Capitolo 26
A grande richiesta vostra il capitolo ventisei dedicato agli amanti della Taniosh, la seconda coppia più amata de 'La tua Canzone'. Ci potrà essere inoltre la possibilità che questo capitolo venga dedicato a una persona.
Vi ringrazio sentitamente per i commenti ricevuti, i complimenti, i 'continua' e 'grazie per aver creato questa storia' ma senza dilungarmi troppo su questo ritengo che sia merito vostro se questa storia ha raggiunto un bel traguardo di oltre quattro mila visite e ottocentoottantanove voti oltre ai seicento commenti.
Continuate così :)
Vi adoro e lo dirò sempre: il merito è vostro che leggete ogni obbrobrio che pubblico e non l'autrice che si impegna a scriverlo. Quindi ecco l'ennesimo disastro esistenziale.
Ancora, buona lettura.
[Pov's Tania]
A poche ore dallo scalo del mio aereo avevo dovuto abbandonare la tanto desiderata prospettiva di poltrire comodamente nel letto.
Mi sentivo molto sfibrata, il sedile dell'aereo mi aveva solamente accentuato il dolore al collo. Cinque dannate ore in quel catorcio sospesa in un effimero equilibrio sull'oceano atlantico, il continuo girovagare della hostess, la disperata ricerca del mio caro vicino di postazione di scavare nel settore nasale come se stesse cercando l'oro in una miniera.
Non era stato poi un cattivo viaggio anzi il pilota aveva condotto il volo in modo esemplare e tutti i passeggeri erano rimasti contenti.
Beh se anche il Titanic avesse avuto quel signore come comandante non sarebbe affondato inabbissandosi nella profonda oscurità delle acque gelide, ma se così non fosse stato, la storia non avrebbe conosciuto la sua prima tragedia e Cameron non avrebbe mai pensato di riprodurre il film con quello schianto di Caprio. Sì lo ammetto, preferivo un genere molto crudo e sanguinario ma quel film dalla prima volta che lo proiettarono mi rapì totalmente per ben due ore.
Un guinnes word record visto che i film drammatici non mi interessavano. Si piangeva ad ogni spezzone, consumavi tutto il serbatoio di lacrime, ti prendevi una pausa con quei dieci minuti interminabili di pubblicità di cose inutili e costose come le poltrone o le docce per gli anziani incapaci.
Continuava il film prolungavi la sofferenza.
Su me non avevano mai avuto molto risultato. Se Sofia visionandoli affogava in un mucchio di fazzoletti stropicciati, io al contrario piangevo sì ma dal ridere, una risata isterica, forte, di una che generalmente non ha cuore. Succedeva tutte le volte anche quando allo Space del Vulcano Sofia mi ordinò di prendere i biglietti per Colpa delle Stelle, dove lei per l'ennesima volta si commosse insieme alla sala, mentre io a stento trattenevo l'ilarità, rimanendo impassibile allo spasmo cronico della protagonista malata ai polmoni. Bello ma malinconico, e ripetevo, Titanic era risultato il più accreditato per gli occhi blu di Leonardo e la finezza dei suoi capelli biondo cenere.
'Non hai un cuore?' Mi chiedeva spesso la mia migliore amica, quando di sabato, nolleggiavamo qualche film per passare il tempo.
Io rispondevo. 'No, ma generalmente non capisco perché si debba piangere... insomma è un film, può succedere, ma è finzione.'
Per Sofia era essere senza cuore, averlo di pietra, ma questo era il mio carattere e non potevo cambiarlo neanche se avessi voluto.
Lei era stata l'unica ad accettarlo senza proteste. La nostra amicizia era iniziata con un po' di remore in seconda elementare perché io ero quella dura e impenetrabile che tutti evitavano e lei una delle studenti più belle e eleganti dell'istituto. Eravamo diverse in tutto e per tutto, con una quantità non definita di pregi mista a difetti, ma tra di noi c'era quel rispetto delle differenti idee che ci rendeva forti, che ci poteva allontanare ma ci univa.
