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Capitolo 25


[Pov's Allison]

Nella mente di Allison era scoppiata un'imprecazione seguita da una bestemmia di quelle forti.

Il mio sguardo sorpreso era immobile. Apatico, niente che facesse prevedere una sincera gioia esplosa per il tipo alla porta.
Anzi era come ricevere una coltellata in mezzo al petto. Il flusso restava bloccato, non usciva copiosamente fuori, saliva velocemente e mi avvinghiava il cervello in una morsa dolorosa.

Credevo di aver voltato la pagina del mio libro trascritto male, ma mi ero sbagliata perché anche se non me lo aspettavo la sua presenza era qui a tormentarmi.

Perché era tornato? Cosa voleva ancora da una povera malata terminale oncologica?

Sbattermi in faccia la sua dannata spensieratezza o quanto si fosse sentito fortunato a conoscere quella modella newyorchese che aveva sposato? Dimostrarmi che non era lontanamente misurabile quello che avvertiva, a confronto dei sentimenti che avevo, col matrimonio, accettato di manifestare pur essendo stata tradita. Avevo abbandonato tutto per lui. Lui niente per me.
Avevo lasciato gli studi di medicina all'università, mi ero lasciata convincere che non sarebbero serviti, che lui doveva provvedere al mio bene. Al terzo anno lasciai e mi ritrovai senza lavoro, succube di un marito, in una casa piccola e sudicia.
I miei genitori tagliarono i rapporti con me da quando seppero che avevo rinunciato al futuro roseo in un ospedale per abbassarmi a fare la badante in una casa per anziani.
Non li vidi più, volevo chiamarli ma una vicina mi informò che si erano trasferiti nel New Jersey così vi rinunciai.

Alla nascita di Alan mia madre Beth mi inviò un bigliettino di auguri, ma per colpa di mio marito Austin di cui non si erano mai fidati a fondo, non ebbero mai il piacere di conoscere il loro primo nipote.

Fu molto difficile crescere Alan senza avere i comuni insegnamenti di mia madre.

Ero giovane, avevo solo una ventina d'anni e zero esperienza.
Non avevo soldi sufficienti per trovare una tata che si occupasse del piccolo mentre ero fuori a rispettare i rigidi orari del Sant'Elene, e Austin per proteggere l'incolumità del neonato mi costrinse ad abbandonare quell'unica forma di sostentamento individuale per concentrarmi solamente sul benessere di Alan e fare quindi mamma, casalinga e moglie a tempo pieno senza avere altro al di fuori di quello.
Alan impegnava molto del mio tempo. Non sapevo come farlo stare bene, e quando piangeva mi condannavo di essere una cattiva madre. Alla fine quel dolce angioletto mi conquistò e la simbiosi tra madre e figlio fece la sua parte. Alan era un bellissimo neonato, e ad ogni suo capriccio, accorrevo per viziarlo.
Stavo ore ed ore, dopo una pulizia maniecale della casa, seduta sulla sedia a dondolo per guardarlo dormire e sorridere nella culla, e non riuscivo a distaccarmene perché ne ero innamorata dal primo momento in cui la levatrice me lo appoggiò sul petto perché il nascituro potesse riconoscere il battito materno.
Austin voleva molto bene ad Alan, i due erano due gocce d'acqua, stessi occhi, stessi capelli, stesso charme nel far cadere ai propri piedi ogni donna che gli capitasse a tiro. Sembravano fratelli.

La mia famiglia era perfetta.
Mi sentivo fortunata, avevo tutto, non desideravo altro che continuare così, ma ciò si complicò quando una situazione incrinò il rapporto matrimoniale.

Lo ricordavo. Era una cicatrice che bruciava ancora, dopo molti anni dal tradimento.
La retina si riempiva di quelle insulse immagini come se fosse accaduto ieri. Prima o poi tutte le bugie venivano scoperte e la verità saliva a galla come un forziere nascosto nell'abisso di un oceano.

