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Capitolo 18

[Pov's Tania]

Avevo ricevuto dalla mia sorellina e almeno per una volta una splendida notizia. Finalmente i miei genitori erano ormai consapevoli che fossi ormai in grado di prendere in completa autonomia le decisioni, senza che mi accadesse nulla di male.
Dopo essere rientrata dal bagno Caronte aveva deciso a suo rischio e pericolo di interrogarmi sul grafico delle funzioni, che avevo sbadatamente dimenticato di studiare. Alessio si adoperò per darmi ogni tipo di suggerimento dalla postazione sottovoce, il mio udito riuscì a percepirne ogni dettaglio, a differenza di Caronte che fin dal primo giorno ci era sembrata sorda come una campana, anche se lei ci aveva sempre assicurato che da giovane non le mai passato nulla da sotto il naso, nessun reato rimasto impunito. Appunto 'da giovane' pensammo tutti, evitando di aprire bocca per non proferire commenti inopportuni che ci rimediassero la garrota, come era anche accaduto a Luigi XVI che se avesse rinunciato a tutti quei bei privilegi da regnante avrebbe potuto risparmiarsela pure, con un minimo di moderazione sulle parole. In realtà però Franchi interpretava meglio la moglie di Ade, biforcuta come un serpente, piuttosto che un re spilorcio.
Alla fine però non era andata poi tanto male, visto che Alessio non era solo bello, molto corteggiato, con un alto tasso di popolarità, ma anche intelligente e puntiglioso che fu un vero miracolo conquistare quel sei e mezzo. Caronte lo appuntò con un certo disgusto e una piccola smorfia che le riempiva le labbra rosso scarlatto, poi mi mandò via.
Ale non appena gli fui accanto mi diede una pacca sulla spalla spingendomi in avanti. Sorrideva, quel sorriso lucente che mostrava la perfezione della dentatura mi fece venire un crampo allo stomaco. La mia peggior sfortuna era non riuscire a rimuoverlo in nessun modo dal mio povero cuore che era stanco di palpitare senza essere corrisposto. Quel viaggio era l'opportunità per scrollarsi via di dosso quella sensazione su lui, su Monica, sulle mie ferite, sul suo rifiuto e provare a vederlo come una necessità di sentirsi nuovamente padrone di sé, cambiare aria, cambiare città, cambiare stimoli, pensare a me soltanto visto che da un po' di tempo mi ero trascurata per fare la Stalker di Alessio Baldi.
Schiava di una fratellanza che non avrebbe mai sortito l'effetto sperato, decisi di non raccontare ad Ale dei miei piani di partire, dei miei genitori che mi avevano dato con qualche riserva il loro appoggio, lui avrebbe sofferto, si sarebbe sentito abbandonato, ma almeno avrebbe riflettuto se valeva o non valeva avermi tra i piedi. Se fosse stata la seconda il mio cuore si sarebbe fermato.

