Capitolo 33
33.
I grandi amori non si baciano subito.
A volte non si baciano proprio.
Cit. Tania Bergazzi.
[Pov's Josh]
Conclusa la guerra dei pantaloni maschili, che Tania aveva deciso di non indossare per non aggiungere altre e nuove figuracce, decise di scendere a compromessi con i vestitini decisamente non alla sua portata che la madre le aveva infilato per dispetto nella valigia.
Dopotutto se voleva scongiurare il pericolo di farsi vedere in giro con solo l'intimo addosso per tutto il college aveva dovuto optare forzatamente per uno di quei orripilanti capi. Impegnò tutto il tempo nella disperata ricerca di qualcosa che non mostrasse le sue vere forme mostruose, che riducesse il girovita da renderlo ancora più ossuto o le cosce che stonavano sotto un corpo proporzionato come il suo.
La fissavo silenzioso semiseduto davanti al letto, con le mani appoggiate sulle ginocchia, mentre il prosperoso fondo schiena di Tania oscillava a destra e a sinistra. La stanza stava iniziando a diventare una sauna, ma probabilmente era un ragazzo chiamato Josh Watson che stava seriamente andando a fuoco per il fatto casuale che il suo deretano non aveva altra copertura che un misero slip coi cuoricini della Monella Vagabonda. Fu molto difficile vincere la tentazione di perdersi come uno scemo in quella trama, anche l'occhio voleva la sua parte ma in questo caso puntava troppo in alto. Mi ordinai di rimuovere quell'oggetto desiderabile dal mio campo visivo, prima che la sua proprietaria facirinosa mi abbaiasse contro la parola pervertito, oltre all'idiota notturno. Ero io che continuavo a staccarmi, a girare altrove negli oggetti che conoscevo a memoria, disposti sulle mensole, alcuni di Sofia come una piccola statuetta rappresentante un pianoforte e altri di Hendrik, che completava l'allegro terzetto della stanza.
Ma qualcosa me lo impediva.
Come se lo studiare ogni singola curvatura del suo minuto corpo mi avesse decisamente rincretinito.
Lei prostrata nella valigia appoggiata sul letto di Hendrik continuava a scuotersi e il suo affascinante deretano la seguiva nel suo ballo disarticolato, io invece da una minima distanza di sicurezza continuavo a rimirarla con il rischio di ricevere una sberla in viso da lei.
Lei era bella da guardare, tutte le donne del pianeta erano graziose, ma Tania aveva qualcosa, qualcosa che mi attaccava a lei e che limitava ogni mia reazione.
Non era una bellezza morbosa, non la ostentava come tutte le ragazze che avevo conosciuto nel corso della mia interessante esistenza di playboy, ragazze che si truccano marcate, che vestivano esclusivamente marche in voga di quel periodo, con acconciature sempre diverse, sempre più ricercate, ragazze che fuori brillavano come stelle nascenti ma dentro marcivano.
Tania, invece, preferiva nascondersi con ogni mezzo disponibile, perché per lei quella bellezza era oscena. Avevo notato, mentre al bar di Tony, - quel patetico stuzzicadenti senza muscoli che le ha chiesto addirittura di uscire qualche volta e a cui io avrei molto volentieri spaccato il muso per tenerci i posti a sedere, - nei nostri sporadici discorsi tra un sorso e un altro ancora che lei non si riteneva avvenente, e che per questo a lei era sempre toccato rimanere dietro al backstage e che la sua sfortuna fu quella di innamorarsi del suo amico, che già fidanzato, l'aveva respinta con la pietosa scusa di sempre, e un altro a cui avrei, molto più che di buon grado, rotto la faccia per renderlo irriconoscibile persino alla madre. Alessio si chiama, o meglio chiamava, perché Tania ora è in Mid West e non lo vedrà per un bel po' di tempo. Meno male, odio quando le donne piangono per questioni di amore non corrisposto o quando gli uomini senza dignità cercano di segregarle al margine, le picchiano con violenza fino a ucciderle, le sbranano se non adempiano ai loro ruoli di madri e mogli perfette e impediscono loro di ribellarsi con quelle piccole voci insignificanti, le cui bocche sono cucite col filo spinato ma non gli occhi, gli occhi traboccanti di lacrime amare come fiele, rossi, intrisi di rabbia repressa, che non cercano altro se non aiuto e la libertà.