Il giorno in cui le speranze caddero e vennero tolti i paraocchi che guardarono a quell'unica direzione consentita senza dare importanza alle altre laterali.
Il maledetto giorno che il mio matrimonio con Austin si concluse nonostante quel tempo inutile speso a riparlo con inutili cataste di cerotti. Quando la segretaria ruppe il tacito accordo, confessandomi di come Austin trascorresse il tempo inutilizzato quando non doveva presiedere a qualche riunione dimostrativa. Credevo stesse infangando la reputazione di mio marito quella pettegola cialtrona, ma quando rimasi sola iniziai a riflettere sulle circostanze e unì piano tutti i vari tasselli del puzzle. Tutto divenne chiaro e tangibile, le parole della pettegola rieccheggianti nella mia mente non furono più insulse ma veritiere.

I suoi infidi atteggiamenti, le ripetute scuse quando doveva trattenersi fino a tardi in azienda.
Io che promettevo di non investigare su niente che interessasse il suo lavoro, di fidarmi delle ipnotiche parole, di non azzardarmi a posizionare la cimice in macchina che lui si sarebbe sentito offeso.
Gli davo credito perché lo amavo nonostante i nostri rapporti, poco dopo la nascita di Alan, si erano raffreddati limitandosi alla convivenza forzata nella stessa abitazione.
Ma alla fine fui costretta a ricredermi nel giorno del settimo anniversario di matrimonio.
Decisi di fargli visita senza il minimo avviso, volevo coglierlo infragrante e ci riuscii, ma la mia coscienza non sapeva a cosa pensare per non scattare come una molla e mandarlo all'ospedale, come mantenere la distanza, impallata all'uscio con la porta spalancata e gli occhi umidi di lacrime.

Non bussai.
Mio marito rimase nella posizione di prima. I miei occhi strabuzzati e sorpresi visualizzavano la scena peccamimosa con il cuore in gola, come se stessi guardando un film horror, distinguendo solo due ombre sovrapposte sulla scrivania.

Lui a cavalcioni sul corpo della sua amante, alle volte sobbalzando con il torso nudo. Lei sotto di lui semidistesa sulla dura superficie del banco, col petto discinto privo di alcuna biancheria intima e l'evidente desiderio di piacere nei gesti con cui spingeva le labbra di Austin su ogni tratto della sua pelle. Al vederli come due bestie trasportati dalla passione e quell'atto ripetitivo mi salì la bile in bocca e il riflesso del vomito si trasferì allo stomaco. Mi portai una mano alle labbra, gli occhi diventarono gonfi, rossi e non riuscivano a trattenere le lacrime che premevano per uscire ma con brevi tirate le ricacciavo indietro.
I due non si accorsero della mia presenza e continuarono a consumare l'ignobile gesto, alternando baci a gemiti strozzati di profondo piacere, con lei che lo invitava a prendersi tutto facendomi improvvisamente girare la testa. La cosa che più mi feriva era la sottomissione di Austin verso quella bionda montata, Nacy, che in quel periodo stava collaborando con l'azienda per conto della rivista in cui lavorava. Austin mi aveva persino giurato che tra loro c'era solo un rapporto confidenziale di lavoro, e da stupida ci avevo persino creduto. Ma la colpa non era di quella gallina che per come si vestiva non poteva di certo essere iscritta al club delle vergini, ma del traditore che mi aveva dato quello che volevo mi desse e detto quello che volevo sentirmi dire. Lui era il solo e unico colpevole, Nancy era la sua complice e la sua amante e tutto ciò mi distrusse come donna e come moglie. Rimpiangevo i costosi studi di medicina che avevo abbandonato a metà del percorso, rimpiangevo di non aver seguito il consiglio dei miei che mi avevano ripetuto sempre che mi sarei rovinata la vita e che non sarei più potuta tornare indietro, per quanto lo avessi voluto. Purtroppo adesso il danno era fatto, non c'era più nulla che potessi fare per cancellare l'errore, se non imparare a vivere senza di lui che si sfogava in un corpo che non era il mio come un comune animale selvatico senza coscienza e senza sentimenti.
Con un magone dentro sbattei la porta, e Austin si voltò di soprassalto con la paura traboccante nello sguardo, verso la porta che avevo appena richiuso.

