Capitolo 14
[Pov's Sofia]
Lo guardai sbigottita da quella domanda così esplicita, credevo stesse scherzando, ma se fosse stato così lo avrei trucidato con piacere nonostante fosse un mio professore, ma purtroppo quegli occhi di quell'azzurro limpido erano dannatamente determinati e non si sarebbero certamente fermati finché non gli avessi dato una risposta soddisfacente.
«Allora, vuoi rispondermi?» mi incalzò lui incatenandomi ancora i polsi nella sua stretta flebile.
I suoi occhi non si distoglievano dai miei e continuavano a bruciare ogni lembo del mio corpo.
Cercavo di evitarlo.
«Perché mi eviti?»
Era come se mi avesse letto nel pensiero, per lui ero un libro aperto, conosceva tutto di me mentre io mi trovavo in svantaggio perché per quanto mi impegnassi non riuscivo a capirlo.
Ma sapevo che aveva ragione.
Lo evitavo, non perché lo volessi, ma perché non dipendeva dalle mie azioni. «No, ti cioè vi state sbagliando, professore.»
«Io credo di no.» fece lui, increspando un sorrisetto ironico.
«Improvvisamente mi dai del voi e non capisco perché questo distacco.»
Ancora domande. La sua coscienza esplodeva di interrogativi, che non trovavano soluzione. In un modo o in un altro doveva estorcere le dovute informazioni da me, ma ciò non era facile. Ero brava a nascondere ciò che provavo, e lo continuavo a fare finché non avrei allontanato da me il desiderio di cacciarmi in qualche pasticcio.
«Tu sei il mio professore.» dissi con una nota di incertezza nella voce. «Io non sono venuta in America per innamorarmi.»
Alan ascoltò ogni singola bugia che avevo fatto fuoriuscire dalla mia bocca, non lo credevo manco io.
C'era nella mia testa l'immagine di io e lui a una minima distanza, i nostri corpi quasi in procinto di sfiorarsi come le nostre labbra, il battito così accelerato dei nostri cuori che faceva trasparire le nostre emozioni, i nostri pensieri, i nostri reconditi desideri e il nostro duro passato che ancora continuava a inseguirci nonostante ci ostinassimo a scappare per sfuggirgli.
«Manco io.» puntualizzò lui, facendomi sbancare d'un colpo. «Non volevo innamorarmi.»
Osservai scrupolosamente ogni suo minimo gesto, i suoi occhi brillanti che incantavano, la posizione del suo busto girato da un lato ma non abbastanza perché potesse, per le marce, sfiorarmi.
L'unico contatto era la sua mano sul mio polso che a malapena mi manteneva, avrei voluto staccarmi perché non era forte e bastava una manata piuttosto violenta per liberarsene, ma no, resistevo.
«Bene, su una sola cosa siamo d'accordo.» dissi con coraggio.
Negli occhi avevo ancora quel sogno, una realtà svanita, le sue labbra morbide che combaciavano con le mie e il cuore che avrebbe potuto esplodere dalla felicità.
«Diciamo di sì, Sofia.» mi rispose, slegando la stretta, e le sue mani scivolarono sulla tappezzeria del veicolo ancora fermo al centro della corsia. Lo guardai, dentro di me il chiaro rumore di qualcosa che andava in frantumi mentre lui riabbassava lo sguardo deluso.
«Era solo una fantasia, dopotutto nessuno riuscirebbe ad accettare la realtà che ci ostiniamo ad assecondare, non credi?»
Il suo volto si voltò verso di me e un sorriso vi spuntò di nuovo.
Il mio cuore si rianimò.
«Penso di sì.»
Alan sospirò e inserì la chiave nel quadro accedendo la macchina.
La macchina ripartì.
[Pov's Alan]
Avevo ripreso a porre la mia totale attenzione sulla strada dopo quella momentanea fermata. Sofia seduta vicino a me se ne stava silenziosa, mentre guardava dal finestrino gli alberi distorcersi al nostro passaggio, mentre le strisce della segnaletica parevano inseguirci mentre arrivavamo nell'ormai povera piazza del quartiere di ValsBorguses in Wisconsin.
A pochi metri la mia casa con cui vivevo con mia madre.
Il viaggio non si era prospettato lungo, avrei preferito rifarlo un'altra volta perché non ero pronto a lasciarmi alle spalle i miei pensieri senza alcun fondamento. Tutto era senza alcun senso quando mi fermavo a riflettere razionalmente a ciò che era accaduto in precedenza.