Con lei stavo bene.
Il nostro duo si andava consolidandosi sempre di più.
Dalle elementari finimmo per trascorrere insieme anche il periodo triennale delle medie, e come se fosse stato scritto dal destino, in seguito le superiori.
Sofia era il meglio che mi potesse capitare. I miei genitori volevano correggere la durezza che mi contraddistingueva sugli altri e litigavo furiosamente con loro il più delle volte, invece Sofia accettava i miei abituali ritardi, la pigrizia, la presunzione, il primeggiare sugli altri in ogni caso, e non faceva nulla per evitarlo, solo migliorarmi con la sua presenza al mio fianco.
Quel viaggio era per una buona causa. Era per riallacciare il rapporto perduto, quindi non avrei dovuto lamentarmi.
Lo scalo, i dovuti controlli, quel maledetto metal detector, l'incontro col grande capo Harry avevano rinvigorito la fiacchezza del mio esile corpo. Nemmeno l'idiota notturno aveva decifrato i segnali ambigui del mio volto scavato, le evidenti borse marcate dalla colatura del nero, il pallore scolpito sui cuscinetti illuminati dalla luce bianca. Doveva convincerlo che mi serviva vitalmente tutto il giorno il caldo giaciglio per riprendere le forze.
Ma non era bastato.
Dopo circa mezz'ora a correre e a intralciare le lunghe code bloccate,
Josh frenò finalmente la marcia innestata nei suoi piedi davanti a un bar accogliente e ben attrezzato di tavoli all'esterno.
A nessuno dei due gradiva il ristretto spazio di dentro, così ci accomodammo a uno dei tavoli liberi disposti su un prato verde sintetico a goderci il frenetico passaggio dei viaggiatori, l'una di fronte all'altro.
Nel momento in cui avvertii la stabilità della sedia mi abbandonai, sospirando, addossata allo schienale freddo.
Un piccolo volantino ripiegato, con il logo stampato, proponeva una vasta scelta di pietanze riguardanti anche la sera.
Vicino a quello, un contenitore metallico di tovaglioli di cellophane che non assorbivano nemmeno l'olio della pizza.
Presi il dépliant tra le mani e iniziai a osservare i prodotti e i vari prezzi, soffermandomi su cioccolata calda o caffè.
«Uhm, questo bar è molto carino. Ho avuto una bella idea eh?» proruppe con un sorriso ipocrita in volto. «E tu che volevi tornare al college, ma ti assicuro che non ha sbarre né guardie, ma è una prigione.» gonfiava il petto in un atteggiamento altezzoso come se quella sua decisione avesse impedito alla Prima Guerra Mondiale di mietere tante vittime sul fronte. Alzai piano lo sguardo, intravedendo il suo dalla parte alta del dépliant.
«Sì. Ma non ti montare la testa.» feci con altrettanta superiorità.
Non mi era mai capitato di incontrare un ragazzo così simile a me in molte cose. Due caratteri così superbi non facevano che aggiungere più legna al fuoco fino a divampare dappertutto.
«No, tranquilla.» mi rispose come se volesse rassicurarmi.
Tolsi gli occhi dal suo volto compiaciuto e tornai a interessarmi al dépliant.
Accattivanti prodotti, ottima scelta. Ero curiosa di provare la prima cioccolata degli Stati Uniti, vedere anche se in ciò c'erano differenze abissali con l'Italia. Sicuramente era molto più buona di quella che offrivano, e che bevevo al bar di Gino ò Tognazz di ritorno dalla scuola, giusto in tempo prima che chiudesse i battenti.
Quel gusto dolce inebriava i sensi, e talvolta, si lasciava dietro di sé una deliziosa scia nerestra sopra il labbro superiore. A me piaceva la cioccolata di tutti i tipi, bastava che era dolce e color marrone.
La cioccolata era il miglior amico di una donna.
Il fulcro del disarrabbiarsi.
Si riempiva la bocca si rallegrava la mente, venivano spazzati via tutti i sentimenti negativi.
