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Capitolo 12

[Pov's Sofia]

Ero dannatamente incredula!
Avevo Alan a pochi centimetri seduto nel posto adibito al conducente, il mio fondo schiena era comodamente semi seduto sulla tappezzeria nera del sedile della Porche e le nostre distanze venivano separate dal cambio.
Era così strano, lui non era solo un ragazzo per cui avevo deciso di sottrarre una macchina senza il permesso del proprietario, ma anche il mio professore. A scuola quel nostro viaggio sarebbe stato motivo inutile di gossip. Rabbrividivo al solo pensiero che la reputazione di Alan sarebbe stata rovinata per colpa mia.
Lui non meritava di finire sotto false accuse, perché non era accaduto niente. O forse sarebbe potuto accadere se solo il cellulare non avesse avuto la briga di disturbare. Ma era meglio così.
Non volevo finire in un pandemonio che non avrebbe portato che disastri e problemi.
È vero che questi non si possono evitare e che bussano alla tua porta, ma almeno c'era una minima possibilità di tenersene alla larga e una di questa era evitare avventure romantiche indesiderate.
Ciò valeva dire dimenticare. Dimenticare, cancellare quel momento che pareva essere stato così vicino per accadere. Io e Alan ci eravamo andati vicino, era forse la circostanza più naturale che avessimo trovato, bastava annullare tutto e considerare solo le nostre bocche che bramavano di possedersi a vicenda.
Ancora non riuscivo a rendermi conto di esserci andata così vicino, ma non abbastanza, perché potessi lanciarmi senza pensieri da un grattacielo.
E credo che Alan l'abbia capito dopo questo nostro 'quasi bacio' che dobbiamo allontanare da noi questa insulsa iniziativa di fare la coppietta con così tanto zelo davanti agli altri e mantenerci nei nostri rispettivi ruoli, anche se risulta difficile per me vederlo come un professore.
Non lo vedrò mai così.

Chi lo avrebbe mai detto?
La mia vita a Caserta era senza alcun senso logico: professori noiosi e pallosi, in vena di interrogare ogni giorno, con alcuna voglia di fare bene il loro lavoro, con la bocca larga quanto una barca o la voce gracchiante.
Tipi che si impegnavano non per la gioia di essere insegnanti di vita, ma solo per intasare il cervello di menmoniche nozioni. Le ore sembravano non passare mai e quando sentivi l'ultima campanella era un vero sollievo, uscivi via come rincorsa dal diavolo. Poi casa, compiti, sporadiche uscite con Tania e infine letto.
Pareva tutto meccanico, la stessa melodia, lo stesso disco ma poi il Minnesota, la musica e Alan che hanno rivoluzionato la mia vita dalla prima volta.
Ancora ringraziavo quei ragazzi con le creste che mi spinsero a terra, lui che venne a soccorrermi e che io sia capitata nel suo corso.
Si chiama fortuna?
No, Alan Taylor.

Come ho imparato da Titanic un film vecchio quanto il mondo e che ho rivisto centinaia di volte con Tani nella vita non puoi mai fare supposizioni, perché queste si rivelano infondate.
Devi semplicemente giocare, contro la Dea della fortuna e sperare di riuscire a spuntarla. Accetti e impari che col destino non c'è da scherzare. Prima ero a Caserta, tra quelle poche genti che conoscevo come le mie tasche, in luoghi che racchiudevano la mia infanzia e adesso sono in una città grande e multietnica con Alan.
Per questo: mai dire mai.
È un motto mio, che perseguo fin da bambina. Le cose accadono non per desiderio, ma per dovere.
Sono in Minnesota per una missione, il problema è che non so quale sia. Ho incontrato molti ragazzi, alcuni antipatici altri simpatici con cui ho stretto una bella amicizia come Josh, ma oltre a loro, Alan il mio professore e i suoi occhi azzurri che mi hanno stregato completamente.
Solo una domanda mi sono posta dal primo momento che Alan è piombato nella mia apatica vita da ragazza piena di complessi.
Lo avrei incontrato lo stesso se io non avessi fatto domanda per il Mc Nally Smith e fossi rimasta a Caserta?
Credo di no.
Alan e io saremmo rimasti estranei. Un po' mi avrebbe fatto piacere, la sua presenza mi rendeva nervosa e mi faceva perdere del tutto il controllo, ma al tempo stesso triste, perché Alan stava diventando qualcosa di incontrollabile dentro di me, qualcosa che mi preoccupava, qualcosa che non avevo mai sperato neanche tra un milione di anni di provare per qualcuno.
Io non maledivo niente.
Riuscivo benissimo a controllare ciò che provavo.
Tenevo sotto sorveglianza le catene che tenevano fermi i miei istinti, ma non so se riuscirò a resistere, visti i precedenti tentativi.