Ogni scusa che avrebbe trovato non avrebbe più avuto alcun effetto, e ormai non me ne importava, poteva starsene quanto voleva con quella gallina.

Almeno aveva perso lui la dignità e la faccia dinanzi agli altri non io.

Mi ricomposi asciugando il bordo dell'occhio su cui era colato il mascara con un fazzoletto, e issandomi nervosa in piedi, salutai la mia complice che sedeva alla scrivania nella sala di aspetto deserta e andai verso le scale in fondo a passi pesanti. Iniziai a scenderle, ma ero talmente furente con Austin che la rabbia si percepiva a chilometri di distanza in ogni poro della pelle. Mi sentivo un vulcano pronto ad eruttare e a seminare in ogni dove la sua lava incandescente. La scena mi balzava fra tutte in testa e mi affligeva i pochi neuroni ancora attivi. Austin e Nacy in primo piano sulla scrivania, la loro indifferenza a continuare ciò che avevano iniziato come l'opera di un autore che andava ultimata entro una scadenza ben precisa.
Che rabbia e che nervosismo, pensavo in quei pochi attimi, mentre mi aggrappavo al corrimano forzatamente come a volerlo disintegrare. Doveva essere resistente, il ferro andava bene, era meglio che rompere tutte le stoviglie del primo servizio con tutti i soldi che servivano per ricomprarne di nuove. Avevo bisogno di spaccare tutto, tutto quello che trovavo davanti al mio naso, vetro, carta, plastica, tutto, nessuna eccezione. Quello era l'unica soluzione per sentirmi prepotente e per ignorare il fatto che sia stata così ingenua da non sospettare nulla e che lui abbia fatto ciò che voleva di nascosto.
Se pensavo a quello la voglia si invigoriva. Distruggere, eliminare, volevo dargli un pugno, fargli del male, provocargli dolore, lo stesso che percepivo io, augurargli di vivere i suoi ultimi istanti sotto forma di scarafaggio, ma non ero così cattiva e quello era pur sempre l'uomo che mi aveva inimicato tutti quanti e reso schiava del suo dittatorialismo.
L'unica cosa positiva che Austin mi aveva donato in quei sette lunghi anni era Alan, mio figlio. Il resto era solo sofferenze su patimenti.
Scendendo i primi gradini abbandonai la sicurezza del passamano e la frustrazione guidò i miei piedi finché non ne misi uno in fallo e persi l'equilibrio.
Volteggiai nel vuoto, e con un rumore secco, ruzzolai per due rampe di scale attutendo il colpo col fianco destro. Mi bloccai alla fine della seconda e divenne tutto buio, distorto, ovattato.

Quel giorno la mia vita si rovinò per sempre e Austin decise di andare a convivere con l'amante Nancy senza avere indulgenza per quello che mi aveva fatto.
La nostra famiglia era un banale ricordo conservato in quelle foto al piano superiore del cottege.

