Capitolo 23
[Pov's Josh]
Credo che i miei occhi non abbiano mai visto nulla del genere.
Niente che avesse quell'aspetto, quegli occhi, quella bocca.
Pareva come tutte le altre, ma in realtà lei era sbagliatamente perfetta, perfetta per uno stronzo come me.
Furono questi gli unici pensieri che vagavano confusi nella mia testa. Paranoie adolescenziali che non avevano alcun fondamento se non quello di aggravare e mettere in gioco la tua salute mentale.
La miglior cosa era ignorare.
Quanto può essere strana la vita?
Sembra quasi la punizione di una forza sovrumana che controlla le tue emozioni: il giorno prima Josh Watson, classe diciotto anni tutti di bellezza non compensati con l'intelligenza, con un corpo ben palestrato aveva il mondo femminile ai piedi e né poteva fare ciò che voleva, adesso dopo questo fottuto incontro sembrava che le cose erano mutate a suo sfavore.
Durante un veloce calcolo mentale l'eco distinguibile delle parole di Sofia mi rimbombò nelle orecchie. Mi perseguitava, mi rimproverava come se fossi un bambino di cinque anni e la parola 'stabilità' oppure 'anima gemella' mi provocava un rigurgito fastidioso.
L'uomo non viveva da solo, avvertiva un bisogno costante di stare con gli altri e di cercare un posto dove, dopo un certo periodo di tempo, avesse voluto farvi ritorno e sentirsi a suo agio.
Non era detto però. Insomma va bene che il mio comportamento non era dei migliori come quello di trattare le donne come oggetti inutili da disfarsene, frivole relazioni, ma non era sbagliato spassassersela, fare cose proibite come tutti gli altri ragazzi di diciotto anni, ubriacarsi con il tequila, fare le ore piccole, non rispettare il coprifuoco, avere mille relazioni ma nessuna che valeva la pena essere vissuta. Era decisamente troppo presto per legarsi a qualcuna, ma era quello che voleva Harry Watson, mio padre, a cui non era mai andato giù il comportamento infantile del figlio. Secondo la sua opinione ero troppo proiettato verso l'esteriore, curavo i pettorali andando in palestra ogni giorno, mi riempivo la faccia di crema per prevenire l'acne e le imperfezioni, gli rubavo le camice da sotto il naso solo per sembrare più maturo, ma dentro, dentro non conoscevo la benché minima sensazione e se c'era qualcosa lo ignoravo. Sprecavo tempo allo specchio solo per abbellire la facciata, apparire un ragazzo da una notte e via, ma quello che veramente importava lo rilegavo al margine. Ogni più piccolo impulso veniva insabbiato dalla mia insopportabile vena narcisista.
Era forse giunto il momento, mi informò papà, di capire il significato dei miei atteggiamenti e cercare di trovare posizione in quel mondo fatto solo di prime impressioni e pregiudizi.
Era questo uno dei motivi principali per cui avevo iniziato a preoccuparmi solo del misero aspetto del mio corpo, senza contare mai cosa accadesse in un meccanismo perfetto come la materia umana. Non volevo essere giudicato, è vero le persone avevano lingue biforcute e velenose come vipere, vivono per caluggnarti alle spalle, per soppesare ogni movimento, ogni insospettito gesto, ogni parola di troppo, ma questo non da loro il diritto di processarti senza prove certe dinanzi alla loro personale corte tutta rinchiusa nella loro odiosa mentalità che ti riterrà automaticamente reo confesso.
Prima tutti ritenevano che i gay fossero disumani perché amavano e si sbaciuchiavano con i loro sessi rispettivamente uguali, ma neanche una minima percentuale si soffermava a capire che agli istinti nessuno può resistere e che inoltre quelle persone erano umane, o donne o uomini, allo stesso modo di chi era di tutt'altra sponda. Ecco, le persone provavano piacere quando erano dinanzi a vane apparenze, così avevo deciso di fare il loro gioco, perché sarebbe stata una barriera più che forte per evitare al mio cuore in brandelli inutili sofferenze.