Ci salutammo al cancello del liceo.
Lui avrebbe dovuto trattenersi qualche ora per allenarsi assieme alla squadra per le prossime partite, io dovevo tornare a casa.
I viaggi erano stressanti, bisognava prepararsi a ogni evenienza e far fronte a qualsiasi problematica, una delle quali era decidere quale outfit portare e se la valigia si sarebbe chiusa.
Non avevo molti abitini, non ero per niente elegante o sempre pronta a mostrare le cosce come facevano alcune galline del mio liceo, mi piacevano le cose comode, attillati no, solo qualche strass e borchie sui pantaloni. Non ero una patita dei tacchi, preferivo convers o le classiche scarpette.
Chi conosceva Tania Bergazzi sapeva perfettamente di poterla definire una 'ragazza acqua e sapone' a cui piaceva mostrarsi per quello che era, non per ciò che avrebbe potuto essere.
Ale mi voleva bene perché con me poteva mostrarsi spontaneo, e io viceversa, mi sentivo appagata anche solo per la sua compagnia amichevole.
Lui era fermo con le spalle larghe inchiodate vicino alle barriere del cancello e col borsone in spalla attendeva che uscissi dal liceo. Peccato che dopo la mia partenza non avrei più goduto delle piccole cose. Uscii dall'ingresso dove si trovava la guardiola dei collaboratori e mi apprestai a corrergli incontro.
«Ale!» si girò e mi sorrise, e anche se il cielo era sereno credo che un fulmine sbucato in quell'arancione che si sfuma nel rosa, mi abbia folgorato. I suoi occhi parevano brillanti, il suo fisico veniva tratteggiato dalla maglietta col numero ventisette che gli scolpiva i muscoli e li metteva in rilievo.
Mi sorrise e io mi liquefai.
«Tani.»
Annullai solo qualche centimetro poi mi arrestai bruscamente, rischiando di cadere ai suoi piedi come una scema e conquistare il Nobel delle duemila duecento figuracce del mese di ottobre.
«Non vai via?» gli chiesi, anche se era la domanda più stupida.
Lui era il capitano e Antonio il vice che quando poteva lo sostituiva, ma in quel periodo Ale non poteva mancare per il bene della squadra.
Si aggiustò il borsone sulla clavicola sorreggendolo con una mano. «No Tani, oggi resto.»
Non mi sembrava aver notato quanto fosse stata idiota la mia domanda, e per me era meglio così, una figura in meno da aggiungere al mio albo esistenziale.
«Capisco. Mi sarebbe piaciuto andare al Bar Primavera con te.»
Lui mi guardò meravigliato, come se avessi detto qualcosa di altrettanto stupido. Imporporai di colpo diventando della stessa tonalità dei miei lunghi capelli rossi. Aguzzando la vista notai che anche lui era arrossito.
«Mi farò perdonare.» annunciò, staccandosi dal cancello per venirmi incontro. «Ti regalerò una confezione extra di cioccolato della Milka, quello che vorrai.»
Il cioccolato lo preferivo fra tutte le cose dolci che mi venivano proposte, ero golosa del cioccolato bianco, e studi recenti avevano dimostrato che assumere cioccolato faceva bene ai recettori dell'amore, più ne assumevi e più avevi opportunità di accalappiare un ragazzo. Io gonfiai le guance, il cioccolato era anche una bomba ipercalorica.
«Voglio tutto, ma non credere di riuscirmi a tentare per farmi ingrassare.» dissi con un ghigno.
Lui alzò le mani in alto.
«Ma cosa andate a pensare signorina Bergazzi?»
«Sei uno scemo patentato.»
Lui si sporse verso il mio volto ancora accaldato e riuscii a percepire il suo profumo maschile che mi saliva su per le narici.
«Per questo mi vuoi bene.»
Gli scompigliai i capelli, sapevo che gli avrebbe dato fastidio visto la fatica che impiegava per tenerli a bada con quel gel appiccicoso, ma mi divertivo, era il mio modo tutto personale di vendetta, era il mio tentativo di essere speciale ai suoi occhi e sentirmi anche un po' puerile. Lui mi fece cenno di smettere quasi come se fossi una bimba di tre anni che stesse facendo i dispetti a suo fratello, io smisi di torturare la profonda massa di capelli. Mi sistemai le pieghe del jeans con le borchie e lo salutai con un bacio sulla guancia.
Poi mi incamminai giù per la scarpata, e la mia ombra nera si confuse all'orizzonte.