Sussultai premendomi contro lo schienale. Di tanto in tanto lo sguardo finiva dove non doveva, dove i miei sentimenti raggiungevano un punto pericoloso, cioè sulla amata quanto affascinante figura di Alan.
Lo osservavo per una manciata minuti e ciò ripagava la mia testa che riproponeva sempre immagini alquanto scandalose, perché la mia coscienza mi prendeva in giro in quel modo?
-Per spingerti a svegliarti.
Che carina!
I miei occhi verdi passavano a quel suo corpo dalle forme morbidi, dal petto che si abbassava di continuo, i cui pettorali erano più o meno visibili da un piccolo spiraglio aperto.
Aveva i lineamenti così seri, la fronte aggrottata su cui si formava una piccola ruga. I suoi occhi azzurri non mi guardavano neanche per sbaglio, per questo non si era accorto che lo stessi spiando da quando eravamo partiti e ora che ci facebo caso non sapevo nemmeno dove fossimo diretti.
Lui non mi aveva detto niente e io morivo di curiosità, ma non gliela davo vinta.

Nella vettura il silenzio dominava anche se disturbato dal volume minimo della radio impostato su 'musica classica' con assolo di violino.
Io non la sopportavo.
Tutto ma non il classico, quello mi faceva addormentare. Tranne in quella situazione, ero sveglia e pimpante, era un vero miracolo perché la musica classica aveva effetti da soporifero. Forse era Alan che riusciva a distrarmi dalla radio, anche se avrei preferito dormire. Sembrava il gioco che impostavano alle scuole elementari quando i bimbi erano ingestibili e non ascoltavano i maestri. Nessuno rompeva il ghiaccio né Alan né io.
Lui era troppo impegnato a guardare la strada, costeggiata da una fila indistinta di pini, di prospettive diverse che andavano dal più grande al più piccolo, dal più vicino al lontano, e creavano una provvisoria zona di ombra, io ero troppo impegnata a controllarmi.
Mi misi ad osservare il paesaggio che mi propinava il finestrino, abbandonando il viso di Alan visto che la mia mente aveva raccolto molto velocemente i fotogrammi delle sue posizioni, che sarebbero stata riproposte quando avrei voluto pensarlo.
Appoggiai piano la testa vicino al vetro del finestrino, beandomi della veduta degli alberi, che parevano omoni disposti su entrambi i lati della strada, addetti alla guardia di chi circolava da quelle parti.
Doveva essere bella l'atmosfera di fuori rispetto a quella lattina che era soffocante.
Aprii piano con un click il finestrino venendo invasa da un profumo di primule selvatiche che resisteva al rigido inverno che ci aspettava e che era differente dal nauseante smog urbano.
Il vento un po' freddo mi scompigliò le ciocche nere, che si fecero trascinare finendo dietro alle spalle. Allungai una mano al di fuori divertendomi ad accarezzare con delicatezza l'aria o a cercare di toccare le montagne che vedevo comparire negli anfratti di due tronchi separati. I loro pizzi si ergevano in alto arrivando a quel blu che nessuno avrebbe mai potuto raggiungere se non con aereo o mongolfiera.
Il cielo era turchino, poche o nessuna nuvola, era semplicemente fantastico.
<<Bello, vero?>>
Mi girai verso Alan che con un occhio mi guardava, appiccicata al vetro come una bimba che guardava una vetrina di dolci.
<<Sì.>> mi limitai a dirgli, poi rimasi in silenzio.
<<Ti piace il Wisconsin?>>
Alzai gli occhi verso i suoi.
<<Come?>>
<<Il Wisconsin. Questa è la mia terra natale.>> affermò con una punta di orgoglio.
Io increspai un sorriso.
<<Allora, mi stai portando dall'altra parte del mondo rispetto al Minnesota.>>
<<Sì, ma non siamo molto lontani. Potrei anche ripensarci.>> fece lui, mostrandomi la lingua.
Io gonfiai le guance. Lui invece sorrideva e quelle adorabili fossette ricomparivano ai lati della sua bocca perfetta.
<<Dai, scherzavo. Volevo vedere se ti piace stare nella mia compagnia o sono troppo vecchio.>>
Io chiusi del tutto il vetro.
<<Non sei vecchio.>> gli dissi sincera e lui con le mani entrambe sul volante sterzò in una curva. <<Secondo me ragioni troppo da adulto.>> continuai.
<<Io sono adulto.>>
Io risi.
<<Cambiando discorso. Perché stiamo andando nella direzione opposta al college?>>
<<Ti sto rapendo.>>

[Pov's Alan]

Mi piaceva stare con Sofia e non me ne importava nulla se fossimo così poco compatibili o che non avessimo la stessa età.
Mi faceva sentire sensazioni nuove, qualcosa che certe volte non riuscivo a tenere a freno.
Non avevo capito cosa fosse.