Se loro volevano una finzione dopo l'altra, io gliene avrei fornite molte, e il mio vero carattere da ragazzo buono e coscenzioso era sempre rimasto celato tra le ceneri della malvagità insita in ogni persona che avevo incontrato e che mi avevano ferito con o senza arma facendo della mia autostima un mucchio di vecchi stracci strappati ammucchiati in qualche angolo della mia angosciata mente.
Poche persone, anzi nessuna, erano a conoscenza di questa piccola parte debole e racchiusa nel mestizio, neanche Sofia, pur essendo la mia migliore amica con cui mi ero aperto molte volte. Ora sapete perché mi reputano un playboy incallito e anche per quale motivo mi sono trasformato così.
Ma è difficile. Recitare come un grande attore, portare una maschera senza mostrare mai il volto, sperare che una ragazza non piombi nella tua vita per disintegrarla totalmente.
Ero al cospetto di una ragazza che la diceva molto lunga su di sé.
La osservai per una manciata di secondi, tenendo a freno le mie guance dal pericolo di incendiarsi, e diamine se non era uno schianto. Nulla a che vedere con quelle gatte morte del college che mi venivano dietro alla ricerca di qualche flirt di poca importanza, che speravano di accalappiarmi per sentirsi donne, per sfogare i loro ormoni, per sperare di aizzare le comuni invidie delle galline senza cervello.
Beh, quando le lasciavo potevano schiamazzare o supplicarmi con isterici piagnistei di rivedere la mia decisione io non cambiavo idea, per me erano solamente piccoli flirt, nulla di così importante per cui soffrire.
Le lasciavo, non mi mancavano.
Bastava un giorno affinché mi riprendessi e cercassi qualcun'altra con cui iniziare da zero come era stato anche per Giulie. Era come togliere un cerotto da una ferita ancora fresca, un forte strappo lucido e deciso, senza esitazione.
Quella giovane era bellissima, nonostante quella capigliatura scompigliata con delle ciocche che le si attaccavano alle guance, quegli occhi blu stralunati, quelle labbra carnose e piccole che nascondevano un sapore a me ignoto, quel corpo ben proporzionato e quelle armoniose anche coperte dal tessuto del pantalone grigio. Aveva dei bellissimi occhi, ti spingevano a specchiarti e scoprirne tutti i dettagli, una trama che si fondeva nel trasparente, delle guance così paffute e rosee che le davano quasi le sembianze di una bimba capricciosa che si celeva dietro quella piccola opera d'arte, a mio parere, pensata molto bene e a fondo dall'artista. Ma non era il momento di fare la figura del galante ero giunto lì in quell'ufficio perché mio padre era l'unico ad essere a conoscenza degli scali atterrati e non.
Lo chiamavano 'il grande capo' solo per spiritismo, infatti la sua altezza era la prova certa che quel soprannome era una pura formalità, visto che un pony avrebbe potuto schiacchiarlo. Fortunatamente quel tratto non l'avevo ereditato, e a suo confronto, ero prominente come le Ande, infatti non ci somigliavamo poi molto eccetto per i capelli ricci, che lui si era perduto con l'avanzare dell'età.
Era molto bravo a dirigere l'aeroporto di Boston, era autoritario, leale e molto compromissivo con i suoi dipendenti. Si faceva rispettare, e con lui le cose dovevano essere fatte eccelsamente o era meglio che sparissero dalla sua vista, invece il ruolo come patriarca non gli si addiceva molto. Harry sapeva come far andare tutto per il verso giusto e se c'era qualcuno di importante lì dentro, quello era solo il grande capo Watson.
Ma non appena entrai fui colto alla sprovvista da uno splendido corpicino femminile, che sarebbe anche potuto schizzare via, se solo non avesse trovato il mio come ostacolo. Mi affacciai per osservare il grande capo sollevarsi dalla sedia girevole, ma non appena mi accorsi della presenza della ragazza spostai subito lo sguardo e mi persi. Mi persi totalmente come uno sciocco, non doveva succedere, ma accadde.