Quello che un playboy faceva era solo spezzare il cuore, non la vita.
Eppure le campagne, molte in tutto il mondo e con una giornata assegnatagli, provavano a ricordare che una donna per quanto debole possa essere doveva essere tenuta come un prezioso gioiello non come una bestia da randellare. Purtroppo i casi in tutti il mondo non si sono mai ridotti e sono anche aumentati.
Tutto questo monologo per rettificare tutto il mio disprezzo per uomini senza quel titolo come Tony e quel mentecatto di Alessio.
Secondo me, Tania era bellissima, aveva quel fascino per catturare qualsiasi occhio maschile. Aveva autostima di sé stessa molto bassa, ma la semplicità con cui mi stava lentamente rincitrullendo era uno dei punti a suo favore. Quanti uomini avrebbero pagato mucchi di quattrini per ammirare quello spettacolo e io invece gratis. Quanti di loro vedendola passeggiare per le strade con quella sua andatura da camionista si sarebbero fermati con le vetture nel bel mezzo dell'intaso del traffico per scattarle una fotografia, immortalando il suo volto ancora da bambina, privo di make-up, abbellito solamente dalle luccicanti pietre azzurre, che alla luce solare sarebbero sfumate nel trasparente come l'acqua del mare incolore. La forma rotonda, con quel suo mento quadrato, attorniati dai crespi capelli rosso fuoco ricadenti fino a metà schiena.
Tutti avrebbero potuto venerare quella giovane naturale anche nei gesti, ma solo io, chissà perché, fra tutti ero stato scelto per averla al mio fianco, e alle volte ci portiamo dentro chi non siamo riusciti ad avere accanto e Tania mi ricordava molto lei, la donna che avevo amato con tutto me stesso finendo per sfociare nella pazzia, quella ragazza che ritrovo senza spiegarmelo in Tania Bergazzi.
Stava succedendo di nuovo.
Tony, quel manipolatore, i suoi sorrisi tentatori, le avances, così come con Mary Tompson, la mia Mary, la ragazza che voleva concedersi a me e soltanto a me quando si sarebbe sentita pronta per affrontare la mia delusione sul suo misero corpo, la stessa ragazza a cui avevo rivelato di non aver mai perso la mia castità, la stessa meretrice che alle mie spalle era andata a letto la sera stessa con Tony e adesso anche con Tania, ma questa volta non eravamo due ragazzini incapaci di lottare, ma due uomini, pugni più dolorosi, più forti, che potevano rompere un muro per difendere la propria lei dal disonore, e lui avrebbe dovuto passare sul mio cadavere per passare una sola sera in compagnia della mia Tania.
Beccato, caro Josh.
Mi rimproverò la coscienza.
Avevo detto mia - mi morsi la lingua fino a percepire il sapore metallico e disgustoso del sangue venoso scorrere nella faringe, manco fossi stato un vampiro - perché diamine mi metto a picchiare mentalmente Tony per non permettergli di distruggere la vita di Tania? Okay, sono pazzo.
No, sei innamorato.
Ennesimo errore.
Il cuore di un playboy che ha votato l'esistenza a relazioni senza alcun futuro, il mio cuore è ormai chiuso con le catene da moltissimo tempo e nessuno potrà liberarlo.
Ancora ti sbagli.
Replicò e il minimo che mi restò da fare era isolare quella vocina mentale e assillante, che nel silenzio, continuava invano a protestare.
Tania tirò fuori da uno degli scomparti un abitino, facendo una smorfia di ribrezzo, mentre lo piegava sul suo avambraccio.
