan affondò i polpastrelli nella mia lunga massa di capelli neri.
«No, è essere fantasiosi.» replicò, lasciandomi un ulteriore bacio e il suo sapore intrappolato nelle labbra.
«Disse quello che è convinto che la sua vita sia una landa di lacrime.»
«Beh grazie a te non più.»
«Bravo professore, sei proprio una testa dura come il cemento.» dissi con una flebile risata.
«Anche tu sei una testa dura, ma stranamente il detto gli opposti si attraggono non è valido con noi.»
«Nulla è valido con noi.» lo corressi.
«Come il nostro amore.» concordò felice Alan, ispezionando il luogo con la coda dell'occhio, per accertarsi per l'ennesima volta che non arrivasse nessuno.
«E comunque ritengo che abbiamo tempo a sufficienza per concederci una piccola e veloce ripassata.»
Le mie guance assunsero una tonalità incandescente nel mentre che tentavo di decrittare il significato del lemma ripassare, spalancando il libro di italiano nella mia testa.
Il vocabolario, non per Zingaretti, era rimasto chiuso e abbandonato nei cassetti della mia scrivania assieme ai libri del classico.
«Ripassata uhm?» ripetei assottigliando gli occhi per sviscerare i suoi di ogni segreto.
«Hai molto bisogno di questa ripassata, e credimi, approfittane.»
«Se non volessi ripassare?»
«Mi toccherà metterle il debito signorina Baglietti e lei non lo vuole, giusto?»
«No, ma..» il cuore iniziò a mancare i battiti. Serrai le labbra.
«Non mi farebbe male una
r-ripassata gentilmente offerta dal mio affascinante professore di musica.» mormorai visibilmente sconvolta per il cambio di atteggiamento in peggio.
«Beh, te la offro gratis amore..»
Mi guidò con lentezza, ancorando le sue mani ai miei fianchi, verso la sicurezza del muro.
Non appena la mia schiena combaciò con quella superficie fredda quelle mani bianche e grandi si puntellarono al muro per bloccarmi. Non avevo intenzione di scappare benché l'idea mi avesse sfiorato per un momento.
Alan Taylor insinuò una mano nelle mie ciocche lisce e la sua bocca urtò contro la mia con una passione più travolgente e matura rispetto alla prima volta.
Ogni piccolo schiocco era un'iniezione di adrenalina, una scarica di nervosismo che si irradiava nelle mie mani, che si aggrappavano con forza alla sua camicia.
L'abbraccio si intensificò.
«Alan.» ansimai, mentre la voce tremula si spezzò in un debole sussulto di tensione.
«Aspetta ci possono veder-» premetti i palmi contro l'incavo delle sue scapole per cercare di allontanarlo. «Ti prego.»
Alan fece scivolare le sue mani inanimate vicino al corpo e mi osservò, mordendosi il labbro, fino a farselo sanguinare.
«Scusa.» biascicò, staccando i palmi grondanti di sudore.
«Ho esagerato con la ripassata.»
Scossi il capo, abbracciandolo, con le lacrime pronte a uscire.
Alan sospirò lentamente e accettò quel gesto infantile, nonostante avesse voluto rischiare di più con me, ma lo sentiva che non sarebbe andata affatto, che prontamente l' avrei respinto.
Alan aumentò la presa e mi sollevò da terra, accarezzandomi la testa dolcemente ispirando quel forte profumo di vaniglia e lasciando che il mio volto si appoggiasse nell'incavo del collo.
«Perdonami.» continuò lui, con gli occhi blu offuscati dalle lacrime.
«Ti perdono.» gli dissi inghiottendo a occhi chiusi le lacrime che percorrevano lente i miei zigomi.
Ci staccammo dal muro.
Un lieve bagliore avvolse uno spicchio di quel lungo corridoio.
Qualcuno con una torcia, che parlottava fra sé e sé, si stava lentamente ma inesorabilmente avvicinando a passi pesanti.
Alan si voltò con la paura negli occhi, e prima che potessi godere del suo ultimo istante in sua compagnia mi spinse verso il corridoio costeggiato da diverse camere e un suo piccolo bacio vibrò nell'aria. Rimasi a fissarlo nella penombra, poi lui sparì nella direzione opposta.
Speravo che passasse inosservato, che nessuno lo scoprisse vagare per i corridoi in tarda nottata.
Il silenzio, un silenzio che mi tormentava, una spolverata di terrore si insinuò nel mio cuore.
Passi agghiaccianti, che rieccheggiavano nel mio cervello rimbalzando da una parte all'altra, passi così vicini, così minacciosi, che sembravano volersi avventare su di me con la lentezza con cui l'uomo con la falce in mano uccideva gli uomini e segnava il loro destino con assoluta insensibilità. Poi si fermarono stridendo con un ronzio fastidioso, come il gesso sulla lavagna.
Il cuore mi esplodeva nelle orecchie. Lo avevano scoperto?
Una voce burbera seguì la fine del silenzio. «Professore?» mi premetti con tutte le mie forze per mimetizzarmi come i camaleonti.
«Cosa ci fa in giro per i corridoi?» continuò risucchiando la speranza.
Giunsi le mani a mo di preghiera verso un Dio invisibile che non ero manco certa esistesse, e che secondo alcuni credenti fedeli, faceva miracoli.
E allora che aspettava a farne uno e in fretta?
Nulla, nessun miracolo.
Era la fine, molto prima di cominciare a fingere.
*** Angolo di Kissenlove ***
E dopo meritate feste natalizie e in attesa che finisca l'anno 2015 torno con un nuovo capitolo sui Solan, come li chiamo io. Questa volta ci ho messa tutta me stessa per scrivere al meglio delle mie forze, con tutti questi giorni passati sotto a una tavola imbandita. Spero di aver fatto un bel lavoro, ma come sempre ho qualche riserva al riguardo.
Bene non mi resta che chiedere a voi qualche parere sull'andamento della storia. Secondo voi:
-Alan ha fatto male a voler fare una ripassata con Sofia? Ci hanno già provato, ma attenzione, lei non è andata più in là di ciò che uno normalmente si aspetta.
-Fanno bene a fingere con gli altri?
-Chi è il beota che ha rimproverato il nostro Alan, e Sofia verrà scoperta anche lei o il nostro professore è riuscita a metterla al sicuro?
- Cosa succederà ad Alan che è stato purtroppo scoperto?
Bene cari, rispondete e non dimenticate di mettere molte stelline per moi, e anche commentini sul mio lavoro.
Ovviamente vi adoro, e vi do appuntamento al prossimo, spero se ci sarete, e inoltre siano arrivati a settemila visite e siamo letti in molti continenti.
Sono felice e anche i Solana e i Taniosh lo saranno sicuramente.
Amate le loro storie difficili, allora non potete non leggere questa.
Sofia: finalmente è finita. Credevo di non uscirne viva.
Alan: Perché?
Sofia: troppe scene romantiche con te stressano parecchio.
Alan: Ma dai non è poi così stancante essere i personaggi di una scrittrice sadica come Love.
Sofia: è molto stancante! Scusa vado a riposarmi o non reggerò per il prossimo. Spero in qualche stellina. Ciao!
Alan: certo ci saranno. Vero?
Con amore e dedizione, Jo
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