Capitolo 24
Un attimo prima dolore, angoscia, forse anche imbarazzo per un corpo scadente per uno così proporzionato.
Il momento dopo..
Piacere, estasi, paradiso e la tranquillità.
Era tutto concluso. Un momento prima una guerra di possesso che non riusciva mai a concludersi. Lui che con cadenza sempre più seducente mi accarezzava le spalle e mi faceva sentire un brivido, poi avanzava spedito verso la clavicola e vi lasciava un bacio a stampo per poi ripassare nuovamente alle labbra con la segreta paura di smarrirle.
Il momento dopo eravamo stanchi ma felici e il grosso peso si era dissolto. La tranquillità aleggiava intorno alle nostre due figure accasciate sulla lettiga e poneva fine a quel gesto di pazzia. Non era del tutto normale visto che Alan lo conoscevo a malapena da qualche settimana, ma già morivo d'amore per lui. Era forse un male, ma stava diventando come l'ossigeno.
Essenziale. Vitale come la stessa aria che incameravo nei polmoni.
Secondo Josh era anormale.
Ma non potevo di certo fidarmi di quello sciocco che se ne faceva una ogni due giorni e che non sapeva nemmeno cosa significasse provare a resistere a una cosa che in realtà non faceva altro che spingerti nella direzione più sbagliata. Nonostante Josh Watson fosse apparentemente uno stronzo laureato non era di certo così intelligente nella sua materia.
Per questo era meglio farsi consigliare da qualcun altro e possibilmente da uno che avesse
un quoziente intellettivo superiore.
Josh non capiva, semplicemente perché non amava. Chi non amava una persona così tanto, non poteva capire perché una cosa così banale come l'amore potesse portarti alla follia. E visto che Josh ne era immune non potevo contare su di lui. Magari avrei potuto affidarmi a Tania, la mia migliore amica, se solo avesse avuto la decenza di abbandonare per una volta quel suo dannato orgoglio.
Sicuramente era una consigliera migliore del mio amico Josh.
In tutti i casi però non credevo che mi avrebbe potuto aiutare, stava diventando una malattia cronica irrisolvibile. Avevo quasi paura di abbandonarmi nelle braccia protettrici di Alan senza riserve e di rimanerne delusa dopo.
C'erano due parti contrapposte che si sfidavano a colpi di cavalli di battaglia per ottenere la mia approvazione, come una sorta di parte benigna e parte maligna.
La parte benigna voleva che mi riguardassi sulle mie decisioni e che ci andassi coi piedi di piombo.
La parte maligna, quella più tentatrice, mi consigliava di godermi la situazione quanto più possibile adesso che avevo tutte le possibilità e Alan aveva smesso di porre muri al nostro rapporto.
Io come al mio solito mi sentivo tra due fuochi, non sapevo proprio nulla, più che chiarirmi le idee me le stavo confondendo. Decisi di seguire la parte maligna e di escludere la vocina che mi chiedeva di non fare inutili castelli di sabbia dopotutto provare non costava nulla e l'importante era solo questo.
Nella vita bisognava mettersi in gioco, giocare le proprie carte, perdere e qualche volta vincere ma con la consapevolezza di averci almeno provato.
Io volevo provarci, misurarmi, lanciarmi a capofitto in una relazione, anche se fin da subito sarebbe andata male. Beh, non importava. Inutile fasciare la testa prima di rompercela e creare inutili supposizioni non faceva altro che peggiorare il disordine anteriore, così lasciai perdere.
Ero su una lettiga e avevo un corpo attaccato al mio. Attorno a me il silenzio, quasi come se tutto, persino il tempo si fosse improvvisamente fermato.
La pioggia scrosciante sul melmoso terreno non si udiva più e le mie narici inalavano un forte profumo di rugiada.