Rivederlo lì, con quel suo volto sorridente, mi fece venire la voglia di sgozzargli la gola per appenderla al muro come le corna di cervo dei cacciatori. Prima andava e tornava senza meta fissa, per sporadiche visite a suo figlio, poi ne aveva ridotto il numero a due ogni tre settimane e infine quello strano rituale si era estinto.
Adesso, dopo due anni, si faceva vivo, di nuovo e io non volevo assolutamente negli ultimi istanti della mia unica vita finire nei telegiornali nazionali come la ex moglie che per ripicca uccideva il grande direttore Austin Taylor, era l'ultima cosa che serviva in quel momento sopratutto per una moribonda di cancro al cervello.
Decisi di essere magnanima, facendogli un cenno con l'indice. Austin increspò un sorrisetto convincente che per molti anni era riuscito a far leva sul mio cuore e a rendermi le gambe molli.
«Ciao Allison.» mi salutò.
Era stato in silenzio per una manciata di secondi come se stesse pensando al discorso da introdurre, ma alla fine gli era uscito solo un insignificante 'ciao'.
«Ciao.» feci io scostante.
«Non ci vedevamo da un po' di tempo, così ho voluto farti un salutino prima di tornare a Los Angeles.» continuò, appoggiandosi col gomito sinistro al cornicione della porta, mentre mi sentivo scocciata dalla sua presenza.
«Bene. Ora che mi hai visto puoi anche andartene, Austin.»
L'interessato si sistemò con una mano la profonda massa di capelli neri portandoli indietro. Era sempre il solito rubacuori, forse più invecchiato, e come sempre era uguale ad Alan, tranne che per gli occhi decisamente più cobalto che azzurri. «.. non sono venuto solo per sapere come stai..» si grattò la nuca per ispezionare dietro alle mie esili spalle gli ambienti interni della casa, che conosceva a memoria. «ma Alan è in casa?» mi chiese con una punta di ansia nella greve voce.
«Non c'è.»
«Dove è andato Allison? Posso saperlo, ti ricordo che ho il pieno diritto di sapere cosa ne fa mio figlio della vita.»
«Sta bene, Austin. Ha ventiquattro anni, non è più un bambino, e va dove vuole.» gli risposi guardandolo negli occhi.
«Sono venuto per parlare con lui.»
Sospirai l'aria pungente del di fuori, racchiudendomi nel piccolo plaid, mentre mi sistemavo una ciocca di capelli dietro al lobo.
Austin iniziò a guardarmi intensamente. Non avevo mai avuto un aspetto gradevole in quel periodo per le condizioni stabili del cancro. Ero sempre stanca, mangiavo poco e niente, abolivo tutti i grassi, il mio corpo era vicino allo stadio dell'anoressia.
Un piccolo scheletro inconsistente sorreggeva la gracile figura trasandata e sotto gli occhi sfoggiavo delle deliziose borse nere e gli occhi scavati e svuotati.
Austin irrigidì la mascella e allungò una mano.
«Stai molto male, si vede.» sottolineò come se fosse improvvisamente medico e stesse dando un proprio referto al paziente. Gliela allontanai.
La fede all'anulare sinistro ben visibile e luccicante e il mio cuore fu attraversato da una fitta sleale.
«Non c'è bisogno che ti preoccupi. Per favore, voglio riposare. Torna quando Alan sarà a casa.» gli dissi, cercando di chiudergli la porta in faccia con le poche forze ancora presenti nel mio gracile corpo, ma Austin due volte più possente me lo impedì. «No, fammi entrare.»
«Non siamo più sposati da un pezzo e adesso le mie condizioni non sono più fra le tue priorità.
Tu hai già una moglie e una figlia.» feci mostrando una smorfia.
«Allison sii ragionevole.»
«Ragionevole io?» dichiarai sarcastica. «e comunque tra noi c'è solo un rapporto di ex coniugi e Alan, quindi limitiamoci a questo. Poi ormai non mi preoccupo più della mia debilitazione fisica, so che morirò!»
Lui distese i lineamenti perplesso.
«Come, morirai?»
Forse nessuno glielo aveva detto, dopotutto non cambiava niente.
Estranei come prima.
«Sì, ho smesso di sottopormi alle visite mediche e alle sedute, voglio vivere ciò che mi resta con le persone che amo e tu dovresti fare lo stesso.» gli dissi, cercando una seconda volta di richiudere la porta. Il tentativo fallì.
«Ora mi spieghi tutto cara Allison. Nancy e Peggy aspetteranno, e poi rimango perché voglio vedere Alan. Per la centesima volta, posso entrare?»
