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Capitolo 32


Quando si parlava di Halloween era una pugnalata affondata con maestria e sadismo nel fondo del petto.

32.

Era il primo Halloween nella storia della mia vita che io non lo trascorrevo a Caserta, in compagnia della mia migliore amica a passare una serata come tutti i sabati sera per chiacchierare dei suoi problemi d'amore, visto che io non né aveva nessuno.

Forse era meglio. L'amore ti portava solo a soffrire, ti mandava in tilt gli ultimi recettori del cuore. Alla fine era quello il motore di tutto non come alcuni psicologi che ritenevano fosse la materia grigia, non considerando invece l'irrazionalità di alcune sfaccettature della vita che erano derivate dalla sbagliata direzione impostata.

Tania non faceva altro, nei tanti sabati, che mostrarmi tutti i dati che aveva accumulato nel corso della settimana mentre spiava il ragazzo, che tra parentesi era il nostro amichetto, in ogni cosa che lo portava a divenire interessante.
Foto sue, scattate con la Nikon, nelle posizioni più naturali e assurde come lo stare semplicemente scrivendo durante una lezione o i movimenti agili con un palla da basket fra le mani.
Aveva un diario segreto, che non aveva mostrato neanche a me, dove appuntava ogni minima peculiarità di Alessio Baldi.
Il cibo che gli piaceva e quello che lo disgustava. I look stravaganti con cui si presentava a scuola, le citazioni da un milione di dollari e qualche commentino della Bergazzi col cuoricino.

Era molto patetico, ma era il comportamento di una ragazza invaghita del suo migliore amico.

Alla vista di tutto quel materiale non mi restava altro da fare che definirla una pazza da internare a un centro mentale, e solo ora dopo aver avuto il piacere di incontrare Alan Taylor, riuscivo a capirla.
Finalmente sapevo cosa si provava, cosa accadeva quando il cuore palpitava più del previsto e non era perché stava per arrivare una sincope, ma perché erano gli effetti dell'essere innamorati.
In una settimana non ero riuscita più a dare un senso a ciò che capitava intorno a me. La mia testa mi presentava davanti la stessa problematica, scoprire cosa preoccupava la mia ossessione quotidiana - come l'aveva gentilmente definita Josh - e non esisteva altro che quello finché non sarei riuscita nel mio intento.

Ero automaticamente pazza.
Aspettate a dirlo, chi non ha mai voluto per un momento proteggere qualcuno senza un valido motivo nella vita?
Non era essere troppo generosi col prossimo, ma anteporre quella persona dinanzi a tutto il resto.

Perché amare è un po' come essere privati del proprio cuore, non aver timore di consegnarlo nelle mani del tuo lui, che anche senza quel poco di sicurezza, riuscirà a metterlo al sicuro dagli intrighi. Nel momento in cui pensi solo a te stessa, cammini da sola, cadi e ti rialzi nell'indifferenza delle persone che ti passano accanto, ci sarà nel mondo quell'unica persona, che non ha paura di apparire strano perché non segue la massa e i loro pregiudizi e che accorrerà dandoti una forza che nemmeno tu sapevi di avere in te, e che inconsapevolmente, era uscita fuori grazie a lui, grazie ad Alan.

Alan. Dietro a quel nome c'era costruita una storia. Se potessimo descriverla gli aggettivi non basterebbero. Difficile, tormentata, con troppi scheletri da tirare fuori da quell'armadio e troppi segreti del passato da non poter sviscerare. Eppure quel ragazzo cresciuto a forza di responsabilità accumulate adesso era un uomo, bello, affascinante ma non solo esteriormente anche interiormente, e aveva carattere, potenza, coraggio necessario per ribellarsi, per combattere fino alla fine anche a costo di morire contro qualcosa che è mille volte più grande di lui. Cosa?
Una parola: destino.