Tornai a casa che il tramonto aveva ormai fatto posto a una primitiva sera di ottobre. Entrai e richiusi la porta così energicamente che sembrava volessi disintegrarla. La casa era nell'oscurità più totale, se non era per la luce bianca che rischiarava la cucina. Giulia smontava tardi dal suo lavoro, doveva recuperare i suoi ritardi, aveva avvisato che non sarebbe tornata per l'orario abituale. Papà era uscito poco dopo me per rispettare l'ordine mensile di un'azienda di materassi, infatti per provvedere alla famiglia faceva sia il muratore che l'autista.
Tornava alle dieci, quindi mamma e io eravamo le uniche persone che sedevano a tavola di sera.
Dopo aver riposto il cappotto di pelle bianco sull'appendiabiti, mi recai in cucina dove mamma stava alla cucina col forno in funzione, che creava una cappa invisibile di bollore, intenta a cucinare una torta dal delizioso odorino.
Posai il monospalla sullo schienale di una sedia e le andai vicino per salutarla. «Mamma.» le schioccai un bacio sulla guancia, che lei ricambiò, dandomene uno in fronte. Era l'ultima volta che mi vedeva giungere a casa dopo la scuola, e anche se soffriva al pensiero cercava di non scoraggiarsi e di conservare quei momenti come i più preziosi.
«Che cucini di buono? Viene un tale profumo dal corridoio.» le chiesi con gli occhi luccicanti.
Mamma mi guardò per poco, spostandosi verso sinistra per controllare la sua opera.
Aprì il forno e il tepore le si depositò in viso, mentre rimuoveva con un panno il contenitore per evitare di bruciarsi. La osservai curiosa finché non lo appoggiò su uno dei fornelli per verificarne la cottura.
«Una torta al cioccolato. La tua preferita, tesoro.» rispose, premendo con lo stuzzicadenti un punto impreciso dell'impasto.
«Avete deciso di farmi ingrassare!» Mamma alzò un cipiglio.
«Ale voleva fare lo stesso.» continuai, mentre lei armeggiava con un piatto e la formina. Cercai di rubarne un pezzetto come quando ero bambina, ma lei mi fermò in tempo assestandomi uno schiaffo sulla mano.
«No!» asserì concisa. «Vietato mangiare finché non vengono tuo padre e Giulia.»
Ciò significava aspettare per ben tre ore con lo stomaco che protestava e bramava di provarne il sapore.
Sbuffai. «Uffa, sto morendo di fame. Non hai un minimo di pietà, sapendo che mi farai stramazzare a terra?» le chiesi, cercando di colpirla nel punto più debole, ma lei non mostrò segni di voler cedere e darmela vinta.
«In realtà era una sorpresa, o almeno lo sarebbe stata se tu non fossi rincasata presto.» mi sgridò.
«Devo preparare la valigia per domani.» affermai felice.
«Già, è vero.» mormorò improvvisamente costernata del fatto che a Caserta avrei passato solo quella sera e la notte. «Beh, se ti serve una mano con la valigia non hai che da chiedere, figliola.» sembrò tornare serena. Le diedi un abbraccio e corsi al piano superiore nella stanza che condividevo con Giulia.