Cosa mi era saltato in testa?
Va bene, non sono un vecchio, non ho mica la bellezza di settanta anni, ma non si può, non si può sempre andare contro la testa per accettare tutto per vero quello che ci suggeriva di fare il cuore.
Non era sbagliato, né peccato, né contro le regole imposte dalla società baciare una ragazza.
Insomma, non era sbagliato dimostrare i propri sentimenti dopo tanto tempo che erano rimasti chiusi dentro di noi.
Tutto il genere umano sa che amare è un po' come perdere la nostra coscienza e non ritrovarla più, che poi bisognava fare uno sforzo oltremisura per recuperarla. Però a che tipo di conseguenze si poteva andare incontro se a baciare era lui un professore e che una ragazza di soli sedici anni fosse la fortunata.
"Pedofilia" si sarebbe interpretato, qualcosa che era vergognoso che avrebbe distrutto per sempre la fragile reputazione del college e chissà quanti altri pettegolezzi avrebbero iniziato a circolare sul conto mio o di Sofia ed era l'ultima cosa che volevo. Avrei potuto anche bearmi delle sue dolci e piccole labbra rosse come un fiore, accarezzarle, metterle una mano nella folta chioma nera e lasciare che il gesto si approfondisse, ma non potevo, aggiungendo anche il repentino intervento del mio cellulare che ci aveva salvato inevitabilmente.
Guardai con la coda dell'occhio la mia vicina di postazione, sempre voltata ad osservare le varie case che si distanzavano tramite un giardino che era ben curato e coltivato. La città di ValsBorguses era conosciuta proprio per l'amore e la dedizione con cui quei quasi mille abitanti curava le proprie piante e per la presenza calma e pacata del piccolo Lago Shin che rendeva quel posto uno delle meraviglie del Wisconsin anche se il vero centro distava circa venti chilometri. «Wow!» la sentii esclamare con un enorme sorriso che le riempiva quel volto così da bambina e la rendeva così speciale agli occhi degli altri, ma sopratutto ai miei che non facevano che scrutare la sua figura trattenuta dalla cintura di sicurezza.
«Mi piace tantissimo Alan!»
Perlomeno aveva ripreso a chiamarmi per nome, né ero contento.
«Infatti ci avrei giurato che ti sarebbe piaciuta la tranquillità che si respira qui.»
Lei annuì.
«ValsBorguses è una piccola zona ma molto confortevole. Ci sono pochissimi abitanti e io li conosco quasi tutti.» spiegai mentre sterzavo verso destra, scorgendo la mia casa fra tutte. Sofia mi seguiva attentamente non volendosi perdere nemmeno un particolare, mentre arrestavo la macchina al marciapiede.
«Siamo arrivati.»
[Pov's Sofia]
Alan aveva appena fermato la macchina vicino al marciapiede e mi aveva avvisato che eravamo giunti a destinazione. Aprii la portiera della sua Porche e mi spostai vicino al mio professore, che stava recuperando la valigetta e il suo cappotto, io invece né ero sprovvista visto che avevo tutto al college dato che avevo pensato solo a seguirlo dopo la sua fuga dalla classe che mi aveva lasciato interdetta. Alan chiuse la macchina col pulsante, davanti a noi un cottege di costruzione non recente si ergeva.
Rimasi fissa a guardarlo, persa nei miei ragionamenti.
«Allora vogliamo andare?» mi chiese strappandomi dai miei pensieri. Io risposi un frettoloso sì raggiungendolo già a metà del piccolo vialetto in pietra levigata.
Alzai lo sguardo alla piccola abitazione immersa nel verde degli alberi e di fiori. Aveva le pareti bianco latte e le imposte delle finestre spalancate nere.
Più in là una piccola cuccia rossa, come la grossa porta principale, da cui vi uscì un grosso Golden Retriever marroncino chiaro, con un grosso collare blu, che fece le feste ad Alan, che si inginocchiò, appoggiando la borsa a terra temporaneamente per dargli le dovute carezze che voleva.
«Ehi bello!»
Il cane abbaiò e Alan gli sorrise.
«Vuoi un biscottino Tobia?»
Anche con un cagnolino Alan manteneva quella sua aria dolce, disponibile, che mi faceva apprezzare ancora di più le mille sfumature del suo carattere.