Lo guardai, e ispirando esausta, spalancai la porta. Mi spostai verso il portaombrelli di vetro e lui vi transitò, chiudendo la porta.
Non ci volle una guida verso il soffocante salotto in stile country ed elegance, lui conosceva la strada come se quegli anni lontani non avessero influito sulla memoria o sul profumo di un diffusore alla vaniglia.
Lo seguivo dietro con passi silenti finché non entrammo nella prima stanza a destra. Il salotto era ordinato in modo morboso come mi piaceva. Invece nella camera della sua villa a Los Angeles dove viveva tuttora con la modella c'erano grandi camere, spazi di maggior ampiezza e una schiera di serve che provvedeva alla pulizia. Sia Austin che Nancy non badavano a spese, volevano il meglio, si coccolavano con costosi regali e con tutti i comfort.
Austin passò vicino al mobiletto e notò il divano sgualcito.
«Scusa il disordine.» farfugliai, provvedendo a stirare le pieghe.
«Non ho domestiche.»
Lui mosse un dito, e si posizionò comodo sulla poltrona a sinistra color fango, mentre io mi sdraiavo sul divano, ghermita nel plaid.
Nel momento in cui ci mettemmo con qualche riserva a nostro agio, Austin attaccò bottone.
«Allora?»
Io puntai un punto fisso nella stanza tentando di non fissarlo, quegli occhi erano ancora magnetici nonostante gli appuntiti dolori del passato.
«Sto aspettando, sai che non mi piace quindi ti conviene parlare.»
«Niente Austin.» vomitai piena di astio mentre mi liberavo del peso opprimente del plaid.
«Vuoi qualcosa?»
«Nulla, ma già che ne parliamo vorrei fossi sincera. Sono stato pur sempre tuo marito una volta.»
«Appunto Austin, una volta e quasi non ti faccio confidenze da una vita.» mi issai faticosamente in piedi nonostante il piccolo capogiro. Le prime volte credevo che fosse soltanto il nervosismo, ma il dottore Crouger specialista in malattie oncologiche mi spiegò che era un palese sintomo della malattia che stava degenerando.
Alla fine appurai personalmente che la matassa del tumore iniziava a espandersi anche al fegato e poi anche ai polmoni, così che mi risultava sempre più faticoso non avvertire il fiato scarseggiare.
Le macchie diminuivano la capacità dei polmoni e il fegato malato necessitava di un trapianto, ma io non avevo mai approvato per entrare in lista.
Alla fine era una sorte, mi toccava.
«Ma il tumore sta regredendo?»
«No, è più minaccioso che mai e credo che non mi resti molto tempo. Devo vivere gli attimi.» mi allontanai dalla stanza e sentii la sua ritrovata presenza provando un'inspiegabile nostalgia. Entrai in cucina e scostai la stoviglia recuperando una macchinetta nuova di zecca. Mi alzai sulle punte e recuperai il contenitore del caffè in polvere, lo disposi a piccoli cucchiaiate e lo richiusi debolmente. «Austin!» gridai, e lui accorse subito con il cuore a mille.
Credeva mi fosse accaduto qualcosa di brutto, ma quando comparì all'uscio inspirò sollevato.
«Puoi stringermela?»
«Oh, sì certo.» rispose sorridente, asciugandosi con la manica della camicia una goccia di sudore in fronte. «Credevo ti fossi sentita male. Eri mia moglie questo è vero, ma ti voglio ancora bene.» mi confessò mentre spingeva con entrambe le mani la moca. Me la restituì e la posizionai sul fornello.
«Ho un pezzo di torta del vicino, né vuoi un po'?» gli chiesi con gentilezza, abbandonando l'atteggiamento rude e freddo di prima. Secondo Alan lui era e sarebbe rimasto un verme. Io non avevo commenti in proposito, mi limitavo a scuotere di poco la testa quando oltre ai tanti argomenti spuntava fuori il fantasma di Austin. Lui picchiettò un unghia sul pantalone dalle pieghe ben evidenti e le strisce verticali nere, e spostò lo sguardo al piccolo mobiletto di legno dove vi era posato un portafotografie che raffigurava Alan e me sulla canoa.
«Siete cambiati molto, sopratutto il mio ometto Alan.» sottolineò con un quel ritrovato senso paterno che per lungo tempo aveva dimostrato solo per Peggy.
«Già.» annuii, prendendo tra le mani quella cornice, mentre con il pollice massaggiavo il volto infantile di Alan, che sedeva tra le mie gambe nell'instabile canoa e mostrava la dentatura con due finestrelle al centro. «Ormai è un uomo.» ma per me Alan sarebbe per sempre stato il mio bimbo.