Bastava avere una coppa in mano piena di gelato, cioccolatini e schifezze varie per migliorare la giornata e provocarsi una bella gastrite. Avendo dolori non pensavi altro che quello ed effettivamente era positivo.
Dall'altra odiavo fare la lavanda gastrica, e i medici ormai non erano più disposti ad assecondare gli stupidi capricci adolescenziali, quindi più che ingozzarmi bastava che rompessi qualcosa o sbattessi qualche porta che possedeva in sé un senso liberatorio e pacifico.
«Dovremmo iniziare a ordinare.» continuò Josh, che accavallò le gambe coperte dal tessuto di un jeans grigio scuro, sotto al tavolo di ferro. Non gli diedi risposta, mi ero completamente smarrita nel flusso lesto delle mie riflessioni sulla cioccolata. La sua voce mi giunse ovattata dall'interno di
un'isolata teca di cristallo fragile.
L'accattivante volantino mi impediva di seguire il discorso, quando lui infastidito dalla mia poca attenzione me lo confiscò dalle mani. «Solo per informazione, ma ti sto parlando signorina!» mi richiamò svoltando il catalogo in alto. Alzai di scatto il volto flesso e mi scontrai con i suoi penetranti occhi nocciola che creavano un bel contrasto con i ricci disordinati ricadenti sull'occhio.
«Lo so!» gli urlai di rimando, allungando le mani per cercare di recuperarlo, anche se Josh lo sollevò ancora di più.
«Bene. Cosa ho detto?»
Rinunciai al volantino ora nelle sue mani e rimasi a bocca chiusa, col collo incassato nelle clavicole.
«Non stavi ascoltando, lo sapevo!»
«Il tuo viso non mi sembra affascinante al punto da riuscire a stuzzicare la mia curiosità.»
Lui gonfiò le guance.
«Ah davvero?» mi chiese sarcastico. «Nessuna delle ragazze del college ha mai resistito alla bellezza.» e mosse le mani dall'alto verso il basso con ondeggiature. «e credimi che l'ha fatto anche quella più reticente, che alla fine è stata conquistata dal mio charme.»
Io ridacchiai.
Poteva scordarsi di conquistarmi.
Io non cadevo ai suoi piedi, non sbavavo per quel faccino da idiota, e non intendevo farlo per alcuna ragione. Non era il mio tipo, non ero partita per il Minnesota nel Mid West per incontrare un idiota, don Giovanni, Latin Lover incallito, e ero più certa che il mio cuore avesse continuato a battere regolarmente nonostante un iniziale imbarazzo.
«Ah mi dispiace.» posai delicatamente le mani congiunte sulla superficie del tavolo, e lo fissai con un ghigno stampato nelle labbra. «Ma io non farò parte della lista, puoi anche smettere di utilizzare il tuo patetico charme.» sottolineai, facendo le virgolette con le dita accompagnandole con la pronuncia americana un po' storpia. Sicuramente se la Fritz avrebbe avuto poteri telecinetici come il cattivo di turno dei fumetti di Spider Man, mi avrebbe sicuramente accusato di non aver mai provato ad impegnarmi nelle sue lezioni.
Come se lei sapesse eccellere, quando una sola laurea in lingue straniere provava a fare la differenza, ma c'erano le madri lingue che ce l'avevano nel sangue. Lei non era una di loro, e il più delle volte sbagliava più lei che noi. Umani, ma pur sempre professori.
Ma io davvero non sopportavo quella lingua. Mi era andato a genio alle medie quel francese stucchevole o lo spagnolo coinciso, ma mai l'inglese. Non era nelle mie corde vocali, quando mi capitava di ripeterlo per i corridoi c'erano molti ragazzi fermi al distributore che mi guardavano perplessi con la vaga sensazione di 'questa che diamine sta dicendo?'
È inglese va bene, non italiano.
Per la Fritz sarebbe stato meglio non accostarmi per alcuna ragione all'idea di fare un viaggio dove si comunicasse con quella lingua, e ai miei genitori non aveva che parole demoralizzatrici quando all'inizio di dicembre ci dovevamo rovinare le feste natalizie con i colloqui e la scheda informativa.