Ciò mi fece rimpiangere di non essere un cane a cui Alan poteva fare coccole senza essere frainteso, ma ciò non mi convinceva sopratutto perché avrei dovuto mangiare in una disgustosa ciotola e dormire scomoda in un posto più piccolo della tana di un topo.
«Pronto?» gli domandò Alan come se gli potesse rispondere, e gli lanciò un biscottino preso dalla sua borsa che lui agguantò e mangió con grande voracità.
Alan lo accarezzò e gli fece i complimenti issandosi in piedi mentre il piccolo, che tanto piccolo non era, visto che non appena si aggrappò gli sfiorò l'addome, né richiedeva ancora. Non appena notò la straniera che ero io digrignò i denti come per difendere il suo territorio del nemico, ma Alan lo riprese.
«Tobia cuccia! Non devi trattare così Sofia, è un'amica.»
Il cane abbassò il muso a terra come per cercare di scusarsi.
Accortosi del disappunto del suo padrone mi venne vicino, ancora insicuro, e mi permise di accarezzarlo. Non appena toccai il suo pelo così morbido fu subito amicizia. Amo i cani, da sempre, anche se non mi hanno mai permesso di tenerne manco uno in casa visto la ristrettezza dell'appartamento.
Anche Tobia iniziò a digerire la mia presenza con frequenti scondinzolate della coda leggermente più chiara del suo corpo. Ne ero felice.
«Bravo, Tobia.»
Il cane abbaiò leccandomi sulla guancia, fin quasi a farmi cadere per terra col suo grosso peso.
Io non me dispiacevo, li amavo con tutta me stessa perché riuscivano anche senza comunicare a capirti in ogni situazione di disagio e poi Tobia era così affettuoso che non mi dava alcun fastidio.
Alan cercava di riportarlo all'ordine con il suo cuccia, e visto che non sortiva l'effetto vi rinunciò mettendosi a giocare.
Le nostre risate con Tobia fecero avvicinare una donna molto giovane, rinchiusa in un piccolo scialle color crema, coi capelli rinchiusi in un piccolo cappello, che si trascinava verso di noi con le sue gambe e con le caviglie scheletriche di chi è al capolinea della sua lunga vita.
La sua vista mi spaventò, d'istinto mi alzai in piedi e indietreggiai, mentre osservavo Alan che non si mosse di un centimetro e aveva il viso tirato di chi sta per sbottare qualcosa contro quella donna, che pareva molto di più un fantasma che un corpo in sé, che reggeva nella mano un'innaffiatoio.
«Mamma.» marcò, profondamente irritato incamminandosi verso di lei, e non appena la raggiunse, essa si gettò con desiderio nelle sue braccia.
Ammetto che un po' di gelosia iniziò a toccarmi, perché non poteva liberamente abbracciare me e quella donna poteva godersi il tepore del suo corpo?
Non era giusto!
La situazione era talmente idiota, non potevo tenerci per una cosa così stupida.
«Mamma!»
Assunsi una faccia da ebete quando sentii la parola 'mamma' e trasportai il mio sguardo da Alan all'ipotetica donna che veniva cullata dalle sue braccia.
Io? Gelosa... di sua madre.
Ero completamente impazzita.
Quando la fragile figura si staccò dal suo muscoloso corpo iniziò un diverbio molto acceso fra i due e io decisi di starne fuori con Tobia.
«Figliolo, qual buon vento.» lo salutò lei, ma lui pareva seriamente arrabbiato.
«E menomale che sono venuto vorrai dire mamma! Che ci fai fuori dal tuo letto?»
Lei alzò un cipiglio, alzandogli da sotto il naso l'innaffiatoio.
«Dovresti pensare alla tua salute e non alle stupide piante del giardino. La tua salute è molto precaria, non voglio che si comprometta.» obiettò Alan.
«Oh, tesoro. Odio stare rinchiusa fra quelle quattro mura. Mi fa stare meglio innaffiare i fiori del giardino.» rispose lei gonfiando le guance come una bimba in vena di protestare. «Non mi vorrai proibire di mettere il naso fuori dall'abitazione Alan?»
Lui sospirò.
«No. Però è sconsigliato che tu prenda colpi di freddo perciò torneremo dentro mamma che ti piaccia oppure no.»
Lei annuì.