Lo scrittore che si nascondeva dietro a quel foglio immacolato e che trascriveva le nostre vite.
Con alcuni era clemente, farciva la vita a colori, con un vasto campo di rose all'orizzonte e molto di rado con qualche spina nel mezzo, ad altri come lo stesso Alan si mostrava cattivo, spregevole e ai poveri sprovveduti non restava che pregare la fine delle sofferenze, se mai un termine ci fosse esistito, visto che i problemi piombavano addosso con la pesantezza di chicchi di grandine.

Mi veniva la rabbia solo a pensare a tutto ciò che Alan prima di conoscermi aveva dovuto patire.
Tutta la sofferenza per la situazione grave e irrisolvibile del cancro di sua madre, dell'abbandono di suo padre quando era ancora un bambino, di quanto si fosse sentito perso e stralunato dinanzi a quel cambiamento radicale che aveva condotto alla totale rimozione della stabile figura paterna, di come avesse vissuto la situazione al fianco di Allison, che sicuramente aveva cercato di allegerirgli il peso del divorzio al minimo delle sue forze.

Mi sentivo male al pensiero che in quel momento così difficile io non ero stata presente per supportarlo. Direi che era improbabile, visto che a conti fatti avevo solo cinque anni e ugualmente non gli sarei stata d'aiuto, ma ora ero qui, nel Mid West, e la mia missione vitalizia era restare al suo fianco per rendergli quel pizzico di felicità che aveva dimenticato.
Almeno in parte, non tutto perché la felicità di una vita intera non la potevi avere indietro, ma sentirmi già la diretta artefice del suo benessere mentale mi faceva sentire meno in colpa.