Non andavo a genio alla Fritz.
«Vedremo.. tutto it's possible.»
Avevo capito fino a tutto, la mia compresione era sfortunatamente giunta fino a lì. Arrivata a quella parola prima del vuoto totale il neurone aveva smesso di funzionare girando a vuoto su se stesso, e meno male, che avevano vita lunga e si ricreavano, perché né avevo speso tantissimi durante il noioso percorso formativo.
Assottigliai la fessura degli occhi per velocizzare la cognizione.
A un certo punto notai l'idiota notturno scoppiare a ridere come uno scemo e improvvisamente la mia faccia divenne un tizzone.
Allargai l'iride e la mascella si irrigidì.
«Tsk. Che ridi a fare scemo!?»
«Oh, scemo?» affermò alzando l'indice verso l'enorme gazebo verde scuro che si ergeva su di noi. Purtroppo l'inglese e Josh erano le uniche cose che la mente aveva rinunciato a decrittare.
Entrambi stupidi. Entrambi riducevano la linea della mia pazienza e mangiavano i neuroni del mio cervello, fino a lasciarmi sprovvista.
Sopratutto Josh.
Provare a capire i suoi gesti era come essere alla presenza di un mimo, quelli che si vedevano per strada a far elemosina tra le persone ostentando gli incredibili numeri senza un minimo di originalità. Avete quindi capito le cose che odiavo: i film romantici e smielati, i mimi che vedevano quello che era astratto e l'inglese.
Un punto da aggiungere alla lista era quel cretino con vena narcisista di perfezione.
«Prima non ero idiota per te?»
Era ufficiale, mi trucidava.
Era assurda la quantità di maschi con una massima percentuale di intelligenza che popolavano la Terra, in netta minoranza rispetto a quelli che non riuscivano a distinguere la differenza fra realtà e fantasia. Il loro cervello viveva in un mondo a parte, dove alzando gli occhi al cielo gli asini avevano le ali alle zampe e volavano in
quell'infinito strato di blu che si stagliava a chilometri di distanza.
E pensare che questi individui non crescevano sotto ai cavoli o portati dalla cicogna, ma li partorivamo noi donne ed era anche colpa nostra. Prima di fare l'errore di formare questi uomini pieni di sé e arroganti avremmo dovuto pensarci mille volte, ma non dopo quando il danno era fatto.
Non potevo rispedire il pacco Josh indietro? Se fosse stato possibile non avrei esitato un nano secondo.
«Certo che sei idiota, ma anche l'unione di cretino e imbecille.» gli risposi, mentre lui appoggiava dalla sua parte il dépliant del bar che stavo leggendo poco fa.
«Senza perderci in chiacchiere, io ordinerei qualcosa, ti va bene?»
È stata la prima cosa sensata che abbia detto da quando ci eravamo seduti, senza accennare ancora una volta a tutta quella bellezza incamerata negli anni nel suo corpo. Non era poi tutta quella bellezza, anzi era mediamente affascinante come tutti gli altri ragazzi che avevo incontrato.
Gli occhi dritti, con le iridi nocciola chiaro, che ti guardavano profonde quando lo contraddicevi. Un bel fisico accentuato dalla maglietta con due bottoni aperti a maniche lunghe e un pantalone con due larghe tasche dove ci potevi infilare il mondo intero.
Quel bel volto era incorniciato da una massa vaporosa di riccioli ribelli, che lui teneva a bada, con grandi quantità di gel freddo e appiccicoso. Ogni riccio definito e perfetto ne nascondeva un po' all'interno. Un ragazzo come tutti gli altri, con una percentuale divisa in venti per cento di stupidità, novanta per cento di bellezza esteriore che esplodeva in tutti i pori della sua pelle, venti per cento di prodotti per il corpo e bagni di profumo maschile, che nauseanti mi salivano nelle narici.
Decisamente troppa acqua di colonia per uomo, che trasformava una dolce essenza in acidità.