Aprii un occhio, ma riuscivo a percepire nel mio campo visivo solo una confusa ombra e qualche luce da sfondo. C'era ancora un residuo di intorpedimento muscolare che mi impediva di rizzarmi a sedere, ma in realtà non volevo farlo perché Alan aveva una gamba piegata sotto la mia e una mano avviluppata intorno alla schiena nuda che se avessi accennato a qualcosa lo avrei svegliato. Non volevo. Preferivo vederlo immobile, indifeso come un cucciolo ferito, dormire placidamente stretto a me con i lineamenti rilassati e contenti, e poi non mi era mai capitato di vedere un uomo che non sia mio padre immerso nei sogni. Alan era dolce anche quando i suoi occhi erano serrati e le sue ciglia lunghe e nere pettinavano l'aria lacustre.
Sicuramente al suo risveglio mi avrebbe accusato di essere perversa, perché mi perdevo a osservarlo per minuti interi senza staccarmi per guardare altrove.
Io lo avrei odiato e segretamente gli avrei dato la ragione.
Il campo visivo divenne più nitido e riuscii a distinguere la mano destra posata sul suo petto. Inclinai il capo poggiato sul suo braccio e con la mano sinistra iniziai a giocare con i capelli neri ancora umidi, mentre sorridevo.
«Uhm..» sembrò mugugnare senza senso, e io increspai un sorrisetto.
«Buongiorno.» feci, accarezzandogli le labbra che erano state mie e il cui sapore vi era ancora deposto.
«Dormito bene?» gli chiesi.
Lui pareva aver ripreso a dormire, involontariamente stringendomi più al petto. Io avvampai come una scema ritrovando la timidezza che mi ero lasciata indietro.
Alan ghignava.
«Buongiorno.» mi rispose avvicinandosi alla mia testa per posare un bacio quasi fraterno e inspirare quella dolce essenza a base di acqua piovana.
«Sai non è educazione spiarmi mentre dormo.» mi rimproverò gonfiando le guance su cui si formarono le fossette che amavo.
«È vietato?»
«No.» mosse un indice e mi portò indietro una ciocca umida che mi si era attaccata al mento. «Però è da perversi.»
«Oh bene, senti chi parla!» esclamai offesa, girandomi per dargli le spalle. «Non ti parlo più.» dichiarai concisa.
Stare con lo sguardo puntato al muro scalcinato non mi permetteva di vedere la sua reazione e tutto ciò mi torturava.
Per quanto mi ostinassi a mantenere le distanze dal suo volto la curiosità mi stava uccidendo.
Percepivo la sua presenza dietro di me. Era silenzioso, ma sapevo che era lì e non si sarebbe mosso, udivo chiaramente i suoi sospiri che mi carezzavano la pelle.
Improvvisamente un piccolo brivido di freddo si irradiò all'altezza della parte lombare.
Capii che era lui. Era il suo modo più dolce di riappacificazione con il dito indice che scendeva sinuosamente lungo le conche delle vertebre e finiva al coccige.
Mi voltai di poco, in equilibrio sul braccio sinistro e lo adocchiai.
Mi sorrise pieno di gentilezza e un misto di strafottenza per aver vinto, il suo volto maturo veniva scolpito dalla luce che proveniva dalla finestra di legno marcito.
Mi girai e lui sbuffò infastidito.
«Piccola, sei ancora arrabbiata?» la sua voce si incrinò ancora di più diventando lenta e stucchevole.
Non gli risposi, mi limitai a un cenno col capo di tacito consenso.
Lui annuì e per una manciata di interminabili secondi la sua presenza alle mie spalle sembrò svanire. Sussultai, profondamente arrabbiata con me stessa per aver rovinato quella relazione sul nascere e rassegnata cercai di chiudere gli occhi per essere abbracciata da Morfeo, il mio caro vecchio amico di sogni agitati e notti insonne. In un secondo avvertii le delicate braccia della divinità che mi stavano avvolgendo completamente. La materia iniziò a svuotarsi di tutti i problemi e delle delusioni, il corpo restava a terra e l'anima si distaccava volando negli sconfinati spazi del sogno, in un mondo dove la realtà è solo un palese ricordo sfumato e dove non esistono regole, né leggi, né amori impossibili. Dove tutto è possibile, tutto può essere fatto persino rapinare un banca o uccidere qualcuno senza andare in carcere.