«Non mi resta che provarlo.» sussurrò melliflua scivolando a piedi nudi nella piccola stanza del college. Si chiuse la porta del bagno dietro la sua figura semi ignuda, mentre io restavo ancora appoggiato al letto. Ora ero solo, lei era sparita e il rossore sulle guance andava esplodendo in ogni poro della pelle. Mi serviva qualcosa che mi aiutasse ad annebbiare la visione onirica di prima, così mi sollevai di poco, balzando come le scimmie fino al cassetto apposto sotto il muro, in concomitanza del mio letto.
Lo aprii stridendo il legno contro l'interno del mobiletto marrone e rovistai al suo interno alla ricerca di quella mia unica salvezza: le mie Punch miracolose. Né trovai un solo pacchetto, l'altro lo avevo finito giusto due giorni prima, ancora protetto dal suo involucro.
Tolsi la carta trasparente, richiusi silente il cassettone e preso un accendino, sfilai una già preconfezionata e strinsi il bastoncino nella fessura delle labbra, poi la accesi.
Tirai il tabacco che si andava incenerendo, e lo avvertii scendere e riempire la parte interna dei polmoni, per poi risalire come una giostra fino al naso e alla bocca, come un circolo vizioso, che sputai sottoforma di nuvola. Formai un primo anello, ma esso si riscompose nell'aria in una frazione di secondi, mentre il cervello mi si annebbiava trasportandomi in una dolce eternità dove non c'era nulla.
Creai due anelli, due sovrapposti, poi altri due, che sfumarono come i primi accumulandosi sotto il soffitto. Nel frattempo la porta del bagno si spalancò rivelando la figura di Tania non più senza veli.
«Ma che-» si interruppe per tapparsi la bocca disturbata dall'odore disgustoso del tabacco dei Punch. «Josh!» mi urlò contro, mentre andava ad aprire le finestre per far circolare aria sufficientemente pura da frenare gli stizzi di tosse per l'irritazione.
«Spegni quel coso, ti prego.»
«Cara, non è un coso, è una delle sigarette Punch.» la corressi, mentre lei riponeva la valigia sotto il suo ipotetico letto. Sfilai la seconda del pacchetto e la allungai nella sua direzione.
«Né vuoi una?»
Tania mi fissò issandosi in piedi con i suoi sandali che la facevano camminare come un equilibrista sul filo della morte.
«No, spiacente. Poi fa male la salute, nella mia famiglia sono tutti salutisti e mi sembra che la sigaretta sia più qualcosa che faccia male che bene.»
«Non mi venire mai a dire che non hai mai fumato nella tua lunga vita, ragazza.» le chiesi e lei annuì convinta. «Ma non può essere! Assurdo, allora con Josh stai sicuro che nel giro di qualche giorno diventerai una ciminiera.»
Ridacchiai creando altre nuvole, che Tania cacciò via con una manata.
«Non ci tengo a rovinarmi la salute, non seguirò mai la massa solo perché tutti fumano ed è una voga tra i giovani.»
Tirai su altra nicotina, che scese nei polmoni, fino a risalire fumo mentre la guardavo incrociare le braccia al suo petto ora visibile in tutta la sua bellezza, grazie allo scollo del bellissimo vestito fucsia.
«Questo ti fa onore, significa che sei una ragazza che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.»
«Infatti, non voglio quel coso.» precisò con la sicurezza oltre i limiti. Tolsi la sigaretta dalle labbra posizionandola tra indice e medio e mi alzai in piedi.
La raggiunsi, camminando a passi lenti, mentre lei mi fissava con quelle sue labbra rosse come mele e credo anche profumate come fragole e provava a indietreggiare.
«Ma io non sono quei nessuno, e ti farò fumare una Punch.»
Lei alzò un cipiglio, accompagnando quel gesto con un sospiro come a farmi intendere provaci pure, ma fallirai.