Alan aveva le mani sul volante della Porche. Erano le sette e il Wisconsin aveva già accolto la mezza luna nel bluastro di quello spicchio di cielo e ben presto si sarebbero potuti ammirare anche i miliardi di frammenti stellari che avrebbero cominciato a brillare, chi più chi meno. Stavamo tornando al college, anche se avrei voluto tanto che quel piccolo momento con Alan durasse in eterno e che il tempo fosse magnanimo e si fermasse, ma non si poteva sperare di avere tutto. Cercavo di mascherare il mio improvviso malumore impegnando la mente verso gli sconfinati spazi fuori dal finestrino anteriore. La strada ad ogni tratto percorso veniva rischiarata dalla luce anabbagliante proiettata in basso e le strisce di margine, che la dividevano dalla banchina, iniziarono a diventare indistinguibili alla velocità di settanta chilometri orari.
Alan premette di più l'acceleratore, e i miei occhi riuscirono a captarne solamente l'intermittenza, mentre ci seguivano impazzite.
Ci eravamo appena lasciati dietro ValsBorguses e i suoi tranquilli quartieri. Appoggiai stanca la testa vicino al vetro del finestrino, sicuramente tornata nella mia stanza avrei puntato immediatamente il letto e  impoltrito fino a Halloween dell'anno prossimo. Soffocai un piccolo sbadiglio con una mano, e fissai le ombre dei rami adunchi, che parevano rivolgermi i loro saluti come se avessero vita propria. Mi spostai dal vetro con scatto furtivo, spingendomi contro lo schienale che si riassestò con un ronzio metallico, e mi diedi mentalmente della fifona, quando Alan forzò un sorrisetto divertito sulle labbra. Purtroppo non potevo sparire quando e come volevo come i maghetti di Harry Potter, e la macchina non aveva un'uscita di emergenza sicura, quindi dovetti rimanere nel mio posto e sorbirmi quel sorriso perfetto sotto ogni punto di vista, ma che non era derisorio, come mi ero sempre aspettata dai tipi schizzati della mia vecchia scuola, ma era più di rassicurazione, come a farmi capire che lui era vicino a me e nessun mostro o spettro avrebbe potuto spaventarmi.
Aveva ragione. Stare con Alan era come aver conquistato la pace dei sensi, la sicurezza in ogni gesto, perché lui nè era l'entità suprema.
Tutto non faceva più paura, quei rami minacciosi che sembravano mani pronte ad accalappiarti, la strada deserta, il buio della fredda notte del trentuno ottobre e le leggende che circolavano tra i più anziani come profezie innegabili.
Tutto veniva sbiadito dalla sua presenza confortevole nella carcassa. I suoi occhi ghiaccio, le sue mani con presa sicura, i suoi capelli neri che si confondevano nella notte e che venivano trasportati dalla gelida brezza del maestrale che annunciava con forti raffiche il sopraggiungere non troppo lontano della stagione invernale, che a Caserta equivaleva al vento della burrasca.
A causa del finestrino del conducente semiaperto mi ibernai le cosce, coperte soltanto dal fine strato delle calze nere, mentre al di sopra il caldo cappotto di Alan mi teneva protetta e inoltre il capo racchiudeva l'effluvio della sua acqua di colonia che mi ubriacava le narici e mi saliva nella testa.
Ero brilla di amore grazie alle sue attenzioni e mi sentivo la donna più felice di questo mondo.
Strinsi le gambe strofinandole per ripristinare la temperatura ottimale, ma purtroppo non servì a molto. Mi ghermii nel cappotto nero del professore, abbandonandomi in quel piacevole tepore.
«Sofi, vuoi che chiudo?» mi consultò mentre sfilava una mano dal volante verso il bottone per la chiusura dei finestrini.
Chiusi gli occhi per un momento, favorita anche dal ritrovato bollore, e mi sentii osservata da due profonde pietre azzurre e anche nel dormiveglia il mio volto divenne prugna per l'imbarazzo.
Alan non aspettò la risposta, e premette verso il basso fino a chiuderli completamente, poi tornò a guidare in silenzio.
«Grazie professore.» feci dopo poco, aprendo un solo occhio nella sua direzione. Ero troppo stanca persino per increspare un sorriso, volevo un letto, possibilmente comodo e non traballante come quello del college, dove potervi fare un lunghissimo pisolino.
Gli interrogatori li avrei rimandati a domani, quando sarei stata in forma per sostenerli. Immaginavo già il disappunto di Josh Watson quando lo avrei ignorato per Morfeo, lui che si era consacrato per tre anni consecutivi il re del pettegolezzo non poteva non essere messo al corrente delle ultime novità, sopratutto se si trattava della sua scema compagna di stanza, ma per quella sera, la sera della depressione, avrei voluto trascorrerla a ronfare, perché ricordare che in quella giornata mi presentavo a casa di Tania Bergazzi con un buffo costume dark e insieme consumavamo le caramelle mi mandava una fitta sleale della parte del cuore.
«Allora, ti va di fare qualcosa stasera tesoro.» solo per quella dolce parola da fidanzati sgranai le pupille che credevo mi cascassero fuori. «Insomma.. hai qualche impegno?» continuò con insicurezza, risultando ancora più carino ai miei occhi.
«Qualcosa, ma non è poi così sicuro.» gli risposi drizzandomi, anche se la testa mi scoppiava e ciondolava dall'alto verso il basso.
«Cosa?» chiese lui con curiosità.
«Nulla di importante.» replicai.
«No, devi dirmelo.. Dopotutto sono il tu-» non lo lasciai finire e lo anticipai. «Professore, lo so.»
Alan si voltò a fissarmi, non con sguardo diretto e mi disse.
«No, direi qualcosa di più, signorina Baglietti.»
Nonostante il sonno che mi stava avviluppando lentamente i muscoli, la curiosità ebbe presto la meglio. Morfeo avrebbe dovuto attendere, Alan mi stava dicendo qualcosa di importante, qualcosa che non avevo mai lontanamente sperato. Ci eravamo avvicinati da così poco tempo. Prima che lui arrivasse nel college e nella mia vita per sconvolgerla e soggiogarla tramite i suoi occhi, eravamo estranei, ma una forza suprema aveva voluto che ci conoscessimo.

Il destino aveva in serbo per noi qualcosa di speciale e unico. Toccava a noi scoprire quale.