Decisi di voltarmi e tornare verso la Porche per non disturbare la loro riunione familiare quando Alan mi chiamò. «Sofia!» il cuore sobbalzò al sentire la sua voce e mi girai nella sua direzione.
La donna indirizzò il suo sguardo sotto cui sfoggiava delle occhiaie ben evidenti verso la mia figura poco più distante, e picchiettò la spalla del figlio mormorandogli.
«Mi hai portato un ospite?»
«Oh sì.» rispose Alan.
[Pov's Alan]
Mia madre mi domandò se avessi portato un ospite a farle visita e io risposi che era così omettendo il fatto che Sofia mi avesse seguito.
«Cara, forza avvicinati.» le chiese quasi come una supplica con una mano a tenersi lo scialle al petto e l'altra allungata verso la mia alunna che ne stava in disparte.
Sofia riabbassò lo sguardo.
«Non è il caso.»
Mia madre scosse la testa a destra e a sinistra.
«Sei la fidanzata di Alan?»
Notai che lei cominciò a diventare rossa di imbarazzo e anche io considerando che la sua giovane età non potesse essere ingannata così facilmente. Avrebbe potuto anche essere la mia ragazza, ma speravo che questo non succedesse mai perché volevo evitare inutili problemi e vicessitudini amorose che avrebbero potuto compromettere il mio lavoro di insegnante.
Sofia era talmente a disagio da non riuscire a spiccicare una sola parola.
[Pov's Sofia]
Quella donna pareva avere le idee troppo chiare su me e suo figlio, nonostante a parere mio non fosse estremamente anziana.
Mi sentivo talmente a disagio che alla domanda di prima 'se fossi o meno la fidanzata di Alan' che avevo creduto che la mia testa una volta metabolizzato se ne fosse andata in vacanza e non sarebbe tornata per un tempo determinato.
La donna guardò anche il volto del figlio, anche lui rosso flebilmente alle guance, e si accorse di essere in errore. «Scusa cara. Alan non porta mai un ospite senza esplicito motivo per via di ragioni che dipendono dalla mia precaria condizione.»
Io feci segno con un dito come a farle intendere che non faceva nulla.
«Allora cara, come ti chiami?»
Decisi di diminuere la distanza con Tobia che stava affianco a me e scondinzolava soddisfatto.
Non appena mossi qualche passo, la donna assottigliò le fessure degli occhi per scrutare ogni mio particolare, la mia massa di capelli lisci neri che mi sfiorava la spalla, gli occhi verdi, la divisa con la gonna spiegazzata e la camicia sudata del college del Minnesota.
«Mamma, lei è Sofia Baglietti.» ci presentò Alan, mentre io le feci un piccolo segno d'inchino.
«Molto piacere cara. Io sono Allison Scott, la madre di Alan.»
Le strinsi mollemente la mano destra percependola inspiegabilmente fredda con un diametro di polso scheletrico.
«Alan non mi ha mai parlato che avesse come fidanzata una così bella ragazza.»
Io sorrisi imbarazzata.
«No, mamma. Non è la mia ragazza, è Sofia Baglietti una mia alunna del college dove lavoro.» si intromise il figlio per fare un dovuto chiarimento.
«Capisco.» concluse Allison mentre guardava il sorriso di prima svanire dalle labbra, forse anche lei conosceva il dolore, lo aveva provato sulla sua pelle e sapeva che riusciva ad abbattersi su te come un uragano incontrollabile.
«Perfetto, visto che siete qui figliolo non potete andarvene.»
«Mamma devo tornare in Minnesota.» ribatté lui.
«Non credo che Sofia sia del tuo stesso parere caro.» mi interpellò.
«S-» ma mi interruppe emozionata. «Bene allora per stasera Sofia ti offro la cena, e non accetto un no come tua risposta.»
Allison era davvero convincente e così alla fine mi decisi a rimanere anche per buona parte del pomeriggio fino alla sera a casa del mio professore di musica Alan.
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Eccomi qui!
Amici :) Sofia ha conosciuto Allison, la madre di Alan e il piccolo cucciolo Tobia, ma lo stesso rapporto di complicità instaurerà con Allison o ci sarà qualche incomprensione?
Volete saperlo davvero?
Leggete i prossimi, mettete una stellina, commentate e inseritelo nei vostri elenchi di lettura e sarete sempre aggiornati.
Buona lettura ;)
Jo_14
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