Il troppo storpia.
«Fidati di me questa volta, okay baby?» mi annunciò segnando mentalmente l'ordine da impartire, poi con voce stizzita urlò. «Waiter!» si schiarì la voce agitando la mano destra con smania per richiamare l'attenzione su di sé.
Io premetti il fondo schiena contro il rigido schienale di ferro, trattenendo a stento qualche parolaccia fra i denti stretti, per la freddezza di quell'ammasso di ferraglia, mentre un fulmineo brivido attraversò come una scarica elettrica il mio corpo.
Qualcuno dall'interno lo notò, e in pochi minuti fummo avvicinati da un giovane ragazzo con un Tablet in mano e una divisa nera.
«Hello! Cosa desiderate?» iniziò il tipo.
Josh si girò a guardarlo per dirgli le ordinazioni e non appena incontrò gli occhi grigiastri del cameriere un sorriso gli riempì il volto.
«Ehi, amico!» si alzò, trascinando la sedia sul prato sintetico.
Il tipo sembrò squadrarlo con perplessità, come se non riuscisse a capire quell'improvvisa confidenza, ma poi una luce rischiarò la confusione e anche lui sorrise.
«Josh! Excuse me, please.»
«Don't worry, friend!»
Josh né approfittò per dargli una potente pacca sulla scapola facendolo ciondolare col suo magro corpo in avanti.
«Cosa ti porta qui?» gli chiese il ragazzo mentre io guardavo la scena non partecipando.
«Oh, io e la mia amica volevamo qualcosa e il tuo bar è famoso in tutto il Minnesota.»
Lo sconosciuto gonfiò il petto, ispirando l'aria afosa del posto.
«She is..» mi indicò con il suo striminzito indice. «Other girlfriend?» chiese ancora con quella pronuncia perfetta. Fortunatamente sapevo benissimo, nonostante la mia incapacità in lingue straniere, quale significato avesse la parola 'girlfriend' ovvero fidanzata.
Non ero la fidanzata di Josh.
«Oh, unfortunately no.» si limitò a dire Josh profondamente rosso in volto. L'amico fece un veloce gesto col capo nella sua direzione.
«Me la presenti?»
Josh sembrò mandargli una saettata di fuoco, ma alla fine accettò seppur a malincuore la proposta. Gli toccò piano un fianco e allungò una mano verso di me.
«Questo è Tony Tomlison. Abbiamo frequentato le medie insieme, si può dire che siamo cresciuti insieme e questo bar è il suo, cioè della sua famiglia, ma adesso lo sta dirigendo lui.»
Tony si sporse col busto in avanti e accennò un piccolo inchino di presentazione con i piedi uniti.
«Molto piacere.» mi allungò una mano nascosta nella sacca del grembiule, che strinsi forte.
«Io mi chiamo Tania Bergazzi.» iniziai col dire, ma lui mi interruppe. «Wonderful name!»
«Thank you.» feci insicura di fare le mie solite figuracce. «Vengo da Caserta, mi sono appena trasferita. Spero di trovarmi bene.» incassai lo sguardo a terra, come ad solito era sembrata il preambolo goffo di volermi ambientare nei loro costumi così diversi dai miei.
«Sure. I'm happy to have met you.»
Il mio cuore aveva iniziato a battere anomalo, pompando nella testa grandi quantità di viscoso sangue che mi annebbiava il cervello davanti agli occhi grigi e metallici di Tony.
Sembrò ammattire sulle guance.
«Tania, you're beautiful girl.» mi confessò. Anche lui era un bel ragazzo, doveva avere la stessa età di Josh, ma era più alto e lo superava di due spanne.
Il corpo era magrolino, il grembiule rilevava un girovita di minimo spessore. Era carino, ma..
-Non era come Josh?
Bentornata coscienza, e no.. Josh era un caso perso, non avrei speso la mia lunga vita adulta a cercare di scendere a vani compromessi.
Perché con lui era impossibile, come far parlare un cane che era solo capace di abbaiare, impossibile.
-Lo dici tu.