-Wow, non è uno schianto?- mi suggerì la tanto odiata vocina che iniziava a far tremare dall'eccitazione tutto il corpo.
Sì, lo è dannazione! Chissà se era brava a letto o la sua era una parvenza che si darebbe dissolta in cinque minuti non appena avrebbe attaccato bottone.
Probabilmente era una tipa tosta.
Una tipa che richiedeva una certa distanza di sicurezza, ma che al tempo stesso tenta a farti riavvicinare come il dolce allucinogeno canto delle sirene nel mare della dispersione.
Non la conoscevo per niente, ma la folta chioma rosso fuoco mi faceva intuire che doveva essere una tipa che non amava scherzare. Forte, risoluta, fuori dagli schemi delle signorine ben educate tutte pizzo e merletti svolazzanti, una camionista, una con cui rischiavi di finire in terapia intensiva.
Non mi andava l'idea di quello spazio chiuso, lettino sgangherato, malati che ti accerchiavano, ma cavolo mi stava iniziando a piacere il lento e inesorabile sapore della morte.
Continuai la sfida di sguardi. Lei mi guardava perplessa, qualche volta incassava lo sguardo alle convers nere finché il momento non fu rovinato dal mio adorato papà rompiscatole.
«Non fare il cascamorto pure con lei, Josh!» me lo ricordava con quel sorrisetto come a dire 'sono tuo padre, ho il diritto di dire la mia' e avrei voluto prenderlo volentieri a calci, ma la legge mi avrebbe punito. Ogni volta che incontravo qualche ragazza mi suggeriva di comportarmi bene come se ne fossi incapacitato, e tutte le volte che gli chiedevo di non interferire lui ugualmente distruggeva quei momenti aprendo quella bocca e dicendo il suo parere come ogni padre che si rispetti, perché era suo dovere proteggermi anche se non ho più tre anni e posso cavarmela da solo. Lo odiavo, ogni volta commentava qualcosa sulla mia cattiva condotta, qualcosa che andava contro l'etica del suo pensiero. Voleva che avessi una donna, non cinquecento. Voleva che mi lasciassi travolgere da una storia seria, con una sola ragazza, e che mi abbandonassi totalmente a lei. Un matrimonio ben congegnato, dei nipoti con cui passare i suoi momenti da vecchio, la gioia di vedermi sistemato e pur di far materializzare tutto ciò era capace di mettermi in ridicolo.
Come si poteva odiare una persona che ti aveva dato amorevolmente la vita?
Beh, così. Come facevo io.
Gli lanciai una fuggevole saettata di fuoco, e lui sembrò ammutolirsi.
Tornai a guardare la ragazza che aveva spalancato la bocca, mi guardava ad occhi strabuzzati come se stesse assistendo a una prima conquista della terra da parte degli extraterrestri e nel mentre iniziava ad indietreggiare.
Io non riuscivo a capire per quanto mi sforzassi con i miei miseri due neuroni, mi pareva che fosse spaventata, spaventata da me. Ma che ero un mostro?
Fisicamente ero carino, ero di bella presenza, ma allora perché lei si stava allontanando e con quella faccia?
Mi sorse un terrificante dubbio su di lei. Con tutto il cuore sperai che mi stessi sbagliando, che potesse esistere quel minimo margine di errore, ma più i minuti scorrevano e più quell'ipotesi si faceva strada dentro di me a velocità sovrumana. Non c'era scampo, era l'unica idea che aveva faticosamente partorito la mia coscienza, e peggio ancora quella più accreditata che dava tutte le spiegazioni necessarie per quel suo strano atteggiamento.