Si dava voce ai desideri, si faceva tutto in completa autonomia e libertà senza inutili pregiudizi.
Era la dimensione dove avrei voluto rimanere per sempre.
Pregai che continuasse, ma prima che potessi goderne i miei occhi verdi si riaprirono.
Iniziai a percepire un leggero ondeggiare delle malandate molle, mentre la mia schiena combaciava con qualcosa di duro e caldo.
Istintivamente le labbra si allargarono in un sorriso compiaciuto. Il petto di lui combaciava con la mia schiena.
Perfetti per incastrarsi.
Completamente discinti.
Alan respirava piano e il suo costato che si riabbassava ad ogni soffio si scontrava con la parte lombare del mio fondo schiena.
Poi la sua mano destra si attorcigliò intorno al grembo magro e mi spinse ulteriormente verso sé.
La sua testa si appoggiò nell'incavo tra collo e scapola e lì vi lasciò un altro bacio questa volta più intenso, mentre io ancora voltata nascondevo i miei sorrisetti dei suoi piccoli segnali che mi dimostravano che per lui non era significato niente quel nostro banale battibecco e il mio cuore si liberò di un peso opprimente.
«Dai, facciamo pace?» boccheggiò affondando un altro bacio sul collo. Soffocai un gemito che tentava di uscire.
«Sì, va bene.» acconsentii e lui mi ringraziò con un altro bacio sull'attaccatura del collo. Spostò la mano sinistra e la inserì nei capelli, stringendone qualcuna nelle nocche delle mani.
Mi voltai nella sua direzione e mi specchiai nel magnetico blu dei suoi occhi. «Però..» cominciai e lui mi guardò mentre la sua imperiosa figura maschile troneggiava sopra la mia.
Lo vidi alzare un sopracciglio e irriggidire la mascella, aspettando la conclusione della decisione da cui probabilmente derivava tutta la sua vita. Io ghignai soddisfatta e trionfante, mentre lui assottigliando gli occhi mi scrutava fosco. «Il mio perdono non si ottiene così facilmente, quindi dovrai fare tutto ciò che ti chiederò.» gli spiegai con lui che ascoltava ogni minima parola.
«Cosa vuole che faccia, signorina?»
Mi puntai un dito alla tempia. Lui spostò le mani verso alcune ciocche corvine che si adagiavano sulla lettiga e scivolò più verso di me finché i nostri nasi non risultarono attaccati.
«Beh, visto che amo le cose romantiche vorrei che per i miei diciotto anni tu mi regalassi delle rose blu.»
Lui alzò il pollice per conteggiare e mentalmente iniziò a stilare una lista di cose che non doveva assolutamente dimenticare, pena la sua esistenza.
«Seconda cosa.» proseguii. «A Natale voglio baciarti.»
Lui dilatò le pupille perplesso. Stava per controbattere che questo lo stavamo sempre facendo, vivevamo solo perché le nostre labbra potessero rincontrarsi, ma io lo bloccai in partenza. «Non un semplice bacio Alan. Voglio quello sotto al vischio che porta fortuna.» «Qui ce n'è a sufficienza.» mi rispose alzando l'indice. «Hai altre richieste mia cara? Avrei bisogno di fare una cosa molto importante che mi è mancata già abbastanza.»
Io ridacchiai per la faccia appena comparsa sul volto sconfortato del povero Alan per ogni mancato istante di baci, baci semplici, baci con quanta piu importanza di quelli più passionali, ma sempre baci traboccanti di un amore sincero, casto, un po' puerile che iniziavamo seriamente a dimostrarci, ma che a lui servivano per riabbracciare con malinconia la cruda realtà della separazione e della finzione.