«Mi dispiace, non sarò la tua prossima vittima nemmeno nel fumare. Quindi.» diminuì le distanze e mi scroccò la sigaretta dalle mani, spezzandola per poi lanciarla fuori dalla finestra nel giardino retrostante. Avevo perso la mia Punch, non solo la mia povera testa, e lei mi squadrava con un sorriso di soddisfazione appena increspato sulle labbra.
«Basta fumare.» provai a cercare una nuova sigaretta da consumare, ma lei mi sequestrò il pacco intero e anche questo cestinò nella finestra, sbattendo le mani come per liberarsi delle polveri. «Facciamo qualcosa di più divertente e più salutare. Avevo pensato a qualche gioco di società.» spiegò lei, prendendo posto vicino al tavolino.
«Hai qualche opzione al riguardo?»
Rimasi paralizzato come un cretino dinanzi a lei, che ghignava soddisfatta, con quelle sue labbra, che stava schiudendo maliziosamente per formalizzare la mia ufficiale sconfitta.
Mi portai entrambe le mani nelle grosse tasche dei pantaloni, mentre gonfiavo il petto con forza, ora che non mi restava altro, da quando avevo perduto la mia unica via di fuga dalla realtà la mia preziosa sigaretta, che farle prendere possesso del timone.
Abbassai il volto per timore di incontrare quegli occhi azzurri che avevano il segreto potere di stregare chi li fissava per tutto il tempo, e presi posto dall'altra parte del tavolino basso, l'uno di fronte all'altra.
«Qual è il tuo obiettivo Tani.»
Lei assottigliò gli occhi, ponendo le mani congiunte sulla superficie liscia, come a volersi avventare su di me.
«Che cosa pretendi di ottenere?» continuai cercando di estorcerle qualche informazione, ma che lei dirottò da tutta altra direzione.
«Niente, fidati.» asserì la ragazza che non mi convinceva affatto.
«A che ti va di giocare?» proseguì.
«Facciamo Uno.» proposi, mentre lei picchiettava un dito sul tavolo.
«Uhm, è da poppanti.» affermò compiaciuta. «Tu di certo non lo sei oppure mi sto sbagliando sul conto del grande playboy del college?» rispose, sollevando il mento di poco, in aria di sfida.
«Non hai cinque anni, idiota.» osservò lei, mentre il sangue mi fluiva nelle vene come un fiume che aveva rotto gli argini durante una piena. Aguzzai gli occhi, alzando un cipiglio con una lieve inclinazione, mentre la squadravo attento come se fossimo in un tribunale per una sentenza di ergastolo. Lei non accennava a mollare la corda, voleva la guerra, il sangue e io glielo avrei fornito su un piatto d'argento.
«Okay, tu presumi che io sia un poppante che non sa rischiare e vuole giocare a uno stupido Uno.»
Lei annuì convinta in risposta.
«Bene, ma io ti dimostrerò che sono più coraggioso di te e di quell'Alessio che ti piace tanto messi insieme.» chiarii io, ricevendo subito un nuovo quesito da parte della mia testarda interlocutrice. «Come?»
Mi avvicinai più al suo volto interessato. Iniziai ad annullare in una frazione di millesecondi le nostre distanze, fin quasi a trovarci in contatto tramite le punte dei nostri nasi.
I suoi occhi, quelle sue iridi azzurre, mi sostenevano con ardore, mi accorsi di quanto fossero profonde viste da quella prospettiva e quanto mi costasse specchiarmi dentro tenendo a bada la tentazione di tuffarmi nelle sue labbra per assaporare la dolce essenza, il filtro della morte, il filtro della mia totale dipartita mentale. Ma resistevo per la mia volontà, perché non volevo uno schiaffo, per il mio onore, perché lei non poteva cambiarmi, nessuno poteva, chi ci aveva provato aveva fallito, chi aveva fallito aveva gettato la spugna.
Lei non poteva turbarmi, no non avrebbe potuto, io avevo fatto una promessa da mantenere ad ogni costo, nessuna relazione importante, solo flirt di un giorno o qualche settimana, il dolore sarebbe stato solo un vano ricordo secco ammassato agli altri.