Adesso era scostante. Era rimasta di sasso quando papà aveva annunciato allegramente di non fare il cascamorto, quella sua brutta insinuazione forse l'aveva ravveduta da tutto ciò che mostravo esteriormente, ma non poteva essere solo quello.
Era altro dannazione!
-E se fosse la ragazza che dovevi incontrare? - parlò per me, lei la mia adorata coscienza, e mi rimosse da quel difficile compito.
La risposta fu chiara. Ero fritto.
Giusto poco tempo prima la stavo cercando al check-in per paura che la marmaglia l'avesse travolta e adesso la trovavo lì nell'ufficio del grande capo. Pazzesco!
Avanzai qualche passo nella sua direzione, ma di poco per non intimorirla. Allungai una mano e dolcemente le strinsi il polso, senza però farle del male.
Lei rimase impietrita a fissarmi scioccata da tutto ciò che stava capitando, facendosi stringere mollamente la presa per tenerla ferma.
«Ehi, sei davvero tu?»
Mi venne in mente solo quello. Per un attimo la mia anima ribelle di playboy si era d'un tratto assopita.
Lei si accigliò, evidentemente mi aveva creduto pazzo visto il modo in cui l'avevo trattata nelle nostre occasionali telefonate. Come se avessi avuto l'unico scopo di conquistarla.
«Allora è vero!» urlò risvegliandosi dal torpore e con una manata violenta si liberò.
«Sei tu l'idiota notturno!» sottolineò enfatizzando quel termine, mentre il grande capo restava silenzioso davanti a quello spettacolino.
Non mi piaceva quel nomignolo, ma tutte le volte che lo pronunciava quella sua voce dura da maniaca non mi disturbava.
Ero dipendente dalla prima volta che l'avevo udita dalla cornetta e né ero anche avido come se non mi bastasse, come se le piccole quantità bruciassero come piccoli fuochi giù per l'esofago.
Io ridacchiai isterico, mentre lei gonfiava le guance. Finalmente avevo l'opportunità di vedere come sul suo volto ancora infantile si formassero quelle deliziose fossette, mentre prima di allora avevo cercato solamente di immaginarle. Mi passai una mano nella profonda massa di capelli ricci, che si spostarono all'indietro, e chiusi un occhio. «Già, baby.» dissi con fare ammiccante.
Lei marcò profondamente l'infossatura e la mascella si piegò in un'espressione adirata.
«Ehi, riccioli montati, non sono una tua facile conquista chiaro!» mi gridò con arroganza. «Quindi non trattarmi come le tue conquiste. Siamo solo implicati in un piano, nulla di più.» aggiunse.
«Oh, sarebbe un peccato baby. Mi piacciono le rosse.» la informai.
Lei portò le mani al petto incrociandole in segno di sommossa e sbuffò ripetutamente.
«Oh, riccioli sono fidanzata spiacente.»
Fu davvero un brutto colpo, saperla già di un altro mi fece inspirare a pieni polmoni per incanalare quanta più rabbia possibile. Oddio stare con quella lì significava rischiare la pelle, ma era divertente stuzzicarla, vederla incazzata con quel suo faccino di finta innocenza, ma non appena avevo sentito 'boyfriend' tutte le speranze erano piombate giù come una grande incudine sulla mia testa e credeteci fa male.
Papà sembrò sghignazzare alle sue spalle, finalmente suo figlio aveva fallito nell'abbordaggio. Quella ragazza aveva fegato, non si sarebbe mai fatta abbindolare con quelle tattiche così puerili.
Come era odioso quando se la rideva sotto quegli invisibili mustacchi neri, ecco un motivo più che valido per detestarlo.
«Papà!» lo chiamai additandolo, e lui balzò subito vicino a Tania.
«Sì?»
«Tu non hai da fare come 'Grande capo?' L'aereoporto ha bisogno di te, sbrigati a raggiungere il metal detector.» gli ordinai come se lui fosse un normale dipendente e io il capo, ciò poteva essere vero visto che quando sarebbe andato in pensione avrei preso io il comando della scrivania malvolentieri. «Devi controllare le tue guardie. Alle volte lasciano seriamente a desiderare.»