Iniziai col prendere una valigia rivestita di rosso, molto capiente, che mio padre utilizzava spesso per i viaggi all'estero e la disposi sul letto. Aprii l'armadio e squadrai la pila di panni sulle grucce gettandole tutte sul letto creandone un unico misero accumulo. Mi puntai un dito alle labbra sollevandone due outfit, che finivo per scartare. Non mi piaceva fare valigie, disfare, rifarle, non ero come mio padre sempre in movimento per il mondo, da Germania, Spagna, in tutta Europa fino agli Stati Uniti.
Ero sedentaria, adoravo poltrire nel divano, una busta di pop corn con un bel film da seguire.
Esaminai una gonna a palloncino con buffi pois neri disposti simmetricamente su tutto il tessuto, con del tulle vaporoso. Una maglietta con il disegno di una stella, tinta su tinta, regalatami da papà dopo il suo ultimo viaggio a Milano, insieme a un portafotografie su cui vi era il duomo che avrei voluto tanto visitare. Milano è una bella città, anche se piovosa, e gli hotel graziosi e con ottimo servizio in camera. Decisi di riporre in valigia il completo, insieme ad altri due.
Uscii dalla stanza per cercare qualche accessorio igienico, qualche asciugamano, poi con in mano tutto l'occorrente sistemai tutto dentro i tre scomparti. Mentre mettevo ordine il cellulare riposto sul comodino di fianco al letto di Giulia lampeggiò simultaneamente. Riposi una pila di panni disordinatamente e mi avvicinai prendendo in mano l'aggeggio. Guardai il numero, era familiare perché vi avevo mandato un messaggio a scuola.
«Ma chi diavolo disturba?» domandai, accettando la chiamata e portandomi il telefono all'orecchio. «Pronto?»
Quello rispose e la voce calda e sensuale di Watson accarezzò il mio timpano. Era da un pezzo che non ci sentivamo, mi rispose con quel 'baby' che non sopportavo perché lo diceva a tutte le ragazze che aveva frequentato e io non ero una di quelle che facilmente si faceva conquistare dai super idioti.
«Idiota notturno, quanto tempo?»
Lui ridacchiò. Aveva ricevuto il mio messaggio e si mostrava contento della mia disponibilità.
«Quindi hai letto il messaggio che ti ho mandato. Puoi stare tranquillo domani sera sarò lì.»
Lui annuì. Chissà se l'idiota era carino, insomma per avere tante ragazze che gli giravano attorno come api sul miele doveva per forza essere affascinante. Per il momento avevo conosciuto solo il suo tono sicuro e sfrontato di avere il mondo ai suoi piedi, ma non lo conoscevo di persona, per questo non potevo giudicarlo prima del tempo, non ero come le oche del mio liceo. Fu la voce di Josh che mi chiedeva cosa stessi facendo che mi riportò alla realtà e alla valigia che dava segni pericolosi di voler esplodere.
«Oh niente.» mormorai, facendo combaciare il telefono con la guancia e la clavicola in modo che non mi sarebbe stato d'intralcio piegare i panni da disporre nuovamente al loro posto.
«Tesoro!» la voce di mia madre giunta all'uscio della stanza mi distolse da ciò che stavo facendo.
Mi girai non dando più importanza a Josh, ancora in linea che parlava a vuoto come uno sciocco. Mamma spalancò piano la porta e vi si affacciò con una mano ad asciugarsela sul grembiule.
«Disturbo?» poi notò che avessi il cellulare vicino all'orecchio.
«No»
«Stai parlando con qualcuno?» iniziò ad investigare attentamente, si era prefissata di voler scoprire qualsiasi cosa interessasse la mia vita sentimentale e persino il suo futuro genero. No, aspetta! Perché adesso lo ritengo un 'quasi fidanzato'? Certo che la mia mente ha un codice davvero indecifrabile e ci sono certe volte che manco la sua proprietaria riesce a decrittare. Sentivo Josh fare un ghigno e se fosse stato qui lo avrei sicuramente riempito di botte.
«No, sto parlando con l'idiota notturno, nessuno che abbia tanta importanza.» replicai allontanando il cellulare. «Volevi qualcosa?»
«Volevo sapere se servisse a te.» ribatté lei, spalancando gli occhi per la confusione così lampante.
«No, mamma. Ho quasi finito.»
Lei fece un cenno col capo.
«E con la valigia?» domandò, indicando con un dito l'ingombrante oggetto che tremava dietro alle mie spalle. Mi voltai verso ciò che aveva indicato, e riportai nuovamente l'attenzione su di lei, grattandomi la nuca.
«Oh, quasi finito.» sorrisi. «Chiamami per la cena, mamma.»
Lei mugugnò un sì, poi socchiuse la porta alle sue spalle lasciandomi sola, o quasi, visto che Josh era ancora in linea. Ripresi il telefono, e lui era ancora lì, seppur silenzioso. «Come avrai ben capito sto preparando la valigia. Ci vediamo quando arrivo, idiota.»
Lui mi salutò con un 'a presto, baby' e riagganciò. Sospirai lanciando il telefono sul lenzuolo.
Notai un lieve comportamento anomalo della valigia, che cominciava a sollevarsi pian piano per colpa dell'eccessivo peso, tanto che due minuti dopo, dovetti barricarmi dietro la porta.
La valigia non tenne più, e con un grande botto si aprì di scatto. Tutti i panni sistemati si seminarono per tutta la stanza, e l'ordine maniacale si mandò a farsi benedire insieme alla mia pazienza. Uscita dal provvisorio riparo feci una smorfia, i panni prima disposti con ordine si erano afflosciati dappertutto.
«Tutta colpa dell'idiota notturno!»

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Salve amici! :)
Tania sta preparando le valigie per partire. I suoi la lasciano andare con grande gioia di Watson, ma cosa staranno architettando i due? Se volete saperlo commentate e votate. Vi aspetto!
#latuacanzone #Jo



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