Non mi ero mai invaghita di qualcuno in vita mia, o se era capitato, qualche volta ma solo banali infatuazioni senza importanza. Le mie compagne del vecchio liceo avevano fatto le loro piccole esperienze con i ragazzi, perché non erano fidanzati, ma questioni di una notte e via. Io e Tania eravamo gli unici tasselli sbagliati di quel puzzle di seduzione.

Tania era impegnata a farsi notare dal nostro compagno Alessio, che però era felicemente fidanzato con Monica, una fotomodella, con cui le cose parevano essere serie.

Io non proprio.
Non ero alla ricerca dell'amore, non volevo soffrire, non avevo un debole per nessuno, e mamma cercava di - consolarmi - ovvero autoconsolarsi ripetendomi fino alla nausea che ero una bella ragazza e non ero destinata a morire sola come le vecchiette in piazza. L'amore è come un treno, stai lì alla fermata fortunata ad attenderlo, perché per una singola volta passerà per te. Non esiste il ragazzo perfetto, senza difetti, perché la perfezione è ciò che pensi di poter disegnare nella tua mente, è un concetto astratto, che diventa tangibile nel momento in cui ami qualcuno tanto da non riuscire a non sospirare per lui ogni volta che lo vedi, perché il cuore degli uomini è preparato a battere forte come non abbia mai fatto, e non avrà paura di aspettare nel gelo, sotto la neve, la pioggia, il suo unico e grande amore. Perché ogni pezzo ha un suo incastro, e mi rendo conto che mia madre non aveva tutti i torti.

È davvero vero.
Nel mondo esiste la tua anima gemella che sgomita per trovarti, solcando il mare, scalando i monti più scoscesi, attraversando a nuoto il freddo oceano solo per incontrarti, per farti sua e per scrivere l'agognato lieto fine.

Nei film la ragazza incideva il tronco rugoso con un coltellino le iniziali sue e del ragazzo che intendeva sposare un giorno e io se avessi avuto dinanzi a me la corteccia ci avrei intagliato il nome del mio professore.

Alan.

Era stupido, impossibile come i sentimenti che stavamo professando, ma io volevo sposarlo.

Un giorno magari, al calar del sole, circondati dai cadenti fiorellini di pesco, accerchiati da pochi parenti e un prete, ci saremmo legati.
Lui sicuramente il principe azzurro delle favole, con i bermuda hawaiani o una giacca coi pantaloni eleganti, ma cosa importava come ci saremmo vestiti? Con scarpe, a piedi nudi, i vestiti di tutti i giorni?
Importava solo una cosa.
Le promesse di provare a restare insieme nonostante i battibecchi, gli sguardi, i gesti veloci, l'intreccio delle nostre mani e quelle due fedi che avevamo posizionato alle dita.
Quello era importante.
Essere felici. Essere innamorati. Essere noi stessi anche quando gli altri ti dicevano di cambiare, ripararci dalle intemperie con la copertura dei nostri corpi, amarci incondizionatamente fino alla fine, per continuare poi in quel mondo distante anni luce un po' più giovani.
Anche se immaginarmi Alan indossare un bermuda di fiori, pantaloni corti e quelle ghirlande a una cerimonia così solenne mi portava a ridere come una scema.

Speriamo che non se ne accorga.

Fortunatamente Alan smise di voltarsi nella mia direzione per prestare attenzione alla guida.

Eravamo a pochi isolati dalla città di Andover, una piccola provincia del Minnesota.
«Era uno dei piccoli comuni americani appartenenti alla contea di Assex nello stato del Massachusetts, a circa quaranta chilometri dal nord di Boston.» precisò Alan con gli occhi fissi davanti a sé. «io ho voluto fare un'approfondita ricerca prima di trasferirmi qui e sai che ho scoperto?» mi interrogò come se stessimo a scuola rispettando i canoni del suo ruolo.
«Non lo so. Sei tu il professore, non il contrario.» gli risposi seccata, perché stavamo trattando di altro e non di assurde spiegazioni di geografia. «E comunque prima stavamo parlando di altro, ricordi?»
Alan sorrise e quella sua dentatura perfetta faceva svanire ogni piccolo sentimento negativo.
«Me lo ricordo.» fece.
«Allora..» lo incalzai e lui sterzò col volante in una curva. «Non abbiamo finito di parlare, Alan.»
«Lo so, Sofia. La mente può dimenticare, il cuore invece no.»