Gli mostrai una linguaccia così tanto per scherzare, perché anche da arrabbiato avvertivo le stesse emozioni di quando era riflessivo.
«Non si nega nulla al tuo professore.» mi disse imbronciato, utilizzando quella scusa che davvero non sopportavo. Non eravamo a scuola e lui in questo momento non poteva considerarsi un insegnante, quindi io nemmeno ero un'alunna, ma solo una donna che cercava protezione nelle sue braccia, calore nelle parole e pazzie nei suoi baci. Adesso eravamo sullo stesso piano.
Non esisteva il professore e lo studente. Non eravamo dinanzi agli spartiti, alle performance, ai voti, ai giudizi. Eravamo due ragazzi che non ce la facevano più a continuare a quel modo, che dovevano finirla di ascoltare gli altri che volevano allontanarli.
Avevano di fronte due scelte: morire di apprensione, lontano l'uno dall'altra, per vedersi felici oppure lottare con le unghie e con i denti per conquistarsi. E per il momento era chiaro cosa avevamo deciso e cosa avevamo escluso.
Stare insieme e lottare, lottare instancabilmente contro le voci aggressive e crudeli. Cadere e rialzarsi, insieme, dimostrare fino alla morte che non era impossibile, che chi riteneva così, fosse già perso a metà.
Io non mi sarei arresa mai. Volevo Alan, volevo lui e i suoi baci su tutto il corpo e gridarlo al mondo intero, accompagnata dall'indifferenza di tutti, che io ero completamente innamorata del mio professore e che lui ricambiava. Ero innamorata, nessuno avrebbe cambiato la realtà neanche tra un milione di anni.
Si poteva cambiare il presente, ma non il passato, e il futuro dal canto mio, sarebbe stato plasmato da me e sapevo che aveva un solo nome inciso col marchio a fuoco.
Alan Scott Taylor.
«Non mi importa.» gli risposi franca. Lui mi massaggiò con un dito le labbra e un nuovo brivido si fece spazio sottopelle. Nei suoi occhi un fulmineo bagliore di confusione, poi determinazione e con una mano iniziò a solleticarmi la pancia, mentre mi dimenavo come posseduta facendo vibrare l'approssimato letto. Lui era sopra di me, con le mani intente a mandarmi in tilt con quei leggeri formicolii, mentre io cercavo di distorglielo con il fiato corto di una che ha corso una grande maratona.
«Dai, Alan. Smettila!» gridai agitandomi e lui ridacchiava.
«Dammi un bacio e la smetterò.»
Era questo il suo fine ultimo di furbetto, ma era davvero inimagginabile vederlo giocare come un bimbo piccolo con me, come se stesse facendo il solletico a suo padre, come se la sua infanzia stesse lentamente uscendo fuori da quella sua dura corazza. Probabilmente gli era mancato molto divertirsi, che adesso aveva bisogno di sfogarsi, di abbandonare gli atteggiamenti classici di un adulto e immaginarsi ancora un bimbo pieno di sogni e iniziative, prima che i problemi lo spingessero a maturare precocemente che non me la sentii di incitarlo ancora una volta a smettere e lo lasciai fare finché non si sarebbe stancato.
Dopo pochi minuti Alan smise e si accasciò accanto a me esausto, mentre con una mano mi sfiorava la guancia e nei suoi occhi era ben visibile il grande sentimento di affetto nei miei confronti che scintillava nelle sue iridi.
Si avvicinò col suo torso nudo e ben scolpito e il mio volto non trattenne più il rossore.
«Adesso me lo devi un bacio.»