Ma lei, lei era uguale a Mery, le stesse emozioni orripilanti, lo stesso imbarazzo iniziale, le stesse farfalle che mi vorticavano frenetiche nello stomaco, il cuore che stava rimbalzando sfregandosi contro la gabbia toracica, nella gola le parole restavano bloccate e sospese.
Mary Tompson era stata un'importante piazzola di sosta nel rettilineo della mia vita.
Momenti fondamentali.
Momenti che a tutti potevano servire, unici, bellissimi, che venivano farciti di tanto in tanto da istanti lugubri. I miei erano stati più cupi, come andare alla garrota, dopo che avevo scoperto durante l'assemblea studentesca il tradimento di Mary che era andata a letto un giorno prima con quel beota di Tony Tomlison.
Avevo sofferto ogni patimento che potesse esisterci nel mondo. Non riuscivo a spiegarmi per quale motivo avesse preferito lui a me, non ci dormivo di notte, dovevo trovare una soluzione altrimenti la lava di rabbia che ribolliva in me sarebbe divampata sulle persone che mi stavano attorno, e che non avevano colpa, se non quella di consolarmi come i miei genitori.
Mi affliggevo, ansimavo in un oceano infinito, ma non trovavo la soluzione al mio problema di cuore, che non era un cuore malato fisicamente, almeno con un misero trapianto come operazione si sarebbe potuto trarre in salvo, ma un patimento figurativo che mi faceva boccheggiare come un pesce da quando aprivo gli occhi ad una nuova giornata fin quando la calura non mi accoglieva puntuale nell'imbottitura delle coperte.
Forse avevo sbagliato a confessarle che non avevo mai toccato una donna in quel senso, e quindi lei aveva avuto paura di apparire brutta come mia prima esperienza, o forse non mi amava come invece cercava di dimostrarmi con i suoi baci, le sue carezze e i suoi sguardi, che negli ultimi tempi del liceo, erano tutti dedicati a Tony che osservava in disparte la felicità che ci attorniava e bramava di distruggere.
Per questo, per quello che avevo passato prima di giungere a studiare musica al college non avrei mai voluto più impegnarmi seriamente, ma solo flirtare, disimpegnarmi e tornare poi con una nuova ragazza all'attacco.
Egoista? Sì, tanto.
Tania mi guardò da così vicino sussultando, che fu lei a staccarsi furtiva da quel contatto, con un piccolo schiocco prodotto dalle nostre fronti.
«Ok.» fece, schiarendosi la voce.
«Giochiamo a Obbligo o Verità.»
Tania ridacchiò.
«Sicuro di non barare nelle regole del gioco e di dire solo ed esclusivamente la verità o di adempiere agli obblighi imposti?»
Portai una mano in alto e un'altra con indice e medio sovrapposti. «Lo giuro.»
***
Buon Santo Stefano a tutti voi!
Spero che lo avete passato bene, purtroppo questo aggiornamento è giunto in ritardo ed è anche molto breve, infatti non so se riuscirò a raggiungere le tremila parole.
Comunque avete già capito che il gioco Obbligo e Verità porterà forse molti segreti, in entrambe le parti, a galla.
Secondo voi chi vincerà la sfida?
Beh, commentate e votate con una stellina pur essendo questo capitolo scritto coi piedi come sempre. Spero di meritare tutte le stelle, ma prima che vi lasci e vi dia appuntamento al prossimo, devo segnalarvi una storia molto carina e ben scritta che vorrei deste una piccola occhiata:
Perfect di @Soffice_Nuvolettina
Spero ci passerete :) e come sempre vi ricordo che il capitolo può essere dedicato a uno di voi sotto esplicita richiesta e che dovete seguire ogni capitolo perché altrimenti perderete il filo.
Ovviamente continuate a leggere i miei obbrobri, per questo vi ringrazio. Commenti, please.
#yoursongWattpad2015
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