Era proprio un grande poeta.

«Il fatto è che avrei preferito chiederti ciò con una serata romantica, a lume di candela.» mi confessò con impaccio, mentre in lontananza si riusciva a intravedere un isolato semaforo appena passato a rosso.

Okay, chissà cosa aveva in mente.
Non ci capivo più nulla. Servirebbe un minimo di indizio, e non avrei mai creduto di dirlo, ma era ora di interpellare la cosa che odiavo più di me stessa.

Coscienza, cosa ne pensi?

Silenzio. Un solo piccolo ronzio metallico, il vuoto nei pensieri.
Quando volevi la tua coscienza, proprio in quel momento non la trovavi, e quando era indesiderata puntualmente riusciva a rovinare anche i momenti più importanti.

Coscienza, ti prego. Ho bisogno della tua consulenza straordinaria.

Finalmente era ricomparsa.
Mi era mancata, perché lei aveva tutte le soluzioni del caso.
Allora coscienza, cosa mi sta per proporre Alan?

Beh, se non lo sai tu.

Cosa significa 'se non lo sai tu' sei tu coscienza a comandare le mie azioni e ora non mi vuoi aiutare.

Non so, non sto nella testa del tuo affascinante Alan.

Bene, non mi aiutare, non pretendo che tu lo faccia, tanto ho la possibilità di chiedere ad Alan per togliermi il dubbio.
Grazie tante comunque per essersi interessata al mio problema.

Buona fortuna.

La mandai gentilmente a farsi benedire, e tornai a osservare il mio Alan. Allungai la mano sinistra e la avvicinai per poi poggiarla sulla sua disposta sul cambio delle marce.
Alan girò di nuovo il volto nella mia direzione e incassò il volto nelle spalle illuminandomi l'anima  con quel suo radioso sorriso e quelle sue delicate fossette.
«Sì.»
Lui alzò un cipiglio. Questa volta fui io a ridere, mentre lui ripartiva in prima rilasciando la frizione.
«Sì, cosa?»
«Ma dai che lo stavi per dire.»
Alan gonfiò le guance, voltando di poco la testa inclinandola.
«No, non ho detto nulla.» mi fece una linguaccia, come i bimbi a Natale che non vogliono recitare la poesia e alle volte mi danno molto sui nervi, come un mio nipotino, che ha la testa più dura del cemento. «e se ho detto qualcosa, lascia perdere. Sarà una sorpresa per il periodo natalizio.»

Aspettare fino al venticinque dicembre, non se ne parlava.

«No, no, no caro. Le sorprese non mi piacciono, e chissà cosa accadrà tra noi fino a Natale. Voglio godermi ogni istante insieme.»
Alan sbuffò.
«Non è il mio forte nascondere qualcosa.»
Infatti non era molto bravo.
«Bene. Tu per me sei la persona più importante, mi sai capire, mi supporti e mi sopporti e per questo volevo chiederti..»

Non è un po' affrettato?
Lo so da sola coscienza.
Ci conosciamo da sole due settimane, io non sono mai stata innamorata e non ho molte esperienze in fatti di questo genere, ma Alan..

Partono gli aggettivi, tre, due, uno..

È affascinante, maturo, sicuro di sé, ha molti difetti e altrettanti pregi da mettere in risalto, ma per me è perfetto perché è tutto ciò che una ragazza aveva sognato.