Lui provò a controbattere.
«No sto meglio qui, ragazzo.»
«Il tuo lavoro è altro. Non lo stalker, quindi vai a fare il tuo lavoro prima che lo dica a chi di dovere.» minacciai, e questa volta smise di insistere.
Si avvicinò all'appendiabiti, recuperò la giacca nera e aprì la porta lentamente. Si spinse verso le mie spalle, vicino all'orecchio.
«Ti piace eh?»
-Certo che si.-
Non fu la mia risposta, ma la dannata mente che mi ritrovavo.
Feci no col capo e lui già sull'uscio scrollò le spalle. «Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi.» farfugliò con un sorriso sornione in volto e uscì lasciandoci soli.
Quando fummo veramente soli e in silenzio, a una distanza di dieci centimetri l'uno dall'altra, con gli sguardi puntati negli occhi suoi che erano meravigliosi, illuminati dalla chiara luce sprigionata dalla plafoniera sopra di noi.
Lei mi osservava, quando avvertiva lo stesso, prontamente riabbassava il volto come se non volesse essere notata e i suoi cuscinetti tondi si imporporavano.
«Allora, baby.» feci io, slittando più vicino al suo minuscolo corpo.
Lei mi fece il mimo di un bacio fra fidanzati. «Sono fidanzata!»
«Ah si?»
«Sì. Non puoi corteggiarmi idiota notturno.» aggiunse.
«Oh e chi sarebbe il fortunato?» mi puntai un dito al di sotto del mento per pensare con gli occhi su al soffitto. «Uhm, lo so! Topogigio!»
Lei mi diede una sberla mentale, anche se moriva dalla voglia di concretizzarla per farmi nero anche l'altro occhio.
«Sei un cafone idiota, ecco chi.» disse mostrando tutto il suo proverbiale carattere che la rendeva speciale e pericolosa.
«E tu mi attrai molto..»
«Ma fammi il piacere!» esclamò.
«No, davvero.» precisai. «Il tuo fidanzato sarà un mio degno rivale, basta che non sia veramente un topo.»
«Basta che non sia un idiota.»
«Fai del sarcasmo?»
«Affatto.» si limitò a dirmi prima di arrossire. «E-e comunque adesso voglio andare al college.»
«Io no invece.» dichiarai, mentre lei dilatava le pupille come due piattini di porcellana per il tè.
«Sapientone, ti ricordo che ho fatto un lungo viaggio per arrivare in tempo e vorrei riposare su un vero letto, se non ti dispiace!»
«Don't worry, dear.»
Non capiva niente d'inglese dalla faccia che aveva appena assunto, oltretutto molto buffa.
«Eh?»
«Vedrai che ti riposerai dinanzi anche a una buonissima tazza di cioccolata calda, mia cara.»
In poche parole la stavo invitando.
«Conosco un bar che le fa buonissime. Vieni, non essere timida, che te lo mostro.» le dissi, non dandole manco il tempo di capire le mie intenzioni.
Mi avvicinai e le presi nuovamente il braccio, mentre lei confusa e inerme dal protestare si lasciava trascinare via dall'ufficio di mio padre.
***
Oh, a quanto pare Josh e Tania inizieranno a conoscersi presto dal prossimo capitolo in poi. Riuscirà il brutto caratteraccio di Tania Bergazzi a smantellare via la maschera di cattivo ragazzo di Josh. Beh per saperlo stellina e commentino please :)
Vi adoro perché mi seguite. Continuate a farlo, ci saranno moltissime novità e sorprese nei prossimi. Ci vediamo ♡
Per sapere tutte le novità non dimenticate di mettere tante stelline e commenti, vi aspetto, e mi fanno molto piacere. Per il resto dovete solamente seguirmi sulla pagina dedicata alla collana di libri della storia sulla pagina ufficiale di Facebook!
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