«Ora lavora?» continuò Austin cercando di raccimolare quanti più ricordi. Io smisi di osservare la foto nitida e incontrai i suoi occhi.
«È professore di musica.»
«Interessante, ma avrei voluto una posizione più importante, magari chirurgo, avvocato o direttore della mia azienda..» lo interruppi perché dubitavo che al ritorno avrebbe gradito quella visita ne ero certa. «Tu sai che Alan è una persona semplice e che si accontenta di poco. Perchè dovresti intrometterti nella sua vita?» gli chiesi alzando il tono.
Lui alzò le mani come una barriera.
«Era solo un'ipotesi.» poi si premette contro quel comodo schienale. «Ma quando andrò in pensione non avrò che lui come possibile erede della mia fortuna.»
Di nuovo soldi, per lui il mondo era una miniera di bigliettoni verdi da trovare con ogni mezzo.
«Non hai Peggy?»
«Uhm, no. È piccola, ha solo dieci anni, Alan invece è caparbio ed è il mio primogenito, quindi sarà lui.»
Feci un mormorio con la bocca.
«Quindi sei venuto solo per parlare di questo con Alan?»
«Sì e spero che accetti.»
«Io non credo.» feci e lui si incupì.
«Beh dovrà farlo, ho una fortuna che potrebbe farvi vivere nel lusso che in questa bettola per topi.»
Alzai gli occhi al cielo. Lui si avvicinò al divano, comgiungendo le mani, mentre guardava il tappeto color bordeaux storcendo la bocca. «Alan è l'unico maschio.»
«Austin non puoi piombare qui e trascinarti mio figlio nel mondo del denaro e della corruzione sperando che te lo lasci fare.»
«Vuoi che perdi le proprietà! Che rinunci al mio futuro, alla mia famiglia, all'educazione di Peggy, questo è il tuo obiettivo!» proruppe scattando in piedi.
«No, ma non usare Alan per i tuoi sporchi affari. Ha già sofferto per conto suo, non voglio che lo ferisci ancora. Hai due famiglie, una l'hai distrutta quel giorno.» singhiozzai all'orlo di un pianto.
«Non deluderlo come hai fatto con me ti prego.»
Lui mi osservò tacendo e il filmino si riavvolse nella testa.
Quel giorno non avevo perso mio marito, ma anche la sicurezza, la protezione e l'alba di una nuova vita. Ed era stato proprio lui l'unico diretto fautore della disgrazia.
«Stai ancora pensando alla caduta, nonostante sia passato troppo tempo?» mi domandò, portandosi una mano sotto al mento flesso.
«È ormai troppo tardi per pensarci.» aggiunse accavallando le gambe. Come se fosse stato facile dimenticare di aver ucciso ciò che poteva essere materiale.
«Io non lo dimentico, Austin.»
Lui sospirò.
«Avresti potuto anche evitarla e risparmiarti il dolore, ma no! Hai sempre fatto la cosa che ti era più facile, scappare senza alcuna spiegazione.»
Mi asciugai con un fazzoletto.
«Non servivano. I fatti parlavano, tu e Nancy stavate insieme alle mie spalle e tutto perché non eri soddisfatto e volevi avventura, solo sesso, spassartela con i tuoi milioni.» lui non obiettò. «.. e cosa ti mancava?»
«Mi mancava il tuo calore ecco cosa. Volevo che tu mi dessi più affetto che startene con Alan tutto il santo giorno.» strillò liberando tutto d'un colpo la rabbia che fino a quel momento aveva represso.
«Beh, ma non è scusa buona perché tu potessi civettare con quella tua sgualdrina. Il meglio che sapeva fare era mostrare le cosce.» mi interruppe avventandosi su di me. «Non osarla chiamare a quel modo, è mia moglie, la madre di mia figlia!»
«E io?» gli sussurrai debolmente spingendomi verso lo schienale del divano col volto piegato.
«Cosa sono stata? Non ero la donna che avevi scelto per te? Avevi detto che saremmo stati insieme, ma ti sbagliavi e io ho rinunciato ai miei studi per costruire un futuro con te.»
Austin si abbandonò sulla poltrona sbollendo la rabbia. Aveva i lineamenti del volto rilassati e ora la sua voce era lenta e impenetrabile.
«Ti amavo più della mia vita Allison. Ho sopportato il disprezzo della tua famiglia, ho con te bellissimi ricordi e circostanze.
Ho avuto un figlio, un figlio che ho deciso di lasciare al destino e me ne pento, ma ora voglio rimediare ed esserci per Alan.»
«Ci vorrà tempo.»
«Sono qui in Wisconsin per conquistare la sua fiducia e ci riuscirò.» aveva gli occhi azzurri che brillavano di determinazione.
Nelle sue parole un paterno amore, speravo non fosse una sua subdolezza per colpire mio figlio.