Era improbabile che un professore di ventiquattro anni, con una vita programmata, grandi aspettative, si innamorasse come un adolescente alla sua prima infatuazione di una ragazza semplice e genuina, senza esperienze vissute da raccontare, senza ex ragazzi da tenere in promemoria, senza essersi  concessa come una volgare bagascia di strada. Era stato lui a togliermi la castità che avevo deciso di conservare fino alla fermata giusta, sempre lui con cadenza dolce, indolore si era impossessato della mia pelle, su cui vi erano ancora depositati la scia di baci.

Mi ero sentita in cielo, anche se non ero ancora morta. Distinguevo un bluastro differente, una luce incandescente che bruciava la retina e la cui fonte era sconosciuta. Alan troneggiava su di me, sulla mia minuta figura libera da capo che lo ostacolasse nei suoi movimenti.

Tra le sue braccia ignude mi sentivo percorrere da brividi, battiti accelerati, sudorazione, la mia vista non percepiva nel suo campo visivo altro che i muscoli scolpiti del mio professore, che erano rimasti finora nascosti nella camicia accuratamente stirata.

Il suo dito che scendeva sinuoso mi faceva oscillare, come se lui fosse un musicista e io il suo violino. Insieme stavamo creando una personale performance su un palco, insieme eravamo gli artefici della nostra storia e della nostra Canzone.

Alan fermò la corsa e spense la Porche, inserendo il freno a mano.
Ora che poteva ignorare la guida, si girò verso la sottoscritta, e mi prese delicatamente una mano stringendola in una flebile stretta.
Il mio cuore aumentò l'andatura del percorso, inserendo la quinta.
Lo udii pulsarmi in gola, in testa e, nel mentre che lui stava in silenzio come se stesse pensando al discorso per farmi scoppiare a piangere e mangiarlo di baci, scoppiava in tutto il mio corpo e in ogni tessuto.

«Ti amo, infinitamente.» iniziò, baciandomi la mano con aria da galantuomo. «e tu?» mi chiese con gli occhi che mi imploravano di rispondere in fretta.
«Affatto, neanche un po'.» gli risposi ghignando, mentre lui si anmutoliva, abbandonando la stretta. Bene, ho appena distrutto il cuore del ragazzo che amo con tutto il mio cuore. «Ma.. certo, stavo scherzando. Credo che il vero amore non si veda, ma c'è.»
Alan riprese a sorridere, e allungandosi per superare il cambio delle marce, mi spinse contro il suo petto caldo.
Mi accarezzò la testa come se fossi il suo cagnolino e io ne ero felice, sarebbe stato onorevole essere il suo fidato amico a quattro zampe così avrei potuto stare sempre sdraiato sulle sue gambe.
Sollevai il capo, mentre le sue mani avviluppavano il mio corpo ingabbiato nel giubbino, e lui allo stesso modo avvicinò il suo volto e mi sfiorò il naso gelato, baciandolomelo.
«Vuoi essere la mia ragazza?»
«Sul serio Taylor! Sembri un bambino alle prese con la sua prima fidanzata.» lo presi in giro e lui si finse molto offeso. «Comunque . Ti amo Alan Taylor e prometto di starti sempre vicino, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia. Per tutti i giorni della mia vita.» e lasciai il suo naso addentrandomi nella sicurezza e nella dolcezza delle sue labbra.
Erano morbide, inebrianti, mentre sentivo quel gesto intensificarsi con lui che girava le sue e mi accoglieva, e sopratutto erano tutte mie.

O forse no.


***


Oh, oh, oh Buon Natale a tutti voi.
Spero lo starete passando mangiando panettoni e pandoro assieme alla vostra famiglia riunitasi. Io festeggio regalandovi il trentaduesimo capitolo con il segreto fidanzamento di Alan e Sofia, che stanno tornando al college.

Cosa accadrà tra i due? E la nostra protagonista incontrerà Tania Bergazzi? Se vi piace la schifezza di questo capitolo nelle feste natalizie, perché sono stata molto precipitosa lo ammetto, mettete una stellina al capitolo e scrivete una vostra opinione.
Sarò felice di riceverne.
Vi adoro :) Ancora Felice Natale!

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@yoursongWattpad2015


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