Sparisci coscienza, dileguati in fretta prima che ti cacci a pedate.
«Grazie.» dissi in un filo di voce, con le guance che avevano raggiunto il limite massimo di rossore. Provavo a farlo diminuire sventolandomi con una mano, ma niente se ne stava lì immobile.
«Allora.. ti andrebbe qualche volta di uscire.. con me?» continuò, e vidi Josh irrigidirsi come un palo.
«Ehm... non saprei, non sono solita uscire con gli estranei.»
«Non preoccuparti. Dopotutto hai la conferma che sono amico di Josh, hai per caso paura?»
Ma non era questo. Non volevo buttarmi a capofitto, dopo un solo giorno qui in America, in un primo date con un ragazzo che -tra parentesi - non mi esaltava.
Ma poverino non potevo fargli un torto. Ero combattuta, Josh era dinanzi a me che sudava freddo con gli occhi accecati dal terrore di un mio proverbiale sì, e sicuramente non gli sarebbe andato giù neanche con tutti gli sforzi necessari e se la sarebbe presa con Tony. Non volevo che la loro amicizia si incrinasse, molte volte nei film accadeva questo. Josh stringeva pericolosamente il suo pugno destro fino a far scolorire le nocche delle mani nel bianco. Mi salì il sangue al cervello, non mi aspettavo una proposta dal genere. Tony mi guardava in silenzio, ma i suoi occhi mi pregavano di porre fine a tutto quello. I suoi rasati capelli biondi ad entrambi lati, lucenti, con quella cresta di gallo in bella mostra al centro mi aumentavano la salivazione. Non sarebbe bastato quel tempo a mia disposizione per declinare quella proposta amichevole, e poi Josh era un conoscente niente di più, così arrivai alla conclusione che una serata innocente con Tony uno di questi giorni sarebbe stata divertente, così finalmente la mia voce ruppe il silenzio creatosi.
«Yes, volentieri.»
Tony fece un sorrisetto compiaciuto e Josh mi uccise con lo sguardo. Due differenti reazioni che mi sconvolsero totalmente.
Avevo sicuramente fatto male.
Dannata me e i miei buoni propositi.
«Bene, volete ordinare?» cambiò discorso il cameriere per raffreddare gli animi.
«Il solito, Tony.» una pausa tra solito e Tony mi fece sospettare il peggio, con quella voce calda.
Lo mandò via omettendo una parolaccia, e il cameriere ci lasciò soli, tornando dentro il piccolo monolocale. Josh guardò nella direzione della porta automatica dove era sparito il tipo con una piccola ruga di espressione al centro della fronte. Gli rubai il dépliant da sotto il naso e tornai a rileggerlo cercando disperatamente di evitare i suoi occhi nocciola delusi da quel mio atteggiamento così puerile.
Sicuramente stava pensando che ero uno di quelle ingenue ragazze che accettava appuntamenti a destra e a manca da perfetti sconosciuti, o al massimo, conoscenti di un giorno senza contare il fatto che l'apparenza era una facciata, che come tutte le maschere si rompeva, una volta raggiunto il traguardo.
Mi aspettavo esplodesse come un vulcano o come una pentola a pressione, ma ciò non successe.
Nessun rimprovero uscì dalla sua bocca, nessun schiamazzo, nessuna ramanzina inutile, rimase immobile con ancora negli occhi la scintilla luminosa della rabbia a osservare un punto preciso del posto. Le labbra serrate, un'unghia che nervosamente picchiettava sulla superficie del tavolo, le mani che si portava spesso nei capelli per scompigliarseli e renderli gonfi, ma nonostante i gesti lucidi del suo corpo non disse nulla, rinchiudendosi nella corazza di mestizio fino al ritorno di Tony che recava con sé un ingombrante vassoio di legno dove vi erano appoggiate due tazze bianche piene fino all'orlo della brodaglia schiumosa di cioccolata calda.
Le posò sul tavolo e dopo averci fatto un cenno con la mano, si rifilò il piccolo aggeggio elettronico nella tasca del grembiule nero, e sparì nel locale per andare dagli altri clienti.