Io sorrisi e stringendomi di più accostai le labbra alle sue e mi lasciai trasportare dal ritmo incalzante del cuore e dal dolce sapore e dalla morbidezza della sua bocca, che accompagnava la durata con una lenta inclinazione del capo, finché uno schiocco non né segno la fine. Ci limitammo solo a guardarci mentre una timida luce offuscata ancora dall'ammasso delle nuvole nell'orrizzonte preludeva un tempo stabile.
Ci balzò dopo un po' nella testa per quanto tempo fossimo stati in quella casupola, quanto tempo fosse passato che ci eravamo persino dimenticati se era mattina o pomeriggio, a furia di ignorare il tempo e dare spazio alle bocche.
Alan cercò di sollevarsi, ma nessuno dei due poteva abbandonare la comoda posizione, per tornare alla cruda realtà dove non c'era solo la nostra presenza, ma altre che non vedevano nulla di buono in ciò che avevamo fatto.
«Uhm.. che ore sono?» mi chiese.
«Ma non hai un orologio?»
Lui si batté una mano sulla fronte.
«Oh, scusa.» allungò il braccio e visualizzò l'orologio. «Non so dove ho la testa! Comunque, sono le cinque.» mi informò.
Io sgranai lo sguardo farfugliando. «Oddio, siamo andati in coma.»
Lui ridacchiò voltandosi.
«Beh, non è esatto chiamarlo 'coma' non pensi?»
Io ricambiai quel sorriso.
«Questo è vero.» mi girai ad osservare il cielo a tratti ancora nuvoloso da cui proveniva la luce che inondava la stanza in ogni direzione. «Dovremmo tornare.»
«In realtà, dobbiamo.» puntualizzò e la sua voce si incrinò.
Era la realtà.
«No, dai Alan.. ti prego, restiamo, è così bello sentirsi liberi.»
Alan fece un gesto di no col capo.
«La libertà è effimera.»
«Perché questi termini così dialettali?»
«Così, senza motivo apparente. Se fosse per me rimarrei, ma mamma di sicuro chiamerebbe a 'Chi l'ha visto' se non ci vede ritornare.»
Io gonfiai le guance per capriccio.
«Prima però non eri così responsabile e mi piacevi.»
«Adesso non ti piaccio?» mi chiese lui con gli occhi tentati subdolamente al pianto.
«Sei cattiva.» si posizionò sollevandosi accanto a me per avvilupparmi in un abbraccio.
«Sono io che ti ho regalato questo sogno o coma, come l'hai chiamato tu, non dimenticarlo.»
«Oh certo, ma stai dimenticando una cosa importante.»
«E cioè?»
«Il mio terzo desiderio restare qui, quindi se vuoi che ti perdoni per prima stiamo qui per sempre.»
Lui mi sorrise dolce e mi accarezzò la lunga chioma di capelli corvini. «Niente da fare.»
Mi liberai di malavoglia dal peso del suo magnifico corpo e lo vidi issarsi in piedi e camminare a piedi nudi senza veli dinanzi a me per recuperare i vestiti all'uscio.
Avvampai perché Alan era proprio nudo come sua madre Allison lo aveva partorito. La mia bocca si allargò così tanto che avrebbe potuto ospitare un esercito di mosche e un po' di saliva mi colava giù dal mento. Era la seconda volta che vedevo un uomo ignudo, l'ultima volta il fortunato era stato mio padre che non aveva mai il vizio di chiudere a chiave, così che mi fu impossibile evitare lo spettacolo imbarazzante alla retina. Papà urlò e si barricò in un asciugamano, mentre io rimasi impallata all'uscio con una mano sulla maniglia con il volto paonazzo.
Fu l'ultima volta e al solo ricordo ancora muoio di imbarazzo.
Ma può capitare ovviamente alla più imbranata che non aveva mai riflettuto sul fatto che alla porta si dovesse bussare e non entrare e basta, ma io ero un caso a parte.
Alan iniziò a infilarsi i pantaloni asciutti e i suoi boxer neri, io ero rimasta a letto per prolungare quel fantastico momento prima di tornare a casa sua, anche se speravo che potesse cambiare idea.