Mi divertiva farla arrabbiare, la faceva diventare più bella. I suoi occhi brillavano di una strana luce di determinazione che contagiava anche me. Anche quando mi guardava, quando quelle striature verdi alla luce del sole si fondevano nelle mie sentivo il cuore partire in quinta, sbattere contro le pareti della gabbia e tornare indietro come un boomerang.
Era una cosa che succedeva ogni volta, una cosa che destabilizzava perché anche quel bacio, non che lo volessi io, stava per evolversi davanti ai miei occhi.
Mi ero visto privato della coscienza. C'era una voce insistente, che non potevo mettere a tacere, che mi ripeteva come un tarlo. -Ora prima che ti scappi, baciala Alan. Dannazione!-
Cercavo di ignorarla, ma non ci riuscivo, era più forte della ragione per cui mi ero sempre tenuto al larga dalle relazioni che avrebbero messo fine alla mia carriera scolastica.
-Ma quando mai ti ricapita?
Non era mai successo. Sì forse qualche volta le ragazze mi venivano dietro come insetti appiccicosi solo perché mi vedevano perfetto, solo per la mia vita mentale alquanto superiore alla loro e io le consideravo solo delle cotte, ma non era mai capitato il contrario!
Alan non si era mai innamorato.
Fino ad ora.
Era fuori discussione tutto ciò che riguardasse la mia vita sentimentale. Non mi serviva, non sentivo la necessità di votare il mio povero cuore già malandato ad ulteriori incidenti di percorsi.
Ne avevo avuti già abbastanza.
Nonostante fossi carino, molto popolare e mantenessi un certo contegno rispetto agli adolescenti, le donne non avevano fatto altro che giocare, spezzarmi il cuore e renderlo una poltiglia.
Finendo per capire che il mio cuore aveva bisogno di sbarazzarsi dell'amore non mi ero mai legato a nessuna, nemmeno alla mia fidanzata precedente dei tempi della scuola, sentivo che fosse da imbecille rincorrere qualcosa che poteva portarti alle stelle o farti precipitare nel fuoco, così smisi di pensare a tutto ciò che mi avrebbe allontanato dal lavoro e mi concessi la libertà di restare solo
finché non arrivò lei.
Sofia Baglietti.

La prima ragazza che abbia svegliato il mio cuore e gli abbia data una ragione per battere ancora. Una ragazza diversa dalle altre, per niente normale, piena di vitalità, vivacità e una buona dose di pazzia, ma che riusciva a entrare con tutta sè stessa dentro di me, spogliandomi delle mie debolezze e mettendole a nudo, anche rubando e inseguendomi non solo per sapere dove vivevo per ossessionarmi, ma per cercare di darmi conforto, sostegno e la sua spalla e anche questo l'aveva differenziata dalle altre.
Mi piaceva, mi faceva sentire infantile osservarla mentre i suoi occhi erano proiettati verso le bellezze del Wisconsin, quasi al pari di una bimba piccola.
La mia bimba piccola.
Con lei tutto quello appariva diverso.

Fu la mia ossessione a strapparmi a quei pensieri e a riportarmi all'attenzione della strada mentre ci avvicinavamo al quartiere di ValsBorguses.
Si vedeva che era parecchio sbigottita dalla mia risposta.
Avrei voluto rapirla, perdermi in quelle strade anche se sapevo benissimo quale fosse la mia destinazione, solo perché volevo sognare che un finale felice avrebbe potuto anche esserci tra noi e che la società non si opponesse verso un atto che veniva spesso frainteso.
Per questo non volevo che il mio cuore si liberasse, non volevo amare una ragazza con cui avrei solamente imbrogliato le cose dopo un periodo in cui avevo pensato al mio lavoro, stressato dalla situazione di mia madre e dall'odio per Austin.
Non c'era posto per una donna.
<<Chiederò anche un riscatto.>> le dissi e la sentii respirare.
La sua fragranza mi fece andare in tilt il cervello e mi inebriò la testa.
Ci si poteva ubriacare senza bere?
Lei fece per aprire.
<<Allora, fuggo.>>
Istintivamente allontanai una mano dal volante e le agguantai il braccio. Lei si voltò perplessa, ritraendo il dito dalla portiera e i nostri occhi si accarezzarono. <<Stav->>
Io la fermai.
<<Tu sei mia.>>
Lei spalancò la bocca e incassò lo sguardo, spostandolo altrove ma non ai miei occhi.
Prima si concentrò ad aprire lo specchietto per controllarsi, poi mormorò.
<<Posso cambiare la stazione musicale?>>
Non era una mia impressione: mi stava evitando.
Mi fermai nel bel mezzo della strada da cui in lontananza si intravedevano i tetti marci del quartiere di ValsBorguses.
Adesso non avevo il pensiero di stare attento alle macchine e potevo bloccarla.
Sofia mi osservò, i suoi occhi non mi fermarono come accadeva quando mi ci specchiavo.
<<Posso sapere una cosa?>>
<<Posso cambiare musica?>>
Guardai lo stereo, poi tornai prepotentemente sulla sua gracile figura ora nelle mie mani.
<<Prima posso sapere una cosa.>>
<<S-sì cioè.>>
<<Bene. Che cosa hai provato quando ti stavo per baciare?>>
Lei avvampò.

Angolo dell'Autrice*

Salve wappadiani!
Spero che vi piaccia il nuovo capitolo e che mi lasciate tante stelline e commentini.
Vi prego :)
Vi aspetto! See you Later
Jo_14


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