Josh prese la tazza e in completo silenzio, con la testa piegata al liquido, iniziò a mescolare con giri circolari che producevano un tintinnio, mentre io venendo invasa da quel dolce profumo che entrava nelle narici, presi la tazza con entrambe le mani e iniziai a traccannare come un volgare operaio di strada, non badando al fatto che qualcuno delle altre venti persone dalle vetrate avrebbe potuto vedermi. Succhiai con voracità ogni minimo residuo rimasto confinato in basso, alzando la tazza fino sopra, poi me la allontanai dalle fessure delle labbra e rimasi a contemplare il volto di Josh, che rimasto con la sua in equilibrio a mezz'aria, mi osservava con un sorriso pronto a spuntargli. Di quella rabbia iniziale non vi fu più traccia, nel momento in cui visualizzò la striscia marrone sotto al labbro.
Ridacchiò portandosi una mano sulla pancia, adagiando la tazza sul tavolo metà piena.
«Che cos'hai sotto il mento!»
«Che cos'ho sotto il mento..» ripetei, tastandomi agitata la parte interessata che mi stava additando Josh Watson.
«Un affascinante linea nera di cioccolata.» precisò. «Avanti, se qualcuno ti dovesse vedere.»
Si issò in piedi e fece un mezzo giro del tavolo, inginocchiandosi ai miei piedi, sfilando dal contenitore uno dei fazzoletti di cellophane.
Con la mano sinistra mi sorreggeva la nuca e quei polpastrelli si infiltrarono tra i miei capelli, mentre la mano destra, munita del tovagliolo, mi accarezzò il labbro superiore rimuovendo la linea della cioccolata. Josh osservò il lavoro criticamente prima di abbandonare del tutto il tovagliolo. Lo accartocciò sul tavolo, spingendolo nella tazza da me lasciata vuota, e rimase con il volto a una minima distanza dalle labbra. «Non avevo notato.. la bellezza dei tuoi occhi.» recitò da grande attore. «o la finezza delle tue piccole labbra.» iniziò a masseggiarle, appoggiando e stringendo la mano in una ciocca dei miei capelli rosso fuoco.
Avvertii la sensazione di freddo aggrapparsi sulla pelle scaturita dal suo tocco. I suoi occhi marroni mi tenevano immobilizzata dinanzi a lui, senza possibilità di ritrarmi, al cui interno mi ci specchiavo. «e.. beh io...» cominciò a farfugliare, mentre ancora soffermava i suoi occhi sulle mie labbra come se li stesse impremendo nella testa.
Distolse lo sguardo dal mio volto, e guardò in basso al pavimento alzandosi.
«Adesso mi conviene chiedere e pagare il conto. Andremo finalmente al college a riposarci.» concluse, mentre si allontanava a piccoli passi e spariva anche lui nel locale, con in mano il partafoglio. Non ero a conoscenza del motivo, ma il mio cuore perse un battito.
Era strano, ma nel momento in cui era sparito dalla mia vista qualcosa dentro di me era andato in frantumi.
Qualcosa mi stava mancando.
****
Ciao fan meravigliosi, grazie mille per i vostri sublimi commenti positivi, spero che anche questa schifezza di capitolo vi vada a genio, se non è così lo riscriverò.
Fatemi sapere cosa ne pensate di Tony che è comparso nella vita di Tania Bergazzi. Sarà un ostacolo alla ancora improbabile coppia Taniosh? Se volete ammazzarmi, fate pure, ma prima commentino e stellina, please.
Tania: ok, adesso sapete qualcosa della mia incasinata vita, e per rispetto a questa, votate e commentate dear, vi aspetto!
Josh: sono carino?
Certo che sì, 100 per 100!
Quindi votate, commentate e amatemi nella storia. Ci conto!
La vostra, kissenlove.
Piccola informazione mi potete trovare con lo stesso nickname sul sito di scrittura: EFP fanfiction.
Seguitemi pure li se volete :)
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