«Sofia tu non ti vesti?» come avevo previsto Alan me lo domandò, mentre lui sedeva sul ciglio della lettiga per ultimare l'allacciamento delle scarpe.
«Veramente speravo di restare qui finché non passa il temporale.»
Alan voltò il capo verso la finestra e la luce gli illuminò lo sguardo mentre se lo schermava con una mano.
«Peccato, tentativo fallito.» e mi mostrò la sua lingua mentre si alzava con i capelli appiattiti.
«Dannazione!» imprecai.
«Dai Sofia, smettila di fare la bambina, non possiamo scappare. Dobbiamo solo accettare di stare lontani dinanzi agli altri.» mi disse con una certa delusione nella voce mentre incassava lo sguardo al sudicio pavimento. «Ti aspetto fuori. Muoviti perché dovremmo trovare una scusa con mamma.»
«Ah sì?»
«Sì.» rispose andando verso la porta.
«Guarda che ho sentito.»
Alan si bloccò su due piedi e si girò di quarantacinque gradi nella direzione mia, mettendo su una faccia perplessa come se non fosse al corrente di quello che intendevo.
«La discussione.»
Lui aggrottò una sopracciglia.
«Vi ho sentiti, è stata Allison a ordinarci di non ritornare per pranzo.» spiegai calma.
Lui parve diventare confuso.
«Oh, beh.. non ricordo che sia accaduto questo.» si limitò a balbettare grattandosi la nuca.
«Va bene. Non fa niente, tu vai fuori che mi vesto e sono da te.»
Con un gesto di affermazione mi lasciò sola.
[Pov's Allison]
Mangiavo sempre sola, qualche volta con Alan quando tornava nel quartiere di ValsBorguses per appurare le mie stabili condizioni di salute e qualche volta anche con il mio caro vicino Gruber con cui avevo una solida amicizia, niente di più niente di meno, in comune avevamo solo la passione per il giardino e il quartiere.
Tanti anni prima questa casa non era così enorme da condividere solo con me stessa, era piccola e ristretta perché ci viveva Austin e io da coppia neosposata e anche in seguito con la nascita del nostro primo figlio Alan che ci ha illuminato la vita con la sua presenza e per quei pochi anni era riuscito a fungere da anello di congiunzione per i nostri doveri coniugali. Purtroppo Austin trovò subito l'opportunità di distruggere tutto ciò che avevamo faticosamente creato e ci abbandonò per una donna più sexy che faceva la prima modella per la rivista di Los Angeles 'Cosmopolitan' e alla fine dopo circa sei mesi se l'era sposata perché lei lo aveva intrappolato rimanendo incinta. Se ai primi tempi quella nuova situazione non mi aveva scombussolato più di tanto perché Austin faceva sporadici ritorni nel Wisconsin solo per riallacciare i rapporti con Alan e me lo trovavo a casa sul divano a ricordare i bei vecchi tempi guardandolo ancora con gli occhi di una ragazzina innamorata, nel momento in cui la mia coscienza realizzò che niente sarebbe tornato come prima iniziai a farmene una ragione e tutte le speranze riposte nel futuro morirono definitavamente con la fine dei rapporti con Austin che non venne più a trovarmi e con la scoperta del cancro. Avevo deciso che il mio cuore era troppo debole per battere forte per un uomo, ormai ero stanca di combattere e nonostante Alan mi incitasse col suo impegno a sopravvivere e a sottopormi alle sedute, io rifiutavo perché la mia vita non serviva più a nessuno, non aveva senso senza le persone più importanti. Avevo perso Austin per una poco di buono che l'aveva soggiogato e presto avrei perso anche il mio piccolo Alan. Ognuno ha bisogno di prendere la sua strada, Alan aveva tutto il tempo per fare progetti e disfarli ma io no, ho smesso di manovrare la vita a mio piacimento, mi bastava solo vivere l'attimo, coglierlo nel momento più opportuno e conservarlo.