Lo avrei ammazzato questa volta.

«Te lo ripeto, Alan è un duro scoglio, non sarà facile convincerlo a seguirti a Los Angeles. Qui a me, Sofia e il suo lavoro.» ripetei con lenta cadenza. «Quindi sii carino.»
Lui annuì.
Un grande odore di caffè che penetrò nelle narici di entrambi e si espanse per ogni piccolo vano della casa. Finalmente avevo la scusa perfetta per finire quel discorso pesante che non faceva bene a nessuno dei due.
«Il caffè deve essere pronto. Controllo. Tu vuoi zucchero o dolcificante?»
«Oh, zucchero.» sottolineò lui con un sorriso sornione in volto.
«Bene, arrivo subito.»
Sparii nel giro di un nano secondo ed entrai nuovamente in cucina, dove il profumo del caffè si sentiva di più nell'aria domestica.
Presi la macchinetta bollente e recuperai due tazzine di porcellana tergiversando il liquido marrone e tornai in salotto dove Austin stava seduto ad aspettarmi.
«È pronto, bevi.»
Posai il vassoio sul tavolino basso e Austin allungò una mano per prendersi una tazza e io feci lo stesso. Inziammo a goderci il buon sapore amarognolo del caffè bevendone qualche goccia.
Austin tolse il bordo della tazza dalle fessura delle labbra.
«Alan non sa niente?» poi continuò a traccannare il caffè.
«No, ma a proposito di che?»
«.. di quello che successe quel giorno quando scopristi il tradimento e tu cadesti dalle scale.» sottolineò mostrando le virgolette con le dita.
«No, non hai mai saputo nulla.»
Austin ciondolò col capo.
«Bene e dovrà rimanere un segreto fra me e te.»

****

Innanzitutto grazie molte a tutti coloro che hanno letto e commentato i precedenti capitoli. Vi invito a seguire tutta la storia per scoprire tutti i misteri dei protagonisti, uno dei quali è quello di Allison e Austin. Voi avete qualche suggerimento in merito?
Se si scrivetelo nei commenti e un grazie particolare a [in ordine sparso]

_Ery06_
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E altri ovviamente!

Vi adoro, mi lasciate un commentino e un voticino?
Al prossimo tesori.

Jo


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