Bastava solo quello.
Dopo pranzo avevo sistemato alla bell'meglio la stoviglia sporca nel lavabo, e presa da una profonda stanchezza decisi di rilassarmi sul divano guardando un interessante programma di cucina orientale.
Alan amava il sushi, ma io non lo sapevo preparare e esageravo con le dosi della salsa piccante, tanto che l'ultima volta che tentai di farne una porzione ci vollero tre litri di acqua per rimediare alle fiamme che erano fuoriuscite pure dalle orecchie e dal naso.
Alan mi fece i complimenti, come sempre mio figlio preferiva essere sempre gentile per non offendermi, ma io avevo capito che la cucina dei giapponesi non faceva per me e che il primato lo avevo conquistato con l'insalata russa. Sentii dell'aria gelida provenire dalla finestra in fondo al primo corridoio e decisi di rinchiudermi nel plaid invernale coprendo la parte di sotto. Venni invasa da un rilassante tepore e posai la testa sul cuscino mentre il programma televisivo mostrava i titoli di coda. «Avrei voluto vedere 'The Bold Of The Beautiful' non c'è proprio niente di interessante in TV.» dichiarai scocciata torturando il bottone sul telecomando mentre i canali scorrevano l'uno dietro l'altro. Non mi soffermavo su nessuno, troppo violenti, troppo noiosi, troppo tragici nulla che attirasse la mia attenzione.
Decisi di schiacciare un pisolino prima che mio figlio rientrasse in casa. Guardai l'orologio, erano le cinque e un quarto e mi rallegravo del fatto che non fosse ancora rincasato. Non seguivo mio figlio come una comune stalker, anzi cercavo di immaginare che cosa gli stesse succedendo, e nel peggiore dei casi, mettendogli una cimice in macchina. Ci tenevo che le ragazze che selezionavo personalmente si comportassero bene e non distruggessero il sofferente cuore di Alan, quindi assistevo passivamente alla discussione tramite il computer portatile e se era il caso le escludevo. Con Sofia non c'era stato bisogno, mi fidavo, sembrava una ragazzina intelligente e con la testa sulla spalle, anche se ciò che mi insospettiva era la differenza abissale dei suoi sedici anni contro i ventiquattro, si poteva dire che era ancora una bimba priva di esperienze concrete.
Sospirai e alzai il lembo del plaid fin sopra la punta del naso visto la mia sensibilità per via del cancro.
Chiusi gli occhi sentendoli pesanti e nel salotto si diffuse il silenzio, finché il trillo sostenuto e potente del campanello mi fece ridestare con violenza tanto che se non avessi mantenuto il mio corpicino sarei caduta come un sacco di patate sul tappeto bordeaux.
«Questo sarà Alan.» ipotizzai, issandomi con fatica sul mio scheletro e recuperai le pantofole di lana finite sotto il divanetto.
Al secondo trillo sostenuto urlai. «Un attimo, arrivo!»
Uscii dal salotto e ebbi accesso nel corridoio, andando verso la porta.
Non mi premunii nemmeno di controllare chi fosse e ingenuamente spalancai la porta per accoglierlo.
«Oh, Alan sei.. arrivato.»
Non appena i miei occhi guardarono la figura dinanzi le parole morirono in bocca.
Perché era tornato nella mia vita?
*****
Ciao amichetti di Wattpad!
Uff scoppio di ispirazione e scusate per le quasi quattromila parole ma avevo bisogno di utilizzare per la prima volta il pensiero di Allison Scott. Bene, spero vi piaccia!
Una domanda: chi sarà il tipo alla porta che è tornato a sconvolgere la vita di Allison Scott ex Taylor?
Se volete scoprirlo leggete il prossimo! Bacioni, al prossimo!
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